Bolivia controcorrente, si andrà in pensione prima 04.12.2010
Approvata la riforma voluta dal presidente Evo Morales: il sistema previdenziale torna in mano pubblica e l’età minima scende da 65 a 58 anni. La protezione sarà estesa anche a chi lavora in nero e non ha alcuna copertura. Industriali sulle barricate
Mentre in tutto il mondo “sviluppato” si varano riforme che prevedono un innalzamento dell’età pensionabile, la Bolivia, guidata dal presidente Evo Morales, lancia una sfida al pianeta e taglia l’età minima di ritiro rimettendo contemporaneamente in mano pubblica i fondi pensionistici.
Il Congresso del Paese sudamericano – come riferisce l’agenzia Ap – ha infatti approvato una riforma che stabilisce a 58 anni l’età di pensionamento, a fronte dei 65 anni finora previsti per gli uomini e dei 60 anni per le donne. Una riforma fortemente voluta da Morales, che ha anche deciso di estendere la protezione pensionistica a quella maggioranza di popolazione, il 60 percento che lavora in nero e non ha alcuna copertura.
Sulle barricate la federazione delle imprese boliviane che si è scagliata contro una riforma che ritiene “insostenibile”. Gli industriali richiamano l’esperienza di 30 anni fa quando le pensioni pubbliche, finite al collasso erano state affidate a due maxi fondi privati, uno gestito da Zurich Financial, l’altro da Bbva.
Ma ora questi due fondi torneranno sotto il controllo pubblico. Verrà creato un “fondo di solidarietà” a cui dovranno contribuire lavoratori e imprese, e che erogherà, secondo questo progetto, pensioni minime a coloro che abbiano effettuato versamenti volontari per almeno 10 anni.
fonte: http://www.rassegna.it
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Democrazia del tumulto 07.12.2010
Francesco Raparelli
In ogni città si trovino questi sua umori diversi; e nasce da questo che il populo desidera non essere comandato ne’ oppresso da grandi, e li grandi desiderano comandare e opprimere il populo. “Machiavelli, Principe IX”
Ci rivolgiamo ad un grande italiano – che non si è distinto nella produzione di scarpe ‒ per trovare le parole giuste, per raccontare le passioni politiche di questi giorni felici. Con una certa insistenza, infatti, sono proprio le passioni ad occupare la scena del discorso politico e giornalistico: per il Censis gli italiani hanno perso il desiderio, mentre Diamanti rintraccia negli studenti che si mobilitano un diffuso risentimento.
Proviamo a dirla così: mai come in questi giorni (salvo riferimenti nobili alle gesta degli anni migliori) il desiderio degli italiani è stato tanto creativo. Desiderio di libertà e gioia del tumulto. Indignazione, contro quello che Luciano Ferrari Bravo definì con largo anticipo Stato-mafia o Stato-racket (nefasta espressione politica della crisi della rappresentanza), di certo nessuna mentalità da schiavi, nessun risentimento. Il risentimento continua ad essere quello di chi “non vuole marocchini a Bergamo”, nulla a che vedere con le lotte radicali e determinate di chi vuole respingere il DDL e, più in generale, vuole riprendersi il futuro. Indubbiamente è il “furto di futuro” ciò che ha reso le proteste così contagiose. Un furto violentissimo (perché di questo si è trattato) che deve cominciare a fare i conti con l’ostilità senza timidezze della generazione precaria. Una generazione che in questi anni ha sviluppato, nell’insistenza delle lotte studentesche, una straordinaria maturità politica, un lessico affilato, pratiche di conflitto incisive. Difficilmente, nelle interviste che si ascoltano in questi giorni, nei Tg o nelle radio, si incontrano parole superficiali o slogan ripetitivi: ognuno sa raccontare la verità che nella lotta sta scoprendo, meglio, sta facendo emergere. Una verità che parla della dismissione dell’università e della scuola pubbliche e della povertà di chi lavora, della corruzione di chi ci governa, compagna fidatissima della violenza del rentier, degli hedge fund e delle banche, chi in questo trentennio si è arricchito senza posa e oggi vuole far pagare al mondo i conti del proprio collasso. Verità sul potere che viene raccontata senza esitazioni, ma anche verità delle lotte: nella piazza, dove si ritrova la voce e il corpo, si rilancia con forza, contro le retoriche del merito, una grande sfida ugualitaria. Una formazione pubblica e di qualità per non essere ricattati, per respingere la precarietà, per rovesciare i rapporti di forza nel mercato del lavoro. E vi pare poco?
Ed è proprio questa determinazione che ha per adesso fermato la furia devastatrice di Gelmini e Tremonti. Un bell’esempio di democrazia del tumulto, dove i conflitti radicali impongono dal basso un ripensamento dell’agenda politica. Rende lieti, dopo un anno di insopportabile esitazione, la schieramento compatto e combattivo delle opposizioni, giustamente rivendicato da Walter Tocci sulle pagine de il manifesto. Ma sarebbe stato possibile tutto questo senza la piazza? Sarebbe stato possibile senza la straordinaria (già epocale) giornata del 30 novembre? Ricordiamolo, perché nel farlo ci ricordiamo l’inutilità di trent’anni di pensiero politico normativo: quasi 10 ore di assedio di Montecitorio, 16 stazioni occupate, quattro svincoli autostradali, decine di città bloccate, 400 mila studenti in piazza in tutta Italia, 50 mila solo a Roma. Siamo stati anni a parlare di sciopero generalizzato, di blocco del paese, forse lo scorso martedì siamo andati nella direzione giusta. Un prototipo di nuova democrazia, nell’epoca della governance e della crisi del capitalismo globale.
Cosa succede ora? Per rispondere a questa domanda è necessario porsi due problemi. In primo luogo, se per un verso è corretto dire we are winning e questa cosa cosa, nella potenza del present continuous, dobbiamo ripeterla e scriverla dappertutto, per l’altro è anche vero che dobbiamo ancora vincere. La data del 14, da questo punto di vista, è decisiva. «Staccare la spina» a questo governo significa bloccare il DDL, significa, per la prima volta, portare a casa un risultato in grado di rilanciare, materialmente, la sfida sull’autoriforma dell’università. Andare oltre il DDL, infatti, vuol dire innanzi tutto fermarlo.
Secondo problema: cosa accade dopo il 14. È evidente che il «governo d’armistizio» che ci attende non sarà un problema di poco conto. Sarà fino in fondo governo della crisi (altro che riforma elettorale!), gestione della macelleria sociale che ci verrà imposta da hedge fund e Fmi. Non è un caso che i più prudenti (Casini) desiderano condividere la responsabilità con il Pd, consapevoli che il consenso raccolto dai conflitti studenteschi di questi giorni (ben chiarito dall’inchiesta di Diamanti) non è fenomeno transitorio o marginale: il paese guarda agli studenti come ad una singolarità, un punto di ebollizione, il passaggio ad una fase nuova, dove perde senso la rassegnazione di sempre. Ancora, il successo del 14 può fare la differenza! Invadere Roma in quel giorno, riempire di gioia e di determinazione le piazze, gridare, come in Argentina, que se vayan todos, ecco, tutto questo può cominciare ad esibire la spinta costituente di un’altra sfiducia, una sfiducia che non vuole chiudere i conti solo con Berlusconi, ma anche con il berlusconismo, una sfiducia che riguarda il DDL Gelmini e il modello Marchionne, il Collegato lavoro e il razzismo di Stato, la privatizzazione dell’acqua e la devastazione ambientale dei territori; affinché la democrazia del tumulto che abbiamo visto all’opera in questi giorni da eccezione si trasformi in processo. Per quanto siamo consapevoli che lo spazio politico garantito al conflitto dall’anti-berlusconismo tenderà a rattrappirsi con un governo di larghe intese, siamo altrettanto consapevoli che c’è una spinta padronale alla modernizzazione (basta leggere Il Sole 24 ore) che non può fermarsi tanto facilmente. Si tratta di una modernizzazione capitalistica (più investimenti su innovazione e ricerca, infrastrutture e mobilità), indubbiamente, ma non necessariamente sarà un movimento lineare. Basta ripensare alle sorti del DDL Gelmini per capire questa cosa: presentato tra gli applausi del Corriere e il silenzio dell’opposizione, il DDL oggi non viene difeso quasi più da nessuno e la maggioranza lo vota strumentalmente, per rispondere a problemi di altra natura. Lo spazio rimane aperto, se con intelligenza e determinazione sapremo evitare che la “porta si chiuda”.
Tornando alle passioni, per finire. Abbiamo scommesso sulla nostra eternità e in effetti ne abbiamo fatto esperienza. Ma le esperienze di questo tipo ci fanno fare i conti con delle forze talmente grandi (quasi come Moby Dick) che non è più possibile tornare indietro. Delle forze che ci ricordano che quanto di più intimo possiamo incontrare nei nostri giorni finiti sta fuori di noi, è la bellezza delle lotte, il coraggio dei corpi, la gloria dei sorrisi. Il cantiere è aperto, il futuro è in costruzione.
Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma, e che considerino più a’ romori e alle grida che di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano. Machiavelli, Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio I, 4
http://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/1129-francesco-raparelli-democrazia-del-tumulto
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Il potere digitale 08.12.2010
di STEFANO RODOTA’
Qual è in destino degli arcana imperii al tempo di WikiLeaks? Questa domanda rimbalza da un punto all’altro del mondo. La via per trovare la risposta è indicata da un titolo del Guardian: “La rivoluzione è cominciata e sarà digitale”. Una rivoluzione annunciata, che non sarà fermata dall’arresto di Julian Assange, per altro legato a ragioni che nulla hanno a che fare con WikiLeaks.
Troppe reazioni di questi giorni palesano arretratezza culturale, ritardi politici, contraddizioni clamorose, incomprensione di che cosa sia la Rete, quali le sue dinamiche e i suoi effetti. E allora bisogna partire da una analisi della sua vera natura, dall’intreccio tra rottura e continuità che in essa si manifesta, dal nuovo contesto politico e sociale, dalla incessante ridefinizione di che cosa sia trasparenza. In sintesi: a quale redistribuzione del potere siamo di fronte?
Fughe di notizie riservate, rivelazioni di documenti segreti non sono una novità. Quel che cambia è la scala, la dimensione del fenomeno: la circolazione planetaria di masse ingenti di dati ha fatto divenire assai agevole il “cercare, ricevere, diffondere” informazioni. Sono le parole della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu sulla libertà di espressione. E l’articolo 21 della nostra Costituzione sottolinea come tutti abbiano diritto alla libera manifestazione del pensiero con qualsiasi “mezzo di diffusione”. Questi principi valgono anche nel mondo nuovo della tecnologia digitale, ci ricordano
che il tema è quello della tutela di una libertà preziosa, informare e essere informati, non a caso indicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo come uno dei fondamenti della democrazia.
Lo scandalo è WikiLeaks o l’incomprensione e l’inconsapevolezza degli Stati nell’affrontare lo “tsunami digitale” che già caratterizza il tempo presente e sempre più disegnerà il futuro? È stata colta l’opportunità tecnologica per far crescere quasi senza limiti la raccolta delle informazioni e la loro conservazione in banche dati sempre più gigantesche. Ma questo mondo è troppo spesso governato da una cultura assai simile a quella degli antichi archivi, protetti dalle loro stesse caratteristiche fisiche – carta, schede, dischi – che rendevano difficile l’accesso e la circolazione delle informazioni raccolte. E invece le informazioni sono divenute sempre più facilmente reperibili, alla portata di molti, accessibili a distanza, agevoli da divulgare.
Questa nuova dimensione della documentalità, sulla quale insiste Maurizio Ferraris, non è stata colta, soprattutto nei suoi effetti politici e sociali. Una sorta di delirio di onnipotenza dei gestori delle banche dati ha impedito di rendersi conto che crescevano, insieme, trasparenza e vulnerabilità. Ma soprattutto non si è avvertito che lì si stava depositando un nuovo sapere sociale, della cui importanza e utilizzabilità si rendevano conto più i cittadini che i detentori delle informazioni.
Questo solo fatto redistribuiva potere, ed era evidente che una così inedita opportunità prima o poi sarebbe stata colta. Bastava prestare l’orecchio al rumore sociale presente in rete, dove si sono moltiplicati i siti che rendono pubbliche anche informazioni riservate, la cui fonte è molto spesso costituita da persone ben inserite nei luoghi ai quali le informazioni si riferiscono. Considerata la sterminata dimensione del mondo in cui questi fenomeni si manifestano, coincidente con l’intero pianeta, e la moltitudine di persone che lo abitano, v’era solo da attendere il momento in cui si sarebbe passati da una scala abbastanza ridotta ad una globale. Quel momento è venuto.
Stiamo davvero vivendo un cambio di paradigma. E gli effetti indesiderati non si affrontano con gli esorcismi o con l’eterna riduzione di problemi sociali e politici ad affare d’ordine pubblico. L'”emergenza” WikiLeaks farà sicuramente aumentare la sicurezza fisica e logica delle banche dati, si intensificherà la caccia agli Assange di turno. Ma un nuovo mondo è lì, e non può essere rimosso. Sembra che siano già centomila le persone che fanno affluire nuovi documenti a WikiLeaks. E questo vuol dire che il modello è destinato a diffondersi, a divenire un elemento stabile nel panorama sociale. Le strategie politiche e istituzionali, allora, devono essere diverse, irriducibili alla logica della semplice repressione, svincolate dall’illusione di restaurare gli arcana imperii. Come si dice? Nulla sarà come prima.
È bene che sia così. Commentando la diffusione di documenti sulla guerra in Iraq da parte di WikiLeaks, Antonio Cassese ne ha sottolineato il valore etico, perché faceva conoscere l’inammissibile ricorso alla tortura, con la sua negazione dell’umano prima ancora della violazione dei principi minimi della democrazia. Davvero questo tipo di documentazione “alle genti svela/ di che lagrime grondi e di che sangue” la politica di potenza. Possiamo rinunciare a una così importante trasparenza, o dobbiamo considerare benvenute le tecnologie che la permettono?
Ma, al di là della tutela del segreto, si è giustamente osservato che vi sono rivelazioni che, pur benemerite nel loro contenuto generale, possono includere dettagli tali da mettere a rischio diritti fondamentali o la vita stessa delle persone. Qui si coglie un aspetto importante di questa vicenda, con una significativa congiunzione tra vecchio e nuovo mondo della comunicazione. WikiLeaks ha affidato selezione e diffusione delle informazioni a cinque grandi giornali, i cui giornalisti si sono impegnati proprio nel compito di evitare che la pubblicazione dei documenti mettesse a rischio vite umane o fonti giornalistiche, né rivelasse materiali tali da compromettere operazioni militari in corso. La vecchia stampa, data per morta, mette la sua autorevolezza al servizio del nuovo Internet. Pure le rivoluzioni, lo sappiamo, hanno bisogno di una certa continuità. E questa funzione della stampa di “certificare l’attendibilità” può diventare ancora più importante quando si tratta di informazioni e documenti di cui sia dubbia l’origine o la veridicità dei contenuti.
