La gloriosa Royal Mail non si tocca 13.10.2009
VITTORIO SABADIN
Gordon Brown cercherà di vendere tutto quello che può per rimediare ai buchi di bilancio che egli stesso ha creato negli ultimi mesi, ma è certo che nemmeno questa volta riuscirà a sbarazzarsi – come vorrebbe da tempo – delle Poste inglesi. Insieme con la monarchia, la Royal Mail è l’ultimo simbolo rimasto ai sudditi britannici. Se ne stanno già andando l’autobus a due piani, il taxi nero, i pub e le cabine telefoniche e bisognerà dunque impedire che TNT o DHL si impadroniscano delle vecchie cassette postali rosse a forma di colonna, che ancora recano in rilievo le cifre del sovrano che regnava quando furono installate: VR per Victoria Regina, ERVII per Edoardus Rex VII.
Alla fine dell’800, a Londra la posta veniva raccolta e consegnata anche in dodici turni giornalieri, e due persone potevano inviarsi lettere e risposte più volte nel corso delle 24 ore, esattamente come si fa oggi con l’e-mail. Non è ovviamente solo la nostalgia a motivare la ferma opposizione a qualunque ipotesi di vendita ai privati. Attualmente la Royal Mail consegna 84 milioni di lettere al giorno per sei giorni la settimana a qualunque indirizzo della Gran Bretagna, grazie a più di 14 mila uffici postali collocati anche nei paesi più sperduti.
Ma l’ufficio postale inglese si occupa solo marginalmente di lettere: è un luogo importantissimo in ogni quartiere e in ogni piccolo centro, perché risolve decine di problemi. Senza fare code e con l’aiuto di personale cortese e preparato, la Royal Mail ti assiste negli investimenti finanziari, nelle polizze assicurative, nel rinnovo della patente o della licenza di pesca, nei contratti per la telefonia e la tv via cavo e in decine di altre incombenze burocratiche quotidiane. Il governo ha tagliato un centinaio di uffici postali prima di doversi fermare a causa della protesta popolare, ben rappresentata ai Comuni in epici discorsi dell’opposizione. E poi si sa come andrebbe a finire con la vendita ai privati: bilancio in attivo in cambio di meno posti di lavoro, stipendi più bassi e servizio peggiore. Non sono cose da fare alla vigilia delle elezioni.
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Bimbo intelligente come Einstein 13.10.2009
Gb, a due anni ha un quoziente di 160
Oscar Wrigley, un bambino inglese del Berkshire, ha la particolarità di mettere spesso in imbarazzo i genitori. Ma non pensate alle classiche dita nel naso o puzzette in pubblico: nel suo caso si tratta del cervello, il piccolo è in grado di dare lezioni ai suoi genitori. Oscar è probabilmente il bimbo più intelligente del mondo, ha infatti un quoziente intellettivo pari a 160. Identico a quello del grande fisico Albert Einstein
“Di recente Oscar spiegava a mia moglie il ciclo riproduttivo dei pinguini”, dice al Daily Telegraph il padre Joe, uno specialista di Information Tecnology. “Fa sempre domande: tutti i genitori amano pensare che il loro bambino è speciale, ma noi sapevamo che in Oscar c’era qualcosa di davvero molto particolare”.
La madre Hannah, 26 anni, afferma al Daily Mail: “Sorprende tutti: sapevamo quando aveva 12 settimane che era estremanente brillante. Era insolitamente attento”. Hannah, che fa la casalinga, spiega che il vocabolario di Oscar è “stupefacente”. Il piccolo costruisce infatti frasi complesse. “L’altro giorno mi ha detto: ‘Mamy, le salsicce sono come un festa nella mia bocca’”, spiega la madre.
Secondo John Stevenage, direttore generale di Mensa, l’associazione britannica delle persone con un quoziente d’intelligenza eccezionale, “Oscar mostra grandi potenzialità: convertire queste potenzialità in risultati è la sfida per i suoi genitori, e siamo felici che abbiano scelto il nostro network per ricevere sostegno”. I genitori, comunque, per adesso sembrano prendere la sfida con lo spirito giusto: “Sto proprio aspettando il giorno in cui mi dirà che sono un idiota”, ha dichiarato scherzando il papà Joe al Telegraph.
http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo462862.shtml
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Dalla newsletter di Jacopo Fo del 12.10.2009
Una turbina eolica che trasforma l’aria in acqua
E’ stata inventata da Marc Parent, 43 anni, piccolo imprenditore di Sainte-Tulle, Francia.
Si tratta di una classica turbina eolica, in grado di produrre energia elettrica, con in piu’ un sistema che recupera l’umidita’ dell’aria e la trasforma in acqua, poi potabilizzata.
In condizioni ottimali l’impianto puo’ produrre tra i 70 ed i 200 litri d’acqua al giorno.
(Fonte: Ansa)
In relazione si veda anche
http://punto-informatico.it/2641356/PI/News/si-puo-estrarre-acqua-dal-deserto.aspx
in questo blog alla pagina Mediattivismo 9.
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Le arance contro i fagioli. Il latifondo, la rivoluzione mancata di Lula 09.10.2009
Di Gennaro Carotenuto
Mentre i Sem Terra (contadini senza terra) rilanciano il conflitto agrario occupando il più grande aranceto agro esportatore del Brasile, il presidente Lula passerà alla storia per molti buoni motivi.
Tra questi c’è quello di aver strutturalmente trasformato il paese in una grande potenza rispettata in tutto il mondo e che ospiterà per la prima volta le Olimpiadi nel 2016. Ma passerà alla storia anche per non essere riuscito a mettere mano alla questione del latifondo, il cambio strutturale più importante necessario in un paese con oltre 100 milioni di contadini.
È una delle più grandi occupazioni di terra in Brasile degli ultimi dieci anni. 250 famiglie dell’MST (Movimento dei braccianti senza terra), che organizza quattro milioni di famiglie contadine e che è stato decisivo per le elezioni di Lula, hanno occupato il più grande aranceto del paese, a Borebí, nello stato di San Paolo, a 300 km dalla capitale. I braccianti dell’MST, in maniera simbolica hanno cominciato a sostituire 5.000 piante di arancia (su un milione di alberi della piantagione) con fagioli neri, tipici dell’alimentazione del paese latinoamericano e la maggior fonte proteica della dieta dei poveri brasiliani. “Nessuno può vivere di sole arance e altri prodotti destinati all’esportazione. Abbiamo bisogno di fagioli da mangiare ma la logica del latifondo e dell’agroindustria impone coltivazioni che non danno nulla ai contadini brasiliani”.
Sull’enorme aranceto pesano molti punti oscuri. Secondo i Sem Terra, insiste su terreni demaniali, e quindi potrebbe fin d’ora essere distribuito tra i braccianti. Anche se non la pensa così il governo federale, la terra sarebbe legalmente posseduta da privati, i Sem Terra insistono: “il tipo di sfruttamento dato per la produzione di succo d’arancia danneggia i piccoli produttori, usa troppa acqua e troppi agrochimici oltre a buttare gli scarti industriali nei fiumi della regione”.
Ancora oggi in Brasile il 43% delle terre coltivabili di quell’enorme paese è occupato dal latifondo, quasi tutto agroindustriale e destinato all’esportazione che non solo non alimenta il popolo brasiliano ma in genere non dà che marginalmente lavoro. Lo torna a denunciare Vanderlei Martini, uno dei coordinatori nazionali dell’MST: “Il censimento agrario dimostra che il latifondo ha ancora una parte preponderante nel paese, e che il problema della terra è la causa della violenza, della miseria e del sottosviluppo delle campagne del Brasile”. Allevamento, soia e canna da zucchero sono le tre prime attività del latifondo brasiliano, secondo solo al Paraguay per concentrazione della terra al mondo. Sono tre attività completamente destinate all’export e quasi sempre controllate da multinazionali che hanno poco o nessun rispetto per l’ambiente e i lavoratori e che di fatto sottraggono sovranità (alimentare, ambientale, ma perfino giuridica e politica) sul proprio territorio al paese. “È triste dire che su questi temi cruciali non vi è stato cambiamento dall’epoca di Fernando Enrique Cardoso a quella di Lula” è la conclusione amara del dirigente dell’MST.
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Interviste | Francesco Bonazzi
Un banchiere racconta: “siamo allibiti, prendiamo soldi da chiunque” 13.10.2009
“Uno spettacolo che fa venire i brividi a chiunque abbia un minimo senso della legalità. E il fatto più sconvolgente è che la legge sul nuovo scudo fiscale sta scatenando gli appetiti meno nobili delle banche”. R.A. ha cinquant’anni, ha girato mezza Europa come gestore di patrimoni e oggi è il responsabile “Clientela Privata” di una media banca del Nord. Con il “Fatto Quotidiano” ha tanta voglia di sfogarsi e chiede solo l’anonimato, “perchè come banchiere sono tenuto alla riservatezza”.
Innanzitutto, avete capito come funziona il nuovo scudo?
Abbiamo fatto vari corsi con fiscalisti esterni e società di gestione del risparmio. Siamo allibiti dalla quantità di cose che si possono fare.
Per esempio?
A me, che ho vent’anni di banca sulle spalle, fa una certa impressione vedere un bonifico che arriva dall’estero su un conto che non è neppure intestato al cliente, ma a una fiduciaria.
Ma se fiutate qualcosa di strano, potete sempre fare una segnalazione anti-riciclaggio. Va bene. Ammettiamo che si abbia voglia di fare gli antipatici con un tizio che ti sta portando milioni freschi. Lo posso fare solo se vedo una sproporzione enorme tra il suo “profilo” e il cash che mi versa. Ma nessun delinquente serio manderà mai in banca un manovale a versare 10 milioni. Magari ci spedisce un imprenditore a cui chiedeva il pizzo, o che gli fa da prestanome. E poi sa qual è la cosa più incredibile?” Ce la racconti
Che senso ha parlare di sproporzioni nel Paese in cui il 90% degli imprenditori dichiara meno dei suoi dipendenti? E la famosa “conoscenza del cliente”, tanto cara alle banche che dicono di privilegiare il merito di credito?
Una favola che forse vale ancora nelle banche di credito cooperativo. Ma da me vengono avvocati e commercialisti che hanno studiato le circolari alla perfezione e lavorano per gente che manco conosciamo. Significa che state prendendo soldi da non si sa bene chi?
