Posto qui una cronaca orrenda sui cittadini abruzzesi in un campo e una lettera di Guido Bertolaso sul suo sentirsi.
L’Aquila: I rifiuti blindati di piazza d’armi
Pervenuto via Facebook da Luciano Ricci di Informazione libera! Il 02.10.2009
Una trentina di sfollati di piazza d’armi si sono opposti alla deportazione e sono rimasti nel campo. Ci sono vecchi, bambini, persone con l’invalidità totale, italiani e stranieri.
La protezione civile gli ha lasciato solo le tende, una lavatrice, un cesso chimico e tanta monnezza.
Da oltre 10 giorni vivono in una vera e propria discarica. Non hanno cucina, né viveri.
Da oltre 10 giorni la Sebach non provvede allo svuotamento e pulizia del cesso.
Dalla protezione civile fanno sapere che ora la gestione del campo è di pertinenza del Comune.
Ma il Sindaco non è mai stato lì, a vedere i ratti e i cani che sguazzano nella merda che sta allagando i cessi, la tenda tagliuzzata non si sa da chi, a una giovane donna residente nel campo, le bombole del gas abbandonate e tanti altri rifiuti lasciati dai militari che hanno smantellato la tendopoli.
Io ci sono stata, ho visto e ascoltato. Mi hanno detto che ora quel campo è terra di nessuno, che da quando è andata via la protezione civile è stato abbandonato a sé stesso e non c’è più vigilanza. Ma la vigilanza io l’ho vista eccome. Da sabato, il giorno dell’assemblea cittadina in preparazione della manifestazione del 29, si è concretizzata con digos e polizia, sempre solerti quando annusano nell’aria odor di protesta. Un ragazzo mi ha raccontato che in quel campo c’era la zona a luci rosse e la zona spaccio. Mi ha detto che la polizia sapeva tutto ma chiudeva entrambi gli occhi, anzi, nei giorni del G8, andava da loro e diceva: “drogatevi, vendetevi, consumate, basta che non facciate casino”. Nei giorni del G8 quel ragazzo aveva perso la madre e non aveva un paio di pantaloni nuovi per andare al funerale. La polizia entrava nella tenda e lo bloccava per le gambe sul letto. “Non azzardarti ad uscire da questa tenda durante il G8, per una settimana rimarrai qui dentro!” “drogatevi, vendetevi, consumate, basta che non facciate casino”.
Ho dormito lì sabato notte e la mattina dopo volevo scattare qualche foto, per documentare le condizioni bestiali in cui esseri umani sono tenuti da questo Stato da “nobel per la pace”.
La prima foto l’ho scattata ai poliziotti che mi hanno subito bloccata, perquisita la macchina e trattenuta lì per un’ora. “E’ vietato fare foto”, mi hanno detto. “Non si può fotografare questo scempio?” – “chiamate i giornalisti e non immischiatevi” la risposta. E poi: “siete in visita agli ospiti del campo?” – “quali ospiti?, qui i terremotati non sono ospiti, qui è casa loro, questa discarica è casa loro” gli ho detto io (quei poliziotti venivano da Roma) – “qui non ci saranno servizi, ma non gli manca la SSICUREZZA”, ribatte lo sbirro.
L’amico che mi ha ospitato quella notte è venuto da me e loro gli hanno intimato di chiudersi in tenda.
“drogatevi, vendetevi, consumate, basta che non facciate casino”
Il mondo non deve conoscere la verità, la verità è rivoluzionaria…
“drogatevi, vendetevi, consumate, basta che non facciate casino”
Per il 29, quando Silvio verrà a strappare il suo nobel per la pace a Bazzano, tutto deve essere pulito e in ordine, nessuno deve sapere, nessuno deve protestare. I rifiuti e gli sfollati barbonizzati chiusi nella discarica di piazza d’armi.
“drogatevi, vendetevi, consumate, basta che non facciate casino”
Queste foto, la verità che contengono e la solidarietà le dedico ai miei amici di piazza d’armi.
A questo regime fascista e spietato, che vuole cancellare la libertà faccio i miei auguri di rivoluzione.
Chi non ha pietà non merita pietà.
Luigia, per una rete di soccorso popolare
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Abruzzo. Bertolaso: Io, aquilano per scelta 06.10.2009
Una bellissima lettera a sei mesi dal sisma. Leggetela qui perché nessun giornale l’ha ripresa.
A sorpresa il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, in occasione dei sei mesi dal sisma, ha scritto una lettera aperta agli aquilani. Un commento inaspettato e irrituale scritto da «aquilano terremotato» per scelta. Vita ne propone il testo integrale. Nessun quotidiano nazionale oggi vi ha dedicato neppure una riga. (Come ce la spiegano i paldini della libertà di stampa?)
«Sono centinaia, dopo sei mesi, le famiglie che abitano case nuove e confortevoli. Sono migliaia i ragazzi che hanno ripreso la scuola spesso in strutture realizzate a tempo di record. Sono sempre meno coloro che ancora non hanno trovato una sistemazione buona almeno per l’inverno. In sei mesi l’Italia intera ha partecipato a realizzare, all’Aquila, strutture che in occasione di altri terremoti non si sono mai viste o hanno richiesto anni per essere completate. La Protezione Civile e tutte le sue componenti e strutture operative, decine e decine di imprese al lavoro, hanno trasformato L’Aquila e i Comuni del cratere in un cantiere aperto giorno e notte per dare casa e servizi a un’intera città disastrata. I primi risultati si vedono, sono concreti, sono reali, ma la realtà, che pure registra record assoluti di tempestività ed efficienza, sembra sempre in ritardo rispetto al tempo della nostra impazienza, della stanchezza che arriva alle ossa perchè abbiamo bisogno di un’aria diversa per respirare, senza misurarci ogni istante col tempo che, a seconda dei casi e dei ruoli, si traveste da soffio o diventa eterno sulla nostra pelle. Scrivo queste cose, a sei mesi dalla catastrofe, perchè non mi sento ma sono aquilano, non mi sento ma sono terremotato, perchè vivo da quel giorno gli stati d’animo, le ansie e anche le speranze di chi vive qui, nelle condizioni che il sisma del 6 aprile ha disegnato.
Chi lavora con me da sei mesi, impegnato ogni giorno per rimediare ai guasti del terremoto, vive questa contraddizione di sentire che il tempo, i giorni, sono sempre troppo pochi e troppo lunghi, troppo pochi per arrivare a tutto, troppo lunghi perchè non si vede bene la fine del tunnel della precarietà nel quale nessuno, lo abbiamo giurato a noi stessi, deve restare intrappolato. Non siamo terremotati perchè il sisma ci ha colpito ma perchè abbiamo scelto di esserlo con gli aquilani, siamo venuti da fuori e siamo rimasti, con l’idea forse banale e semplicistica che stava a noi per primi non andarcene, restare e lavorare senza risparmio di energie per dire coi fatti ai cittadini dell’Aquila che non erano soli, che lo Stato c’era e c’è, che il terremoto non ha lasciato nessuno senza percorsi possibili verso un futuro vivibile. Sono andato via dall’Aquila solo quando la tragedia, il disastro, hanno colpito altre parti d’Italia, a Viareggio, a Messina in queste ultime ore.
Viaggi da una catastrofe ad altre, da un dolore che conosco ad altre sofferenze e altre amarezze. Per questo non ho bisogno di leggere i giornali, di ascoltare dichiarazioni, di scorrere reportage, di prender parte al gioco inutile delle polemiche per sapere che il nostro compito in Abruzzo non è ancora finito, che dobbiamo mettere in conto ancora giorni e giorni passati lavorando senza badare alla fatica, spendendoci per limare un pò di tempo all’eternità di chi aspetta e far stare più cose nel soffio di ogni giorno a nostra disposizione. Chiedo al tempo, in questo giorno, di non impedirci di vedere ciò che abbiamo fatto e di gioirne, insieme a quanti per primi sono arrivati a godere dei risultati dell’enorme sforzo che ogni giorno si compie in queste terre. Chiedo al tempo che ci conceda una sua piega, per ricordare quanta strada abbiamo fatto in sei mesi, dai primi soccorsi alle esequie delle vittime, dalla visita del Papa alle decisioni del Governo per far fronte all’emergenza, dal G8 ai piani per le nuove costruzioni, dalle prime case finite a quelle che stanno sorgendo, dai giorni della mobilitazione solidale degli italiani fino all’oggi, che vede ancora migliaia di persone al lavoro, che hanno stabilito con l’Abruzzo e la sua gente un rapporto destinato a durare. Chiedo al tempo, infine, di lasciarci vedere il termine dell’attesa.
Oggi è il sei ottobre 2009. Sei mesi dal sei aprile. Sei mesi, che sono un soffio e un’eternità insieme. Un soffio, per chi prepara progetti e li mette in atto, scontrandosi con la realtà dei “tempi tecnici” necessari per fare qualsiasi cosa. Un’eternità, per chi aspetta una normalità che sembra non arrivare mai, costretto a una vita da rifugiato anche se ha scelto di vivere a pochi metri da casa, obbligato a far passare il tempo senza avere il comando dei propri giorni per decidere come viverli. Come capita sempre nella vita, a distruggere basta un attimo, per costruire serve tempo. Una città, un territorio sono come una famiglia, un’impresa, una qualsiasi altra realizzazione sociale dell’uomo. Quando l’amore non è coltivato ogni giorno, quando si lavora oggi senza pensare a domani, quando si sta insieme per motivazioni che un giorno erano chiare, ma sulle quali non si è avuto la prudenza di lavorare, qualsiasi crisi può sfasciare tutto quello che abbiamo costruito, su cui abbiamo scommesso, che abbiamo considerato un bene acquisito una volta per sempre. Le famiglie si dividono, le imprese falliscono. Comincia, inevitabile, una stagione di ripensamenti, spesso di accuse agli altri perchè non ci hanno capito, non hanno riconosciuto le nostre ragioni, hanno mandato a rotoli i nostri progetti. Chi resta da solo e senza risorse, chi si ritrova dall’oggi al domani senza lavoro, chi si accorge che il racconto delle proprie esperienze di dramma, col loro strascico di paure e incubi notturni, ottiene un’attenzione sempre minore, distratta, svogliata: sono queste le sole persone che possono capire cosa sono sei mesi nella vita di chi se l’è vista distrutta.