WikiLeaks, dunque, si muove su diversi piani, adotta “strategie da bracconiere”, già ben note, sfruttando i vantaggi delle diverse legislazioni nazionali. Anche qui cogliamo una tendenza più generale, che precede e va oltre questa specifica vicenda. La Svezia non è solo il paese che chiede l’arresto di Assange per stupro, ma il luogo dove una lunghissima tradizione di trasparenza garantisce un’assoluta riservatezza sulle fonti. L’Islanda ha appena approvato una legge che legittima la pubblicazione anche di documenti segreti; il governo tedesco ha preso una iniziativa nella stessa direzione, come aveva già fatto la Corte di Strasburgo e come sta avvenendo in molti paesi.
È bene essere consapevoli che WikiLeaks enfatizza e rende più evidente una linea istituzionale che si diffonde e si consolida, che mette al centro il diritto di sapere come opportunità offerta a una democrazia sempre più catturata da altri meccanismi. Gli Stati più consapevoli mostrano di sapere che non ci si può arroccare nel segreto. Sta cambiando l’intero ambiente istituzionale. Solo se si parte da questa constatazione si può poi affrontare il tema dei possibili bilanciamenti tra trasparenza e riserbo. Il Premio Nobel Liu Xiaobao ha detto che “Internet è un dono di Dio alla Cina”. Solo a questa?
http://www.repubblica.it/esteri/2010/12/08/news/il_potere_digitale-9950597/?ref=HRER1-1
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TOGHE
Di Liala Milella
L’esempio di Grevi 07.12.2010
Non me ne vorranno, spero, i magistrati se cito ancora le loro mailing list. Dove per giorni, con toni e parole accorate, s’è accavallato il cordoglio per la morte improvvisa e del tutto inaspettata di Vittorio Grevi. Un maestro del diritto. Di cui colpiva la forza della dottrina, scevra dalla forzatura politica. Era scienza, la sua. E basta. Tant’è che nei messaggi non ci sono frasi di cortesia, ma dolore vero, quello di chi dice “se n’è andato uno che non potremo sostituire”.
Anche al funerale e alla commemorazione nella sua università di Pavia, un giorno prima dell’Immacolata, le toghe non sono volute mancare. Eccole sfilare. Da Roma il presidente della Suprema Corte Ernesto Lupo. Con i colleghi del palazzaccio come Mimmo Carcano. Tra questi Giorgio Lattanzi, appena “promosso” alla Corte costituzionale. Da Milano il procuratore generale Manlio Minale, i vertici della procura, con il capo Edmondo Bruti Liberati e l’aggiunto Armando Spataro. E tanti pm e giudici che sono stati suoi allievi. Da Torino il pg Marcello Maddalena e il procuratore Giancarlo Caselli. E sempre da Torino due figure di prestigio, i fratelli Zagrebelsky, Gustavo ex della Consulta e Vladimiro, ex della Corte di Strasburgo. Dal Csm un togato, Aniello Nappi, e un laico, il professor Glauco Giostra.
E i politici che pure lo invitavano ai convegni? Neppure l’ombra. Né di destra né di sinistra. Senso di colpa?
Il sospetto è lecito. L’unico che ne pronuncia il ricordo è Virginio Rognoni, l’ex vicepresidente del Csm, pavese anche lui e suo stretto amico. Il Csm. Una spina per Grevi. Sarebbe fargli un torto scatenare proprio adesso la polemica sul perché lui al Csm non ci sia andato. Pur se Di Pietro ne aveva lanciato pubblicamente la candidatura sfidando il Pd. Una parte dei Democratici l’avrebbe voluto, un’altra s’è nascosta dietro il centrodestra, sostenendo che dal Pdl arrivava un veto insormontabile. Lui, equilibrato, moderato, uno scienziato e basta, non ha fiatato. Un esempio da seguire nell’Italia dove non si fa che sgomitare e alzare la voce.
http://www.repubblica.it/rubriche/toghe/2010/12/07/news/toghe_7_dicembre-9945574/
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Scenario del secondo decennio 07.12.2010
L’arresto di Julian Assange suona campane a morto per la democrazia occidentale. L’hanno acciuffato, gli hanno tagliato i fili e i fondi. Cos’ha fatto quest’uomo? Ha semplicemente dimostrato la potenza della rete. Le autorità occidentali, che tanto si sdegnano per la censura cinese, si comportano esattamente come Hu Jintao, quando la potenza della rete pratica la glasnost, la trasparenza, mettendo a nudo la realtà del potere.
Cosa ci insegna l’esperienza Wikileaks? Che i diplomatici fossero pagati per indorare la pillola lo sapevamo, che i militari fossero pagati per sparare sui civili lo avevamo capito. Ma non è questa la lezione che viene dall’esperienza Wikileaks.
Quell’esperienza ci insegna che la rete cognitaria può battere il potere. Nelle strutture del potere (quelle militari, diplomatiche e finanziarie) ci sono dei lavoratori cognitivi: programmatori informatici, giornalisti o tecnici dell’hardware. Questi stanno scoprendo l’infinita potenza dell’intelligenza collettiva.
La battaglia contro la dittatura finanziaria del semiocapitale è cominciata.
E’ una battaglia dell’intelligenza collettiva contro la diffusione dell’ignoranza che il potere persegue in modo sistematico.
Gli studenti e i ricercatori che scendono in strada a Londra come a Roma e Milano e Bologna stanno combattendo questa battaglia.
I governi sono sempre più chiusi nella loro ossessione monetarista liberista e oscurantista. Non cedono alle pressioni della piazza. Vanno avanti verso la recessione, verso l’impoverimento generalizzato, verso la distruzione della civiltà sociale.
Sarkozy non si è fermato davanti a tre milioni di persone che hanno occupato le piazze per mesi. E’ andato avanti.
Il governo Berlusconi va in pezzi, ma il disegno di privatizzazione del sistema educativo non si ferma, la distruzione della scuola pubblica procede. Vanno avanti.
Ma noi dobbiamo saperlo: che si vinca o si perda questa battaglia sulla scuola pubblica, la lotta tra dittatura dell’ignoranza e intelligenza collettiva è solo cominciata.
Nelle lotte studentesche e operaie di questi mesi c’è l’inizio di un processo che durerà per un tempo assai lungo. Nel collasso d’Europa di cui abbiamo appena visto le prime scene, il movimento creerà le condizioni per l’autorganizzazione dell’intelligenza collettiva, per la sua autonomia dalla regola idiota del profitto.
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Pioggia artificiale contro lo smog a Teheran 09.12.2010
Dal 7 dicembre cinque aerei stanno lanciando acqua sui quartieri più inquinati di Teheran per tentare di abbassare i livelli di smog. Questo è il secondo provvedimento ”anti-inquinamento” del Ministero della Salute che già i primi di dicembre aveva fatto circolare le auto a targhe alterne e chiudere per due giorni banche, uffici pubblici e università.
Nonostante questi provvedimenti sembra che al momento il livello di inquinamento di Teheran sia ancora troppo alto tanto che il governo ha incaricato un gruppo di ricercatori di trovare un modo per aumentare le precipitazioni oppure per cambiare le rotte dei venti.
Causa principale dell’inquinamento nella capitale della Repubblica Islamica è l’altissimo numero di auto che ogni giorni vi circolano aggiunto ai gas prodotti dalle fabbriche in periferia.
Via | Ecodallecittà
Foto | PressTv
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La casa modulare e riciclata? Mai
Il Modulo abitativo Ivalsa del Cnr è resistente, facile da trasportare, a ridotto consumo energetico e si monta semplicemente avvitando i bulloni
Dopo i risultati ottenuti con Sofie, la casa di legno alta fino a 7 piani in grado di resistere a terremoti di alta intensità, i ricercatori dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche (Ivalsa-Cnr) di San Michele all’Adige (Tn) – in collaborazione con il Centro europeo di impresa e innovazione, Habitech – Distretto tecnologico trentino per l’energia e l’ambiente – e diverse aziende e consorzi artigiani del Trentino, sono ora impegnati nella sperimentazione del ‘Modulo abitativo Ivalsa’ (Mai), un edificio in legno con elevati livelli di modularità, prefabbricazione e sostenibilità.
“Si tratta di una struttura composta da cinque moduli prefabbricati e trasportabili”, spiega Paolo Simeone dell’Ivalsa-Cnr, ideatore del progetto insieme con Andrea Briani, “che vengono assemblati tra loro in modo da formare un unico edificio arredato, dotato di tutti i comfort e ad alto risparmio energetico”. Ciascun modulo Mai è infatti dotato delle componenti di un edificio finito: dai pavimenti all’impiantistica, fino ai rivestimenti interni. “Una delle caratteristiche assolutamente innovative, rispetto alla tradizionale prefabbricazione in legno, è che una volta arrivati sul posto non bisogna fare altro che avvitare dei bulloni”, prosegue Ario Ceccotti, direttore dell’Istituto Cnr e responsabile scientifico del progetto. “Con questo sistema, inoltre, è possibile costruire edifici di qualsiasi grandezza e forma architettonica”.
Mai è anche un esempio di sostenibilità ambientale. “Gli involucri esterni per le pareti sono stati progettati per ottenere valori di trasmittanza e sfasamento termici da ‘casa passiva’, evitando così l’utilizzo di impianti di riscaldamento convenzionale”, dichiara Paolo Simeone. “In copertura un modulo ospita un sistema integrato di solare termico, mentre due moduli sono coperti da un tetto verde in grado di controllare lo scarico a terra delle acque piovane”.
Uno speciale rivestimento interno garantisce la resistenza al fuoco, mentre esternamente una facciata ventilata di tavole di legno e una guaina traspirante impermeabile proteggono gli strati di fibra di legno dalla pioggia diretta e dalle radiazioni ultraviolette. “Tutto il legno impiegato, prevalentemente di conifere, proviene da foreste certificate del Trentino e la struttura portante è realizzata con pannelli X-lam provenienti dalle prove effettuate nei quattro anni di studi sulla casa antisismica del progetto Sofie”, prosegue il ricercatore. Un prodotto di ‘riciclo’, ma senza rinunciare al design. “Gli arredi, pensati su misura e per ottimizzare gli spazi, sono realizzati con legno massiccio al naturale non trattato, o placcato con materiali compositi a base di fibre ottenute al 100% da carta riciclata e privi di resine derivate dal petrolio”, conclude Simeone.
Per i giornalisti sono disponibili video e immagini ad alta risoluzione.
Roma, 7 dicembre 2010
La scheda:
Chi: Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Cnr di San Michele all’Adige (Tn)
Che cosa: sperimentazione del Mai (Modulo abitativo Ivalsa)
Per informazioni: Maria Giovanna Franch, Cnr-Ivalsa, tel 0461/660220, e-mail franch@ivalsa.cnr.it
http://www.stampa.cnr.it/DocUfficioStampa/comunicati/italiano/2010/Dicembre/98_DIC_2010.HTM
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Premio nazionale per l’innovazione: vince il progetto del Cnr Amolab
L’innovativo dispositivo biomedicale a ultrasuoni che consente un monitoraggio non invasivo dello stato di avanzamento del parto, realizzato da ricercatori dell’Ifc-Cnr di Lecce, si è aggiudicato l’edizione 2010 del Pni conclusa oggi a Palermo. Gli organizzatori della Start Cup Cnr-Il Sole 24 Ore si sono aggiudicati la Coppa dei Campioni della competizione tra i progetti d’impresa di università ed enti di ricerca
È andato al progetto Amolab – presentato dai ricercatori dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce (Ifc-Cnr) Sergio Casciaro, Francesco Conversano ed Ernesto Casciaro, in collaborazione con gli imprenditori Matteo e Stefano Pernisa – il Premio nazionale innovazione 2010, la più importante competizione nazionale per progetti d’impresa ad alto contenuto innovativo nati in ambito universitario e degli enti pubblici di ricerca. La finale del Pni si è svolta a Palermo, tra le oltre 60 idee imprenditoriali vincitrici delle principali Start Cup e Business plan competitions bandite da atenei e regioni italiane.
Amolab era stato già selezionato dalla giuria della Start Cup Cnr-Il Sole 24 Ore, durante la finale svoltasi il 4 novembre scorso al Festival della Scienza di Genova, per l’area Sud. Il progetto riguarda il settore dell’ostetricia ginecologica, in particolare il monitoraggio della progressione del parto, che ancora oggi ‘soffre’ della mancanza di dispositivi sicuri in grado di misurare in modo non invasivo e obiettivo i principali parametri relativi alla buona riuscita del parto stesso.
Quest’innovativo dispositivo biomedicale a ultrasuoni consente tale monitoraggio rendendo disponibili in real time gli indicatori di progressione del parto: in questo modo si punta a ridurre significativamente sia i rischi di scelte inappropriate da parte di medici e operatori, sia il numero di interventi chirurgici ‘non necessari’, a vantaggio della salute sia delle gestanti sia dei nascituri. Si stima infatti che attualmente i parti di tipo chirurgico con un errore di diagnosi arrivino fino al 40% dei casi; inoltre la frequenza dei tagli cesarei in Italia – attestata intorno al 38%, con picchi di oltre 60% in alcune regioni e in rapida crescita rispetto allo scorso decennio – va decisamente contro il tetto massimo del 15% posto dalla World Health Organization.
“Il riconoscimento tributato ad Amolab nell’ottava edizione del Premio nazionale per l’innovazione ci rende orgogliosi e conferma l’ottima qualità del lavoro dei ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche, sempre più capaci di concretizzare i risultati scientifici in progetti di impresa, come testimonia la presenza di numerose idee ‘made in Cnr’ nella competizione Pni 2010”, commenta il presidente dell’Ente, Luciano Maiani. “Il Consiglio nazionale delle ricerche si conferma dunque per la sua ricerca scientifica di livello, abbinata al ruolo di incubatore di nuove imprese ad alto tasso tecnologico. Un passaggio complesso, che abbiamo però deciso di favorire e migliorare dotandoci di strumenti adeguati e competitivi per sostenere quei ricercatori che decidono di scommettere su se stessi e sul proprio lavoro. La modernizzazione e il progresso del Paese poggia anche sulla capacità di far fruttare al meglio i nostri risultati scientifici”.