Se vuole, la possiamo mettere così. Quello che trovo fantastico sono gli scenari che si aprono per la vigilanza. Ma vi immaginate che numeri da circo alla prossima ispezione di Bankitalia? Arrivano gli ispettori di Via Nazionale e se ci chiedono di chi è un certo conto dalla movimentazione sospetta, noi gli si dice che è tutta roba scudata. Si dedicheranno ai mutui dei poveri cristi. Però la Banca d’Italia ha assunto con la Bce compiti di anti-riciclaggio.
Certo, ma sui capitali scudati salta tutto. Possiamo respingere anche la Guardia di Finanza se non viene con un mandato della magistratura. E il mandato dev’essere nominativo. Beh, questo è lo stato di diritto…
Sarà, ma quando le autorità Usa bussano alle banche svizzere, come stanno facendo da mesi, mica chiedono se per caso Mister Paul Smith ha un conto alla tal banca di Zurigo. Vogliono i nomi di tutti i cittadini americani e basta. Vogliamo dire che non sanno che negli Usa non sanno cos’è la democrazia?
Vi sentite tra banche quando avete un sospetto?
Ma per carità! Lo scudo è mica una pratica di co-finanziamento. Se arriva gente che vuole versare una decina di milioni li si prende e basta. Il fatto è che con una legge fatta così, in un periodo in cui manca il contante, si spingono le banche a farsi la concorrenza più spietata sui soldi che rientrano.
da Il Fatto Quotidiano n°18 del 13 ottobre 2009-10-16
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578
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La verità che nessuno vuole sentire 14.10.2009
MARIO DEAGLIO
L’attenzione del mondo politico e dell’opinione pubblica risulta così terribilmente schiacciata sul presente, così interessata alle minuzie della polemica spicciola da respingere o mal tollerare prospettive più ampie. E così un’osservazione pressoché ovvia dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nel corso della sua lezione tenuta ieri al Cerp-Collegio Carlo Alberto ha scatenato un putiferio.
Parlando sui «motivi dell’assicurazione sociale», il Governatore ha osservato che, con l’aumento della durata della vita, le pensioni erogate dal sistema pubblico – ossia principalmente dall’Inps e dall’Inpdap – saranno più basse rispetto ai salari, di quelle erogate finora.
Come previsto dalla riforma, si tratta di pensioni eque da un punto di vista attuariale, ossia corrispondenti all’ammontare complessivo dei contributi versato da ciascun lavoratore commisurate alla durata attesa della vita al momento del pensionamento. La loro diminuita consistenza in rapporto al salario dovrebbe essere evidente perché, se si vive più a lungo, i versamenti effettuati durante tutto l’arco di una vita di lavoro di durata invariata devono essere spalmati su un numero maggiore di anni di pensionamento; come dovrebbe essere evidente, anche se è scomodo ricordarlo, che le categorie anziane, in pensione con l’attuale sistema di transizione, ricevono una parte di pensione in più di quella a cui avrebbero «diritto» sulla base dei versamenti effettuati e della loro probabilità di sopravvivenza.
Draghi ha poi tratto la naturale conclusione di questa premessa che gli italiani preferirebbero non sentire mai e che per i politici è come un brutto sogno che preferiscono rimuovere subito: «Per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati è quindi indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento». Il ragionamento non fa una grinza e con la matematica è bene non scherzare. Del resto, l’allungamento della vita lavorativa è una tendenza non solo italiana ma comune a tutti i Paesi avanzati le cui popolazioni sono in fase di invecchiamento; la Gran Bretagna porterà l’età di pensionamento a 66 anni entro il 2020 e addirittura a 69 anni entro i tre decenni successivi; la Germania ha già deciso il pensionamento a 66 anni; la Francia si sta muovendo nella stessa direzione.
L’allungamento della vita lavorativa, del resto, corrisponde a un certo concetto di equità: in media, chi va in pensione adesso vive qualche anno in più (e con un livello di salute migliore) di quanto era previsto quando ha cominciato a lavorare. Perché tutto questo bonus di vita deve andare al pensionamento, ossia a una fase inattiva della vita a carico della collettività, e perché invece una parte non dovrebbe essere dedicata al proseguimento della vita lavorativa per ripagare il costo della pensione che gli anni bonus comportano?
Eppure l’idea di toccare un caposaldo della società italiana ha unito per miracolo destra e sinistra nella difesa dell’esistente. Da parte governativa, il ministro del Lavoro, cui si è associato il presidente dell’Inps, assicurano che «il sistema tiene». Certo, il sistema tiene, ma precisamente con pensioni che saranno, rispetto ai salari, sensibilmente più basse delle attuali, a regime del 15-20 per cento, una scomoda verità che non viene quasi mai esplicitamente spiegata a chi ha meno di quarant’anni. Al momento in cui si ritireranno dal lavoro, questi lavoratori – a meno di una pensione aggiuntiva, pagata con minori consumi di oggi – vedranno i propri redditi ridursi in misura molto maggiore dei lavoratori di oggi. Da parte sindacale si invoca un «tavolo per risolvere tutti i problemi», indubbiamente un tavolo che dovrebbe avere proprietà taumaturgiche se riuscirà a non toccare l’età pensionabile e che potrebbe servire più facilmente a rinviare tutto.
Sarebbe bene che questo Paese ponesse più attenzione alle proprie prospettive. Nel 2030, una scadenza poi non tanto lontana, un italiano su quattro avrà più di 65 anni e di questi la metà sarà ancora in vita vent’anni più tardi se uomini, ventiquattro anni se donne. E circa cinque milioni di italiani (su una popolazione di poco più di sessanta) saranno ultraottantenni, il doppio dei valori attuali mentre i giovani sotto i 14 anni saranno appena 7-8 milioni. E tutto questo nell’ipotesi di un’immigrazione netta di circa 200 mila persone l’anno che attenuerà un poco l’effetto dell’invecchiamento.
Nessuna politica di crescita di lungo termine è realmente tenibile in una situazione del genere se non si prevede la disponibilità di nuove forze di lavoro, il che in Italia significa maggiore occupazione femminile e più elevata età di pensionamento. Può sembrare paradossale in un momento di crisi come questo, in cui i posti di lavoro si stanno purtroppo rapidamente riducendo; ma i governi e le forze politiche dovrebbero avere la capacità di guardare oltre le crisi. E mentre per altri Paesi l’orizzonte del dopo-crisi, quando finalmente verrà, è quello di una ripresa abbastanza sicura della crescita, per l’Italia la situazione è molto più problematica. Stiamo tutti aggrappati al nostro attuale piatto di lenticchie, attentissimi a non farcene portar via neppure una e rischiamo così una rinuncia inconsapevole, ma non per questo meno grave, ad avere un futuro.
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Il dialogo impossibile 14.10.2009
ELENA LOEWENTHAL
Il no della Camera alla proposta di legge che avrebbe introdotto l’aggravante per i reati commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima, in altre parole per omofobia, porta con sé considerazioni che ci riguardano tutti: destra e sinistra, etero e gay.
Questo veto per dichiarata incostituzionalità è innanzitutto la cartina di tornasole di uno stallo politico alquanto preoccupante. Al di là del pastone poco edificante in cui ormai da un bel po’ sguazza il confronto fra gli schieramenti, maggioranza e opposizione hanno dimostrato di non riuscire a trovare una convergenza minima nemmeno su una questione come questa, così estranea alla politica in senso stretto, e per di più in una stagione in cui pare esserci una vera emergenza, in fatto di violenza omofobica. Eppure, neanche su un terreno paradossalmente così «neutrale» come quello della tendenza sessuale, la nostra politica è riuscita a combinare qualcosa. Con, per di più, l’aggravante di una confusione ideologica che non può che generare, nell’opinione pubblica, l’ennesima disillusione condita di sarcasmo – ultimo stadio di quell’antipolitica che una volta si chiamava qualunquismo. Mentre il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, si rimbocca le maniche con l’intenzione di far rientrare in Parlamento la norma affossata, è innegabile che qui la maggioranza non abbia retto.
Se dunque il confronto fra maggioranza e opposizione si svela tanto fragile su un argomento così trasversale e lontano dagli spartiacque tradizionali della politica, non è difficile immaginare quanto sarà (sarebbe?) erto il cammino sulla via delle riforme istituzionali, o su altri ordini del giorno. In sostanza, questo «no» della Camera è indice più di debolezza che di rigore.
E poi c’è, naturalmente, la questione Pd. Alla vigilia di fatali primarie con il loro strascico di disarmanti, inconcludenti querelles (che detto per inciso spopolano a mo’ di gags comiche nell’universo di Facebook), il Partito democratico ha dimostrato ancora una volta di soffrire di un disturbo della personalità. E non da poco. Il voto di Paola Binetti, e la sua dichiarazione a margine «con quella legge le mie idee sarebbero state un reato» (che è un terribile lapsus di anacronismo, visto che i reati d’opinione non dovrebbero più esistere…), sono ben di più di quel «signor problema» timidamente declinato da Franceschini. Sono, piuttosto, lo specchio di un vizio radicale, di una questione di fondo che per un partito progressista dovrebbe risultare – anche a prima vista – ineludibile. Un nodo che riguarda l’identità stessa del partito e non soltanto le sue scelte politiche e strategiche del momento.
E infine, c’è la questione culturale. C’è qui di che riflettere sulla nostra pretesa (o presunzione?) di civiltà, compromessa da una cronica superficialità che sarà tanto originale, ma fa pure cascare le braccia. Per noi, le pari opportunità sono la sigla di un telegiornale che espunge dal video i volti maschili per dar spazio alle donne, e di sentenze del Tar che annullano nomine in giunte provinciali a sesso unico (tutti maschi). Quando si tratta però di uscire da una cornice prettamente «estetica» – diciamo più decorativa che di sostanza – tutto diventa più complicato. Quasi irrealizzabile, come dimostra questo veto della Camera nei confronti di un provvedimento di salvaguardia fisica che mette in gioco il nostro rapporto con l’orientamento sessuale. L’impressione è che la strada verso il progresso sociale e culturale sia un po’ più lunga e accidentata di quanto il nostro bel paese si aspettasse. E così, si trova impreparato. Ma forse, più che di puro esercizio culturale, è una triste questione di fondo. Siamo, alle solite, in quel bizzarro Paese a cui piace tanto scherzare, ma quando si tratta di fare sul serio, troppo spesso sfodera un’alzata di spalle.
elena.loewenthal@mailbox.lastampa.it
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6489&ID_sezione=&sezione=
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Invece in California, dalla newsletter di Jacopo Fo del 13.10.2009
L’Harvey Milk Day
Il governatore della California Arnold Schwarzenegger ha firmato due nuovi provvedimenti: nel primo viene ufficialmente istituita la giornata in memoria di Harvey Milk, icona dei diritti dei gay e primo omosessuale eletto a una carica pubblica negli Usa. Fu ucciso nel 1978.