Il terremoto, la distruzione: nulla è più come prima, niente lo sarà mai più. Il terremoto parte dalla terra e arriva dentro ciascuno, dentro le famiglie, le comunità, le città, si installa come un ospite non voluto che è impossibile allontanare. Una presenza che cambia peso e intensità col passare dei giorni.
I primi sono quelli del lutto, dei soccorsi, dei senzatetto da mettere al riparo. Poi ci sono quelli della solidarietà, tra chi è venuto ad aiutare e chi ha trovato rifugio, dell’accoglienza, della voglia di far festa per ogni piccolo segno di vita buona, come una scuola che riapre o la nascita di un bimbo che diventa simbolo di speranza per tutti. Poi ci sono i giorni duri del tempo che rallenta, delle televisioni che non hanno più inviati, della routine dei campi che si vive con il fastidio crescente di essere come separati, da quei teli blu, dal resto del mondo e dal proprio futuro. Adesso è il periodo del tempo che non passa, perchè ogni entusiasmo si è raffreddato, e ogni attesa provoca dolore, perchè, costretti dalle cose ad essere realisti, a guardare in faccia la realtà per com’è, arriviamo a non sopportarla più. Anche i fatti positivi che pure accadono intorno a noi sono condivisi con riserva, se riguardano altri e non il proprio futuro».
Guido Bertolaso
http://beta.vita.it/news/view/96129/
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TURCHIA. Orhan Pamuk di nuovo querelabile 07.10.2009
La Suprema Corte d’Appello ha stabilito che è un diritto citare chi offenda la nazione
Non c’è pace per il Nobel per la Letteratura 2006. Come una secchiata d’acqua gelida è arrivata oggi la pronuncia della Suprema Corte d’Appello turca: Orhan Pamuk potrà essere querelato da qualunque connazionale si senta offeso dalle sue dichiarazioni.
La decisione odierna è l’ultimo tassello di una lunga battaglia legale: nel giugno 2006 un tribunale di prima istanza a Istanbul aveva respinto le querele sporte nei confronti di Pamuk, accusato di vilipendio alla nazione. Non si doveva procedere perchè i querelanti non potevano rappresentare l’intero Paese. Pomo della discordia, un’intervista rilasciata dallo scrittore nel 2005 a una rivista svizzera: «Noi turchi abbiamo ucciso 30.000 curdi ed un milione di armeni e nessuno, tranne me, osa parlarne in Turchia». Una dichiarazione che scatenò immediatamente pesanti polemiche in Turchia. Sei turchi, familiari di soldati uccisi dal Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), citarono Pamuk per danni morali, chiedendo un risarcimento danni di circa 30.000 dollari.
Poi a gennaio 2008 la Cassazione ribalta la sentenza che scagionava Pamuk, stabilendo che «il sentimento di appartenenza a una nazione è un diritto che deve essere protetto e una dichiarazione che lede l’intera nazione dà all’individuo il diritto di sporgere querela contro di essa».
Dopo la delibera di oggi, Pamuk potrà essere di nuovo processato e – se riconosciuto colpevole – sarà tenuto a pagare il risarcimento ai querelanti. Risarcimento che potrebbe lievitare velocemente, dato che in teoria ogni cittadino turco può citare per danni morali chiunque faccia dichiarazioni ritenute infamanti per la Turchia.
http://web.vita.it/news/view/96166
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Germania: Un romanzo poliziesco “sui crimini d’onore„ censurato 06.10.2009
“Mostra la tua forza, e non avrai neppure più bisogno di servirtene… questa potrebbe essere la morale delle sommosse musulmane per le caricature danesi di Maometo. Bisogna dire che i musulmani hanno realmente attuato con successo il loro colpo. Gli editori occidentali tremano e passano ormai al setaccio tutto quello che tocca l’islam. Ecco ancora un romanzo in Germania che fa le spese della censura. Il romanzo che parla “di un crimine d’onore„ é stato giudicato potenzialmente offensivo per i musulmani… uccidono le loro figlie, ma soprattutto non ne parlano. “I musulmani respettabili„ rischiano di essere offesi… e là, attenti a noi tutti!”
Düsseldorf – un editore tedesco ha rinunciato alla pubblicazione di un libro per timore delle manifestazioni violente perché contiene un riferimento un po’ duro riguardo al corano, ha riportato sabato la rivista Der Spiegel.
L’uscita del romanzo poliziesco – che racconta un’indagine che riguarda ciò che si ha l’ abitudine di chiamare “crimine d’onore„ di una donna musulmana – era stato previsto per settembre, ma la società d’edizione Droste di Düsseldorf ha deciso finalmente di non stamparla, ha precisato la rivista in un articolo uscito nella sua edizione di lunedì.
L’editore aveva inizialmente chiesto all’autore, Gabriele Brinkmann, che scrive sotto il nome d’autore WW Domsky, di edulcorare dei passaggi del suo libro intitolato “To Those Worthy of Honour„ (A coloro che sono degni d’onore), che potrebbero essere offensivi, ma aveva rifiutato.
Spiegel riporta che in un passaggio in questione, un personaggio diceva: “Il tuo corano puoi mettertelo…„
L’editore Felix Droste aveva chiesto ad un esperto sulle società islamiche di studiare se il testo di questo romanzo poliziesco potesse compromettere la sicurezza del suo gabinetto o della sua famiglia, e l’esperto ha proposto che la frase sia modificata con “il vostro onore, potete mettervelo…„
Ma l’autore ha rifiutato questa modifica. Felix Droste gli ha risposto che “le sommosse per le caricature danesi del profeta Maometto nel 2005 hanno mostrato che chiunque pubblicherebbe insulti verso l’islam metterebbe in pericolo la sua sicurezza,„ dice Spiegel.
Fonte: Telegraph
http://scettico72.splinder.com/
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Pervenuto da Rossana rossana@comodinoposta.org per la lista neurogreen@liste.rekombinant.org
Italia-Pakistan/ Firmato memorandum d’intesa sulla difesa.
Più scambi fra intelligence e import/export nel settore militare
Al termine dell’incontro fra il premier Silvio Berlusconi e il presidente pachistano Asif Ali Zardari a palazzo Chigi, i governi italiano e pachistano hanno siglato un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore della Difesa. L’accordo – che punta fra l’altro a facilitare lo scambio di informazioni fra i rispettivi servizi segreti e l’import/export nel settore militare – è stato firmato, per parte italiana, dal ministro della Difesa Ignazio La Russa.
Italia-Pakistan: Berlusconi, guidero’ missione di imprenditori italiani
Si’ a partenariato Ue, opportunita’ immediate di investimento (Il Sole 24 Ore Radiocor) – Roma, 30 set – Il presidente del Consiglio guidera’ una missione imprenditoriale italiana in Pakistan con l’obiettivo di cogliere “immediate opportunita’ di investimento”. L’iniziativa, riferisce lo stesso Silvio Berlusconi, e’ stata tra i temi del colloquio, a Palazzo Chigi con il Presidente della Repubblica Islamica del Pakistan, Asif Ali’ Zardari. “Abbiamo iniziato a parlare – ha detto Berlusconi nel corso delle dichiarazioni congiunte rilasciate alla stampa – di un progetto di missione economica di imprenditori italiani a cui il Pakistan dovrebbe offrire delle immediate opportunita’ di investimento, missione che io saro’ onorato di guidare”. Berlusconi ha inoltre affermato che il Governo italiano guarda al Pakistan “con grande interesse, attenzione e simpatia” e che “sostiene la firma di un accordo di libero scambio con l’Unione europea”. E pertanto, ha aggiunto, “auspichiamo la possibilita’ di mettere in campo un partenariato economico bilaterale di lungo periodo”. A margine del colloquio il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha firmato con il suo omologo pakistano un Memorandum di cooperazione militare.
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Lodo Alfano
Margherita Hack censurata su Napolitano
Oggi, lunedì 8 settembre, Margherita Hack ci ha inviato la seguente lettera:
“A Micromega: lo scorso luglio ho mandato una lettera aperta a Napolitano a Corriere, Stampa, Repubblica, Unità e Piccolo di Trieste. Che io sappia nessuno l’ha pubblicata
Lettera aperta al Presidente Napolitano
Caro Presidente,
ho sempre avuto grande stima per Lei e per la sua lunga militanza democratica. Perciò non capisco come abbia potuto firmare a tambur battente una legge indegna di un paese democratico come il lodo Alfano. Lei dice che la sua firma è stata meditata, e forse intendeva dire che lo considerava il male minore. Ma io, e come me molti italiani che hanno ancora la capacità di indignarsi di fronte alle violazioni della Costituzione da parte di una destra arrogante, non capiscono come sia possibile varare una legge apertamente incostituzionale. La Costituzione afferma che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, e quindi anche senza essere giuristi, non si capisce come quattro cittadini siano più eguali degli altri (e migliaia meno eguali, come i clandestini, che, se delinquono subiscono un aggravio di condanna). Scandalizza l’impudenza di Berlusconi, che appena varata la legge esclama: finalmente libero dalla persecuzione della magistratura. Non si configura in questa frase un oltraggio alla magistratura?