“Sono veramente orgogliosa della qualità del contributo dei nostri ricercatori a questa manifestazione”, fa eco il Technology transfer officer del Cnr, Manuela Arata, che si è aggiudicata per quest’anno, insieme a Cino Matacotta, la Coppa dei Campioni Pni come organizzatori della Start Cup Cnr-Il Sole 24 Ore 2010.
Il progetto Amolab, frutto dell’incontro di talenti e competenze differenti che spaziano dalla ricerca in ambito bioingegneristico a competenze manageriali di giovani imprenditori del settore biomedicale, si è aggiudicato un premio di 50 mila euro offerti da Intesa San Paolo, finalizzato ad avviare l’idea di business. Il dispositivo è già in fase avanzata di sviluppo, avendo all’attivo due brevetti internazionali e già completato lo sviluppo del cuore della tecnologia in forma prototipale.
Roma, 3 dicembre 2010
La scheda
Chi: Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce (Sergio Casciaro, Francesco Conversano ed Ernesto Casciaro)
Che cosa: Amolab vince il Premio nazionale innovazione 2010
Per informazioni: Francesca Gorini, Ufficio Psc-Cnr, tel. 010/6598742, e-mail francesca.gorini@cnr.it; Guido Schwarz, portavoce del presidente del Cnr, tel. 06/49932309, e- mail guido.schwarz@cnr.it
http://www.stampa.cnr.it/DocUfficioStampa/comunicati/italiano/2010/Dicembre/97_DIC_2010.HTM
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Immanuel Wallerstein
Vogliamo parlare di povertà? 08.12.2010
Per i quindici-venti anni (1975-1995 circa) in cui il consenso con il discorso di Washington ha dominato nel sistema-mondo, la povertà – che pure andava aumentando a passi da gigante – era una parola tabù. Ci avevano spiegato che l’unica cosa che contava era la crescita economica e che l’unica strada per arrivare alla crescita economica era quella del «mercato» la cui logica doveva prevalere senza interferenze da parte degli «statisti» – salvo naturalmente quelli del Fondo monetario internazionale (Fmi) e del tesoro statunitense.
Dalla Gran Bretagna la signora Thatcher aveva lanciato il suo famoso slogan: «Non c’è alternativa», col che intendeva dire che non c’era alternativa agli Stati Uniti e, immagino, al Regno Unito. I paesi derelitti del Sud del mondo dovevano abbandonare la loro ingenua speranza di decidere del proprio destino. Così facendo un giorno (ma chi poteva dire quando?) sarebbero stati premiati dalla crescita, altrimenti erano destinati – posso osare dirlo? – alla povertà.
Fondo monetario e morbillo
Ma i giorni di gloria del consenso con Washington sono ormai lontani e per gran parte dei paesi del Sud del mondo le cose non sono migliorate – anzi -, e la rivolta era nell’aria. I neo-zapatisti si sono sollevati nel Chiapas nel 1994. Nel 1999 a Seattle i movimenti sociali hanno portato a un impasse l’incontro dell’Organizzazione mondiale del commercio (impasse da cui non si è mai ripresa). E nel 2001 nasceva a Porto Alegre il World Social Forum, destinato a una rapida espansione.
Quando nel 1997 esplose la cosiddetta crisi asiatica, causando gravi danni economici nell’est e nel sud-est asiatico, ed estendendosi a Russia, Brasile e Argentina, il Fmi ha tirato fuori dalla tasca la sua lista di richieste standard da imporre a quei paesi se volevano aiuto. La Malesia, che ebbe il coraggio di dire no, fu il paese che di fatto ne uscì più velocemente. L’Argentina, ancora più audacemente, rispose che avrebbe pagato il 30% sul debito o non se ne faceva niente.
Invece l’Indonesia si piegò e ben presto la lunga e apparentemente stabile dittatura di Suharto fu rovesciata da un’insurrezione popolare. Allora niente meno che Henry Kissinger se la prese col Fmi criticandone l’ottusità. Per il capitalismo mondiale e per gli Stati Uniti era più importante mantenere al potere un dittatore amico in Indonesia che non far rispettare a un paese il dettato di Washington. In una lettera aperta del 1998, Kissinger accusava l’Fmi di comportarsi «come un medico che si specializzi in morbillo e poi voglia curare ogni male con lo stesso farmaco».
Prima la Banca Mondiale e poi l’Fmi capirono la lezione: forzare i governi ad adottare le formule neo-liberali come politica (e come prezzo dell’aiuto finanziario quando il loro bilancio fa acqua) può produrre pessime conseguenze politiche. Dopotutto si scopre che delle alternative esistono: la gente si può sollevare.
Masse che non stanno al loro posto
Quando scoppiò la bolla successiva e il mondo entrò in quella che adesso viene chiamata la crisi finanziaria del 2007 o 2008, l’Fmi si fece ancora più comprensivo nei confronti di quelle spiacevoli masse che non sanno stare al loro posto e – ma guarda un po’ – scoprì la «povertà». Anzi non solo scoprirono la povertà ma si attrezzarono per fornire programmi per «ridurre» il livello della povertà nel Sud del mondo.
Vale la pena di capire la loro logica.
L’Fmi pubblica una rivista patinata trimestrale dal nome Finance & Development. Non si rivolge agli economisti professionisti ma a un più vasto pubblico di politici, giornalisti e imprenditori. Il numero del settembre 2010 riporta un articolo di Rodney Ramcharan che dice tutto già dal titolo: «La disuguaglianza è insostenibile».
Rodney Ramcharan è un «senior economist» del dipartimento africano del Fmi. E ci spiega come – è questa la nuova linea dell’Fmi – le «politiche economiche che si limitano a concentrarsi sui tassi di crescita standard potrebbero essere pericolosamente ingenue». Nel Sud del mondo la forte disuguaglianza può «limitare gli investimenti nel capitale fisico e umano che favoriscono la crescita ed aumentare la tendenza a una ridistribuzione sostanzialmente inefficiente».
Storcere il braccio alle élite
Ma c’è di peggio: la forte disuguaglianza «dà voce ai ricchi in misura ben più larga che alla sua disomogenea maggioranza». E questo a sua volta «può distorcere ulteriormente la distribuzione del reddito e ossificare il sistema politico, portando a conseguenze ancor più gravi nel lungo periodo».
Sembra che il Fmi abbia finalmente dato ascolto a Kissinger. Devono preoccuparsi, in particolare nei paesi dove la disuguaglianza è più marcata, delle masse straccione e anche delle élite che tendono a ritardare il «progresso» per mantenere il loro potere sul lavoro non specializzato.
Forse che l’Fmi è diventato il portavoce della sinistra mondiale? Non siamo così ingenui. Quello che vuole, e che vogliono anche i capitalisti più sofisticati di tutto il mondo, è un sistema più stabile in cui prevalgano i «loro» interessi di mercato. E questo richiede di storcere il braccio alle élite del Sud del mondo (e perfino a quelle del Nord del mondo) perché cedano un po’ dei loro famigerati profitti investendoli nei programmi per la «povertà» in modo da calmare la massa sempre più oceanica dei poveri e smorzare le idee di rivolta.
Può darsi che sia troppo tardi perché una simile strategia funzioni. Le fluttuazioni caotiche sono immense. E «la disuguaglianza insostenibile» cresce di giorno in giorno. Ma l’Fmi e quelli di cui rappresenta gli interessi non smetteranno di provarci.
Traduzione di Maria Baiocchi
Copyright by Immanuel Wallerstein
– distributed by Agence Global
http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/12/articolo/3812/
(*)Per comprendere che cos’è il “Washington consensus”, tradotto nell’articolo con l’espressione “consenso con il discorso di Washington”, vedi ad. es. qui su wikipedia – n.d.r (singolarità qualunque
http://materialiresistenti.blog.dada.net/)
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Inceneritore di Trento: chi c’è dietro 10.12.2010
Dietro ogni inceneritore c’è sempre un grande affare. Lo è stato per quello di Acerra, lo potrebbe essere per quelli siciliani (che l’attuale governatore Raffaele Lombardo ha definito “l’affare del secolo”), lo sarà anche per quello di Trento. Per dimostrarlo ora c’è un dossier, curato dall’associazione Ecce Terra.
Nel documento si legge l’intricato fascio di interessi pubblici-privati che sta dietro l’affare inceneritore: la politica regionale, provinciale e comunale, la Chiesa, A2a, Enercop, Caritro e Dolomiti Energia tutti insieme nel solito gioco di matrioske e scatole cinesi che portano al triste risultato che controllori e controllati sono gli stessi:
L’inceneritore, costruito e gestito da o per conto di Dolomiti Energia, sarebbe quindi controllato da un soggetto nella cui compagine sociale sarebbero presenti, al medesimo tempo, quelli che dovrebbero decidere e subire le tariffe di conferimento, quelli che dovrebbero controllare ed essere controllati, quelli che dovrebbero comminare e subire le sanzioni, pagarle ed incassarle, oltre a quelli che distribuirebbero, ma nello stesso tempo incasserebbero, i dividendi
A perderci, ovviamente, sono i cittadini che si troverebbero con il solito inceneritore sovradimensionato costretto a importare rifiuti da fuori regione per stare in piedi. Non prima di aver ucciso la raccolta differenziata, come succederebbe anche nel caso di un altro grande inceneritore in progettazione al nord Italia, quello di Parma.
Il dossier di Ecce Terra, consigliatissimo, è a questo indirizzo.
Via | Ecce Terra
Foto | Flickr
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Un test predice le malattie genetiche nei nascituri 09.12.2010
Un’analisi del sangue per le donne in gravidanza potrebbe essere sufficiente a scoprire eventuali malattie genetiche del nascituro.
Lo afferma uno studio pubblicato dalla rivista Science Translational Medicine, secondo cui in futuro questo test potrebbe sostituire quelli, molto più pericolosi, che prevedono di prelevare il Dna del bambino direttamente nel grembo materno.
I ricercatori dell’Università di Hong Kong sono partiti dalla scoperta, datata 1997, che nel sangue materno sono presenti diversi frammenti di Dna del feto.
In questi anni sono stati studiati diversi test in grado di predire singole malattie, come la sindrome di Down, o altre caratteristiche del bimbo come il gruppo sanguigno.
Ora il gruppo guidato da Dennis Lo ha riunito tutti i test in un’unica analisi, che prevede la ‘ricostruzione’ dell’intero Dna a partire dai singoli frammenti.
Nel caso descritto nell’articolo si è riusciti a individuare con successo nel feto alcuni geni che hanno indicato che il bimbo sarà portatore sano di beta-talassemia, ma che non svilupperà la malattia.
“Questo test – hanno spiegato gli autori – potrà essere usato soprattutto in particolari popolazioni in cui c’è una prevalenza di alcune malattie genetiche specifiche, evitando quelli più invasivi“.
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L’Italia senza inconscio. E senza desideri 10.12.2010
Massimo Recalcati
il Manifesto
Il recente rapporto annuale del Censis che descrive lo scenario sociale del nostro paese, come è stato notato da diversi commentatori, si nutre abbondantemente di concetti, figure e metafore tratte dalla psicoanalisi. Ida Dominijanni, sulle pagine del manifesto di sabato 6 dicembre, riconosceva nel mio ultimo libro, pubblicato a gennaio del 2010 da Cortina con il titolo L’uomo senza inconscio (Raffaello Cortina editore, Milano 2009), la fonte di ispirazione maggiore del ritratto che Giuseppe De Rita e il suo Centro Studi propongono per il nostro tempo. La sregolazione pulsionale e l’eclissi del desiderio, il dominio del godimento immediato, l’apologia del cinismo e del narcisismo, l’evaporazione del padre, sono tutti concetti che il lettore di L’uomo senza inconscio può facilmente ritrovare, alla lettera, nel rapporto del Censis. Lo stesso vale per la coincidenza tra la mia tesi di fondo e quella proposta da De Rita: la cifra nichilistica del nostro tempo si può sintetizzare parlando di una estinzione del soggetto del desiderio e di una apologia del godimento sregolato e immediato. Se un sociologo come De Rita utilizza un sistema concettuale direttamente derivato dalla clinica psicoanalitica, dobbiamo chiederci il perché di questa centralità assunta dalla psicoanalisi come modello interpretativo del presente. Provo a dare una risposta: forse perché è sempre più evidente che la dimensione del confronto argomentativo, o, se si preferisce, del conflitto delle interpretazioni, lascia il posto a moti pulsionali acefali, refrattari alla dialettica politica e vincolati a quella fascinazione macabra della pulsione di morte che nel nostro tempo sembra non trovare più argini simbolici sufficienti? Chiusura narcisistica, autoconservazione cinica, particolarismi etnici, atomizzazione dei legami sociali, disfacimento della legge simbolica, non sono, almeno nella prospettiva della psicoanalisi, classici esempi di dominio della pulsione di morte?
Proprio questa spinta alla morte è, a mio parere, il fondo oscuro di quella figura teorica che Lacan chiamava «il discorso del capitalista» e che non era l’esito di una avventura nell’economia politica, ma riguardava la fede nell’avere, la fede nell’oggetto del godimeno. Se il desiderio è senza oggetto perché è slancio, apertura verso il nuovo, verso l’alterità, verso l’imprevisto, se – appunto – il desiderio non ha mai un oggetto, «il discorso del capitalista» sostiene l’illusione che solo nella fede dell’oggetto vi sia salvezza. Di qui il carattere feticistico delle merci di cui Marx ha offerto la teoria insuperata, e di qui il carattere illusorio della sua offerta. C’è un collegamento tra questa dimensione del «discorso del capitalista», che Lacan definiva come «infernale», e la crisi etica segnalata dal rapporto del Censis, la quale a sua volta è direttamente legata all’epoca del berlusconismo e va ben al di là degli allarmi scandalizzati di eventuali moralisti, perché tocca al cuore le ragioni del nostro stare insieme, dell’abitare uno spazio comune.
Leggendo L’uomo senza inconscio De Rita non ha pensato di utilizzare una nota che giudico cruciale sull’importanza inedita di un personaggio come Silvio Berlusconi, una nota in cui ponevo il problema della necessità di pensare a una nuova declinazione del potere.
Al filtro della psicoanalisi si possono distinguere, in Italia, tre grandi stagioni del potere politico. La prima è quella predipica, che caratterizza l’affermazione dei totalitarismi storici: qui la figurazione del potere si impernia sulla figura ipnotica e carismatica del duce, del leader che soggioga la folla dall’alto del suo pulpito. La voce, lo sguardo e il corpo tout court del capo diventano oggetti d’idolatria. La folla, come ha spiegato bene Freud, si rispecchia in un ideale incarnato nello sguardo invasato e ipnotico del suo capo. Nel nome di questo ideale (la natura, la razza, la storia) si poteva giustificare ogni male. L’ideale elevato a Causa assoluta è in effetti, come ha mostrato lucidamente Hannah Arendt, il cuore pulsante di ogni totalitarismo. La paranoia è la figura clinica che meglio illustra questa adesione fanatica alla Causa eletta come principio etico assoluto.