La seconda legge invece riconosce la validita’ in California dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati negli Stati americani che li prevedono.
(Fonte: gaynews24.com)
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Estratto dalla rassegna http://www.caffeeuropa.it/ del 15.10.2009
“Abu Mazen: Obama ha ceduto ai sionisti. Sulle colonie ha fallito. Evaporata la fiducia in Barack”. La dirigenza dell’Anp è delusa e perde le speranze riposte nella Amministrazione Usa.
Libero apre con la notizia del Csm, che “premia il magistrato che ha multato Fininvest”.
Promosso Mesiano, il giudice che ha regalato 750 milioni a De Benedetti”.
Toni Negri ricompare e incita allo scontro in piazza e il governo avverte: i Servizi sconsigliano al Cavaliere i contatti con il pubblico per tutelare la sua incolumità.
L’apertura de Il Foglio è per l’Eni: “Così il cane a sei zampe fa suo ‘un bel boccone’ di petrolio iracheno”. Si riferisce alle parole pronunciate dall’Ad Scaroni dopo che il gruppo si è aggiudicato la licenza per lo sfruttamento di Zubair in Iraq. Il Foglio ne parla con uno dei dirigenti Eni, Claudio De Scalzi, interpella poi l’economista Francesco Forte, che spiega, da Mattei a Scaroni, “il patrimonio ideologico che rende forte l’Eni nel mondo”, e coglie l’occasione per occuparsi del premier Maliki, della politica irachena e dei rapporti con le multinazionali.
Anche sul Sole si trova una pagina sulla “scommessa sul petrolio in Iraq”: l’ingresso del consorzio guidato dall’Eni – scrive il quotidiano – spiana la strada alle altre major. La settimana prossima il premier Al Maliki andrà negli Usa a caccia di capitali, perché Baghdad ha 115 miliardi di barili di riserve e cerca capitali stranieri per rinnovare impianti estrattivi e raffinerie.
La Stampa intervista il candidato outsider Marino su quello che il quotidiano definisce “il patto Bersani-Franceschini”, che escluderebbe una guerra al ballottaggio, dando la vittoria a chi prende più voti anche senza il 51 per cento. Marino attacca: “Cambiare le regole delle primarie a metà partita ricorda più le politiche di Palazzo che quelle del Pd che vorrei”.
Dopo le polemiche sulla bocciatura della legge sull’omofobia, la deputata Pd Paola Binetti, teodem, reagisce alla minaccia di Franceschini sulla sua incompatibilità con il partito (“Il suo voto espresso alla Camera”, aveva detto il segretario, “deve far riflettere sulla possibilità della stessa permanenza nel partito. Ma non sono io a poter decidere. Il segretario non ha questi poteri”).
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14/10/2009 – “E’ UN UNIVERSO SCONOSCIUTO, MA ESSENZIALE PER IL CLIMA DEL NOSTRO PIANETA. SCOPRIREMO MILIONI DI NUOVE SPECIE”
Rotta per l’Amazzonia liquida
Parte una missione unica: scoprire il plancton che fa respirare la Terra
GABRIELE BECCARIA
Chris Bowler lo definisce un viaggio nell’invisibile.
E’ l’avventura nell’Amazzonia liquida, la foresta che non si vede, ma che impregna gli oceani e fa respirare la Terra. Fa il suo dovere producendo ossigeno e assorbendo anidride carbonica, come le giungle e i boschi della terraferma. E’ l’altro polmone del pianeta, ignoto alle opinioni pubbliche e poco studiato dagli ecologisti. E le sue caratteristiche restano nebulose anche per gli scienziati.
Ecco perché Bowler, biologo marino britannico «arruolato» dal Cnrs francese e al lavoro all’École Normale Supérieure di Parigi, è tra gli ideatori di «Tara Oceans». E’ un giro intorno al mondo con una barca a vela trasformata in laboratorio: intrisa di spirito darwiniano, farà il primo check-up dei microrganismi che popolano i mari fino a 150 metri di profondità, quelli che sbrigativamente passano sotto il nome di plancton. «In realtà – spiega Bowler – è tutto più complesso: oltre alle piante nel fitoplancton e agli animali dello zooplancton, ci sono tantissime altre creature, come protisti, batteri, virus di origine sconosciuta». E se ci vuole il microscopio, sfidano comunque le capacità di catalogazione: lì si agita un universo parallelo di decine di milioni di specie. «E’ impressionante che meno dell’1% è noto, sebbene rappresenti il 98% della biomassa degli oceani». Ai pesci e alle balene che colorano tanti documentari tocca appena il 2% della vita marina.
«Tara», il veliero, farà prelievi regolari di questo «brodo planctonico» e l’equipaggio di oceanografi, biologi, genetisti e fisici si sfiancherà per analizzare il contenuto. Partito a inizio settembre da Lorient, in Francia, ha iniziato ora la crociera mediterranea (il 23 ottobre è prevista l’unica tappa italiana, a Napoli). Poi, a dicembre, si infilerà nel Mar Rosso e farà vela per la circumnavigazione che proseguirà fino al 2012. Centocinquantamila km, il che significa metà del percorso Terra-Luna.
«Vogliamo stabilire lo stato di salute delle foreste marine – dice Bowler -: sono sempre più minacciate dai cambiamenti climatici, prima tutto, e poi dall’inquinamento e dall’acidificazione, ma non si sa quanto grave sia la situazione. Se molti organismi si sono adattati a condizioni in trasformazione sempre più veloce, altri sono a rischio». I sequenziamenti genetici, quindi, non identificheranno solo le innumerevoli tribù di questi microrganismi, ma troveranno i «marcatori» capaci di rivelare i loro comportamenti. «Vedremo come le diverse comunità si nutrono, come interagiscono ed evolvono i loro rapporti con l’ambiente. E’ curioso che obbediscano alla stessa logica delle popolazioni umane. Però, invece delle parole, ricorrono ai segnali chimici».
Se la scena sono gli oceani, le impronte genetiche riveleranno l’identità di tutti i personaggi, buoni e cattivi. «Proprio come succede quando si incastrano i criminali», scherza Bowler. Il risultato finale sarà una mappa mai vista del continente liquido che ci avvolge a varie profondità. «Servirà da punto di riferimento per le ricerche future. E intanto scopriremo tante nuove creature, ciascuna con nuove caratteristiche, nuovi geni, nuove molecole». Basteranno 100 scienziati da tutto il mondo per un’impresa così epocale?
Chi è Chris Bowler Biologomarino
RUOLO: E’ RICERCATORE ALL’ÉCOLE NORMALE SUPÉRIEURE DI PARIGI
RICERCHE: DIATOMEE
IL SITO: www.biologie.ens.fr/smdgs/spip.php?article23
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Un pacifico nobel 14.10.2009
Il Nobel per la pace, si sa, assomoglia alle signorine che frequenta il nostro primo ministro: si vende facilmente, è di poche pretese, va un po’ con chi gli capita.
Spesso la persona che lo riceve non ha nulla a che fare con il titolo e, del resto, non a caso, lo stesso Silvio si era candidato. La storia, in fondo, ha visto premiare personaggi come Walesa, kissinger, Peres ecc.
Quindi non stupisce affatto che Obama, in un contesto in cui l’amministrazione amerikana discute di quante unità rafforzare l’esercito in Afghanistan, abbia ricevuto l’ambito premio. Basito, ad ogni modo, sono rimasti lo stesso presidente amerikano, la stampa internazionale e nostrana che ha abbozzato un: “forse si vuole premiare l’intenzione”; di sasso saranno rimasti quei poveracci che si beccano i bombardamenti quotidiani dei caccia a stelle e strisce.
Una delle motivazioni addotte dalla commissione probabilmente sarà spiegata col nuovo “clima di distensione” che l’amministrazione ha inaugurato; in effetti la stampa internazionale ha enfatizzato il nuovo presidente ed il suo tentativo di riallacciare un dialogo con il temuto Iran e, contemporaneamente, la decisione di mettere fine al tanto contestato programma di difesa antimissile, il cosiddetto “scudo missilistico”, che aveva mandato su tutte le furie la Russia.
L’argomento “scudo missilistico” è, per chi come noi non si è fatto illudere dal colore della pelle e dalla dialettica di Obama, un piatto molto goloso: in effetti chi ha avuto modo di leggere la stampa specialistica sul tema saprà che questo cosiddetto “sistema di difesa” era una grande bufala, era il modo che aveva scelto Bush per foraggiare l’industria degli armamenti.
l sistema in sé non garantiva affatto (per ammissione degli stessi tecnici) quello che prometteva.
La decisione di Obama, invece, nasconde un’altra fregatura: egli ha rinunciato ai programmi faraonici del suo predecessore per puntare ad altri tipi di arma. Si deve sapere, per completezza, che il responsabile degli acquisti e delle scelte riguardo agli armamenti nei governi americani è il sottosegretario alla difesa. Nell’amminisrazione Obama questo ruolo è ricoperto da William Lynn, un nome che ovviamente non dice nulla. Invece questo tizio è un lobbista della Raytheon, ossia della più importante industria missilistica americana.
In pratica Obama ha scelto per questo ruolo fondamentale un personaggio che è sul libro paga di una delle aziende più influenti nel settore della produzione di armi. Infatti, ed ecco la fregatura di cui parlavamo prima, sarà proprio la Raytheon a produrre a suon di milioni di dollari un sistema difensivo dedicato a missili di breve gittata (missili che possono avere i poveracci), sistema che risulta essere più sicuro (essendo già stato sperimentato), esportabile (Israele si è già detta interessata, in funzione anti-Iran), quasi pronto (nel 2018).
Mai premio Nobel per la pace fu più azzeccato: il vincitore di quest’anno é un presidente che continua a guerreggiare e che è condizionato nelle sue scelte da un lobbysta di una industria bellica, quasi quasi era meglio il Cavaliere…
M.R.
http://www.ilbuio.org/index.php?articolo=9_128.txt
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Petrolio: la Russia supera l’Arabia Saudita 15.10.2009
La Russia estrae più petrolio dell’Arabia Saudita, rendendola il più grande produttore di “oro nero” nel mondo, come le cifre dimostrano. Le statistiche, dell’Opec, indicativi di una tendenza che ha visto i russi superare periodicamente i sauditi come maggiori produttori di petrolio al mondo dal 2002. Questi ultimi dati sono stati chiamati direttamente dalla Russia come prova del fatto che tali picchi di produzione sono periodici, e non sono una tantum e che Mosca ha veramente il diritto di pretendere di essere il numero 1.