Per quanto ne so, Lei aveva trenta giorni di tempo per firmare, poi avrebbe potuto rimandare alle camere la legge per sospetta incostituzionalità, e solo dopo il secondo riesame avrebbe dovuto comunque firmarla.
Io credo che per amor di pace non si debba essere troppo acquiescenti con una destra antidemocratica. E’ già successo una volta, ottantasei anni fa.”
Margherita Hack
(8 settembre 2008)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/margherita-hack-censurata-su-napolitano/
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Scudo, Margherita Hack contro Napolitano: Pertini e Scalfaro non avrebbero firmato 06.10.2009
Caro Presidente,
Le avevo già chiesto
perchè avesse firmato subito il lodo Alfano, chiaramente incostituzionale.
Ora torno a chiederle perchè ha firmato subito lo Scudo Fiscale, che premia i furbi e umilia i contribuenti onesti.
So bene che dopo 30 giorni, se il Parlamento vota nuovamente la stessa legge Lei è comunque obbligato a firmarla, ma comunque il rinviarla alle Camere sarebbe stato un segnale forte del suo dissenso e avrebbe per lo meno potuto tentare di far modificare le norme più scandalose.
Sono convinta che al suo posto nè Pertini nè Scalfaro avrebbero firmato.
Una cittadina che crede ancora che la legge sia uguale per tutti, e che chi non paga le tasse è un ladro che ruba ai più poveri.
Margherita Hack
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D_shape: costruire tramite stampa 3D 02.10.2009
Enrico Dini sognava di edifici, costruzioni e forme impossibili. Era particolarmente ispirato dalle forme delle architetture di Gaudì, e amava i suoi fantastici (in ogni senso) lavori.
Costruire con cemento e mattoni necessita di due cose: impalcature e manodopera; nondimeno, i metodi di costruzione tradizionali sono insufficienti quando si trovano di fronte agli esotici progetti di taluni architetti.
Questo crea delle costrizioni che limitano la maniera in cui gli edifici possono essere costruiti e limita le forme che gli architetti possono usare.
Piuttosto che accettare queste costrizioni come un dato di fatto, Enrico Dini ha voluto tentare di eliminarle.
Nel 2004 ha inventato – e registrato – un metodo di stampa tridimensionale in scala reale che usa deegli epossidi per far solidificare la normale sabbia.
Enrico ora può stampare degli edifici!
Le resine epossidiche possono aderire virtualmente su qualsiasi cosa. Ciò provoca sia alti costi di manutenzione per le macchine, sia inefficienze quando queste vengono usate.
Enrico è tornato indietro sulla sua scrivania di inventore per ideare qualcosa di totalmente nuovo.
Nel 2007 ha brevettato un nuovo sistema per usare un legante inorganico assieme alla comune sabbia per creare edifici con tecnica simil-tipografica.
Il nuovo procedimento aveva bassi costi di manutenzione ed era facile da usare.
Ora sta lavorando per migliorare ulteriormente l’accuratezza del sistema, e presto “stamperà” una scultura completa che sarà installata in una rotatoria nei pressi di Pisa.
Questi non sono castelli in aria, ma sta accadendo veramente.
Nelle fotografie si può vedere la riproduzione reale in scala 1/4 e un rendering che prefigure l’installazione dopo la posa (da notare la dimensione, in relazione ai veicoli che si vedono nella foto).
Enrico Dini dice che il suo piccolo gruppo sta seduto sopra unaenorme opportunità.
In effetti la loro tecnologia rende possibile “stampe tridimensionali” in dimensione 6×6×1 metri che possono essere spedite sul cantiere di costruzione; oppure l’edificio può anche essere direttamente “stampato sul posto”.
Il materiale creato tramite la tecnologia D_Shape ricorda l’arenaria, ma come forza è comparabile al cemento rinforzato, e gli ingredienti per crearlo sono il legante brevettato e ogni tipo di sabbia.
Il materiale in sè costa più del cemento, ma richiede molta meno manodopera per la costruzione.
Non richiede casseforme o ponteggi, così che il costo complessivo dell’edificio costruito risulta essere minore di uno equivalente costruito con tecniche tradizionali.
Il sistema lavora grazie ad una impalcatura sospesa sopra la parte costruibile; esso deposita la sabbia ed il legante come fosse inchiostro.
Non necessita di acqua, e poiché i due materiali si incontrano e reagiscono all’infuori dei meccanismi, la macchina non può intasarsi o incepparsi, e può inoltre mantenere la propria precisione di stampa sull’ordine dei 25 punti per pollice.
La tecnologia D_shape può sembrare interessante prima di tutto per quegli architetti che sono interessati alle forme più dal punto di vista “organico” che come semplice intersezioni di superfici piane.
Come nella stampa 3D tradizionale, possono essere create un sacco di forme diverse.
La produzione di cemento crea molta CO2; Il processo di Dini ha la possibilità di essere molto più ecologico poiché il materiale costruito non dev’essere creato scaldando calce e quindi crea molto meno diossido di carbonio, ed il materiale finito e semplicemente sabbia addittivata con il legante inorganico.
Qual’è il prossimo passo per D_shape?
Enrico Dini è in contatto con in gruppo responsabile per i lavori in corso alla Sagrada Familia di Barcellona! Forse l’ingegnere che è stato così ispirato dal lavoro di gaudì potrà essere d’aiuto per finire la sua opera più grande.
Sul numero di Ottobre 2009 di Wired italia c’è un articolo di approfondimento su Enrico Dini e la tecnologia D_shape.
link: D_Shape
fonte: shapeways
http://www.dozarte.com/wordpress/2009/10/02/d_shape-costruire-tramite-stampa-3d/#more-1323
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Barack Obama premio Nobel per la pace 09.10.2009
Ci sono due possibili interpretazioni per il Premio Nobel per la Pace a Barack Obama. La più malevola è accomunarlo a Noemi Letizia, la presunta amante minorenne di Silvio Berlusconi, alla quale a Venezia hanno dato un premio “al talento futuro”.
In questo senso il contributo di Obama alla pace nel mondo è tutto da fare e ci sono molti dubbi sul fatto che abbia la forza di rappresentare un vero cambiamento laddove con vero cambiamento non si può intendere solo il minimo dello smantellare l’operato dell’abominevole George Bush.
Ma Barack Obama il negro, Barack Obama il figlio di migrante africano è ben altro che il presidente futuro.
Barack Obama, il negro, il migrante, è il culmine di una storia plurisecolare di discriminazione e sfruttamento che certo non si chiude con un evento simbolico della sua elezione ma che nell’evento simbolico trova dignità.
“Veniamo da lontano e andiam lontano” possono dire con Obama il personaggio letterario Kunta-Kinte e i personaggi reali come Rosa Parks, Martin Luther King, Malcolm X, Tommy Smith, John Carlos e le migliaia di ragazzi afrodiscendenti che da Harlem all’Alabama hanno ridipinto gli Stati Uniti con i colori dei murales del loro eroe positivo.
No, Barack Obama non è solo il reazionario “sogno americano” della rapace etica protestante. Non è solo uno su mille che è arrivato lasciando altri 999 indietro. Barack Obama è un simbolo per milioni di sfruttati e discriminati, è un simbolo antirazzista e in questo senso è un Nobel particolarmente legittimo del quale, domani, come presidente degli Stati Uniti, dovrà dimostrare giorno per giorno di essere degno.
http://www.gennarocarotenuto.it/10999-barack-obama-premio-nobel-per-la-pace/
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Estratto dalla rassegna di http://www.caffeeuropa.it/ 09.10.2009
La valuta Usa ha continuato a perdere quota nei confronti dell’Euro, “intervengono le banche centrali del Far East”. I tassi europei sono ancora fermi (per decisione della Bce, ieri), il governatore Draghi ieri ha parlato di una ripresa che “va sostenuta” e che è “lenta e fragile”.
In relazione al dollaro debole, estratto dalle notizie flash di Unicredit 09.10.2009
Sul mercato dei cambi, recupera terreno il dollaro americano, sostenuto dalle dichiarazioni del governatore della Federal Reserve Ben Bernanke sulla necessità di una stretta monetaria di pari passo alla ripresa. La valuta americana rialza così la testa dopo essere scesa ieri sera ai minimi di 14 mesi contro il paniere delle sei maggiori valute. Alcuni operatori hanno visto nelle parole di Bernanke una risposta al presidente della BCE Jean-Claude Trichet che ieri ha sostenuto l’importanza dell’appoggio americano ad un dollaro forte…
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Usa: sulle emissioni potrebbe slittare a dopo Copenaghen 06.10.2009
Barack Obama potrebbe essere costretto ad accettare un rinvio di diversi mesi sull’approvazione dell’attesissima legge sul taglio delle emissioni di CO2 in America. La legge, in questi giorni all’esame della
commissione Ambiente e Lavori Pubblici del Senato, sarebbe infatti sul punto di slittare a dopo la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici che si terrà a metà dicembre a Copenaghen.
A rivelarlo è una delle più strette consigliere sulle materie ambientali della Casa Bianca, Carol Browner, che ha detto a chiare parole l’altroieri a Washington che “è poco probabile che il presidente firmi la legge sull’energia entro dicembre”. Un annuncio che ha gelato gli ambientalisti americani e soprattutto quelli stranieri, che chiedono da mesi una riforma negli Usa senza la quale difficilmente a Copenaghen si potrà trovare un accordo efficace.