La seconda stagione è quella che si apre con la caduta dei regimi totalitari e che giunge in Italia sino allo scandalo di Mani pulite: qui abbiamo conosciuto una versione edipica del potere, dove la legge si poneva il compito, come avviene in ogni democrazia, di limitare e circoscrive il godimento individuale. È questo il motivo centrale della funzione edipica del padre: il sacrificio individuale, la rinuncia pulsionale direbbe Freud, rende possibile il patto e la convivenza sociale. L’interesse generale tende a prevalere su quello particolare. Possiamo pensare alle figure di Alcide De Gasperi e a quella di Enrico Berlinguer come figure che testimoniano in modo esemplare la subordinazione degli interessi individuali a quelli collettivi. In gioco non è più l’adesione cieca alla Causa posta come Ideale assoluto e inumano, ma la vita della polis, il politico come ragione che rende possibile l’integrazione delle differenze e la composizione dialettica dei conflitti. Si può discutere delle realizzazioni più o meno riuscite di questa opzione ma la natura edipica di una simile versione del potere è certa. Se in questo caso dovessimo evocare una figura della clinica per raffigurare questa declinazione del potere dovremmo evocare quella della nevrosi come posizione soggettiva caratterizzata dalla oscillazione tra la legge e il desiderio, tra la necessità del sacrificio individuale imposta dalla legge e la tendenza alla sua trasgressione.
La terza stagione, quella ipermoderna del potere incarnato da Silvio Berlusconi, realizza il godimento illimitato come l’unica possibile forma di legge. È qui che il berlusconismo si radica al centro della evaporazione della funzione paterna di cui parlava Lacan con riferimento all’affermazione incontrastata e mortifera del «discorso del capitalista». La psicoanalisi ha un nome preciso per definire questa aberrazione della legge, che serve solo il proprio godimento: perversione. Con questo termine non ci si riferisce a quanto avviene sotto le lenzuola, ma all’attitudine a subordinare ogni cosa (la verità, i legami sociali, gli affetti più intimi, gli interessi generali di una comunità) al proprio godimento personale, vissuto come un imperativo incoercibile.
La legge si sgancia dal desiderio perché il desiderio esige di incontrare dei limiti, per funzionare e farsi progettuale. Qui, invece, ciò che conta – ed è veramente ciò che davvero più conterebbe in una eventuale psicopatologia di Berlusconi – è l’angoscia provocata dal limite, dalla legge, è cioè l’angoscia della morte. Non si intende, infatti, nulla di questa nuova versione del potere se non si parte da questo presupposto clinico. L’individualismo sfrenato di cui parla il rapporto del Censis è, in realtà, l’effetto di un rigetto profondo della dimensione finita e lesa dell’umano. Rigetto perverso di cui Berlusconi è l’incarnazione farsesca e drammatica insieme. Per questo il suo corpo è di plastica, ritoccato dal bisturi, protesico, corpo-scongiuro, corpo bionico che deve rendere invisibile la presenza inquietante della malattia e l’insidia della morte. Il predellino prende così il posto del pulpito. La leadership di Berlusconi non deriva affatto, come pensano Di Pietro e molti altri, dalla manipolazione mediatica della verità. Egli ottiene consenso non grazie all’oscuramento di quel che fa, non nonostante ciò che fa, ma proprio perché è ciò che fa. In questo senso Berlusconi fa epoca: perché solleva il problema di cosa può diventare il padre nel tempo della sua evaporazione, nel tempo del tramonto della sua funzione ideale-orientativa.
La risposta che il berlusconismo offre è in piena sintonia con il discorso capitalista: il padre, il luogo della legge, diviene colui che può godere senza limiti. Perché il suo capriccio non ha davvero più nulla di privato in quanto assume corpo di legge, diventa, letteralmente, legge ad personam.
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Uno strano poker di pianeti 09.12.2010
di Massimiliano Razzano
Un sistema planetario enigmatico. Anzi, sconcertante, perché mette in crisi i due modelli di formazione di pianeti utilizzati finora dagli astronomi. A spiegarcene il motivo dalle pagine di Nature è un gruppo di ricercatori dell’Herzberg Institute of Astrophysics di Victoria (British Columbia). Coordinati dal ricercatore Christian Marois, gli scienziati canadesi hanno infatti scoperto un quarto pianeta gigante intorno alla stella HR 8799, a circa 118 anni luce da noi, nella costellazione di Pegaso. Si tratta davvero di un curioso “poker” di pianeti, perché al momento non c’è alcuna teoria in grado di spiegarne la nascita. I primi tre sono stati scoperti due anni fa dallo stesso Marois, e il quarto è stato individuato analizzando immagini infrarosse riprese di recente all’Osservatorio Keck II.
La ricerca di pianeti extrasolari è un campo di relativamente giovane ma estremamente promettente: in soli 15 dalla scoperta del primo, oggi ne conosciamo più di 500. La maggior parte di essi viene individuata in maniera indiretta, per esempio misurando le perturbazioni gravitazionali indotte sulla stella principale, oppure osservando la diminuzione di luce della stella quando il pianeta le transita davanti. In pochi casi, come per il sistema di HR 8799, è stato invece possibile osservare direttamente i pianeti. In questo caso, infatti, i corpi sono molto distanti dalla stella, più di 25 volte la distanza media Terra-Sole (da 15 a 70 volte il raggio terrestre). Inoltre si tratta di pianeti giovani, con meno di 100 milioni di anni, e sono quindi ancora molto caldi e brillanti perché stanno irradiando nello Spazio l’energia gravitazionale acquisita durante la loro recente formazione.
Principalmente esistono due meccanismi proposti per la formazione di pianeti. In un primo modello (core accretion), la formazione procede attraverso due fasi, dapprima un accrescimento su un nucleo e poi un successivo deposito di materiale più esterno, principalmente idrogeno e elio. In base a un modello alternativo, la formazione avviene in un singolo passaggio, cioè dalla frammentazione di una nube di gas e polveri (disc instability). Studiando la formazione di questo sistema planetario attraverso simulazioni, i ricercatori hanno scoperto che questi meccanismi di formazione non possono produrre un sistema planetario gravitazionalmente stabile e che riproduca le caratteristiche osservate. Una possibilità è che i pianeti si siano formati grazie ad un sistema “ibrido” o, piuttosto, che siano migrati nella loro posizione attuale.
“Il modello principale, detto core accretion, spiega bene i pianeti che orbitano a una distanza dalla loro stella pari a quella Saturno-Sole”, dice a Galileo Raffaele Gratton, planetologo dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova: “Già, quindi, facciamo fatica a spiegare la posizione di Urano e Nettuno; a distanze come quelle osservate per il nuovo sistema, il modello non è certamente applicabile. Il secondo meccanismo – sostenuto da una minoranza di astronomi – ammette la formazione di massimo uno, due pianeti a quelle distanze, non certo quattro. Non è la prima vota che ci troviamo di fronte a questa incongruità: evidentemente, qualcosa nei nostri modelli deve essere cambiato. Il difficile, ora, è capire cosa”.
Riferimento: DOI: 10.1038/nature09684
Credits immagine: LLNL & Q. M. Konopacky
http://www.galileonet.it/articles/4d00aab972b7ab4faf000001
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La pietanza non avanza – Gusta il giusto, dona il resto
Da gennaio i cibi rimasti integri e inutilizzati nelle mense delle scuole torinesi non rischieranno più di finire nei cassonetti dei rifiuti, ma verranno destinati a chi ha bisogno di un pasto caldo grazie alla realizzazione del progetto sperimentale “La pietanza non avanza – Gusta il giusto, dona il resto”.
L’iniziativa, promossa e finanziata dall’assessorato all’Ambiente della Regione Piemonte, in collaborazione con la direzione regionale Sanità, il Comune di Torino, l’Associazione Banco Alimentare del Piemonte e la ditta Compass Group, si concluderà a fine anno scolastico e coinvolgerà nella prima fase di sperimentazione cinque scuole torinesi: la “Antonelli” di via Vezzolano 20, la “Aurora” in via Cecchi 16, la “Fontana” di via Buniva 19, la “Spinelli” in via San Sebastiano Po 6 e l’istituto “Gozzi” in via Gassino 13, per un totale di circa 1500 pasti al giorno. I pasti non distribuiti nelle mense saranno ritirati dai volontari del Banco Alimentare e consegnati agli asili notturni Umberto I di Torino, dove verranno distribuiti ai bisognosi che lì si rivolgono giornalmente.
Il progetto, frutto di un accordo sulla gestione sostenibile dei servizi di ristorazione scolastica sottoscritto da tutti i soggetti partecipanti all’iniziativa, intende non solo promuovere un consumo consapevole del pasto per una corretta crescita degli alunni attraverso un’educazione agli sprechi, ma ha anche l’ambizione di diminuire la produzione dei rifiuti delle mense attraverso il ritiro, il trasporto e la conservazione dei pasti nel rispetto delle norme igienico-sanitarie e sostenere gli enti assistenziali.
Con la sottoscrizione dell’accordo che avvia la fase sperimentale la Regione aderisce alla Settimana Europea per la riduzione dei rifiuti, campagna di comunicazione ambientale promossa dall’Unione europea per promuovere tra i cittadini una maggiore consapevolezza sulle eccessive quantità di rifiuti prodotti, in programma dal 20 al 28 novembre.
“Un’iniziativa contro gli sprechi in un momento di crisi, ma anche un messaggio educativo forte di solidarietà – l’ha definita l’assessore regionale all’Ambiente, Roberto Ravello, durante la presentazione dell’iniziativa svoltasi il 25 novembre nel palazzo della Regione – Ci è sembrato doveroso sostenere questo progetto, con un investimento di circa 40mila euro tra fondi regionali e una piccola parte di finanziamenti europei. Un percorso che ha come obiettivo non solo diminuire la quantità di rifiuti prodotti attraverso la diffusione di buone pratiche, ma anche riuscire a trasformare lo spreco in risorsa e sostenere le associazioni che operano a favore di chi si trova in difficoltà”.
sdepalma
25 novembre 2010
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Il gasodotto “South stream” non s’ha da fare! Yes mister 06.12.2010
Tito Pulsinelli
Per gli Stati Uniti è più importante il petrolio che il coinvolgimento nella sua fallimentare invasione dell’Afganistan: i soldati italiani inviati ed immolati con la foglia di fico della NATO, sono strategicamente inferiori all’autonomia dell’ENI. Per loro, è inaccettabile che il governo di Roma si muova verso la diversificazione delle fonti di approvigionamento energetico, e che l’ENI collabori con Gazprom. “Il gasodotto South streem non s’ha da fare” dice Washington.
Ok, è comprensibile, difendono i loro specifici interessi nazionali (in fase calante). A loro non conviene una linea che ci collegherebbe direttamente con i giacimenti russi. Ed hanno già lanciato l’anatema anche riguardo le forniture dalla Libia e dall’Iran. Per fortuna l’ENI ha firmato un accordo con il Venezuela, dove investe 19 miliardi di dollari, ed ha già esplorato un gigantesco giacimento che si appresta a trivellare.
vedi anche: http://petrolio.blogosfere.it/2010/12/berlusconi-non-e-mattei-e-il-taxi.html.
Come spiegare la simbiosi tra ambasciata USA ed il fronte magmatico che aspira a rimpiazzare l’attuale governo italiano? E’ razionalmente spiegabile che il capo d’imputazione principale sia l’agenda energetica e i passi compiuti in direzione del maggiore tra i Paesi produttori? E’ etico far proprie oscure ragion di Stato (straniero), non-europeo, che fanno a pugni con una lungimirante autonomia che risale ai tempi di Enrico Mattei? Domande che trovano il mutismo totale dei “frontisti colorati” e del loro europeismo di facciata. Non hanno il coraggio e l’indipendenza di emulare lo statista tedesco socialdemocratico G. Schroeder che presiede il consorzio North stream.
L’aggregazione informe delle schegge e dei frammenti del defunto bipolarismo-forzato, candidata come “alternativa” all’attuale palude, brandisce le ragioni dello sponsor d’Oltreatlantico, e vi si affida come a una vitale stampella, ma non definisce la propria agenda energetica nazionale. Ne ha una? Non difende e/o subordina l’Italia alle multinazionali anglosassoni, e volta le spalle anche all’Europa, che è inconcepibile senza una autonomia energetica basata sulla diversificazione degli approvvigionamenti ed industria propria. A nulla servono i verginali strilli contro i pericoli dell’orco, perdon orso siberiano. In realtà dovrebbero solo ispirarsi alla Germania. Cercare di essere meno vassalli, ed avere la medesima rettitudine di dirigenti autenticamente europeisti come G. Schroeder. E ricordarsi -ogni tanto- che il passo decisivo per l’intergrazione europea venne dato con il primo gasodotto, costruito nell’epoca dell’Unione Sovietica. Seppero dire no al veto di Washington.
La “alternativa” che stanno cucinando gli apprendisti stregoni ha altri scheletri nell’armadio e prevede tirar fuori dal congelatore personaggi che furono protagonisti del grande ciclo privatizzatore iniziato negli anni 80. Il più quotato è Draghi, uomo targato Goldman Sachs che -come altri suoi colleghi- è stato inserito ai vertici delle banche centrali nazionali. Varie “authority” nostrane e straniere -chi le ha elette?- puntano il dito contro le residuali -ma strategiche- aziende statali nazionali. Fare spezzatino dell’ENI e Fimeccanica, privatizzare gradualmente la Previdenza sociale, moltiplicare la disoccupazione giovanile, affondare definitivamente l’Europa. E’ quanto avvenuto dalla Grecia alla Spagna, all’Irlanda, dov’è di nessuna importanza l’identità politica dei governi.