Secondo l’Opec, la Russia ha estratto 9,236 milioni di barili di petrolio al giorno nel mese di giugno, più di 46.000 rispetto all’Arabia Saudita. Le statistiche inoltre indicano che la produzione russa nel primo semestre di quest’anno ha avuto un aumento di 235,8 milioni di tonnellate, un miglioramento annuale del 2,3 per cento.
Tradizionalmente, l’Arabia Saudita è stata ritenuta la fonte primaria di petrolio nel mondo e la Russia ha dovuto accontentarsi del secondo posto. Ma negli ultimi anni la Russia ha rinazionalizzata e modernizzato gran parte della sua industria e tale politica sembra essere dare i suoi frutti. Anche gli analisti russi ammettono che la causa di Mosca è aiutata dal fatto che l’Arabia Saudita è soggetta a restrizioni alla produzione dall’Opec. I sauditi sono famosi per la loro capacità di accedere alle riserva e di aumentare la produzione in tempi brevi, e se davvero volevano riaffermare il loro ruolo di leadership la sensazione è che potrebbero farlo facilmente.
Incurante di questi “dettagli”, in Russia la “caduta” dei sauditi è stato salutata ieri a livello nazionale. Il quotidiano populista Komsomolskaya Pravda ha pubblicato un articolo intitolato “La Russia è al primo posto in classifica nella produzione di petrolio”.
Con i prezzi del petrolio al di sopra dei 70 dollari al barile per il Brent di Londra, a causa delle incertezze sulla fornitura del gasdotto della BP in Alaska e della crisi iraniana, la Russia si gode una miniera d’oro senza precedenti. Ma gli analisti dicono che la sua industria del petrolio è già al lavoro al massimo della capacità e che sarà in grado di gestire una produzione aumenta fino a solo il 2 per cento l’anno per il 2009.
Ci sono anche i timori che la Russia stia diventando troppo dipendente da ciò che i politici chiamano “l’ago del petrolio” e stia facendo troppo poco per sviluppare flussi di entrate future.
Il prezzo del petrolio e del gas pesano per 52,2 per cento di tutte le entrate del Tesoro dello Stato, e per oltre il 35 per cento delle esportazioni della Russia. Tali ricchezze possono rendere un paese compiacente, secondo Aleksej Kudrin, il ministro delle Finanze russo. “Allo stato attuale, ci troviamo in una zona di una pericolosa spensieratezza”, ha detto.
Dott Fabio Troglia
fabio.troglia@gmail.com
www.lamiaeconomia.blogspot.com
http://lamiaeconomia.blogspot.com/2009/10/petrolio-la-russia-supera-larabia.html
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Vedi gli effetti del cambiamento climatico su Google Earth 15.10.2009
Di Claudio Pomhey
Non lo sa nessuno e non vedo come possa saperlo qualcuno che non legge Pom-HeyWEB!, del fatto che oggi è il giorno del Blog Action Day, una iniziativa annuale promossa per convidere nel mondo temi sociali.
Il tema di quest’anno è il cambiamento climatico e il connesso riscaldamento globale.
Mi piace quindi partecipare a questo coro che coinvolge i blogger di tutto il mondo con un articolo a riguardo anche perchè non parlo di ambiente da un sacco di tempo.
Tuttavia sono sempre stato in difficoltà a scrivere riguardo problematiche sociali delicate; non ho le competenze adatte e non ho voglia di fare un testo noioso con qualche nozione scientifica scopiazzata in giro e commenti scontati.
Partecipo quindi al BDA nella maniera che so fare meglio, segnalando una applicazione interattiva dove, se interessa, si può verificare con mano e vedere gli effetti del cambiamento climatico tramite una simulazione di Google Earth.
Google sta utilizzando il suo strumento di mappe interattive Google Earth per simulare, su una mappa 3D del mondo, la prevedere dei possibili effetti del cambiamento climatico fino all’anno 2100.
Utilizzando i dati forniti dal gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, il gigante della ricerca ha creato nuovi layer per Google Earth (scaricabili) che mostrano la temperatura prevista e i cambiamenti delle precipitazioni in differenti luoghi del mondo, causate delle emissioni che potrebbero verificarsi durante questo secolo.
Il video che segue è una versione breve di quello che si può guardare per intero sulla pagina Google dedicata al COP15, la conferenza sul clima che si terrà a Dicembre.
I rappresentanti di tutti i paesi del mondo dovranno li discutere di un possibile accordo per affrontare il problema del cambiamento climatico.
(Al link sotto il video)
Tutti quindi possono visualizzare gli effetti dei cambiamenti climatici sul proprio paese o installando un plug-in in Google Earth o tramite una pagina speciale web del COP15.
Inizialmente solo le variazioni di temperatura e precipitazioni possono essere visualizzati, ma Google prevede di aggiungere nuove caratteristiche e video nelle prossime settimane.
Il video sopra spiega e illustra come usare il nuovo tool di Google tramite la voce di Al Gore.
Si potranno cosi notare gli effetti del cambiamento climatico sul livello del mare e sui ghiacci.
Secondo Al Gore, se le emissioni di CO2 continueranno con questo andamento e non verranno ridotte, la temperatura media globale si alzerà sopra i 4 gradi centigradi entro il 2100 con gravi danni all’ecosistema, alla salute e al benessere umano.
Molto interessante è il pezzo in cui parla del ghiacciaio della Groenlandia che nella simulazione si fonde ed aumenta il livello del mare tra i 4 e i 12 metri in tutto il mondo causando l’inondazione di tanti territori e città.
Come detto prima, Google diffonderà nuovi video in questi mesi e sta formando una partnership con la CNN per lanciare un nuovo canale YouTube che consenta a tutti di diffondere la voce sui rischi del cambiamento climatico.
Non mi resta allora che invitare quindi chi ha letto fin qui di andare a provare il tool per vedere le mappe di Google Earth con la simulazione degli effetti del cambiamento climatico.
Sul sito Climate Wizard c’è la mappa che segnala gli innalzamenti della temperatura nel mondo.
Ricordo poi lo strumento per calcolare le proprie emissioni di CO2 di cui parlai qualche tempo fa.
Segnalo infine il canale Twitter per leggere altri interventi sul #BAD (Blog Action Day) e riguardanti il cambiamento climatico anche se, sono quasi tutti in inglese.
http://www.navigaweb.net/2009/10/cambiamenti-climatici-su-google-earth.html
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La risposta dell’Europa a Berlusconi è da vigliacchi
Articolo di Politica estera, pubblicato domenica 11 ottobre 2009 in Gran Bretagna.
[The Guardian]
Clement Attllee [politico del partito laburista britannico, 1883-1967 N.d.T.] si beava della superiorità dell’uomo britannico del dopoguerra, quando nel 1967 respinse l’unità europea con sdegnante disprezzo. “Il Mercato Comune. Il cosiddetto Mercato Comune di sei nazioni. Conosco molto bene quelle nazioni. Recentemente, questo Paese ha speso un bel po’ di sangue e denaro per salvare quattro di loro da attacchi da parte delle altre due.” Per la Germania e l’Italia, che avevano subito dittature fasciste, e per Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, che avevano sofferto le occupazioni fasciste, non vi era nulla per cui sentirsi superiori negli anni della guerra. Il Mercato Comune prometteva la liberazione da un passato terribile. E ha continuato a prometterla.
Grecia, Portogallo e Spagna confermarono la propria rottura con la dittatura e la reazione entrando a farne parte. Dopo la caduta del muro di Berlino, l’Europa ha allargato i propri confini offrendo ai popoli una volta soggetti all’impero comunista una vita migliore in un rifugio democratico. Nazisti e comunisti non hanno mai occupato la Gran Bretagna. I nostri leader ci hanno venduto l’Europa come un’opportunità di investimento intelligente piuttosto che come un avanzamento democratico e non abbiamo mai sentito l’idealismo dietro il sogno europeo. Lech Walesa [politico polacco e Nobel per la pace nel 1983, N.d.T.] lo sapeva bene. Alla vigilia dell’ingresso della Polonia, dichiarò: “Ho combattuto per la nostra nazione al fine di recuperare tutto ciò che è andato perduto sotto il comunismo e i Soviet… e ora la mia battaglia è finita. La mia nave è arrivata in porto.”
L’Europa ha rimpiazzato i terrori del totalitarismo con convenzioni sui diritti umani e trattati di pace. E’ facile averne abbastanza della monotia delle sue composite risoluzioni e dei meeting interminabili. Ma in decine di milioni hanno accettato l’opportunità di concedere la propria sovranità nazionale in cambio della libertà dalle dittature del passato.
Quella proposta di scambio non è più disponibile. Le dittature dei nostri giorni si presentano sotto diversi aspetti, ma la forma dominante è un capitalismo di stato o oligarchia in cui il capo o la combriccola al potere controllano i beni pubblici e gli incarichi che vanno con essi. A dirla in breve, non sono piene dittature. I governanti tollerano le elezioni purché i risultati possano essere manipolati e permettono le critiche purché queste non raggiungano le masse.
Il gruppo propagandistico European Alternatives ha così definito i moderni stati clientelari: “In un paese dove i canali televisi rappresentano la sola fonte di informazione per oltre l’80% della popolazione, il controllo dei mezzi di informazione non deve necessariamente assumere i metodi draconiani e totalitari del precedente XX secolo. Al giorno d’oggi, la manipolazione dei mezzi di informazione di massa principali di una nazione può perfettamente coesistere con la gestione di apposite “riserve indiane” per l’opposizione, portabandiera di una libertà di espressione meramente procedurale”. Se gli autori sembrano dei magnanimi liberali europei che si lamentano di miserie lontane, dovrei allora aggiungere che con questa affermazione non stavano mettendo in discussione la Russia di Putin o il Venezuela di Chávez, ma l’Italia di Berlusconi.