Il testo è stato approvato a giugno dalla Camera ma ora è fermo nelle commissioni del Senato dove sono emerse spaccature all’interno degli stessi democratici, in particolare sul ruolo delle autorità di controllo delle emissioni. La preoccupazione riguarda soprattutto i democratici eletti nei collegi “rurali” che chiedono maggiori vantaggi per l’industria del bioetanolo, sulla quale però le autorità federali hanno più volte espresso pesanti dubbi. Alla Camera la legge ha superato non senza difficoltà il voto, grazie al peso numerico dei deputati eletti negli Stati più popolosi. Al Senato però tutti gli Stati hanno lo stesso numero di voti e senza un accordo
blindato il testo rischia di fallire alla prova dell’aula.
La legge sul clima è, insieme alla riforma della sanità, uno dei capitoli principali del primo anno di governo del presidente Barack Obama che ha promesso un’inversione di rotta rispetto alla politica del suo predecessore, George W. Bush. Un ritardo sulle norme negli Usa, dove si registra il più alto tasso di emissioni pro capite al mondo, peserebbe in modo determinante sulla conferenza di dicembre dove sarà discusso il “successore” del trattato di Kyoto che il Congresso americano non ha mai ratificato.
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da il viaggiatore che aspetta (ilsangue@hotmail.com) per la lista aha@lists.ecn.org 08.10.2009
Google sotto attacco??
Risale a stanotte la notizia diffusa attraverso canali capillari secondo la quale Google sarebbe stato attacato da ignoti hacker.
Dopo gli attacchi DoS ai più noti social network che qualche settimana fa hanno fatto vacillare la rete per qualche ora, adesso tocca a Google. Pare infatti sia stato attuato un “defacement” della nota pagina, sostituita così del campo di ricerca e dell’accecante bianco da uno sfondo nero, desolatamente vuoto tranne che per una laconica fila di lettere, appena appena visibili: deep vacuum.
Se “deep vacuum” sia una firma o una qualche dichiarazione non ci è dato sapere. L’unica cosa che sappiamo dalle voci che si rincorrono, è la durata dell’attacco: un brevissimo lasso di tempo, forse poche decine di secondi, tra le 3 e le 3.30 di stanotte 8 ottobre 2009.
Resta da capire per quale motivo sia Google che i canali ufficiali se ne stiano in silenzio.
Screenshot:
http://img266.imageshack.us/img266/3225/deepvacuum.jpg
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Giornalista mexicana esperta di narcos vince Premio Anna Politkovskaja
Da Notiziario Aduc, – 2 ottobre 2009
E’ stato assegnato alla messicana Adela Navarro Bello la prima edizione del Premio Anna Politkovskaja, dedicato alla giornalista russa uccisa nel 2006 dal Festival Internazionale, organizzato a Ferrara dall’omonina rivista e dal Comune. ‘Anna Politkovskaja era una delle nostre migliori firme’, ha ricordato Giovanni De Mauro.
Adela Navarro Bello vive sotto scorta: dirige dal 2006 il prestigioso settimanale Zeta, che si occupa regolarmente di criminalita’ organizzata, narcotraffico e collusione tra politica e cartelli della droga nello stato di Tijuana, alla frontiera tra Messico e Stati Uniti. Firma la rubrica Sortilegioz e conduce insieme alla sua redazione un accurato lavoro investigativo.
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Finalmente una ricerca di valutazione sulla legge su droghe e dipendenze! 09.10.2009
Perchè Giovanardi e Serpelloni screditano una ricerca di sei università italiane sugli effetti delle sanzioni amministrative?
Dopo l’assordante silenzio della conferenza nazionale di Trieste su esiti ed effetti della legge Fini Giovanardi, è stata presentata a Roma, nell’ambito del “Sistema permanente di confronto e consultazione (Post-Trieste) promosso dal Dipartimento, la ricerca “L’ART. 75 DEL D.P.R. 309/90 E IL CONSUMO DI DROGHE ILLEGALI. UNA RICERCA SU PRASSI APPLICATIVE, ESPERIENZE, INNOVAZIONI“, curata da ricercatori di sei università italiane. La ricerca – centrata sui dispositivi previsti dall’articolo 75 per come modificato dalla legge Fini Giovanardi e dunque sugli esiti delle sanzioni amministrative – era stata promossa dal precedente governo, su input dell’allora Comitato scientifico presso il Ministero della Solidarietà sociale e con il forte sostegno dell’allora Consulta per le tossicodipendenze, che avevano voluto così colmare uno storico vuoto di analisi e valutazione.
Apprendiamo dalle agenzie di stampa che sulla ricerca – per altro ad oggi non pubblica, se non in questo abstract pubblicato dal sito dello stesso Dipartimento – sia Giovanni Serpelloni che Carlo Giovanardi hanno espresso giudizi non solo negativi sui risultati, ma di forte squalifica metodologica e scientifica. Non abbiamo letto la ricerca, e non abbiamo pertanto opinioni sui risultati. Ma conosciamo da anni il lavoro scientifico di alcuni dei ricercatori, e sentire sparare a zero sul loro valore ci muove ad essere sospettosi: non è che valutare, da un osservatorio indipendente, una legge divenuta un manifesto politico appaia al governo troppo rischioso?
Più che disposti a rivedere i nostri pregiudizi: basta che il rapporto di ricerca sia reso subito integralmente pubblico e sia possibile discuterlo a viso aperto in riunioni non così d’elite come quella tenutasi a Roma lo scorso 7 ottobre.
Lo diciamo come operatori, come ricercatori e come cittadini: valutare una legge di così grande impatto è un dovere per chi l’ha elaborata e votata e un diritto per chi si trova ad operare o a vivere nell’ambito delle sue maglie.
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Arriva il chip che misura il rischio di cancro al seno
08 ottobre 2009. Creato un chip in grado di misurare in tempi rapidi e con un piccolo campione di sangue o tessuto il rischio di cancro al seno. Il prototipo del nuovo mini-kit diagnostico è stato presentato da Noha Mousa, dell’Università Toronto sulla nuova rivista Science Translational Medicine dedicata alle applicazioni della ricerca di base, e potrebbe essere usato anche come un laboratorio portatile per fare test antidoping e per verificare se le terapie oncologiche stanno facendo effetto.
Il chip funziona sulla base dei principi della microfluidica un recentissimo campo di ricerca per la manipolazione e al trasporto di piccolissime quantità (goccine) di liquido. Il suo obiettivo finale è la realizzazione del cosiddetto ‘Lab-on-a-Chip’, ossia la riduzione su un chip di dimensioni millimetriche di tutte quelle operazioni (sintesi, separazione e analisi) che attualmente richiedono l’uso di vari laboratori.
Il microcircuito si attiva con goccioline di reagenti chimici che servono per monitorare la presenza o assenza, e la concentrazione, di molecole di interesse in un piccolissimo campione di sangue o tessuto. Per esempio monitorando la concentrazione di estrogeni si può misurare il rischio di cancro al seno. I reagenti estraggono e purificano gli ormoni nel campione da analizzare, il tutto avviene su un dispositivo che sta nel palmo di una mano, un grande avanzamento che di fatto potrebbe rivoluzionare i test di screening che oggi si effettuano con biopsie.
Oltre agli estrogeni il mini-laboratorio potrebbe servire per fare test antidoping rapidi e sul campo di gara e anche per monitorare l’efficacia di terapie oncologiche in atto, misurandola sulla base degli ormoni nel sangue.
Redazione Tiscali
http://donna.tiscali.it/articoli/bellezzaesalute/09/10/chip_misura_rischio_cancro_seno_123.html
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Nobel a Obama, prime reazioni cinesi ottobre 2009
Nessuna reazione ufficiale cinese immediatamente dopo l’assegnazione del premio Nobel al presidente Usa Barack Obama.
Secondo molti analisti, questo silenzio è già in realtà una presa di posizione: scetticismo se non ostilità.
Xinhua e China Daily non fanno che avvalorare questa tesi.
Asciuttissima la notizia dell’Agenzia Nuova Cina, che però sottolinea come la scelta del comitato norvegese del Nobel sia stata accolta con molte perplessità anche in patria.
Riportando le parole di Mark Halperin di Times, si scrive: “La sorprendente decisione di premiare Obama con il Nobel per la Pace grazie alla sua retorica, farà certamente infuriare i suoi detrattori in America più che fare piacere ai suoi sostenitori.”
Più articolato il commento del quotidiano in lingua inglese che sottolinea come il presidente americano debba ancora “ottenere qualche significativo successo internazionale” e che fa la scelta piuttosto indicativa di riportare per primi i commenti del mondo arabo, tra cui quello di un lavoratore giornaliero iracheno: “Non merita il premio. Tutti questi problemi – Iraq, Afghanistan – non sono stati risolti… L’uomo del ‘cambiamento’ non ha ancora cambiato un bel niente.”
La fredda reazione dei media controllati da Pechino è addirittura surclassata dall’esplicita delusione dei dissidenti cinesi che, nel 60° anniversario della Repubblica Popolare, erano candidati a una sorta di Nobel collettivo in alternativa a Obama.
“E’ sia un peccato per i Cinesi, sia un pericolo per la pace mondiale“, dice al colmo della delusione Huang Ciping, direttrice esecutiva della fondazione di Wei Jingsheng, l’ex guardia rossa che è ora uno dei più famosi dissidenti all’estero.
Rebiya Kadeer, la leader uyghura, è più diplomatica: “Sono molto contenta che l’abbia vinto. Adesso con questo premio deve farci qualcosa. Aumenta le aspettative nei suoi confronti, perché combatta a favore delle nazioni oppresse,” (cioè la Cina o forse il “Turkestan Orientale“).
Paradossalmente, per quanto riguarda le faccende cinesi, il “Nobel alle belle intenzioni” di Obama sembra aver tolto un bel po’ di imbarazzo sia al comitato promotore, sia alle autorità di Pechino, sia a Obama stesso.
Del resto, i media cinesi non dimenticano di sottolineare che tra le motivazioni del comitato Nobel c’è il fatto che Obama abbia “creato un clima nuovo nella politica internazionale“.