Ne hanno una? Rappresentano o difendono gli interessi sociali dei loro elettori o dei loro cittadini? Semplicemente applicano il diktat del FMI e della Banca Cenrale Europea, a scoppio ritardato, molto dopo i disastri prodotti in America latina ed in Asia. La BCE vi si si tuffa con gaudente lascivia, proprio mentre gli altri ne stanno uscendo fuori, dopo aver messo ai margini il FMI. Cancellando -in tutto o in parte- i dogmi della globalizzazione, in primis lo strapotere delle banche centrali. L’Unione Europea diretta dal BCE indietreggia su tutta la linea, mentre il BRIC (Brasile, Russia, Cina, India) diventa una forza emergente, e da debitore diventa creditore del FMI:
Con una maggioranza risicata, il “fronte colorato” si camufferà dietro la presunta autonomia di imprenditori reclamizzati, economisti travestiti dietro la “neutralità” dei banchieri centrali o l’oggettività delle “scienze economiche” monetarsiste coniate nelle madrasse anglosax. Ci sarà l’irruzione sulla scena dei poteri forti, dei guru votati alla supremazia totale dell’economia su tutto il resto; di imprenditori allattati col biberon delle sovvenzioni pubbliche ma ferventi devoti del neoliberismo. Il centro della scena sarà per banchieri centrali per i quali è criminoso sovvenzionare il reddito sociale, l’impresa produttiva e la domanda, ma è un toccasana regalare soldi alla banca privata.
Dopo la Caporetto della fu-casta sopravviveranno solo i politici-zerbino dell’élite atlantista dell’EuroNATO. Nemmeno i confindustriali sembrano apprezzare la portata di una intesa a lungo termine che prevede l’intercambio di materie prime e idrocarburi, ed apre le porte di un grande mercato all’ esportazione di tecnologie e prodotti dell’UE. Condannati a guardare solo verso l’ovest dalle stelle strisciate, con un PIL gonfiato soprattutto dai “prodotti finanziari” e manifattura bellica del complesso militar industriale. Questo è finanziato dai denari federali con un astronomico 30% del bilancio destinato alla difesa. Con la terza parte degli investimenti statali destinati al polo privato armamentista, sopravvive malamente un mercato sempre più rattrappito e poco solvente.
Come altre volte nel passato, è in arrivo il settimo cavalleggeri dei Draghi, Monti, Padoa Schioppa, Dini, ecc, ed altre protesi del potere de facto, privi di legittimità perchè non scaturiscono da nessuna elezione popolare sovrana. La “sinistra” del neoliberismo ha già mostrato il suo nuovo biglietto da visita.
http://selvasorg.blogspot.com/2010/12/il-gasodotto-south-stream-non-sha-da.html
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Chi ha ucciso l’euro? 10.12.2010
Matías Vernengo*
Prima della Grande Recessione era diffusa l’opinione che il ruolo di riserva internazionale del dollaro fosse a rischio, e che una crisi avrebbe potuto generare una fuga dal dollaro. Invece, inaspettatamente, la vittima della crisi è stato l’euro. Se per caso era rimasto qualche dubbio circa la morte dell’euro dopo la crisi greca, questo è stato eliminato dalla successiva crisi irlandese.
Chi l’ha ucciso? Non c’è bisogno della polizia scientifica per cercare le prove, il colpevole ha lasciato tracce ovunque… no, non è stato il maggiordomo, ma la Banca Centrale Europea.
Negli Stati Uniti la crisi ha fatto sì che la Federal Reserve si impegnasse a mantenere bassi i tassi di interesse sui titoli del debito pubblico a lungo termine, utilizzando la controversa politica di espansione della quantità di moneta. Continuando a comprare grandi quantità di titoli pubblici, la Fed non solo mantiene bassi i tassi di interesse, ma fornisce la garanzia che questi titoli sono assolutamente sicuri. Questo a sua volta consente al Tesoro americano di mantenere elevati disavanzi pubblici senza problemi di sostenibilità.
Questo è l’esatto opposto di quanto sta facendo la BCE con i paesi della ‘periferia’ europea. I paesi che fanno parte di un’unione monetaria perdono il controllo della politica monetaria e non possono svalutare il tasso di cambio. Ma la moneta unica significa anche la perdita della possibilità per un singolo paese di decidere circa i propri disavanzi pubblici, perché le fonti di finanziamento o vengono meno o sono sottoposte ad un controllo sovranazionale. Certo, se la BCE decidesse di comprare titoli di stato greci o irlandesi (e anche portoghesi e spagnoli), in modo da mantenere i loro tassi di interesse allo stesso livello di quelli tedeschi, potrebbe farlo. Purtroppo tuttavia la BCE ha deciso di dimostrare che i titoli pubblici denominati in euro sono tutti uguali, ma alcuni sono più uguali di altri. E se la BCE dichiara che alcuni dei titoli denominati in euro non valgono nulla – chi altro può metterlo in dubbio?
Come nel caso della Grecia, l’Irlanda sta accettando un salvataggio condotto dalla Unione Europea, Fondo monetario e BCE, che richiede politiche di aggiustamento fiscale estremamente severe, che accrescono la disoccupazione, e che sono alla fine destinate a fallire. Dovrebbe semplicemente abbandonare l’euro, anche se in realtà è molto probabile che continui invece a rimanere nell’unione monetaria per diversi anni (come fece l’Argentina col il cambio fisso).
E dunque, la BCE è il colpevole, anche se c’è stato un complice: gli economisti, che hanno per tutto il tempo dato una mano ad uccidere l’euro. La crisi europea è un ulteriore esempio di come gli economisti mainstream cercano di far finta che nessuno potesse prevedere la crisi, perché il fenomeno era troppo complesso per essere previsto.
Per esempio recentemente Brad De Long ha espresso preoccupazione sulle politiche economiche della BCE ed ammesso di essersi sbagliato nel ritenere che nessun governo avrebbe consentito alla disoccupazione di rimanere al 10% per un periodo lungo. Eppure nel 1998, lo stesso Brad de Long affermava in un libro pubblicato da NBER che: “gli economisti…ritengono che la spesa pubblica in disavanzo non ha effetti espansivi”. Se fosse così non avrebbe ragione di preoccuparsi per le politiche attuali! Questo mostra quanto poco questi economisti credessero veramente alla loro stessa tesi che fosse la riduzione della spesa pubblica ad avere effetti espansivi sull’economia!
I problemi delle analisi mainstream sono ancora più profondi e sono strettamente legati a quella che Paul Krugman chiama la “sintesi di Samuelson”, cioè l’idea che il keynesismo fosse basato sui fallimenti del mercato (cioè su rigidità dei salari o del tasso di interesse). Ma non è così. Nel capitolo 19 della Teoria Generale Keynes mostra che la flessibilità dei salari ha effetti negativi e quindi, sì, la soluzione è la politica fiscale espansiva.
In realtà, come ha notato solo Dean Baker (che ha avuto sempre ragione e che spesso, forse proprio per questo, viene dimenticato) l’Irlanda, sino a prima della crisi, aveva fortissimi avanzi (sì, proprio così!) nei propri conti pubblici – di fatto l’Irlanda era additata come l’esempio di una politica fiscale restrittiva che genera espansione.
Sarebbe stato meglio per gli irlandesi se avessero prestato ascolto al grande economista irlandese Wynne Godley che nel 1992 avvertiva: “la incredibile lacuna nel programma europeo è che non c’è nessun progetto di qualcosa di analogo, in termini comunitari, di un governo centrale… Se un paese o regione non ha alcun potere di svalutare, e se non può beneficiare di un sistema di trasferimenti fiscali che tendano ad eguagliare le condizioni, allora non c’è nulla che possa impedirgli di soffrire di un processo di declino cumulativo e definitivo che alla fine farà sì che l’emigrazione sia l’unica alternativa alla povertà e all’inedia.” Nel 2001 Arestis e Sawyer hanno posto la questione se l’euro avrebbe causato una crisi in Europa, e hanno risposto di sì. Ma in economia avere ragione non conta – ciò che paga è dire ciò che i mercati vogliono sentire.
*University of Utah, USA. Traduzione a cura della redazione di economicaepolitica.it.
http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/chi-ha-ucciso-leuro/
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Il club segreto dei 9 banchieri che domina Wall Street 13.12.2010
FEDERICO RAMPINI
NEW YORK DI NUOVO loro: i Padroni dell’ Universo. Stessi nomi, stessi vizi, una storia che sembra condannata a ripetersi e col finale che rischia di essere già scritto: l’ impunità. Stavolta è l’ intero mondo dei titoli derivati – finanza “tossica” che ebbe un ruolo cruciale nella crisi del 2008 – l’ oggetto delle loro congiure. Una vera e propria “cupola” di grandi banchieri esercita un potere esclusivo di controllo su questo mercato. Fuori da ogni trasparenza, e al riparo da ogni concorrenza. «Il terzo mercoledì di ogni mese – rivela il New York Times – nove membri di una élite di Wall Street si riuniscono a Midtown Manhattan. I dettagli delle loro riunioni sono coperti dal segreto. Rappresentano Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse». Ufficialmente, i nove banchieri di questo potentissimo comitato d’ affari hanno il compito di «salvaguardare la stabilità e l’ integrità» su un mercato che muove ogni giorno migliaia di miliardi di dollari. Di fatto, il club dei nove «protegge gli interessi delle grandi banche che ne fanno parte, perpetua il loro dominio, contrasta ogni sforzo per rendere trasparenti i prezzi e le commissioni». La denuncia raccolta dal New York Times viene dal massimo organo di vigilanza. La fonte più autorevole all’ origine dell’ inchiesta è Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission. L’ UOMO a cui Barack Obama ha affidato il compito di fare pulizia in un mercato altamente speculativo. Ma Gensler è costretto ad ammettere la sua impotenza. «Il costo di quelle pratiche lo paga tutto il resto dell’ economia, lo pagano tutti gli americani», lamenta Gensler. E naturalmente anche gli europei, visto che Wall Street è il centro della finanza globale. I derivati infatti hanno innumerevoli usi, una parte dei quali sono “virtuosi” e più vicini a noi di quanto possiamo immaginare. I fondi pensione li utilizzano per ridurre il rischio di perdite sui loro investimenti nel caso che le tendenze di mercato abbiano improvvisi rovesci (per esempio un futuro rialzo dei rendimenti sui buoni del Tesoro che deprime il valore di quelli in portafoglio). Le compagnie aereee navali comprano derivati per attutire il colpo di un rincaro del petrolio. L’ industria agroalimentare si protegge da aumenti nel costi dei raccolti. Perfino il consumatore, l’ automobilista, è vittima di manovre speculative che attraverso i derivati accentuano il boom delle materie prime. Nessuno dei protagonisti dell’ economia reale è veramente tutelato dalle manipolazioni su questi strumenti. Nessuno sa cosa decidono i nove membri del club esclusivo che si riunisce il terzo mercoledì del mese. Il Dipartimento di Giustizia ha aperto un’ inchiesta «sulla possibilità di pratiche anti-concorrenziali nel clearing e nel trading sui derivati». I sospetti di collusione e di un vero e proprio cartello non sono nuovi. Ma trovare le prove è difficile. E’ vecchia di nove mesi la notizia di un’ altra inchiesta del Dipartimento di Giustizia che aveva fatto scalpore: quella che accusavai più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) di aver concordato un attacco simultaneo all’ euro, in una cena segreta l’ 8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo,9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell’ euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Goldman Sachs e Barclays furono coinvolte nelle cronache su quelle grandi manovre. Ma da allora l’ inchiesta sulla congiura ai danni dell’ euro non ha avuto sviluppi di rilievo. Estrarre prove dal club dei Padroni dell’ Universo è complicato, almeno se si seguono i metodi “normali”. Di qui la grande attesa per le rivelazioni annunciate da WikiLeaks sulla Bank of America: chissà che non riesca Julian Assange dove la magistratura non arriva… Per quanto riguarda il mercato dei derivati, paradossalmente è proprio per effetto della grande crisi del 2008 che i Padroni dell’ Universo hanno assunto un ruolo ancora maggiore. Uno dei momenti più drammatici di quella crisi fu il crac dell’ American International Group (Aig), la compagnia assicurativa affondata dalle perdite su un particolare tipo di titoli derivati, i credit default swaps. In quel frangente il Tesoro e le autorità di vigilanza si accorsero che nessuno riusciva a capire veramente le interconnessioni sul mercato dei derivati, esposto all’ effetto-domino: una bancarotta di Aig avrebbe travolto decine di altre istituzioni e forse l’ intero sistema bancario. Perciò fu il Tesoro a spingere per la creazione di una “clearing house” o camera di compensazione, affinché le grandi banche si facessero carico di garantire la stabilità del mercato dei derivati. A questo però si accompagnava la riforma Obama delle regole della finanza, che doveva aumentarei poteri delle autorità di vigilanza,e rafforzare la trasparenza. Quella riforma oggi è sotto tiro da parte della nuova maggioranza repubblicana al Congresso, vittoriosa alle elezioni di novembre e beneficiata dai generosi finanziamenti di Wall Street. Nell’ applicazione della riforma i repubblicani stanno cercando di svuotarla: giovedì il Congresso ha bocciato la richiesta di Gensler per nuove regole sulla trasparenza. “I derivati – spiega il giurista Robert Litan che per il Dipartimento di Giustizia diresse un’ analoga battaglia contro le collusioni al Nasdaq – sono un mercato molto concentrato, e quando il governo di una simile entità è in poche mani, possono succedere brutte cose”. Una certezzaè chei Padroni dell’ Universo usano il loro potere oligopolistico per estrarre dal resto dell’ economia dei profitti esorbitanti. Esempio: su un solo contratto derivato di credit default swap – che protegge l’ acquirente dall’ eventualità di fallimento di uno Stato sovrano come la Grecia, o di una società quotata – il banchiere intermediario incassa una commissione di 25.000 dollari. Contratti simili se ne fanno migliaia ogni giorno, rimpinguando i profitti delle varie Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley. Quando negli anni Novanta il Dipartimento di Giustizia riuscì a dimostrare che un’ analoga collusione tra banchieri controllava gli scambi sul Nasdaq (la Borsa dei titoli tecnologici), in seguito al cambiamento delle regole le commissioni bancarie scesero a un ventesimo del livello precedente. Ma un rischio ancora superiore è che dentro il “club dei nove”, grazie allo scambio di informazioni quotidiane possano maturare operazioni di cartello, manovre concertate, una manipolazione dei mercati. Quelli che dovrebbero “stabilizzare” i derivati, sono i primi a poter profittare delle prossime fiammate speculative.
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L’Italia si restringe
La Gazzetta del Mezzogiorno, sabato 11 dicembre 2010
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
L’Italia ha ottomila chilometri di coste: la metà circa di queste coste è costituita da spiagge sottili, coperte di sabbia o piccoli ciottoli, l’altra metà è costituita da coste rocciose. Le spiagge hanno un grande valore estetico ed economico, sono belle e attraggono le persone che vogliono fare il bagno o prendere il Sole. Davanti alle spiagge il livello del mare degrada lentamente per cui possono fare il bagno anche quelli che non sono esperti nuotatori; per questo le spiagge sono così frequentate da persone di tutte le età. Purtroppo quasi tutte le spiagge, di anno in anno, si accorciano, come se ci fosse uno spirito maligno. Non colpa della forza delle onde, che più o meno è sempre uguale ogni anno, e non sono neanche le forze del mare che, anche quando è tranquillo, fa scorrere grandi masse di acqua parallelamente alle coste, spostando la sabbia del fondo da un posto all’altro.