Poiché i britannici si interessano così poco dell’Europa, nessuno – a parte gli avvocati costituzionali – esamina attentamente il Capitolo sui Diritti Fondamentali nel Trattato di Lisbona. A Bruxelles, comunque, gli Eurocrati fingono di prenderlo sul serio. L’articolo 11 garantisce la libertà di stampa e di pluralismo mediatico, ma all’Europa non spiace vedere Berlusconi esercitare un controllo diretto sui tre canali privati Mediaset, sulla sua casa editrice, su un’agenzia pubblicitaria e un’azienda di distribuzione cinematografica, nonché sugli immensi stanziamenti del governo italiano.
La scorsa settimana nel Parlamento Europeo i delegati socialisti hanno provato a fare dello stato penoso dell’Italia una questione europea, solo per vedere i conservatori “moderati” del partito dei Popolari Europei rivoltarsi contro di loro.
L’alleato di Nicolas Sarkozy, Joseph Daul, si è sentito oltraggiato dal fatto che dei membri della sinistra abbiano osato suggerire che l’Italia sia tutt’altro che “un paese democratico dove il corso della legge è rispettato”. I sostenitori di Angela Merkel hanno rifiutato di accettare che l’Europa abbia bisogno di difendere i diritti fondamentali degli italiani. I presunti moderati erano così infuriati per l’insulto al buon nome di Berlusconi che non solo hanno protestato contro l’intervento, ma hanno anche provato a impedire che il dibattito avesse luogo.
Quando David Cameron [leader del partito conservatore britannico dei Tory, N.d.T.] ha portato i Tory fuori dal partito dei Popolari Europei per marciare al passo dei veterani delle SS del Latviann Fatherland e del Partito delle Libertà, io e molti altri lo abbiamo accusato di abbandonare la corrente principale europea. Avrei dovuto aggiungere che la corrente principale a Bruxelles ha, di per sè, delle lati oscuri. Quando i suoi democratici, esternamente rispettabili, scoprono che un collega conservatore sta creando uno stato clientelare nel cuore dell’Europa, non protestano, ma dirigono tutte le energie e gli ardori nel rimprovero degli oppositori.
Voi potreste ben dire, e i conservatori “moderati” lo stavano dicendo a Bruxelles, che la magistratura italiana ha dimostrato che l’Italia rappresenta una democrazia liberale strappando a Berlusconi l’immunità dai procedimenti legali. Eppure Berlusconi aveva messo alla porta i giudici, in precedenza. In ogni caso, anche se cadesse o, più probabilmente, se si dimettesse, gli italiani non potranno certo aspettarsi che il suo sistema corrotto vada via con lui.
I canali privati di Berlusconi non diventeranno fari luminosi di trasmissioni di pubblico servizio dopo la sua dipartita. Il leader caratteristicamente denominato “post-fascista” Gianfranco Fini non eliminerà un sistema di patronaggio e di censura in cui lo stato può organizzare campagne pubblicitarie per boicottare giornali critici e può costringere alle dimissioni gli editori che riportano notizie non benvenute.
La caratteristica più eloquente dei dittatori del giorno d’oggi è la naturalezza con cui essi mettono da parte le differenze ideologiche simboliche e si riconoscono a vicenda come membri di una massoneria internazionale di autocrati. Berlusconi denuncia i magistrati indagatori come “comunisti” e definisce un “suo grande amico” l’ex membro del KGB Vladimir Putin.
Chávez, detto socialista, si allea con il reazionario islamico Ahmadinejad. Ciò che unisce gli uomini al potere del XXI secolo è più importante di ciò che li divide.
L’Europa democratica, tuttavia, non si unirà contro di loro prendendo posizione a favore dei suoi migliori valori. Il suo silenzio su Berlusconi – sia vigliacco sia dettato da compromessi – mina la sua abilità di prendere posizione su politici corrotti altrove in Europa, in modo particolare nelle democrazie deboli dell’Est post-sovietico, e svuota di senso le sue condanne agli abusi sui diritti umani che avvengono al di fuori dei propri confini.
Per la prima volta nella storia, la reputazione dell’Europa quale una forza per il bene del mondo appare precaria. E presto apparirà scorretta.
[Articolo originale “Europe’s response to Berlusconi has been cowardly” di Nick Cohen]
http://italiadallestero.info/archives/8059
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La forza della storia 16.10.2009
LUIGI LA SPINA
La testimonianza, accorata e persino spietata, di un lungo e sofferto cammino, costellato di errori, ritardi, macchiato da colpe, anche gravi. Ma con l’orgoglio di averlo compiuto per intero, scontando, con una critica severa su di sé e sulla propria parte, la piena legittimazione a esercitare un ruolo di garanzia per tutti gli italiani. È questo il senso più profondo di un discorso, quello pronunciato ieri mattina dal Presidente della Repubblica a Torino, in cui uno dei leader della sinistra comunista italiana nella seconda metà del secolo scorso confessa di aver capito il valore delle forme della democrazia liberale, per lungo tempo sottovalutate, e si impegna a difenderle «con serenità e fermezza».
Non ha tradito davvero le attese la risposta di Giorgio Napolitano, pacata ma non ipocrita, agli attacchi del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sulla sua figura di «uomo di parte».
Ma quello che più ha colpito coloro che hanno partecipato alla cerimonia in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio è, da un lato, il tono commosso della sua rivendicazione autobiografica, dall’altro, il richiamo ai valori della politica, intesa come esercizio che riesce a trasformare un uomo di fazione in un uomo delle istituzioni. Un mutamento che è consentito, è parso di capire, solo a chi non nasconde la propria storia, le proprie origini culturali e ideologiche, ma, quando è chiamato a rappresentare una importante carica pubblica, sa trascenderle ed esercitare quel «potere neutro» che è indispensabile per far funzionare una democrazia, come la consideriamo in Occidente.
È stato proprio il filosofo torinese, così come ha raccontato il presidente della Repubblica, ad adoperare, nel confronto con i comunisti del secolo scorso, quella «pedagogia del dubbio» che ha fatto comprendere come la garanzia dei diritti di libertà, con la divisione dei poteri, la distinzione tra organi della Repubblica al servizio del principio di imparzialità, non fossero «forme borghesi» dello Stato, in contrapposizione con una fantomatica «democrazia sostanziale» che poteva anche contraddirle o trascurarle. Ma fossero il fondamento della convivenza civile.
Una proclamazione di principi che certamente non si limita a un riconoscimento di un errore del passato, ma assume una precisa condanna delle attuali tentazioni populiste presenti nel centrodestra italiano, esaltatrici di una specie di «democrazia diretta», fondata solo sull’investitura elettorale del leader. Una forma di Stato che rischia di trasformare il Parlamento in una camera di registrazione ed approvazione di testi redatti, magari, in qualche studio professionale e, comunque, mal sopporta le lungaggini, gli ostacoli, procedurali e di merito, che autorità «terze» frappongono all’azione dell’esecutivo. Se la forma dell’equilibrio dei poteri è, invece, la sostanza della democrazia, questo non vuol dire che la Costituzione sia un tabù. L’appello del Capo dello Stato alla sinistra perché non si chiuda alle proposte di una riforma della seconda parte del nostra carta fondamentale non è stato meno netto delle sue critiche a chi, a destra, non rispetta gli istituti di garanzia. E anche in questo caso, Napolitano si è appoggiato al ricordo delle battaglie di Bobbio in favore di riforme elettorali e costituzionali.
Una lunga citazione del filosofo torinese è servita pure al Presidente della Repubblica per esprimere un giudizio che, con l’aria che tira, può sembrare controcorrente: «Sono convinto che molti italiani, al di là delle loro diverse, libere scelte elettorali… avvertano la necessità» del «senso della misura, del rispetto delle istituzioni e del confronto costruttivo».
Si sta diffondendo, infatti, un’impressione fallace, tratta dai successi di ascolto delle trasmissioni politiche in tv più urlate o dalle fiammate di vendita dei giornali più schierati. Quella che i cittadini italiani siano favorevoli a quel clima di «guerra civile delle parole» che vuole trasformarli in tifosi assatanati, obbligatoriamente arruolati nell’una o nell’altra fazione e disposti a «non fare prigionieri» pur di far vincere la loro parte. In una battaglia senza fine che vedrebbe, invece, solo una minoranza di cittadini, tremebondi parrucconi legati ad antiche forme di galateo politico, preoccupati per il rischio di compromettere non solo le possibilità di ripresa della nostra economia, ma le caratteristiche fondamentali della nostra democrazia.
Napolitano, ieri a Torino, ha avuto il merito di confutare questa superficiale convinzione, dimostrando che l’espressione ferma e serena delle proprie convinzioni, in difesa delle garanzie di uno Stato democratico e pluralista può costituire la risposta migliore e più efficace a chi avesse la tentazione di scavalcarle.
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Non basta uno sportello 16.10.2009
PIETRO GARIBALDI
Il governo ha deciso di creare una banca del Sud destinata a finanziare progetti. E’ una sfida non priva di rischi. Il più grande problema del Mezzogiorno è la mancanza di buoni investimenti. E non è affatto chiaro se una volta creata una banca meridionale avremmo davvero migliori investimenti nel Mezzogiorno. In aggiunta, si rischia di creare nuovo debito pubblico.
Anche se il Mezzogiorno è forse la parte più bella del Paese, è una terra in cui il contesto generale poco si addice ad assumere rischi imprenditoriali. Innanzitutto vi è un ben noto problema di criminalità organizzata. Vi è poi una pubblica amministrazione largamente inefficiente e una cronica mancanza di infrastrutture. Questi tre elementi rendono l’attività imprenditoriale e gli investimenti nel Mezzogiorno più rischiosi rispetto al resto del Paese. Non a caso, questo specifico rischio meridionale si manifesta oggi in un costo del credito nel Mezzogiorno superiore a quello del Nord del Paese. Per cercare di risolvere la cronica mancanza di investimenti meridionali, il governo vuol creare una banca del Sud. Secondo le prime indicazioni, lo Stato dovrebbe essere soltanto promotore del progetto, con l’obiettivo di uscire completamente, dopo un primo periodo, dalla struttura proprietaria del nuovo istituto. Sembra poi che si utilizzerà la rete delle Banche locali di credito cooperativo e le quasi quattromila filiali delle Poste nel Mezzogiorno, anche se i dettagli del progetto sono ancora tutti da determinare.