Leggi, “multilateralismo“. Leggi, non intromissione nelle vicende interne degli altri Paesi e nuovo status di potenza globale per la Cina.
http://www.chen-ying.net/blog/?p=564
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Il direttore del New York Times
“Pronto a rispondergli” 12.10.2009
Stupore nelle redazioni straniere: “Sono parole sconcertanti”
FRANCESCA PACI MAURIZIO MOLINARI
La «stampa estera» non ci sta. I direttori dei giornali anglosassoni non amano essere trascinati nella polemica, soprattutto se legata alle vicende interne di un Paese straniero. La risposta, in questi casi, è generalmente un no comment: «Sono le nostre cronache a parlare». Stavolta però, il j’accuse di Silvio Berlusconi è diretto, troppo per rinunciare, sia pur in nome del fair play, al diritto di replica.
«Succede spesso che i premier se la prendano con la stampa estera e la usino a mo’ di capro espiatorio, ma non mi è mai capitato nessuno che, come Berlusconi, avesse un tale disprezzo per la realtà dei fatti» osserva Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, il settimanale britannico che incrocia le armi con il nostro capo del governo sin dal 2001, quando, a ridosso delle elezioni che l’avrebbero portato al potere, lo definì «inadatto a governare l’Italia».
Le parole sono pietre e rimbalzano lontano. Il direttore del New York Times Bill Keller se le trova sulla scrivania di primo mattino. «Se Berlusconi ha particolari rimostranze nei confronti della nostra copertura mi piacerebbe ascoltarle, sono pronto a rispondergli. Non c’è motivo per me di rispondere ad affermazioni generiche» commenta tagliando corto. L’unica sfida che conta oggi, nella redazione progettata da Renzo Piano, è quella dei talebani in Afghanistan. Quel che colpisce, negli Usa come in Gran Bretagna, è la durezza dell’affondo. Al Financial Times, il quotidiano economico della City, le bocche sono cucite ma gli occhi tradiscono sorpresa. Nessuno afferra davvero la logica. Il Financial Times, a differenza dei giornali di Murdoch, non ha interessi in Italia e fatica a comprendere l’anatema berlusconiano, a meno di leggervi la reazione di un politico in difficoltà che si difende dalle critiche mediatiche, a cui non è abituato, attaccando.
Non che in passato Berlusconi avesse lesinato critiche ai corrispondenti esteri. Ma si trattava per lo più di battute. «E’ sconcertante che il primo ministro italiano possa reagire in questo modo alla copertura della stampa straniera – nota Alan Rusbridger, numero uno dello storico Guardian -. Sembra incapace di distinguere tra le critiche dirette a lui e quelle al suo Paese. La sua idea di stampa indipendente appare piuttosto strana a molti giornalisti europei».
Gli inglesi in realtà cortocircuitano con il ruolo di Berlusconi prima ancora che con il suo pensiero. «Nel Regno Unito un imprenditore che avesse un tale controllo sui media non potrebbe mai diventare primo ministro» continua Bill Emmott. Magari ci sarà pure un pizzico di pregiudizio, ma nulla che ecceda la dose standard: «La copertura giornalistica di un Paese straniero riflette sempre un po’ gli stereotipi che ci sono su quel Paese. Succederà di certo anche ai corrispondenti italiani. Ammesso che in Gran Bretagna esistano cliché sull’Italia, ce ne sono altrettanti su Spagna, Francia, Germania». E se le critiche giornalistiche di Londra, New York, Parigi, finissero per rafforzare l’immagine di Berlusconi tra gli italiani? «La gente considera i media arroganti. La radice del successo di Berlusconi però è nel suo ottimismo, la positività ai confini della realtà, il vantaggio garantitogli dalla cattiva reputazione della sinistra che come alternativa non è migliore».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200910articoli/48144girata.asp
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10/10/2009 – DOPO UN SECOLO DI OSTILITA’: ECCO TUTTE LE TAPPE DEL CONTENZIOSO
Turchia-Armenia, firmato l’accordo
Sottoscritto il documento di normalizzazione che dà il via alle relazioni diplomatiche fra i due paesi
Al via le relazioni diplomatiche tra Turchia e Armenia. I due Paesi hanno firmato a Zurigo uno storico accordo che dovrebbe mettere fine a quasi un secolo di recriminazioni per il genocidio degli armeni sotto l’impero ottomano. Il governo di Berna ha svolto il ruolo di mediatore per un riavvicinamento tra Ankara e l’ex repubblica sovietica. I ministri degli Esteri turco e armeno hanno firmato il protocollo che porterà alla normalizzazione dei rapporti diplomatici e commerciali e alla riapertura delle frontiere.
La Commissione europea accoglie con favore la firma da parte dei ministri degli Esteri dell’Armenia e della Turchia dei protocolli che stabiliscono relazioni diplomatiche e di sviluppo bilaterale, inclusa l’apertura del confine comune. L’esecutivo Ue, si sottolinea in un comunicato, considera la firma un «passo coraggioso» verso la pace e la stabilità nella regione del Caucaso meridionale e «una decisione davvero storica che mostra la disponibilità al compromesso su entrambi i fronti». L’accordo Armenia-Turchia, prosegue la nota, porterà benefici a tutti i paesi della regione.
«La firma dei protocolli – ha sottolineato la commissaria Ue alle relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner – conferma il desiderio sia della Turchia che dell’Armenia di voltare pagina e di costruire un nuovo futuro. Questo apre nuove prospettive per la soluzione dei conflitti, specialmente nel Nagorno Karabakh». La Commissione guarda ora oltre alla ratifica e alla gestione dei due protocolli, secondo le scadenze concordate e senza alcuna pre-condizione addizionale. L’esecutivo invita infine entrambi i governi «a impegnarsi pienamente in questo processo senza ritardi» e per quanto concerne l’apertura del confine si dice pronto ad assistere entrambe le parti nella «piena realizzazione» delle potenzialità economiche che l’apertura rappresenta.
LE TAPPE DEL CONTENZIOSO
Questa una cronologia delle principali tappe dall’ostilità al riavvicinamento:
1915-1917: Massacri e deportazioni di armeni ai tempi dell’Impero Ottomano.
Dicembre 1991: La Turchia riconosce l’indipendenza dell’Armenia, ex repubblica sovietica, proclamata tre mesi prima, ma non stabilisce relazioni diplomatiche. Circa i massacri d’inizio
secolo, Ierevan parla di oltre un milione di morti e di genocidio. Per Ankara le vittime sono state fra le 300 mila e le 500 mila.
1993: Ankara chiude la frontiera con l’Armenia cristiana in segno di solidarietà con il turcofono e islamico Azerbaigian in conflitto con Ierevan per il controllo dell’enclave del Nagorno-Karabakh a maggioranza armena.
1994: L’Armenia assume il controllo dell’enclave al termine di un conflitto cominciato sei anni prima, nel 1988.
17-21 gennaio 2000: Apertura della frontiera per il transito in Armenia di una delegazione di uomini d’affari turchi che firmano accordi economici.
29 aprile 2005: Ankara annuncia la possibilità di stabilire relazioni politiche con l’Armenia e propone l’istituzione di una commissione congiunta di storici per indagare sui massacri. Ierevan chiede che prima vengano stabilite relazioni normali.
31 maggio 2006: Ankara annuncia incontri a livello diplomatico alla ricerca di una normalizzazione.
26 novembre 2006: Ierevan, in segno di distensione, afferma che il riconoscimento del genocidio da parte di Ankara non è condizione ’sine qua non’ per rapporti di buon vicinato.
13 gennaio 2007: Uomini d’affari turchi e armeni chiedono la riapertura della frontiera comune.
6 settembre 2008: Storica visita a Ierevan del presidente Abdullah Gul, primo capo di Stato turco a recarsi in Armenia dal 1991, che assiste ad una partita di calcio fra nazionali insieme
con il collega armeno Serge Sarkissian.
6 aprile 2009: Il presidente Usa Barack Obama incontra ad Istanbul i ministri degli Esteri di Turchia ed Armenia e li esorta a trovare rapidamente un accordo per la normalizzazione.
10 aprile 2009: Ankara esclude una normalizzazione senza una previa soluzione del conflitto fra Azerbaigian ed Armenia.
22 aprile 2009: Ankara e Ierevan, mediatore la Svizzera, raggiungono un accordo su una road map verso la normalizzazione.
31 agosto 2009: Ankara e Ierevan concordano su due protocolli per allacciare relazioni diplomatiche e riaprire la frontiera che dovranno essere approvati dai rispettivi Parlamenti.
27 settembre 2009: Ankara annuncia la firma, il 10 ottobre a Zurigo, dei due documenti.
10 ottobre 2009: all’università di Zurigo, in Svizzera, viene firmato lo storico accordo sulla normalizzazione delle relazioni bilaterali, anche se con 4 ore di ritardo sul previsto.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200910articoli/48113girata.asp
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Edgar Allan Poe, funerali dopo 160 anni 12.10.2009
A 160 anni dalla sua morte, lo scrittore statunitense Edgar Allan Poe avrà i funerali che un autore della sua statura avrebbe già meritato. Quando morì, il 7 ottobre 1849, solo una decina di persone prese parte alla cerimonia: il prete decise di non recitare neppure il sermone.
Link video: http://www.lastampa.it/multimedia/multimedia.asp?IDmsezione=12&IDalbum=21271&tipo=VIDEO
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Pervenuto da Rossana rossana@comodinoposta.org per neurogreen@liste.rekombinant.org
Gli Stati e il mare: quale geopolitica per il XXI secolo 09.10.2009
Come tutti sanno “la geografia è in primo luogo utilizzata per fare la guerra”. Da qui il continuo interesse dei militari per questa disciplina. Oltre il 90% dell’economia globale si muove per via mare sollevando la questione più ampia della politica di sicurezza delle vie di approvvigionamento.