Nel corso del Novecento l’Italia, rispetto ad una superficie totale di circa 300.000 chilometri quadrati, ha perduto da 200 a 400 chilometri quadrati di coste sabbiose, si è ”ristretta”, di un millesimo della sua superficie. Questo restringimento della superficie italiana, più rapido da un ventennio a questa parte, sta preoccupando amministratori pubblici e operatori turistici. La Puglia, questa penisola con circa settecento chilometri di coste, esposte al mare da tutte e due le parti, e la Basilicata, vedono sparire spiagge e crollare edifici costieri e pezzi di strade. Sarà anche un po’ colpa dei cambiamenti climatici ma ci deve pur essere qualche altra ragione per questa perdita di ricchezza ecologica e economica.
Le ragioni dell’erosione sono abbastanza note: la spiaggia sabbiosa nasce da un insieme di azioni fisiche e geologiche ed assume un volto mutevole nel tempo, ospita vegetazione e molte forme di vita, e rappresenta un ecosistema di grande interesse naturalistico. La spiaggia, in quanto interfaccia fra mare e terra, è molto bella e attrae il turismo e quindi ha un grande valore anche “economico”. Nell’uso delle spiagge a fini ricreativi l’intervento umano apporta inevitabili modificazioni che possono compromettere la stabilità di tale ecosistema.
Dapprima si insediano delle cabine con gli ombrelloni, poi le cabine diventano di cemento e si trasformano in palazzine, poi nascono ristoranti e alberghi e per raggiungere la spiaggia e i ristoranti e i nuovi edifici bisogna realizzare strade per le automobili e piazzole di sosta e porticcioli turistici, spianando le dune, quelle ondulazioni sabbiose formate ad opera del vento e del moto ondoso che garantiscono la sopravvivenza della spiaggia. In questa operazione viene distrutta la vegetazione spontanea, che la natura ha predisposto proprio a difesa della costa. Se su una costa si interviene creando ostacoli stabili, come la diga di un porto, il movimento delle acque viene frenato e le sabbie si accumulano da una parte della diga e vengono asportate dalla parte opposta. Molti porti o porticcioli turistici, insediati nel posto sbagliato, ben presto si riempiono della sabbia asportata dalle coste vicine, e così si spendono soldi per svuotare i porti dai depositi e si spendono soldi per ricostruire le spiagge erose.
La conseguenza delle presenze umane invadenti ed esigenti, per ragioni “economiche” a breve termine, è la graduale scomparsa delle spiagge e delle coste, cioè della base naturale di tale maniera di intendere l’economia. Particolarmente delicate sono le coste sabbiose che offrono, a chi le vuole guardare, innumerevoli sorprese. La sabbia che troviamo in riva al mare è un insieme di granuli, aventi diametro variabile fra sei centesimi di millimetri fino a due millimetri, che nel corso di millenni le acque hanno trasportato dall’interno delle terre emerse fino al mare. La forza di urto dell’acqua delle piogge disgrega le rocce delle montagne e colline; i frammenti, rotolando verso valle, si frantumano in pezzetti sempre più piccoli che vanno a creare l’alveo dei fiumi, le pianure alluvionali, e le parti più “leggere” di tali frammenti arrivano fino al mare depositandosi sulle coste.
Chi guarda sulla spiaggia, l’insieme dei granuli di sabbia vede facilmente come essi siano diversi e tale osservazione potrebbe permettere la ricostruzione della storia naturale di ciascun granulo. I principali costituenti delle sabbie sono materiali calcarei o silicei, spesso miscelati a seconda del percorso dei fiumi o delle direzioni del vento che li ha trasportati; talvolta si incontrano sabbie di cui è facile riconoscere l’origine sapendo quali rocce sono state attraversate dai fiumi che hanno trasportato la sabbia al mare. Si può quasi dire che i granuli di sabbia “parlano”, raccontano la propria storia: i granuli scintillanti di quarzo vengono da rocce granitiche; su alcune coste, quelle laziali e quella di Manfredonia, si trovano sabbie contenenti magnetite i cui cristalli vengono attratti da una calamita. Durante l’autarchia fascista qualche bella mente aveva proposto di recuperare ferro da tali sabbie.
Oltre agli interventi “economici” direttamente sulle spiagge, che alterano il ricambio delle sabbie portate dal mare, l’altra importante causa dell’arretramento delle spiagge è rappresentata dagli interventi sui fiumi, come la creazione di sbarramenti artificiali che trattengono le sabbie e ne impediscono l’arrivo sulla costa, o l’escavazione dal greto dei fiumi della sabbia occorrente per le costruzioni di edifici e strade o per la produzione di materiali industriali. Grandi sforzi di cervelli e di soldi vengono investiti per cercare di frenare l’erosione delle spiagge o, meglio, di ricostruire le spiagge mediante “ripascimento”. I principali tentativi consistono nella creazione di barriere artificiali nel mare per frenare la parte dell’erosione che è dovuta al moto ondoso.
Talvolta le barriere vengono create depositando mucchi di grosse pietre paralleli alla costa; chi percorre in treno la costa adriatica da Foggia a Rimini vede numerosi esempi di tali barriere che non creano nuove spiagge, ma spostano un po’ di sabbia da una parte all’altra della costa. Altri hanno proposto delle barriere sommerse, parallele alla costa a qualche diecina di metri dalla riva; per tali barriere alcuni hanno proposto di riempire dei sacchi di plastica con ciottoli e pietrisco, con l’effetto che il mare ha stracciato i sacchi di plastica e la spiaggia ha continuato ad arretrare, con i ciottoli sparsi sul fondo del mare. Altri hanno proposto delle barriere di massi di pietra perpendicolari alla costa, con l’effetto che la spiaggia è cresciuta da un lato delle barriere a spese della spiaggia dalla parte opposta. Non penso che l’ingegneria idraulica aiuti gran che.
Forse la vera soluzione sarebbe una svolta nella politica degli insediamenti. Nel 1985 fu emanata una legge, che porta il nome dello storico Giuseppe Galasso (sottosegretario ai beni culturali nel I e II governo Craxi) che ha fissato un divieto di costruzioni entro una fascia di trecento metri dalla riva del mare e dei fiumi. Guardatevi in giro e osservate come questa legge è stata sistematicamente violata; non possiamo allora lamentarci se l’Italia si restringe, con l’assalto edilizio delle coste che c’è stato sempre più arrogante e sempre più condonato.
http://giorgio-nebbia.blogspot.com/2010/12/litalia-si-restringe.html
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Batteri booleani 13.12.2010
Un gruppo di ricercatori californiano sviluppa porte logiche con i microrganismi presenti nell’intestino umano. Niente PC in vista, piuttosto un lavoro pensato per le biotecnologie
Roma – Non tutti i batteri vengono per nuocere. I chimici della divisione farmaceutica alla UCSF (University of California, San Francisco) hanno sviluppato delle porte logiche elementari utilizzando gli Escherichia Coli, presenti nel tratto gastrointestinale dell’uomo e degli animali a sangue caldo. Questi microrganismi, fondamentali per la digestione ma responsabili di diverse infezioni, dovrebbero aiutare a “programmare” le cellule.
L’equipe capitanata dal professor Christopher A. Voigt non ha fatto altro che applicare agli E.Coli la stessa logica alla base dell’elettronica digitale. I microrganismi presenti in una colonia ricevono infatti due distinti segnali chimici dai batteri vicini, che in elettronica corrispondono ai livelli logici zero e uno, tradotti in “True” e “False”.
“La ricerca sulle cellule programmabili non punta certo a sorpassare i calcolatori elettronici” afferma Voigt, “ma sarebbe bello utilizzare questo metodo per rendere la biologia programmabile con una rete di molecole pronte ad un uso specifico”. Secondo il professore, le porte logiche organiche potrebbero aiutare in campi come l’agricoltura, la chimica o la stessa farmaceutica.
La studio è alla base di una partnership industriale con la Life Technologies Corporation, situata a Carlsbad, in California. L’azienda, specializzata in biotecnologie, inizierà ad integrare i circuiti e gli algoritmi
sviluppato dalla UCSF in un pacchetto di software altamente professionali. Gli ingegneri genetici potranno quindi utilizzare un nuovo tool che rivede il concetto di logica booleana.
Roberto Pulito
http://punto-informatico.it/3054846/PI/News/batteri-booleani.aspx
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La rassegna http://www.caffeeuropa.it/ del 15.12.2010
Le aperture
Il Corriere della Sera: Berlusconi vince e apre all’Udc. ‘Non galleggeremo: allargo la maggioranza’. L’ipotesi di una crisi pilotata. No di Casini”. “La sfiducia non passa per tre voti, poi il capo del governo al Quirinale. Fli perde pezzi. Il premier: con Fini non tratterò più”. L’editoriale è firmato da Sergio Romano: “Il peso della vittoria”.
A centro pagina: “Roma in preda alla guerriglia. Barricate, incendiati i blindati degli agenti, cento feriti. Scontri nelle vie del centro, assaltata la Protezione civile. Critiche alla polizia”. Accanto, una intervista al ministro Maroni: “Ma noi abbiamo evbitato il peggio. Poteva esserci il morto. In 2000 almeno volevano assaltare Camera e Senato”.
Il Sole 24 Ore: “Governo salvo per tre voti. Roma sconvolta dai disordini. Nel centro della capitale blindati in fiamme, oltre un centinaio di feriti. Non passa alla Camera la mozione di sfiducia. Berlusconi invita l’Udc nella maggioranza e apre una crisi pilotata”. Due foto mostrano, affiancati, gli scontri nel Palazzo di Montecitorio e quelli nelle strade di Roma. A centro pagina, l’economia: “Ripresa Usa troppo lenta. Tassi fermi, proseguono gli acquisti di titoli di stato. La Fed: ritmo insufficiente per migliorare i livelli di occupazione”.
La Repubblica: “Berlusconi si salva per tre voti”. “Il Cavbaliere: Napolitano non vuole il voto. Il Quirinale replica: nessuno ci interpreti. Rissa alla Camera durante il dibattitito. Bersani: successo di Pirro”. “Fini: ho perso, ma la sua non è una vittoria politica. Il premier apre all’Udc, no di Casini”. Altro grande titolo in prima pagina per il “giorno di guerriglia a Roma, il centro messo a ferro e fuoco. Black bloc in azione: oltre 100 feriti, 41 fermi”. Il titolo del commento di Giuseppe D’Avanzo è “violenza annunciata”.
Il Riformista: “Roma brucia, Silvio no. Il premier ottiene la fiducia per tre voti mentre infuria la guerriglia urbana. Elezioni più vicine. Alta tensione a Montecitorio: tre finiani salvano il Cavaliere. La maggioranza c’è ma è tropppo risicata per governare. Il Cavaliere propone un patto a Casini che per ora dice no. Bossi lascia fare ma si prepara al voto”. A centro pagina un commento firmato da Alessandro Campi, ideologo di FareFuturo: “Fini ha perso, torni a fare politica”. Quanto a Berlusconi, un altro articolo in prima pagina è dedicato a lui: “Sarà pure Pirro, ma è inossidabile”.
La Stampa: “Vince Berlusconi, guerriglia a Roma., La fiducia passa alla Camera per tre voti, poi l’apertura a Casini: ora allarghiamo la maggioranza. Fli si spacca e il Pdl chiede le dimsisioni di Fini. Bossi: nessun veto all’udc. Il Pd: non cambia nulla”. A centro pagina un retroscena informa: “Ora il premier fa la corte a sette finiani”. Il Presidente del Consiglio ha anche promesso “il rimpasto” al Presidente della Repubblica, incontrato ieri. Accanto, un articolo si sofferma sui deputati di Futuro e libertà che hanno votato la fiducia: “Miss Cepu e Moffa salvano il Cavaliere”. A centro pagina anche il processo per i sette morti sul lavoro al rogo della Thyssenkrupp: il Pm ha chiesto 16 anni di carcere per l’amministratore delegato, per omicidio volontario. La notizia è anche sulla prima pagina del Sole 24 Ore.
Libero: “Tiè. Silvio ottiene la fiducia del Parlamento”, dove il premier è raffigurato in caricatura intento a fare il gesto dell’ombrello. “Scrivete a Fini per mandarlo a Montecarlo”. Un indirizzo di posta elettronica (finiacasa@libero_news.it) invita i lettori a sostenere la campagna avviata dall’editoriale di Maurizio Belpietro: “Gianfranco, è ora di liberare la Camera”.
Il Giornale oggi apre con una “intervista a Vittorio Feltri”. Cribbio che bvotta. Ha vinto Berlusconi come al solito. Fini è stato ridicolizzato: dovrebbe andare in esilio. Ora Casini in maggioranza, oppure voto a marzo”. L’intervista occupa tutta la pagina. Secondo Feltri quella delle elezioni anticipate è l’ipotesi più probabile, anche se ammette che si tratta di una “valutazione influenzata dai miei desideri”, perché i democristiani “soffrono troppo a stare lontane dal potere, e l’Udc “non si lascerà sfuggire l’occasione per saltare nel piatto e rimanerci fino al 2013”.
L’Unità: “Governo Scilipoti. Fiducia per tre voti. Transfughi decisivi. Berlusconi ottiene il sì della Camera grazie ai due ex Idv e Calearo. Poi va al Quirinale e promette ‘stabilità’. Finiani spaccati. Elezioni più vicine”. E poi il giudizio di Bersani: “Vittoria di Pirro”.
Il Foglio: “I botti della fiducia. Il conto del Cav a Fini: tre settimane per svuotare Fli e imbarcare l’Udc, sennò alle urne”. E poi: “Una giornata di straordinaria guerriglia urbana per giovani al di sopra della loro ferocia”. Di spalla il quotidiano si occupa del dibattito sulla Fiat: “La cura Marchionne farà risvegliare pure la lenta Confindustria”. Viene intervistato Carlo Callieri: “L’ex top manager Fiat ed ex vice della confederazione analizza la rivoluzione americana voluta dal Lingotto”.