Dal punto di vista dei mercati finanziari, una nuova banca può essere un modo per aumentare la concorrenza nel sistema finanziario. Deve però trattarsi di una banca che effettivamente opera con gli stessi vincoli e gli stessi criteri applicati al resto del sistema bancario. Se la banca dovesse invece vivere grazie a sussidi dallo Stato, diventerebbe un elemento distorsivo alla concorrenza. Fortunatamente, i vincoli europei agli aiuti di Stato dovrebbero limitare questo rischio. Si deve poi evitare che la banca diventi un modo per trovare un posto di lavoro statale. In altre parole, non si vuole un nuovo carrozzone di Stato. Infine, per riuscire a finanziare investimenti nel Mezzogiorno a condizioni migliori di quanto fatto dal resto del sistema, la banca del Sud dovrà essere particolarmente efficiente nel selezionare i progetti che meritano credito. Ci vorrà quindi il meglio dell’imprenditoria italiana.
Lo Stato ha anche deciso di creare obbligazioni di scopo destinate a finanziare progetti meridionali. Queste obbligazioni, che potranno essere sottoscritte da tutti i risparmiatori italiani, dovrebbero servire non solo a finanziare gli impieghi della nuova banca del Mezzogiorno, ma potranno essere emessi anche da altri intermediari finanziari. Se questi titoli saranno effettivamente garantiti dallo Stato, come sembra dalle prime indicazioni, saranno del tutto assimilati a debito pubblico. Anche da questo punto di vista, si tratta quindi di una decisione rischiosa, in quanto sappiamo bene che a causa della crisi il debito pubblico è tornato ai livelli del 1992 ed è una delle cause principali della procedura di infrazione che l’Europa ha iniziato nei confronti dell’Italia.
Il benessere e il recupero di produttività del Mezzogiorno sono interesse di tutti gli italiani. La vera priorità dovrebbe essere quella di creare le condizioni affinché gli investimenti nel Mezzogiorno diventino più convenienti. Anche se la banca del Sud dovesse alla fine funzionare, e tutti quanti ce lo auguriamo, i problemi di criminalità organizzata e mal funzionamento della pubblica amministrazione rimarranno come i principali problemi del Mezzogiorno. E per risolvere quelli ci vuole ben più di una banca.
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Napolitano: “Vilipendio? Chi può chieda l’abolizione”
Il presidente della Repubblica: “Giudichino poi i cittadini che cosa è libertà di critica e che cosa non lo è nei confronti delle istituzioni, che dovrebbero essere tenute fuori dalla mischia politica e mediatica”
Roma, 16 ottobre 2009 – Chiunque abbia titolo per esercitare l’iniziativa legislativa può liberamente proporre l’abrogazione dell’articolo 278 del Codice penale, riguardante il vilipendio al capo dello Stato. È quanto ha affermato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo intervento alla Giornata dell’informazione, a Palazzo del Quirinale.
Napolitano ha aggiunto una “telegrafica postilla”al suo discorso: “Per quel che riguarda l’art. 278 del Codice penale, non toccato per altro dai reati di opinione di pochi anni fa, chiunque abbia titolo per esercitare l’iniziativa legislativa può liberamente proporne l’abrogazione. Giudichino poi i cittadini – ha concluso Napolitano – che cosa è libertà di critica e che cosa non lo è nei confronti delle istituzioni, che dovrebbero essere tenute fuori dalla mischia politica e mediatica”.
INFORMAZIONE – E’ “insostituibile” il “valore del pluralismo” nell’informazione. E’ quanto dice il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso del suo intervento alla cerimonia che si è svolta al Quirinale alla presenza, tra gli altri, del sottosegretario alla presidenza dell’Editoria, Paolo Bonaiuti, del vicepresidente del Senato, Emma Bonino, del presidente dell’Autorità per la Garanzia nelle comunicazioni Corrado Calabrò, il presidente della commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli, del presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani.
Quest’anno tra coloro che ricevono un riconoscimento ci sono eccezionalmente anche Giulio Andreotti e Pietro Ingrao, ai quali va il premio Saint Vincent di giornalismo-60 anni. E’ proprio partendo da questa premiazione che Napolitano fa la sua riflessione: “La lunga e significativa storia politica, oltre che giornalistica di Andreotti e Ingrao- dice il capo dello Stato- sottolinea bene la diversità delle voci che debbono trovare spazio in democrazia nel grande mondo di una stampa libera, come lo hanno in effetti trovato nel nostro Paese nel corso dei decenni”.
Napolitano continua: “E’ un esempio da cui trarre forza l’invito a rispettare nella carta stampata e nella radio-televisione, specie quella pubblica, l’insostituibile valore del pluralismo”. Per il presidente della Repubblica “nella qualità dell’impiego e del lavoro di ogni giornalista, nella professionalitùà, nel rigore, e nel tranquillo coraggio di chi si dedica a questo quotidiano lavoro, che- conclude Napolitano- e’ il maggior presidio della liberta’ e del ruolo della stampa e dell’informazione”.
http://quotidianonet.ilsole24ore.com/politica/2009/10/16/247722-proponga.shtml#
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TORINOSETTE
16/10/2009 – «INDAGINI DI UN CANE» ALLA SANDRETTO DAL 21 OTTOBRE AL 7 FEBBRAIO
La sfida di Face: cinque Fondazioni
per l’arte europea
Il titolo della mostra richiama un racconto di Kafka, dove un cane filosofeggia sul senso della comunità
GUIDO CURTO
«Indagini di un cane» è il titolo intrigante e provocatoriamente fuorviante della vasta rassegna che alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo riunisce 40 opere (in prevalenza installazioni e video) provenienti da quattro Fondazioni europee impegnate a sostenere gli artisti contemporanei. In primis, ovviamente, troviamo la stessa Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino (ma per quanto tempo ancora?!), con la Maison Rouge di Parigi, la Deste Foundation di Atene, la Fondazione Ellipse di Cascais e il Magasin 3 di Stoccolma. Quattro istituzioni nate per iniziativa di altrettanti collezionisti che hanno voluto rendere fruibile al grande pubblico la loro privata passione e che hanno recentemente deciso di fare sistema, presentando nel 2009 al Parlamento Europeo il Progetto Face, acrostico che identifica la «Foundation of Arts for a Contemporary Europe».
Già, fare sistema, in un moment ocome questo di crisi, dove le risorse finanziarie scarseggiano e molte istituzioni culturali rischiano di chiudere anche a Torino: da Palazzo Bricherasio al Piccolo Regio, al Centro di Restauro di Venaria Reale. Fare sistema significa unire le forze per essere più efficienti e più efficaci, con significative economie di scala (direbbero gli economisti). Un esempio, questo di Face, che va imitato e che attraverso le 40 opere esposte ribadisce la necessità di fare Comunità. A questo, infatti, allude il titolo della mostra, che certamente per alcuni suonerà criptico e irritante, ma che ha una sua precisa ragione d’essere, perché fa riferimento all’omonimo racconto di Kafka, dove troviamo un cane che filosofeggiando s’interroga sul senso della «caninità» e giunge alla conclusione che questo concetto ha significato solo all’interno di una «Comunità di simili ».
Se il ragionamento a taluni continua a sembrare troppo arzigogolato, andiamo subito al dunque e vediamo le opere, accomunate da una scelta curatoriale unitaria, non dichiarata, ma sia dal titolo che dalla selezione degli autori sembra esserci lo zampino di Francesco Bonami! Tra tanti lavori spicca quello di Maurizio Cattelan. L’artista italiano oggi più quotato al mondo, presente in mostra con «La Rivoluzione siamo noi» (dalla Collezione Sandretto): un’installazione divertente e tagliente al contempo, costituita da un manichino con le fattezze dell’artista, sospeso ad un appendiabiti progettato dal designer razionalista d’inizio Novecento Marcel Breuer; un pupazzo caricaturale vestito con un abito di feltro grigio, citazione del feltro utilizzato dall’artista concettuale tedesco Joseph Beuys in un’opera del 1970 dal titolo analogo.
Un lavoro post-concettuale quindi, che di fatto rinnega in modo sarcastico l’idea che l’arte possa avere una utilità sociale, perché l’artista resta appeso nei salotti della ricca borghesia e non cambia il mondo, con buona pace del rivoluzionario e marxista Beuys. Dal cinismo nichilista di Cattelan si passa ad un’analisi (non meno irriverente, ma più antropologica) del ruolo del «collezionista» nell’opera di un altro italiano di successo, Roberto Cuoghi. L’artista modenese (nato nel 1973, vive a Milano) ritrae il «suo» collezionista greco Dakis Joannou, patron della Deste Foundation di Atene, in un iperrealistico bassorilievo realizzato imitando la tecnica delle antiche monete e l’iconografia degli imperatori ellenistici, da qui il titolo satirico «Megas Dakis».
Si prende gioco, invece, dei musei di Scienze naturali lo statunitense Mark Dion, e la sua opera in mostra è una gigantesca talpa (gli ecologisti non si preoccupino, è di pelliccia sintetica!) che sta appesa a un muro con sulla schiena uno scarafaggio; sarcastica allusione agli esperimenti dello studioso ottocentesco Jean Henri Fabre e, in senso più lato e metaforico, un attacco alla cultura scientifica de «Les Necrophores », i necrofori (Collezione La maisonrouge, Parigi). Ilmondo animale è spunto anche per gli svizzeri Fishli & Weiss, autori di una scultura di poliuretano bianca raffigurante un informe «Animal» privo d’identità.
Il tema dell’identità è presente anche nel lavoro della francese Virginie Barrè che realizza un manichino di «genere» incerto e per di più col volto coperto da un passamontagna; e nel video del Philippe Bazin che inquadra otto lavoratori di una distilleria, a Dufftown in Scozia, ripresi immobili in silenzio, mentre una colonna sonora scandisce brani del Macbeth di Shakespeare paradossalmente coerenti con la situazione socio-politica della cittadina scozzese. Al suo Paese natale, la Svizzera, è dedicata l’installazione ambientale di Thomas Hirshhorn, che colloca al centro di una sala un gigantesco coltellino rosso dalle cui lame scaturiscono molteplici disegni, foto e collage fatti con materiali di recupero, ironicamente incoerenti con i cliché che identificano la confederazione elvetica come patria di ricchezza e benessere.
A questo punto è chiaro che tante opere in mostra hanno come leit-motiv la volontà post-dadaista di criticare o almeno di mettere in discussione la società e il sistema in cui l’artista vive. Che sia il Sudafrica del dopo apartheid nel caso di William Kentridge (autore di due splendidi video a disegni animati), o la Corea di Kimsooja, l’artista coreana che espone un vecchio furgone a tre ruote nel cui cassone sono stipati decine di bottari, i fardelli colorati che vediamo in Tv quando la povera gente emigra portando con se le masserizie fuggendo da zone di guerra e miseria. Ma tante altre ancora sono le opere e gli artisti interessanti: da non perdere le foto del finlandese Esko Manniko (inquadra interni di case dove uomini single vivono isolati nell’estremo Nord della Finlandia) e quelle del russo Boris Mikhailov (con i disperati homeless della ex Unione Sovietica).