Questo è il tema del Festival Internazionale di Geografia (FIG) a Saint-Die intitolato “Mari e oceani: il decollo della geografia”, come sarà la geopolitica del XXI secolo, quali problemi pone il controllo del mare?
Nei primi anni 2000 vi erano i pirati al largo della Malaysia, oggi li troviamo nella Somalia e domani al largo della Nigeria e Guinea. Il ritorno dei pirati del mare prova che l’ordine mondiale è basato su un crescente divario tra paesi ricchi e paesi poveri. Nel sud-est asiatico la tendenza si è cristallizzata nel corso della grande crisi finanziaria negli ultimi anni ’90. Ma se gli Stati Uniti, Singapore, Malaysia e Indonesia hanno ripreso il controllo, questo non è
il caso della Somalia perché lì non vi è uno Stato.
Come il cambiamento climatico gioca negli itinerari mondo? Questo fenomeno recente si sta mostrando con lo scioglimento dei ghiacci nel Mar Glaciale Artico per cui la rotta usata dagli Stati Uniti verso l’ Asia si è accorciata di una settimana di navigazione. Il mare mediterraneo centro del mondo dall’antichità sino ai tempi moderni, il Pacifico mare vitale oggi. Siamo in piena epoca del Pacifico, dell’Asia orientale. La metà del
commercio mondiale è fatto con i principali porti di Asia, Shanghai, Cina, Corea, Giappone, Taiwan.
Il mare è uno spazio territoriale per 12 miglia litorali, o 20 km dalle acque cosiddette territoriali ed è controllato da mezzi armati, questo vale per una potenza mondiale come l’America e diviene mezzo per
valutare la forza nella capacità di esercitare una pressione sugli altri Stati.
Si è visto che la sfida nel Canale di Suez a Panama riuscì a far perdere all’Egitto il 20% del suo fatturato. Vi è però un altro fattore di crisi da considerare, quello dell’immigrazione clandestina. Gibilterra, il canale diretto degli immigrati con Calais ne è un esempio. L’accordo del governo italiano con la Libia non ha previsto solo la realizzazione di tre campi per controllare i flussi degli immigrati lungo le piste interne dal Niger al Ghana al Mali e charter di rimpatrio, ma anche fornitura alle forze marittime libiche di attrezzature elettroniche avanzate.
La Selex Sistemi Integrati infatti realizzerà un sistema di protezione e sicurezza dei confini della Libia, un accordo che vale 300 milioni di euro stipulato con la General People’s Committee for General Security libica. La prima tranche di 150 milioni di euro, è già operativa. Si chiama homeland security, e non è soltanto sequestro a tempo indeterminato di qualsiasi cosa trasporti informazioni, elettronica o no che transiti in frontiera, ma anche di esseri umani.
http://www.republicain-lorrain.fr/fr/article/2038989,75/90-de-l-economie-mondiale-est-maritime.html
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Germania, un voto che spacca 08.10.2009
Di Sergio Bologna
Le elezioni tedesche sono state archiviate in fretta, il coro dei pappagalli ha strillato «ancora una volta ha vinto la destra» e ci si è occupati di nuovo di badanti. Eppure un minimo di riflessione il paese con il quale il nostro intrattiene i maggiori rapporti commerciali lo meriterebbe. In queste elezioni è accaduto qualcosa che non si era mai visto dalla fine della guerra e cioè che il 22,6% degli elettori, più di un quinto dei votanti, si è espresso per dei partiti che non credo si possano così disinvoltamente definire di destra, intendo la Linke e i Verdi, possiamo in parte definirli anticapitalisti, o no? I loro analoghi, in Italia, sono spariti dal parlamento alle ultime elezioni. E poi c’è il 2% preso dal Pirate partei, emanazione del Caos computer club, che ha come programma la modifica della legge sul copyright e la protezione dei dati personali (il suo analogo in Svezia ha preso il 7,1%).
Quindi mi si conceda almeno che è stato un voto contraddittorio, che ha spaccato il paese ed ha per la prima volta creato un clima d’instabilità. Se n’è accorto Sergio Romano su Il Corriere, perché dobbiamo far finta di niente noi? Questo è il primo voto europeo dove c’è un segno indelebile lasciato dalla crisi. La Germania è una delle grandi potenze economiche mondiali, fino al luglio scorso il primo paese esportatore del mondo, dove però circa 6 milioni e mezzo di persone, secondo i dati dell’Istituto per il lavoro e la tecnica di Gelsenkirchen (Iat), ampiamente ripresi dai media durante la campagna elettorale, vivono con salari al di sotto della soglia di povertà fissata dall’Ocse. Gente che lavora, non disoccupati, come quel signore di 58 anni intervistato dallo Spiegel e messo su un video on line che fa il guardiano in un grande centro logistico e guadagna 4,22 euro l’ora e deve farsi 50 km due volte al giorno per andare e tornare dal luogo di lavoro. C’è stato un dibattito sul salario minimo in campagna elettorale, la Spd ci stava, ma la gente ricorda che sono stati i governi socialdemocratici a ridimensionare il sistema dei sussidi alla disoccupazione, sul terreno della difesa dei più deboli hanno perso credibilità da un pezzo.
Un anno fa un’inchiesta televisiva sui giovani medici tedeschi aveva rivelato che il loro reddito medio è di 1.500 euro al mese, li avevano intervistati in un aeroporto dove pigliavano Ryanair per andare a fare i turni di notte nel week end in ospedali e cliniche inglesi, tanto per arrotondare. Ci sono 3 milioni 346 mila disoccupati, l’8% della popolazione attiva (dati aggiornati a settembre). Che senso ha allora votare Westerwelle, perché votare liberale? Un momento, lo ha votato il 15% degli elettori, mica il 50. E poi dobbiamo metterci in testa che vent’anni di martellamento contro lo «stato sociale», vent’anni di rappresentazione negativa del welfare state e di reale suo ridimensionamento hanno ormai anche in Europa, nelle nuove generazioni soprattutto, creato lo stesso senso di diffidenza verso il sistema pubblico che giustamente Portelli metteva in luce su questo giornale, quando cercava di spiegare l’opposizione «dal basso», dalla società civile, alla riforma sanitaria di Obama. La corruzione e il degrado della politica alimentano un senso di sfiducia nel sistema pubblico, nella pubblica amministrazione, che va nella direzione dei liberali e quindi può votarli anche il giovane medico a 1.500 euro al mese, esasperato perché la riforma sanitaria della Merkel gli fissa un tetto di spesa sui farmaci che prescrive.
Occorre poi tenere presente il peso del settore pubblico nell’economia in Germania. Per una scelta strategica hanno deciso di potenziare al massimo il settore della logistica e dei trasporti, con 2,7 milioni di occupati è il terzo settore in ordine d’importanza, dopo il commercio e l’auto. Lo Stato ha investito risorse enormi nella Deutsche Bahn, nella Deustche Post, nella Lufthansa, nei porti, per portarli in testa alle classifiche europee e mondiali. Hsh Nordbank, specializzata nello shipping, la prima a chiedere aiuto allo Stato per evitare la bancarotta dopo l’ottobre 2008, è una banca pubblica, metà del Land di Amburgo e metà dello Schleswig Holstein. Hapag Lloyd, quinta compagnia marittima mondiale, perde soldi e viene messa in vendita dall’azionista di maggioranza, il colosso del turismo Tui, si fanno avanti i cinesi, pressioni del sindacato, orgoglio nazionale, si forma un consorzio tedesco per rilevarla, scoppia la crisi, gli investitori si squagliano, la patata bollente passa al Land di Amburgo e allo Stato, il contribuente paga. La proverbiale moralità tedesca negli affari scade sempre più e i manager pubblici sembrano peggio degli altri, il capo della Deutsche Bahn viene cacciato perché spia i dipendenti, quello della Deutsche Post perché evade le tasse. In questo clima perché uno che dice «non fidatevi dell’impresa pubblica» non dovrebbe poter raccogliere consensi?
L’astensione è stata la più alta nella storia della Repubblica Federale, si è incrinato il rapporto di fiducia con le istituzioni. È stupido, miope, liquidare quel che è successo in Germania con la formula «ha vinto ancora la destra», forse è successo qualcosa di peggio, non lo sappiamo, se fosse così dobbiamo ammettere che il peggio stava avanzando da anni e la Spd ha avuto una parte importante in questo peggio, se ha perso se lo meritava, come tutti i finti socialisti che circolano per l’Europa, da Segolène a Zapatero.
Ma proprio tra quelli che non hanno votato forse ci sono persone che più si spendono nella vita quotidiana per tenere insieme dei legami sociali o per tener viva la protesta e l’antagonismo, come da noi, dove molte forme di impegno e di militanza vengono da culture e comportamenti che rifiutano il gioco elettorale e lo considerano un teatrino dei pupi. L’equazione astensionista uguale qualunquista ormai appartiene all’armamentario della sinistra che tramonta, purtroppo non così in fretta come sarebbe auspicabile, visto che la sua inettitudine, il suo opportunismo sono la migliore garanzia di vittoria di tutte le multiformi maschere che assume il pensiero conservatore e antidemocratico.
La crisi ha spazzato le mediazioni, l’epoca postfordista si è chiusa con una distruzione di ricchezza senza precedenti, la vittima più illustre è forse l’idea di bene pubblico. Per resuscitarla ci sono due modi, uno fallimentare, quello dei movimenti giustizialisti che agitano la bandiera dei «diritti» e un altro, vincente, che comincia a tirare la coperta da questa parte.