Politica
Gli scenari possibili – lo scrive Il Sole 24 Ore ma più o meno su questo si soffermano tutti i quotidiani – sono tre: una “crisi pilotata” con ingresso nel governo dell’Udc e di qualche esponente di Futuro e libertà; un governo Berlusconi che conitnua ad andare aavanti con i numeri che ha (ieri il premier si è detto convinto di poter continuare a governare, incontrando il Capo dello Stato), ma con numerosi incidenti possibili; le elezioni anticipate a marzo, scenario definito “il meno probabile perché sia Berlusconi, sia Casini sia il capo dello Stato hanno fatto capire di voler evitare le urne”. Un articolo dello stesso quotidiano racconta i cinquanta minuti di incontro tra premier e Presidente della Repubblica, poco meno di cinquanta minuti. “Napolitano chiede di allargare la base parlamentare e frena suill’ipotesi del voto”. Sotto, il quotidiano di Confindustria si sofferma sulle “attese degli analisti” economici. “I mercati tifano per un esecutivo più forte”. E poi: “Scatto di Mediaset in Borsa. Balzo del 3,29 per cento” dopo il voto di fiducia a Berlusconi.
Un retroscena de La Stampa racconta “Fini nel fortino”, mentre i parlamentari del Pdl gli “gridano di tutto”, dopo il voto. “Sorride a chi lo irride”, e “fa capire ai suoi fedelissimi che il programma non cambia e a caldo scolpisce la frase che potrebbe diventare proverbiale: ‘Ora? Ci divertiremo’. Certo, è un modo per esorcizzare la batosta ma anche un messaggio ai suoi: d’ora in poi a Berlusconi non gliene passeremo una”. Alla domanda sulle dimissioni risponde: “Non ci penso proprio”. Intanto, uno dei “primi effetti” della sconfitta di ieri lo racconta un altro articolo del quotidiano torinese: “Il finiano Briguglio via dal Copasir. ‘Ora siamo all’opposizione'”.
Lo stesso quotidiano, in un altro retroscena, spiega l’incontro tra Berlusconi e Napolitano: “Rimpasto promesso a Napolitano. Il Colle: non è cambiato alcunché”.
Esteri
Su Richard Holbrooke, che è morto l’altra notte, molti articoli sui quotidiani. Il Riformista (“Obama perde l’uomo capace di fare la pace”) ricorda il “suo grande successo”, la pace nei Balcani, dove “seppe coniugare insieme realismo e ipocrisia”, e poi chiede a Rufus Philips, agente della Cia e suo diretto superiore in Vietnam, di ricordare il personaggio: “Lo conobbi a Saigon e capii subito che avrebbe fatto una carriera brillantissima”. Holbrooke cominciò in Vietnam nel 1963, a 22 anni, appena uscito dall’università. Lì Holbrooke, di fronte alle truppe americane chiaramente osteggiate dalla popolazione locale, che era “schierata con il nemico”, capì che gli Usa dovevano etrnare “maggiormente in contatto con la gente del luogo, convincendola dei vantaggi che avrebbe avuto venendo dalla nostra parte”.
Racconta La Repubblica che l’ultima frase di Holbrooke prima di perdere conoscenza è stata “dovete fermare la guerra in Afghanistan”.
Sul licenziamento dell’ex ministro degli esteri iraniano Mottaki, da segnalare due articoli de Il Foglio, secondo cui il gesto è stato il sintomo della resa dei conti tra il cosiddetto partito dei pasdaran e i conservatori pragmatici, che hanno come leader il Presidente del Parlamento, Larjani.
Su tutti i quotidiani anche notizie su Julian Assange: “Il moralista paga per uscire di galera”, scrive Il Giornale. “Grazie ad una cauzione di 283 mila euro il fondatore di Wikileaks, accusato di stupro, sarà fuori entro 48 ore. A congelare la sua liberazione il ricorso della Svezia, ma avrò obbligo di domicilio e braccialetto elettronico”.
Libero: “Povero Assange: avrà un castello come cella. Il giudice inglese dice sì alla libertà su cauzione (240 mila sterline) per il portavoce di Wikileaks. Ma la Svezia ricorre”.
Il Corriere della Sera. “Assange libero. Anzi no. Resta in cella mister Wikileaks. I giudici di Londra: fuori su cauzione. Ma la Svezia ricorre in appello”. La Stampa offre “cinque domande” a Catherine Assange, la madre: “Sono preoccupata, naturalmente, non sono diversa dalle madri di tutto iol mondo”. “Mi ha assicurato che non mollerà”, il titolo dell’intervista.
La Repubblica dà conto delle opinioni su Assange negli Usa: il 68 per cento degli americani ritiene che Wikileak abbia danneggiato l’interesse nazionale e il 59 per cento vorrebbe che Assange finisse in un carcere statunitense. Ma con un forte gap generazionale: sotto i 29 anni i difensori di Wikileaks diventano maggioranza. Uno dei suoi legali sostiene che l’Amministrazione Obama avrebbe già messo al lavoro un “gran giurì segreto”, in Virginia, per preparare le accuse in vista di una incriminazione formale. John Bellinger, ex consulente legale del Dipartimento di Stato, dice che il reato contro la sicurezza nazionale è perseguibile ai sensi dell’Espionage Act ed è convinto che il Dipartimento di Stato abbia già precostituito gli elementi di una incriminazione, con la lettera in cui si diffidava Assange dal diffondere i dispacci diplomatici. Quella lettera lo rendeva consapevole del danno. E per Bellinger la Clinton ha bisogno di “enfatizzare” il danno stesso, per impedire che altri facciano lo stesso. Bellinger ritiene improbabile che un soldato semplice come Bradley Manning abbia avuto accesso a tutti quei cable: ed è questo uno dei contro-argomenti usati dai difensori americani di Wikileaks, secondo cui il governo è stato “incredibilmente negligente”. Torna sulla ribalta anche il regista Michael Moore che, dopo aver contribuito a pagare la cauzione per Assange, ha messo a disposizione il suo sito internet e i suoi server: “Se avessimo avuto Wikileaks – ha detto – forse gli americani avrebbero saputo che la Cia aveva avvertito Bush sul pericolo di un attentato prima dell’11 settembre, e avremmo scoperto le menzogne di Dick Cheney, che ci portarono alla guerra in Iraq. Il Corriere della Sera racconta invece le preferenze letterarie di Assange: uno dei suoi romanzi preferiti è Buio a mezzogiorno, di Koestler, ama gli autori russi e i classici greci.
E poi
Su La Stampa si rac conta la storia di un progetto di un ingegnere idraulico iracheno per ecuperare una vasta area paludosa in Iraq, nel sud del Paese, “dove era il biblico Eden”, nel delta dei fiumi Tigri ed Eufrate. L’ingegnere si chiama Azzam Alwash, si è formato negli Usa ed è tornato in Iraq nel 2004. Il progetto, che si chiama “New Eden Project”, è finanziato “in larga parte dal ministero italiano per l’Ambiente”.
Il Corriere della Sera recensisce con una intervista il romanzo di uno scrittore iracheno Sinan Antoon, trasferitosi negli Usa: la storia ambientata negli anni 80 in Iraq, dice che seppur non si può mettere sullo stesso piano dittatura e occupazione militare, ora la maggioranza degli iracheni sta molto meglio di prima, visto che ora, per rischiare la morte, basta scendere in strada a fare la spesa, e la gente non ha più cose elementari come elettricità, acqua, polizia. Il libro si chiama “Rapsodia irachena”, lui dice che la dittatura di Saddam non interessava l’occidente.
Oggi il Parlamento Europeo attribuirà il premio Sacharov al dissidente cubano Guillermo Farinas. Ci sarà un’altra sedia vuota, poiché non gli è stato concesso di lasciare il Paese. Ne parla il Corriere.
La Repubblica riferisce che il Consiglio d’Europa avrebbe accusato il premier del Kosovo Thaci di essere alla guida di un gruppo mafioso responsabile di traffico d’armi, di droga e di organi umani.
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Un piano contro le frodi CO2 14.12.2010
Jacopo Giliberto
Anche l’ecologia e la difesa del clima diventano la piazza per le truffe più classiche. È allo studio una norma antifrode per il mercato italiano dell’anidride carbonica viziato dalle truffe “carosello”. La norma potrebbe avere la forma di un decreto di “reverse charge” sul pagamento dell’Iva – anticipa il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia – analogo a quello adottato da altri paesi europei quando si sono trovati a dover affrontare gli evasori dell’Iva sugli scambi di CO2.
Mentre a Cancún (Messico) sabato i paesi del mondo si sono accordati per un’intesa di profilo modesto nella lotta contro le emissioni che cambiano il clima del mondo, il mercato italiano delle quote di CO2 è ancora fermo. Chiuso. Blindato. Il 1° dicembre il Gestore dei mercati energetici – il Gme che organizza gli scambi di elettricità ma anche di titoli di efficienza energetica, di certificati versi, di quote di CO2 e così via – ha sospeso le trattative sull’anidride carbonica. C’è il sospetto che qualcuno praticasse truffe sull’Iva.
Conferma Saglia che «il ministero dello Sviluppo economico ha accolto positivamente la decisione del Gme di sospendere il mercato delle unità di emissioni di gas serra a seguito delle irregolarità riscontrate. In questo modo viene tutelato l’interesse pubblico con un’iniziativa che costituisce uno strumento di natura transitoria per interrompere o prevenire ulteriori anomalie». Con ogni probabilità, il decreto sul “reverse charge” dovrebbe essere inserito nel “milleproroghe” e potrebbe diventare operativo a metà gennaio. Il meccanismo “reverse charge” dice che l’Iva sugli scambi di anidride carbonica dovrà essere versata all’erario da chi compra le quote di CO2 invece che – come avviene oggi – dal venditore, il quale inserisce l’Iva in fattura, se la va pagare e poi la versa allo stato.
Difatti il meccanismo è quello classico che si ripete su mille commodity diverse trattate su più mercati. Il furbetto acquista, in un paese che non applica l’Iva, un bene (che sia soia, zinco o emissioni di anidride carbonica). Poi lo rivende in un paese che applica l’Iva, e se la fa pagare dall’acquirente. Poi, non versa l’Iva. Con quel divario del 20% rappresentato dall’imposta incassata e non versata, il venditore truffaldino può permettersi di fare offerte a prezzo stracciato.
Lo si è visto anche sul mercato italiano della CO2. Da mesi i listini sono scesi improvvisamente sotto la media europea. A sorpresa, alle sedute di ogni giovedì gli operatori assistevano allibiti a scambi di quantità impressionanti di quote di anidride carbonica. Il fabbisogno italiano di quote è nell’ordine di 200 milioni di tonnellate, per un valore medio di 3 miliardi di euro (e 600 milioni di euro di Iva), e gli analisti del settore, come gli esperti di Point Carbon, parlano di una frode sui 5 miliardi di euro in undici paesi.
Il problema è ricorrente in tutta Europa. Si era presentato un paio di anni fa in diversi paesi. Come contromisura, le principali borse europee delle emissioni (come Francia, Germania, Spagna) cancellarono l’Iva dalla CO2. L’Inghilterra ha ripristinato una “reverse charge” simile a quella che adotterà l’Italia.
«Questa mancata armonizzazione fiscale – osserva Pietro Valaguzza, che con l’Icasco è uno degli operatori più attivi del settore – lascia aperta la porta alle frodi carosello».
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-12-14/piano-contro-frodi-063857.shtml?uuid=AYSMqWrC
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La Marina USA e il cannone ipersonico 14.12.2010
La US Navy sperimenta un nuovo pezzo di artiglieria elettromagnetico: un’arma capace di sparare un proiettile a centinaia di miglia di distanza con velocità da record
Roma – Spara un proiettile speciale lanciandolo a velocità Mach 7, con una potenza mai registrata e la capacità di coprire una distanza ben oltre il limite di sicurezza. È il nuovo cannone elettromagnetico che la Marina USA ha sperimentato presso il Naval Surface Warfare Center nello stato della Virginia, con la speranza di equipaggiare la propria flotta con una versione ulteriormente potenziata di qui al 2025.
Il cannone è in grado di sparare un proiettile speciale con l’equivalente di 33 megajoule di energia, “rinforzato” per sostenere l’enorme carico energetico e la velocità di migliaia di chilometri al secondo. Il proiettile ipersonico conquista il record mondiale superando quello precedente di 10 Megajoule, ed è secondo la marina adatto a sparare dalla distanza di “almeno” 110 miglia nautiche.
Tale distanza “pone i marinai e i marine a una distanza di sicurezza e fuori dal rischio di danni”, dice il contrammiraglio Nevin Carr, “e le alte velocità raggiungibili sono tatticamente rilevanti per la difesa aerea e missilistica”. “Questa dimostrazione – continua l’ufficiale – ci porta un giorno più vicini allo schieramento in mare di questa capacità avanzata”.
Sfruttando un campo magnetico opportunamente manipolato, il cannone elettromagnetico su cui lavora la Marina ha inoltre il vantaggio di non richiedere il trasporto del materiale esplosivo necessario a sparare i proiettili con le unità da fuoco “tradizionali”. Prima dell’installazione di questo genere di armi a bordo della flotta USA, i responsabili del progetto vogliono raggiungere una capacità energetica di 64 Megajoule.
Alfonso Maruccia
http://punto-informatico.it/3055239/PI/News/marina-usa-cannone-ipersonico.aspx
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CHI CI PROTEGGERÀ DALLE BALLE NUCLEARI DI VERONESI? 10.12.2010
Umberto Veronesi continua a deliziarci con le sue sparate a favore del nucleare. Dice per esempio che potrebbe dormire avendo in camera da letto scorie nucleari: “non esce neanche la minima quantità di radiazioni” (AGI, La Repubblica, 30 novembre). Se un’affermazione di questo tipo la facesse come Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare in qualche documento ufficiale, Veronesi andrebbe denunciato per falso ideologico. E se continuasse a promuovere il nucleare più che a controllarlo violerebbe nella sostanza la Direttiva UE 71/2009, che separa nettamente le due funzioni.
Anche a beneficio del prof. Veronesi, diamo qualche dato. A seconda del tipo di contenitore, la radioattività delle scorie vetrificate a un metro di distanza è di 40, 100 o 200 microSievert all’ora (World Nuclear Transport Institute, luglio 2006). Supponendo che il professor Veronesi dorma 6 ore a notte (è un tipo iperattivo, pare…), ci passerebbe 2.190 ore all’anno, assumendo quindi da 87 a 438 milliSievert (mSv) all’anno (radiazioni gamma e neutroni). La dose massima consentita per un individuo della popolazione è di 1 mSv all’anno. I lavoratori addetti sono, invece, autorizzati a prenderne 20 all’anno. Altro che sonni tranquilli: Veronesi si beccherebbe una dose di radioattività che, grosso modo, è da 80 a 430 volte oltre quella consentita.