Molti sono i lavori di autori affermati come Bruce Naumann, Jeff Koons, Sherrie Levine, Gregor Schneider e Paul McCarthy, ma è più interessante scoprire i meno noti coloratissimi dipinti dell’indiano Navin Rawanchaikul, linstallazioni readymade del brasiliano Marepe, venendo così a conoscere in sintesi il meglio dell’arte contemporanea, grazie a un’indagine ben fatta, e non da cane!
«INDAGINI DI UN CANE» OPERE DALLE COLLEZIONI FACE
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO
VIA MODANE 16
Inaugurazione mercoledì 21 alle ore 19
Orario: mar-dom 12-20 gio 12-23, lunedì chiuso Intero € 5, gruppi € 4, rid. € 3
Info: tel. 011/379.76.00
www.fondsrr.org
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La disfunzione riguarda quasi un emisfero intero
Bimba di due anni vive con mezzo cervello. I ricercatori: ”Incredibile caso in Puglia”
Roma – (Adnkronos Salute) – Il funzionamento emotivo, comportamentale e sociale è nella norma, ha solo lievi difficoltà nel linguaggio e nella manualità. Nell’altra metà scoperta una grande cisti che però non ha pregiudicato lo sviluppo
Roma, 15 ott. (Adnkronos Salute) – Ha due anni e uno sviluppo emotivo, comportamentale e sociale nella norma. Eppure questa bimba è la prova vivente che un solo emisfero cerebrale può essere sufficiente per condurre un’esistenza quasi normale. La piccola, infatti, presenta una grande cisti porencefalica nell’emisfero sinistro, con estensione nei lobi frontale, temporale e occipitale, come riferiscono sul ‘New England Journal of Medicine’ i ricercatori italiani dell’Irccs E. Medea di Ostuni che hanno seguito il caso.
La bambina viene segnalata all’Irccs per difficoltà nell’uso di una mano e nel camminare. I risultati ottenuti attraverso una serie di valutazioni delineano un funzionamento emotivo, comportamentale e sociale nella norma, con lievi difficoltà che riguardano il linguaggio e la manualità. Un risultato “che, tutto sommato – spiegano gli studiosi in una nota – lasciava presupporre possibili, lievi anomalie nello sviluppo cerebrale”. Ma le immagini di risonanza magnetica encefalica e angio-risonanza cui la bambina viene sottoposta mostrano una realtà molto differente ai medici: non si tratta di lievi anomalie, ma di una disfunzione che riguarda quasi un emisfero intero.
La risonanza rivela infatti una grande cisti porencefalica che coinvolge praticamente tutto l’emisfero di sinistra, risparmiando esclusivamente il nastro corticale in regione fronto-basale, temporale anteriore e temporale mesiale, talamo e nuclei della base. L’esame di angio-risonanza dell’encefalo e dei vasi al collo evidenzia “una brusca, netta riduzione di flusso sia dell’arteria cerebrale media sia dell’arteria cerebrale posteriore di sinistra, e una coesistente ipoplasia del tratto a1 dell’arteria cerebrale anteriore”. Cioè un vistoso danno cerebrale, spiegano i ricercatori. Ma nonostante ciò lo sviluppo neurologico “è stato relativamente preservato: la paziente infatti presenta solo una lieve spasticità all’emisoma destro, un lieve disturbo dell’articolazione della parola e capacità di comprensione adeguate all’età”.
Una scoperta che ha lasciato di stucco i medici. E’ come aspettarsi che “una fabbrica continui a produrre manufatti nello stesso numero, nella stessa perfezione, nello stesso tempo, pur avendo a disposizione la metà dei suoi soliti operai”, spiegano. Di fatto la bambina con un solo emisfero ha avuto uno sviluppo neuromotorio che l’ha portata a vivere in una maniera solo lievemente disfunzionale e, comunque, come “nessuno di noi avrebbe potuto immaginare”, confessano. Ma come è successo? Probabilmente il concetto di efficienza del cervello “non corrisponde al nostro. Perché l’altro emisfero e le zone sane – spiegano – hanno messo a disposizione tutte le risorse (neuroplasticità) per compensare quella malata o assente”.
A esaminare il caso, i ricercatori del Polo scientifico di Ostuni dell’Ircss Medea e dall’università di Bari guidati da Antonio Trabacca, direttore dell’Unità operativa complessa di Neuroriabilitazione 1 del Polo di Ostuni, e da Franca Di Cuonzo, dell’Unità operativa di neuroradiologia dell’università di Bari. “La ricerca applicata alla clinica – sottolinea Trabacca, responsabile del lavoro – si gioca su un equilibrio difficile da mantenere: l’attenzione alla persona, il prendersi cura di lei e l’attenzione ai processi sottostanti, ai deficit che potrebbero essere all’origine di quel problema stesso. Un tipo di ricerca che – conclude – arriva a volte a un risultato come questo, incredibile sia da un punto di vista scientifico che esistenziale“.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/?id=3.0.3883107139
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Maldive: riunione di Governo sott’acqua per richiamare l’attenzione sul problema ambientale 19.10.2009
Se volevano attirare le attenzioni del mondo sul problema dell’innalzamento dei livelli del mare, dire che ci sono riusciti è dire poco. I membri del Parlamento delle Maldive hanno indossato l’attrezzatura subacquea (qualcuno ha dovuto fare un corso perché era la prima volta) e hanno utilizzato i segnali manuali per comunicare durante una riunione subacquea organizzata sabato scorso per evidenziare la minaccia del riscaldamento globale in una delle nazioni situate nel punto più basso della Terra.
Il presidente Mohammed Nasheed e altri 13 funzionari del Governo si sono seduti intorno ad un tavolo sul fondo del mare, a 6 metri di profondità, nella laguna appena fuori Girifushi, un’isola di solito utilizzata per l’addestramento militare. Con uno sfondo di coralli, l’incontro è stato un tentativo di attirare l’attenzione del mondo sui timori che l’innalzamento del livello dei mari causato dalla fusione delle calotte polari potrebbe “affogare” questo arcipelago dell’Oceano Indiano nell’arco di un secolo. Le sue isole mediamente sono a solo 2,1 metri sopra il livello del mare, e dunque sarebbero le prime a sparire in caso di scioglimento dei ghiacciai.
Ha spiegato Nasheed. Mentre le bolle salivano dalle loro maschere di protezione, il presidente, il vice presidente, il segretario di gabinetto e gli 11 ministri hanno firmato un documento che invita tutti i Paesi a ridurre le loro emissioni di anidride carbonica. La questione ha assunto urgenza prima della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici prevista per dicembre a Copenaghen. Alla riunione i Paesi negozieranno l’accordo successivo al protocollo di Kyoto, con lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra come l’anidride carbonica.
Le nazioni ricche vogliono ampie riduzioni delle emissioni di tutti i Paesi, mentre quelle più povere dicono che i Paesi industrializzati dovrebbero accollarsi la maggior parte degli oneri. Nasheed ha già annunciato piani per un fondo per comprare una nuova patria per il suo popolo se le sue 1.192 isole coralline verranno sommerse. Egli ha promesso di fare delle Maldive, con una popolazione di 350.000 abitaniti, la prima nazione al mondo a zero emissioni entro un decennio.
Fonte: [The New York Times]
http://www.ecologiae.com/maldive-riunione-governo-sottacqua-problema-ambientale/9678/
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BioTecnoMais, la plastica 100% biodegradabile 09.10.2009
Grazie ad un brevetto dell’università di Milano (Dipartimento Distam e Dipartimento di Chimica) in futuro potranno essere eliminate dall’uso comune le buste in plastica che utilizziamo per fare la spesa, comode ma altamente inquinanti e destinate a rimanere a lungo nell’ambiente se non smaltite correttamente.
Il BioTecnoMais (BTM), plastica di origine vegetale, 100% biologica, atossica e biodegradabile, oltre a poter essere utilizzata per produrre giochi per bambini, stoviglie usa e getta, materiali innovativi per l’imballaggio potrebbe risolvere il problema dei rifiuti: a contatto con l’acqua infatti il materiale si dissolve completamente, arricchendola di amido vegetale e rendendola così adatta all’uso in agricoltura come concime naturale.
Per la produzione di un metro cubo di BTM occorrono circa 10 kg di amido di cereali, farina di grano e oli vegetali miscelati secondo la tecnica sperimentata dall’Ateneo milanese su commissione di Aldo Torrini, fondatore dell’Euroecological Italia di Chiusi, azienda nella quale viene effettuato tutto il processo di lavorazione sfruttando macchinari che in passato venivano impiegati per la produzione di pasta, oggi modificate per il nuovo processo.
In una sola ora di lavoro si riescono a produrre 20 metri cubi di BTM, prodotto tecnologico a ridottissimo impatto ambientale e a basso costo, accessibile ad una vasta gamma di produttori dei più diversi articoli, dai casalinghi ai giocattoli, che potranno contribuire a ridurre l’inquinamento ambientale con un notevole risparmio personale nell’acquisto della materia prima.
Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati in questo articolo
http://www.rinnovabili.it/biotecnomais-la-rivoluzione-biodegradabile-800395#
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23-10-2009 – 24-01-2010
GAM UNA FINESTRA APERTA SUL MONDO DELL’ARTE
LA NUOVA STAGIONE DELLA GAM DAL 24 OTTOBRE
sabato 24 e domenica 25 ottobre ingresso libero dalle 10 alle 18. La biglietteria chiude un’ora prima.