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numero/20091008/pagina/10/pezzo/261755/
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Bomba contro la caserma Santa Barbara a Milano: l’attentatore voleva uccidere 12.10.2009
Mohammed Game, il libico di 34 anni che ha fatto eslodere una bomba davanti alla caserma Santa Barbara di Milano “voleva provocare vittime”. Lo afferma il direttore della polizia di prevenzione (Ucigos), il prefetto Carlo De Stefano, sottolineando che al momento “é difficile” dire se si tratti di un gesto isolato o del disegno di un gruppo integralista. L’attentato afferma De Stefano sul sito internet della Polizia, “presenta aspetti di gravità e virulenza che fanno ipotizzare che l’obiettivo dell’attentatore fosse quello di provocare vittime”. Allo stato, aggiunge inoltre, “é difficile stabilire se si tratta di un gesto isolato di un fanatico o del disegno di un gruppo integralista”. Nell’esplosione è rimasto ferito anche un militare il caporale di 20 anni, Guido La Veneziana, colpito lievemente da una scheggia.
La ricostruzione – Sul sito della polizia (www.poliziadistato.it) l’Ucigos fa anche una ricostruzione di quanto avvenuto questa mattina in via Perrucchetti, confermando che l’attentatore ha cercato di infiltrarsi tra un auto militare che stava entrando dalla porta carraia e il muro, ma è stato affrontato dai militari. A quel punto l’uomo avrebbe prima pronunciato qualche parola in arabo e poi ha fatto saltare una valigetta in metallo, tipo quelle utilizzate per portare gli attrezzi.
Nessun legame con cellule terroristiche – Un gesto compiuto da un soggetto isolato, che non avrebbe alcun collegamento con cellule legate al terrorismo internazionale. E’ questo il quadro che, secondo fonti di intelligence, sta emergendo dalle prime indagini sull’attentato compiuto questa mattina da un cittadino libico alla caserma Santa Barbara di Milano. L’uomo, sottolineano le fonti, aveva in Italia dei precedenti penali ma nulla che avesse a che fare con il terrorismo. Né risulta che il libico sia stato in contatto con soggetti dediti al proselitismo o al reclutamento di persone da mandare a combattere in Afghanistan e in Iraq. Così come, al momento, non sono emersi collegamenti tra l’attentatore e i marocchini arrestati un anno fa a Milano e accusati di preparare attentati nel nostro paese. “Allo stato – ripetono gli 007 – si tratta di un gesto isolato di una persona che non ha alcun precedente specifico”. Quanto all’ordigno, sembrerebbe essere composto con esplosivo recuperato da grossi petardi anche se al momento gli artificieri sono ancora al lavoro.
Libico in stato di arresto – L’uomo è in stato di arresto per detenzione, porto abusivo e fabbricazione di esplosivi ed è denunciato anche per il reato di strage. E’ residente a Milano sulla sua identità sono in corso ulteriori accertamenti, risulta comunque incensurato e padre di una figlia che ha avuto da una donna italiana con la quale non risulta essere sposato. La direzione sanitaria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano ha comunicato che l’uomo è in prognosi riservata. Al cittadino libico è stata amputata la mano e riporta lesioni al volto e ai bulbi oculari per le schegge seguite all’esplosione della bomba.
In corso i rilievi della scientifica – Sono in piena fase di svolgimento, con i rilievi della scientifica e degli artificieri, le operazioni di accertamento della dinamica dell’attentato compiuto stamani alla caserma Santa Barbara di Milano. Sul posto, tra i numerosi funzionari dirigenti e ufficiali di Polizia, Carabinieri ed Esercito, oltre al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, coordinatore del pool Antiterrorismo, il questore, Vincenzo Indolfi, il Comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri, Colonnello Sergio Pascali e il Comandante della Polizia locale, Tullio Mastrangelo. In particolare, oltre ai rilievi della Scientifica, gli uomini della Digos e del Nucleo informativo dei carabinieri, in collaborazione con i più alti ufficiali del presidio militare, stanno ricostruendo la dinamica e soprattutto sentendo le testimonianze del ferito e degli altri militari presenti al momento dello scoppio.
Attentato annunciato? – Il direttore dell’Ucigos ha confermato che la caserma Santa Barbara “era già emersa come possibile obiettivo di un’azione terroristica”. Anche Francesco Rutelli, presidente del Copasir, ha detto che “dalle investigazioni precedenti era emersa una conversazione che parlava di questa caserma come possibile obiettivo. “La natura di questo episodio – ha aggiunto – è tutta da comprendere”. La caserma Santa Barbara era tra gli obiettivi di due presunti terroristi marocchini arrestati a Milano nel dicembre 2008, che progettavano una serie di attentati proprio nel capoluogo lombardo. Di loro gli investigatori dissero che si trattava di “cani sciolti” pervasi però da forte radicalismo islamico.
La condanna degli islamici – “Qualsiasi tipo di violenza, di qualunque marchio essa sia, è condannabile. Noi, come comunità islamica, rifiutiamo nella maniera più assoluta, questi gesti”: così il presidente del centro islamico di viale Jenner a Milano, Abdel Hamid Shaari, commenta con l’Ansa il tentativo di attentato effettuato questa mattina da un cittadino libico in una caserma in zona San Siro. Shaari al momento non ha elementi per stabilire se l’attentatore possa essere un frequentatore delle moschee del capoluogo lombardo, “ma non vedo perché dovrebbe esserci un legame – afferma -, potrebbe tranquillamente trattarsi di un pazzo slegato da qualsiasi organizzazione, come succede tante volte”.
Redazione Tiscali
http://notizie.tiscali.it/articoli/cronaca/09/10/12/bomba_contro_caserma_milano_798.html
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Lettonia, Swedbank minaccia la fuga – 12/10/2009
Swedbank, la più grande banca svedese presente nella regione baltica, ha minacciato di limitare i propri business in Lettonia…
Swedbank, la più grande banca svedese presente nella regione baltica, ha minacciato di limitare i propri business in Lettonia. Ciò accadrà, infatti, qualora il Paese confermi la propria intenzione di introdurre una norma che limiti la quantità di denaro esigibile, da parte degli istituti di credito, da chi ha sottoscritto un mutuo. Secondo il board della banca – che ha dalla sua anche altri istituti svedesi – «se queste proposte dovessero essere confermate, diventerebbe davvero difficile per noi continuare a prestare capitali nel mercato lettone».
Da parte sua – riferisce il Financial Times – il governo di Riga ha spiegato che la norma, che è stata annunciata la scorsa settimana ed è ancora in una fase preliminare di studio, è necessaria per allentare la morsa che sta stringendo i proprietari di immobili. Questi ultimi, infatti, non riescono a trovare una “sponda” nello Stato, che è alle prese con una contrazione record del prodotto interno lordo, previsto per quest’anno in calo di ben 18 punti percentuali. Ma ciò che potrebbe rimanere nelle tasche dei cittadini, non finirebbe nelle casse delle banche, che già parlano di ingenti perdite. Anche su questo punto è arrivata la replica dell’esecutivo, che ha ricordato come – secondo gli stress test condotti dall’autorità di vigilanza svedese sui servizi finanziari nello scorso mese di giugno – le banche siano in grado di sopportare il peso anche in caso di scenari “estremi” per quanto riguarda le esposizioni sul mercato delle repubbliche baltiche. E che il tier one capital di Swedbank è cresciuto al 12,1% dopo la recente emissione di titoli per 15 miliardi di corone svedesi (2,1 miliardi di dollari).
La voce degli istituti scandinavi, comunque, difficilmente potrà essere completamente ignorata. Swedbank, SEB e Nordea, da sole, costituiscono infatti oltre il 50% dell’intera industria bancaria lettone, e sono presenti in modo massiccio anche nelle vicine Lituania ed Estonia.
http://www.valori.it/italian/finanza-globale.php?idnews=1644
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L’ottavo anello di Saturno 08.10.2009
Di Caterina Visco
Un’invisibile ciambella di polvere intorno al pianeta è stata scoperta dal telescopio spaziale Spitzer della Nasa. La notizia su Nature
http://www.flickr.com/photos/34146259@N04/sets/72157622541296504/show/
Saturno ha un nuovo anello, l’ottavo, e non è uno come tutti gli altri, ma è un anello fantasma di proporzioni enormi. Alla Nasa lo chiamano “Ghost” perché è estremamente rarefatto (le particelle che lo compongono sono molto distanti una dall’altra) e non riflette la luce solare nello spettro del visibile. Per individuarlo ci sono voluti occhi speciali, quelli del telescopio spaziale Spitzer che cerca nell’universo i nuovi oggetti celesti nello spettro dell’infrarosso. A dare la notizia di questa scoperta sulle pagine di Nature è il gruppo di ricerca coordinato da Anne Verbiscer dell’Università della Virginia.
Le particolarità dell’anello non si esauriscono certo qui. Innanzitutto, è davvero enorme, il più grande anello planetario del Sistema Solare. Dista quasi sei milioni di chilometri da Saturno e si estende per altri 11,9 milioni, venti volte il diametro del pianeta. Per riempirlo occorrerebbero un miliardo di pianeti come la Terra e se fosse visibile, ci apparirebbe grande come due volte la luna piena. La sua temperatura è di 157 gradi sottozero.
Anche la sua formazione è particolare. Sembra che le particelle che lo compongono derivino da uno dei satelliti di Saturno, Phoebe, ed è inclinato di 27 gradi rispetto agli altri anelli. Secondo i ricercatori la polvere e il pulviscolo che formano l’anello si sono sollevati dal satellite in seguito alle ripetute collisioni con meteoriti e asteroidi. Impatti che continuano ad alimentare l’anello tutt’oggi.