La GAM di Torino il 24 ottobre riapre i suoi spazi espositivi. Due mesi di chiusura al pubblico per svolgere un grande lavoro di progettazione e di riallestimento delle collezioni permanenti, oltre che per ridisegnare completamente la struttura delle sale dedicate alle mostre temporanee, alla Videoteca e ai Servizi Educativi. Il pubblico si troverà a ripercorrere le sale della GAM con l’impressione di visitare un museo nuovo, riorganizzato secondo un progetto museografico che pone come essenziale l’integrazione e il dialogo tra le opere, che facciano parte delle collezioni permanenti o che si inseriscano nelle mostre temporanee. La suddivisione in ordine cronologico del percorso, che fino ad oggi ha caratterizzato una delle raccolte di arte moderna e contemporanea tra le più ricche d’Italia (45.000 opere tra dipinti, sculture, installazioni, fotografie, a cui si aggiungono un ricco patrimonio di disegni e incisioni e una tra le più importanti collezioni europee di film e video d’artista) con la storica divisione in due piani dedicati all’Ottocento e al Novecento, viene sostituita da un ordinamento tematico, che permette al visitatore di riscoprire i capolavori e di analizzarli attraverso una nuova visione. Si potrebbe dire attraverso quattro nuove visioni, dettate dalle suggestioni offerte da altrettanti studiosi di discipline diverse dalla storia dell’arte. In questo modo non sarà più lo sguardo che insegue l’opera, ma l’opera che insegue lo sguardo. Secondo un disegno di riallestimenti periodici, ogni anno saranno coinvolti esperti provenienti dalle più prestigiose università italiane, che penseranno 4 nuovi temi per dar vita a percorsi lungo i quali le opere saranno collocate. Questo favorisce una fruizione molto ampia del patrimonio: attraverso il sistema di rotazione saranno infatti accessibili capolavori visti magari di rado, per problemi di spazio o di conservazione, e ogni volta troveranno una collocazione e una luce diversa, perché messi in rapporto con opere di altre epoche storiche e di altra natura artistica. La grande novità della nuova GAM è che con questo sistema viene riconsiderata la distinzione tra allestimento permanente e temporaneo, ancor più sottolineata dalla disposizione degli spazi espositivi. La sala mostre dedicata alle grandi esposizioni di carattere storico viene infatti pensata per accogliere il pubblico che visita il museo nella sua globalità, quindi inserita nella manica corta al primo piano, in continuità con le gallerie tematiche dedicate alle collezioni. Sempre al primo piano inoltre una piccola sala denominata Wunderkammer è la “camera delle meraviglie” dedicata a gioielli artistici del patrimonio GAM che molto raramente sono stati ammirati: disegni, acquerelli, grafiche, incisioni dell’Ottocento e del Novecento, per i quali è appena terminato un grande lavoro di catalogazione e schedatura, che saranno presentati con periodicità.
Ma un museo di Arte Moderna e Contemporanea è anche votato all’analisi e allo studio delle nuove generazioni di artisti e al dibattito culturale che ne deriva (l’installazione di Maurizio Nannucci posta alla sommità della GAM che recita ALL ART HAS BEEN CONTEMPORARY è quasi un “memento”) per questo la ricerca e la sperimentazione dei nostri giorni trovano spazio attraverso GAM Underground Project. Le sale del seminterrato diventano un laboratorio nel quale giovani artisti già conosciuti a livello internazionale si confrontano con uno spazio istituzionale, portando avanti la propria sperimentazione e mostrandola al pubblico grazie a un ciclo di mostre personali e tematiche.
Anche i Servizi educativi e la Videoteca GAM trovano nuovi spazi. La Didattica raddoppia, con la sala del piano terra dedicata alle attività per le scuole e un’apertura sul giardino per il relax dei bambini, oltre una parte della libreria destinata ai ragazzi. Nel seminterrato invece un’area adibita alle attività per il pubblico adulto (incontri, dibattiti, workshop e conferenze).
La Videoteca si sposta dalla saletta del secondo piano ad un ampio locale nel seminterrato che offre agli utenti un ambiente confortevole per la conoscenza e lo studio del patrimonio di video, film d’artista e documentari presenti in uno degli archivi più completi d’Europa. Uno spazio della videoteca sarà destinato a mostre di installazioni video dal patrimonio del museo, presentazione di nuove acquisizioni e anteprime. La GAM infine si presenta con una nuova veste grafica: la comunicazione del museo, che comprende i manifesti, le locandine, gli inviti, i depliant e la grafica di sala, è stata affidata, dopo un’attenta selezione, a labxyz, uno studio di giovani creativi che hanno ripensato l’immagine coordinata secondo un criterio innovativo e al passo con i tempi.
LE COLLEZIONI
La rilettura del patrimonio della GAM attraverso le gallerie tematiche che presentano le collezioni avviene lungo tre diversi livelli di sapere: un primo livello teorico (scelta dei temi secondo un criterio che coinvolge distinte discipline) un secondo storico-artistico (analisi degli stessi temi in una luce storico-artistica) e un terzo di struttura visiva (scelta delle opere e allestimento). I quattro docenti chiamati a fornire al museo i primi temi su cui lavorare hanno avuto il compito di presentare un tema e un testo che analizzi secondo la propria disciplina tutte le sfaccettature dell’argomento. Il professor Antonio Schizzerotto (Ordinario di Sociologia dell’Università degli Studi di Trento) ha scelto il tema dell’INFANZIA, il professor Roberto Grandi (Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Bologna) si è orientato verso il GENERE (nel senso di format, ripetizione. Una serie di codici), il professor Pietro Montani (docente di Estetica alla Sapienza di Roma) ha optato per LA SPECULARITÀ e il professor Giorgio Ficara (ordinario di Letteratura Italiana all’Università di Torino) per LA VEDUTA. Per permettere di aprire nuovi confronti con il vasto mondo accademico italiano, i quattro temi sono poi stati affidati a quattro storici dell’arte (Ester Coen, Michele Dantini, Maria Teresa Roberto e Carlo Sisi) che sono stati invitati ad affrontare le implicazioni e gli sviluppi dei temi nella storia dell’arte, poi riassunti in un testo critico, a far da cerniera tra il primo e il terzo livello. In ultimo il Direttore e lo staff scientifico della GAM (Danilo Eccher, Riccardo Passoni, Virginia Bertone ed Elena Volpato), traendo spunto dai due testi prodotti per ogni galleria tematica, hanno scelto le opere e affrontato l’allestimento delle quattro sezioni. La sfida che si cerca di vincere, dopo aver raccolto ogni anno in un catalogo il lavoro fatto, sarà quella di poter avere a disposizione, tra cinque anni, un cofanetto di volumi che raccolga una variegata rilettura delle collezioni viste da prospettive completamente diverse tra loro.
LA MOSTRA
Il Teatro della Performance
La nuova stagione espositiva della GAM prende il via con una grande mostra storica, curata da Danilo Eccher, dedicata alla ricerca performativa che, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, ha caratterizzato il lavoro di un gruppo di artisti determinando profondi sviluppi nei decenni successivi. Il Teatro della Performance non è una mostra di documentazione, non si concentra sulla registrazione dell’atto, ma sulla scena del suo accadere. Presenta l’architettura e la fisicità del teatro che ha accolto l’azione, si sofferma sulla struttura scenica prodotta dall’artista, sullo spazio pensato, creato e spesso modificato dall’azione. In mostra lavori di Kazuo Shiraga, esponente del gruppo Gutai, Hermann Nitsch, Michelangelo Pistoletto, Gilbert & George, Marina Abramović che sarà presente a Torino e proporrà uno storico incontro con il pubblico della mostra, Paul McCarthy, e John Bock.
La scelta degli artisti prende le mosse da alcuni studi di una possibile mappa performativa, individuando protagonisti distinti di diversi itinerari artistici. Un’attenzione particolare è stata posta al gruppo Gutai presente a Torino nel 1959 e a Shiraga che ha realizzato la sua prima personale nel 1962. La centralità di Torino è anche testimoniata dalla presenza di Michelangelo Pistoletto, protagonista di importanti stagioni creative dagli anni Sessanta a oggi, o di Gilbert & George di cui si ricorda la prima performance realizzata nelle stesse sale della GAM nel 1970.
GAM UNDERGROUND PROJECT
Ian Kiaer
GAM Underground Project è un luogo di ricerca dove analisi e sperimentazione intrecciano i loro cammini. Non è una project room, ma un vero e proprio spazio museale che la GAM mette a disposizione per l’espressione e lo studio dell’arte contemporanea attraverso un ciclo di mostre personali e collettive e una collana di cataloghi e libri d’artista. Il ciclo espositivo è curato da Elena Volpato e nasce con l’intento di indagare l’arte attuale nella sua relazione con la cultura del secolo passato, con la ambigua forza dell’influenza modernista, che sia di ascendenza razionalista o più esplicitamente visionaria e surreale. Dà il via al progetto la personale dedicata a Ian Kiaer, (nato a Londra nel 1971) di cui si presenta per la prima volta, in una grande mostra, il lavoro nel suo complesso. 21 installazioni raccontano dieci anni di lavoro, ricostruendo avventure creative nate talvolta a distanza di anni, ma derivanti dallo stesso ceppo di riferimenti concettuali ed estetici, dalla suggestione di un medesimo sogno architettonico e urbanistico, da un’utopia o dalla forza pittorica di un’unica immagine. L’opera di Kiaer intreccia la sfera del passato con il concetto di nuovo e futuro, consapevole di ogni possibile fallimento, ovvero dell’umbratile zona crepuscolare in cui riposa ogni grande sogno avveniristico.
LA WUNDERKAMMER
Pietro Giacomo Palmieri celebre disegnatore a penna
GAM Underground Project è un luogo di ricerca dove analisi e sperimentazione intrecciano i loro cammini. Non è una project room, ma un vero e proprio spazio museale che la GAM mette a disposizione per l’espressione e lo studio dell’arte contemporanea attraverso un ciclo di mostre personali e collettive e una collana di cataloghi e libri d’artista. Il ciclo espositivo è curato da Elena Volpato e nasce con l’intento di indagare l’arte attuale nella sua relazione con la cultura del secolo passato, con la ambigua forza dell’influenza modernista, che sia di ascendenza razionalista o più esplicitamente visionaria e surreale. Dà il via al progetto la personale dedicata a Ian Kiaer, (nato a Londra nel 1971) di cui si presenta per la prima volta, in una grande mostra, il lavoro nel suo complesso. 21 installazioni raccontano dieci anni di lavoro, ricostruendo avventure creative nate talvolta a distanza di anni, ma derivanti dallo stesso ceppo di riferimenti concettuali ed estetici, dalla suggestione di un medesimo sogno architettonico e urbanistico, da un’utopia o dalla forza pittorica di un’unica immagine. L’opera di Kiaer intreccia la sfera del passato con il concetto di nuovo e futuro, consapevole di ogni possibile fallimento, ovvero dell’umbratile zona crepuscolare in cui riposa ogni grande sogno avveniristico.
Al link, vedete bellissime fotografie:
http://www.gamtorino.it/descmostra.php?id=161&lang=1
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