L’identificazione di questo ottavo cerchio intorno al pianeta fornisce anche la spiegazione di un mistero che gli astronomi non riuscivano a risolvere, sul perché una delle facce di Iapetus (un’altra delle lune di Saturno, vicina a Phoebe) sia più scura dell’altra. I ricercatori pensano che la causa sia la perdita di particelle da parte del gigantesco anello, che finiscono sulla faccia della luna, oscurandola. Questa perdita di polvere potrebbe essere causa anche del deposito di polvere rossastra su una terza luna saturnina, Hyperion.
Ulteriori osservazioni dell’Anello Phoebe, come è stato ribattezzato, dovranno aspettare fino a quanto il telescopio spaziale James Webb, ottimizzato per la visione nell’infrarosso, non sarà operativo. “Il lancio del telescopio è previsto per il 2014, nel frattempo sicuramente riceveremo altre sorprese da Saturno”, ha commentato Carl Murray dell’unità astronomica del Queen Mary (University of London) e membro del team Cassini.
Riferimento: Nature doi:10.1038/nature08515
http://www.galileonet.it/multimedia/11919/lottavo-anello-di-saturno
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economia, istituzioni, mercato, Nobel di Antonio Nicita
Il prezzo del mercato
12/10/2009
Stoccolma sceglie Elinor Ostrom e Oliver Williamson nel secondo anno della crisi economica. Premiando chi ha studiato i fallimenti del mercato e il ruolo delle istituzioni nel governarli. E’ la prima volta che una donna vince il Nobel per l’Economia
L’assegnazione del Nobel per l’economia a Elinor Ostrom e Oliver Williamson intende premiare, nell’anno della crisi economica, la centralità dell’approccio interdisciplinare all’analisi economica delle istituzioni e del mercato. Entrambi gli economisti infatti hanno focalizzato la propria produzione scientifica sui fallimenti di mercato generati dai costi di transazione e sul ruolo di istituzioni nel risolvere e governare tali fallimenti.
Volendo individuare in una battuta il comune denominatore della ricerca dei due economisti, si può affermare che fuori dall’ipotesi ideal-tipica di concorrenza perfetta, l’uso del mercato comporta rilevanti costi di transazione. Man mano che ci si sposta dai mercati ideali a quelli reali, lo scambio economico diventa ‘transazione’: non un automatico flusso di beni scambiati istantaneamente da un soggetto ad un altro, ma una complessa relazione fatta di diritti, regole, contratti, promesse, opportunismi, vincoli. In questa visione ciò che scambiamo sul mercato non sono beni, prestazioni, servizi, ma diritti proprietari o contrattuali. Se questi diritti sono debolmente definiti, come nel caso di un bene pubblico o a proprietà comune, o di un contratto relativo ad una prestazione complessa e difficilmente verificabile, saranno assai probabili forme di appropriazione indebita dei benefici economici e il prezzo di scambio sul mercato finirà per disincentivare investimenti volti alla valorizzazione di quei diritti.
Per definire compiutamente i diritti oggetto di scambio, siano essi proprietari (come nel caso dell’analisi della Ostrom, che ha poi avuto importanti applicazioni nel campo dell’economia ambientale) o contrattuali (come nel caso dell’approccio di Williamson) occorre superare il mero scambio di mercato e individuare appropriate forme di governo delle transazioni di mercato.
Per Williamson – che rinnova il filone dell’istituzionalismo americano di J. R. Commons ed estende la teoria dell’impresa del premio Nobel Ronald Coase – quando i costi di transazione sono elevati, diventa efficiente sottrarre al mercato potenziali scambi inefficienti, riconducendoli ad una relazione di autorità all’interno di una organizzazione gerarchica. La moderna impresa si caratterizza proprio per questa funzione di governance alternativa al mercato: è più efficiente impartire direttive e adattarle all’interno di un contesto organizzativo gerarchico piuttosto che lasciarle, di volta in volta, alla contrattazione di mercato. In particolare ciò è tanto più efficiente – in termini di costi di transazione risparmiati – quanto più le transazioni di riferimento richiedono investimenti specifici e ideosincratici. Beni e servizi complementari tenderanno ad essere verticalmente integrati in una struttura proprietaria unitaria. Ciò vale per l’impresa capitalistica, ma vale anche per lo Stato. Quando i costi di contrattazione tra centri decisionali distinti aumenta l’incertezza ed espone al rischio di appropriabilità, diventa più efficiente il governo unificato delle transazioni. Naturalmente ciò comporta che le soluzioni istituzionali ai problemi generati dai costi di transazione differiscano da un contesto ad un altro, anche in ragione di altri fattori: la cultura, le opportunità economiche alternative, l’attitudine alla coperazione, la reputazione e così via. In altri termini, come rilevato anche da Masahilo Aoki, l’approccio neo-istituzionalista avviato con i lavori di Williamson permette non solo di spiegare perché altre forme istituzionali devono co-esistere con il mercato, ma fornisce anche una spiegazione economica dei fenomeni di diversità istituzionale: non esiste una forma organizzativa di impresa o di organizzazione dell’attività pubblica migliore di altre in senso assoluto. L’efficienza comparata di ciascuna forma di governo delle transazioni, nella complementarietà tra Stato e Mercato, va valutata in funzione delle alternative disponibili di volta in volta e in ragione dei vincoli economici, politici, sociali e tecnologici. Non è un caso che i recenti filoni generati dall’impulso neo-istituzionalista riguardino la New Comparative Economics, gli studi sulla varietà e la diversità dei modelli capitalistici, le analisi sulle forme alternative di decentramento e federalismo.
Il premio Nobel a Williamson arriva tardi, se non altro perché alcuni dei recenti premi Nobel hanno potuto utilizzare le sue teorie in vari contesti. Eppure, nel 2009, l’anno della crisi finanziaria globale, questo premio assume un nuovo significato. Il mercato costa.
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Il-prezzo-del-mercato
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Pervenuto da magius@magius.info per decrescita@liste.decrescita.it
In Italia la localizzazione delle centrali nucleari verrà imposta alle popolazioni locali con l’esercito. 10.10.2009
Anche volendo, addio decrescita felice.
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Il nucleare rientra nei “progetti bellici”. Ecco come ci imporranno lecentrali in Italia
Proprio in questi giorni, a Flammanville, l’Enel ha stabilito l’annoin cui la prima centrale nucleare italiana inizierà a funzionare. Il2020. I loro esperti considerano questa data come “realistica” e spiegano che l’avvio degli altri reattori avverrà alla scadenza dei 18mesi per ogni nuovo impianto e incredibilmente si è già stabilita ladata per la prima colata di calcestruzzo dell’edificio del reattore, che sarà per il 9 luglio 2015. Tutte tempistiche calcolate valutandosia i tempi di costruzione, sia i tempi politici del dibattito e deipermessi e stabilendo anche che l’agosto 2011 sarà il mese in cui si
otterranno i permessi per il sito e il maggio 2013 sarà invece la datain cui verrà rilasciata “la licenza integrata per costruzione edesercizio”, dando cosi il via a tutte le procedure subito antecedenti alla costruzione. L’atteso e più vicino 10 ottobre 2010 sarà il giornoin cui si deciderà la città della prima centrale nucleare eprobabilmente sarà anche la data dell’inizio di altri problemi per questo eseguivo. Infatti, dagli ultimi sondaggi risulta che il 60%degli italiani è ancora contrario all’utilizzo di questa energia,arrivando addirittura al 82% quando si parla di realizzare centralivicino alle loro case, rispondendo anche con un “ non lo accetterei efarei di tutto per impedirlo”. Ecodem (ambientalisti per il PartitoDemocratico), attraverso le parole di Francesco Ferrante è invecesicura che i 4 siti siano già stati scelti e sicuramente da imporreanche con l’aiuto dell’esercito. Ferrante, rileggendo le carte chel’Enel ha presentato a Flammanville, ne trae una visione ben chiara:
«Apprendiamo che il luogo principale del nuovo nucleare italianosarebbe Montalto di Castro (nel Lazio) deve verrebbero ospitati bendue reattori. Continuando gli altri due siti sarebbero da individuareuno al nord (Trino in Piemonte o Caorso in Emilia Romagna) e uno alSud. In questo ultimo caso la regione candidata sarebbe probabilmentela Puglia».
Ecodem continua facendo anche notare che proprio le regioneinteressate (Calabria, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e Puglia )«hanno dichiarato di essere contrarie ad ospitare una centrale sul proprio territorio e hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionalecontro la legge del governo che le espropria a delle proprieprerogative». Problema non da poco anche per Greenpeace, che considera questo bypass amministrativo «particolarmente grave perché si vuolecosì scavalcare completamente non solo le Regioni ma anche gli entilocali per localizzare impianti e aree, equiparate ad areemilitarizzate, gestite da privati». Questa legge che scavalca ogniautorità locale oltre a creare problemi nel rapporto Stato-Regioni,sembra essere incredibilmente di ispirazione bellica ed è lo stessoministro Scajola che ne spiega il motivo:
«Abbiamo previsto il potere sostitutivo del governo sulla basedell’articolo 120 della costituzione, ritenendo le centrali nuclearistrategiche per la sicurezza del paese. È uno strumento estremo che mi auguro di non dover utilizzare; ma nel passato troppi sono stati i noideologici che hanno frenato e penalizzato lo sviluppo del nostropaese».
Le centrali rientrerebbero di conseguenza nei progetti bellicidell’Italia, dando cosi il via libera alla preannunciata imposizionecon la forza e ai conseguenti scontri con la popolazione. Il tantoinvocato volere popolare, usato spesso come scudo o scusa in più diuna occasione, lascerebbe il posto ad una volontà sempre piùcircoscritta. La volontà dei pochi contro i diritti di molti.
Inquietudine nell’aria.
http://informazionesenzafiltro.blogspot.com/
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