Forse il Prof. spera di diventare fosforescente e risparmiare sull’abat jour? Purtroppo così al massimo si fa le lastre ai raggi gamma…
Se invece il professore preferisse tenere in camera da letto materiali nucleari non irraggiati, allora se la passerebbe molto meglio: in questo caso, infatti, si beccherebbe da 1 a 6 microSv all’ora con una dose annuale tra 2 e 12 mSv: dal doppio a 12 volte la dose massima.
Quali le conseguenze? Se, per assurdo, tutti i cittadini italiani seguissero il prof. Veronesi nell’esperimento in questione, avremmo oltre 250 mila casi di tumore fatali all’anno (le stime si riferiscono al tasso di esposizione di cui sopra: non sono di Greenpeace ma dell’ICRP la Commissione Internazionale per la protezione dalla radiazioni). Dubitiamo che basti il Prof. Veronesi a curarli tutti, e sarebbe meglio se il Prof. si facesse almeno un corso rapido sul tema per evitare di dire castronerie del genere.
Il problema è che queste balle non sono le sole di questo suo “battesimo nucleare”. Un’altra riguarda il deposito delle scorie. Il Prof. ci rassicura: questo problema non esiste perché secondo lui le potremo mandare in Spagna dove “c’è una vera e propria gara” dei comuni per accaparrarsi il deposito temporaneo per le scorie nucleari (alla faccia di quei cattivoni di Scanzano Jonico che proprio non ne vollero sapere). In effetti, sugli 8.000 comuni spagnoli, solo 8 comuni (di 5 regioni) hanno dichiarato la loro disponibilità a ospitare le scorie. La gara va male anche perché tutte e cinque le regioni coinvolte si sono un po’ alterate e i parlamenti regionali si stanno opponendo con forza.
Ma qualcuno ha avvisato il governo spagnolo delle intenzioni del nostro futuro Presidente dell’Agenzia di sicurezza nucleare?
Un’altra notizia bislacca (veronesica, potremmo dire) è che in Svizzera sono state “ordinate” tre nuove centrali. Di sicuro ce ne sono tre che devono chiudere e le aziende elettriche le vorrebbero sostituire. La Camera dei Cantoni su iniziativa del Cantone di Basilea, quello più fortemente antinucleare, ha deciso di continuare la procedura decisionale sulle tre centrali che avrà termine con un referendum nel 2013. Mentre da noi i referendum zoppicano, in Svizzera vanno forte: di recente ce ne sono stati due (a carattere locale) che hanno sancito la fuoriuscita dal nucleare di Berna e St Gallen, che si aggiungono alle decisioni antinucleari già prese dalle città di Zurigo, Basilea e Ginevra.
Conclusione: Veronesi straparla del nucleare e vorrebbe essere quello che ci “proteggerà” dalle centrali di Berlusconi e ENEL. Ma chi proteggerà Veronesi da sé stesso? E chi proteggerà noi dalle balle di Veronesi?
Una versione di questo post è stata pubblicata su “Il Manifesto” il 5 dicembre.
Giuseppe Onufrio
Direttore esecutivo di Greenpeace Italia
http://www.greenpeace.it/blog/?p=1705
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Una casa a forma d’uovo contro il caro affitti 14.12.2010
Il problema della sovrappopolazione in Cina ha portato all’emergenza abitativa in numerose città dove si concentrano i distretti produttivi. Così, come accade già da tempo in Giappone, la gente si inventa soluzioni abitative estreme, unità modulari, bivacchi urbani.
Dai Haifei, un architetto di 24 anni, ha costruito a Pechino la sua Egg-shaped house, una casetta mobile a forma d’uovo. Ha così risolto il problema degli affitti alti, progettando una casa da zero. Alta circa 1,80 m, si alimenta ad energia solare ed è fatta di bambù, legno e sacchi di juta contenenti panetti di terra e semi di erba, che ricoprono il tetto per formare un prato che favorisca l’impianto termico in estate e inverno. Dentro un letto, un serbatoio d’acqua e una lampada.
Il costo della casa? Circa 720 euro. I suoi genitori, una cameriera e un operaio edile, gli avrebbero voluto comprare un appartamento, ma per farlo avrebbero dovuto pagare un mutuo per trecento anni. Da ottobre Dai Haifei vive dunque nella sua Mobile Egg House, che si adatta bene ad essere piazzata sui marciapiedi. Giorno dopo giorno sta cercando di effettuare migliorie: lo smaltimento dei rifiuti, la coibentazione, il design interno.
L’idea gli venne in mente quando visitò la Biennale di Shanghai 2010 e scoprì il progetto City’s Egg. Da allora lavora per completare il suo prototipo, che un giorno spera qualche azienda possa mettergli in produzione. Per ora lo tiene posteggiato in strada, sotto il suo ufficio.
Photos –> Dai Haifei
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Sessione plenaria 13-16 dicembre 2010
A un milione di cittadini il diritto di proporre nuove leggi UE
Un milione di cittadini dell’Unione potrà presto presentare alla Commissione proposte di legge europea. Il Parlamento ha approvato mercoledì le regole di base per il funzionamento dell’iniziativa popolare europea, prevista dal Trattato di Lisbona. Grazie ai deputati, lo strumento è più accessibile di quanto proposto inizialmente.
“Oggi l’Unione europea si sta aprendo a una democrazia partecipativa. I cittadini posseggono adesso gli stessi diritti del Parlamento del Consiglio sull’iniziativa politica. Spetta a loro agire”, ha affermato Alain Lamassoure (PPE, Francia) durante il dibattito precedente la votazione, che ha visto il testo approvato con 628 voti a favore, 15 contrari e 24 astensioni.
La co-relatrice Zita Gurmai (S&D, Ungheria) ha aggiunto che “l’iniziativa dei cittadini rappresenta un’opportunità unica. Per la prima volta i cittadini possono unirsi per farci sapere se stiamo lavorando nel modo giusto. Ne abbiamo un grande bisogno”.
Come funziona
Appena la legislazione entrerà in vigore, un “comitato di cittadini” composto di persone provenienti da almeno sette Stati membri, potrà registrare un’iniziativa e iniziare a raccogliere le firme, su carta o online, dopo la verifica di ammissibilità che spetta alla Commissione.
A ogni iniziativa sono concessi 12 mesi per la raccolta del milione di firme richieste e i firmatari devono provenire da almeno sette Stati membri. Un numero minimo di firme per Stato membro deve essere raccolto, numero che varia secondo la popolazione. Per l’Italia è 54.000, per la Germania 74.250 e per Malta 3.750.
Gli Stati membri hanno l’onere di verificare la validità delle dichiarazioni a sostegno delle firme e potranno scegliere quale tipo d’informazione sia necessaria affinché le firme siano convalidate. Nella maggioranza dei casi, il numero della carta d’identità è obbligatorio. I firmatari dovranno essere cittadini europei e in età di voto.
La procedura termina con la decisione della Commissione europea, da adottare entro tre mesi dal completamento della verifica delle firme, se procedere o meno con una proposta legislativa. Tale decisione dovrà essere resa pubblica.
I principali risultati ottenuti dal Parlamento
I deputati sono riusciti, su una serie di importanti punti, a rendere lo strumento dell’iniziativa popolare più semplice e accessibile. Una delle richieste del Parlamento è stata quella di evitare che la conferma di ammissibilità da parte della Commissione non avvenisse dopo aver ottenuto 300.00 firme come proposto, ma immediatamente dopo la registrazione dell’iniziativa.
Anche il numero minimo di Stati membri dai quali le firme devono provenire è stato ridotto da un terzo a un quarto, cosi come la garanzia che tutte le iniziative che raggiunono un milione di firme avranno un seguito, inclusa un’audizione pubblica, sono altre modifiche adottate grazie l’insistenza dei deputati.
Infine, i deputati hanno chiesto e ottenuto che la Commissione aiuti gli organizzatori di una raccolta di firme con una guida di facile uso, un software a codice aperto per le firme online e la predisposizione di un punto d’informazione.
La risoluzione è stata approvata con 628 voti a favore, 15 contrari e 24 astensioni.
Prossime tappe
Dopo l’approvazione formale del Consiglio, che dovrebbe avvenire entro poche settimane, gli Stati membri avranno un anno per integrare la nuova normativa nella legislazione nazionale. Il nuovo strumento dovrebbe quindi entrare definitivamente in vigore all’inizio del 2012.
Testo approvato (selezionare 15 dicembre)
Q&A sul diritto d’iniziativa dei cittadini (in inglese)
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Prodotti anti-graffiti, una scatola nera individua lo spray delle bombolette 16.12.2010
Si fa sempre più avanzata la lotta ai graffiti selvaggi. Qualche tempo fa vi avevamo parlato di speciali prodotti anti-graffiti, oggi vediamo cosa si sono inventati a Fresno, in California. Qui, il Dipartimento di Polizia di Hanford, stanco delle continue denunce di vandalismo nei quartieri residenziali, nei negozi e nelle scuole, si è rivolto ad un nuovo prodotto.
Il Black Box è una piccola scatola nera, il Merlin Graffiti Detection Sensor, un sensore di rilevamento delle sostanze emesse dalle bombolette spray. Il dispositivo funziona con un trasmettitore wireless che comunica con la polizia, pronta ad intervenire e cogliere sul fatto i “malcapitati”.
Progettato da Potter Electric Signal Company, ha un raggio d’azione molto ampio e comincia a far paura a molti adolescenti graffitari. Proprio in questi giorni, sempre in California, a San Bernardino (vicino LA), un diciassettenne è stato condannato a pagare oltre 21 mila dollari per aver imbrattato diverse pareti pubbliche.
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La rassegna http://www.caffeeuropa.it/ del 17.12.2010
Le aperture
Il Corriere della Sera. “Scontri a Roma, tutti liberi. Alemanno: ingiusto. I magistrati: no agli insulti”. “I manifestanti erano stati fermati con l’acvcusa di resistenza alle forze dell’ordine e lesioni”. Un corsivo in prima pagina è titolato “I dubbi sulle scarcerazioni e le ragioni della polizia”. Un altro articolo si sofferma sulle misure allo studio della polizia per fronteggiare altre manifestazioni violente: “Il Viminale cambia tattica: nuclei di agenti anti-violenti”. Il titolo di apertura è dedicato alle misure prese dall’Unione Europea: “L’Europa approva il fondo Salva-Stati. Crisi, modificato il trattato di Lisbona. Confindustria: Italia malata di lenta crescita”. A centro pagina invece la notizia della trattativa sbloccata sul federalismo: “Intesa tra Stato e Regioni sul federalismo fiscale. Trattativa sbloccata. I vescovi ai politici: serve dialogo”. A fondo pagina notizie su Wikileaks: “Bracciale elettronico per seguire Assange. Il capo di Wikileaks in libertà condizionata”.
Libero: “Liberi di bruciare l’Italia. Tutti scarcerati i teppisti di Roma. Hanno fatto 20 milioni di danni e pestato 50 agenti: dopo 48 ore sono già fuori. Toghe sotto accusa. Minacce di morte alla futurista che ha votato la fiducia al Cavaliere. Maroni le dà la scorta”. L’editoriale, firmato da Maurizio Belpietro, è titolato: “La sinistra ripete gli errori fatti negli anni 70”. E sotto, Giampiero Mughini: “Non credete alla balla degli studenti buoni”.
La Stampa: “Scontri a Roma, tutti liberi. L’ira di Alemanno: assurdo. Scarcerati 22 fermati, uno ai domiciliari. I difensori: accuse fumose, sono stati presi nel mucchio. Critiche ai giudici da Pdl e Lega: serviva fermezza. L’Anm: no agli insulti. Parla il padre di un ragazzo: un figlio senza futuro travolto dalla guerriglia”.
La Stampa intervista Vincenzo Miliucci, leader storico dell’Autonomia romana, padre di Mario, uno dei giovani arrestati durante gli scontri di Roma.
Su La Repubblica il racconto di alcuni dei fermati: “In cella tra botte e insulti. Ci hanno detto: ricordatevi Bolzaneto”. Anche il quotidiano romano intervista Vincenzo Miliucci: “Io, ex di Autonomia operaia e mio figlio in manette”.
Il Riformista: “Tutti scarcerati. Dei ventitrè arrestato solo uno resta ai domiciliari. Scontri di Roma. Per i giudici è ‘necessario approfondire il quadro delle accuse’. In sei a processo il 23. Per il sindaco della Capitale Alemanno si tratta di un provvedimento assurdo”.
Il Giornale: “Premiati e devastatori di Roma. Liberi di tornare a sfasciare tutto. Il Tribunale che ha tenuto in custodia cautelare tre mesi Silvio Scaglia si è affrettato a scarcerare i 23 fermati per le violenze di martedì. Così potranno partecipare alla prossima guerriglia, già fissata tra cinque giorni”. Di spalla un articolo sulla politica, dopo il voto di fiducia: “Ecco perché i cardinali vogliono che Casini vada con Berlusconi”.
La Repubblica: “Fini: il governo non durerà. Casini: terrò conto del monito dei vescovi. Di Pietro al Pd: subito alleanza con Vendola. La replica: non se ne parla”. Sul quotidiano anche una intervista a Bersani: “Patto col Terzo polo, ridiscutere le primarie”. Di spalla: “Roma, scarcerati gli studenti. Alemanno attacca i giudici”. A centro pagina: “L’allarme di Confindustria. ‘Crescita ferma, Italia malata”. “Impietoso il confronto con Berlino, dal governo strumenti insufficienti”. “Sacconi: dati inutili”. In prima la notizia della liberazione condizionata di Assange: “Ora temo l’estrazione negli Usa”. E poi un articolo di Timothy Garton Ash sulla Birmania: “Parlare con San Suu Kyi in videochat da Londra”.
Il Sole 24 Ore: “Nasce il fondo Ue salvastati. Intesa al vertice su modifiche limitate al trattato. Bankitalia: Basilea 3 impone 40 miliardi di nuove risorse. La Bce raddoppia il capitale per coprirsi dai rischi sui bond”. A centro pagina: “Delude la crescita dell’Italia. Marcegaglia: subito le riforme o il paese resterà indietro. Confindustria taglia le stime del Pil dall’1,2 all’1 per cento. Da inizio crisi persi 540 mila posti”.
Il Foglio: “Così Strasburgo vuole forzare le regole strette dell’Irlanda sull’aborto. Accolto il ricorso di una donna che aveva abortito all’estero”. La corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha approvato il ricorso di una donna irlandese, perché in quel Paese l’aborto è consentito solo in caso di pericolo di vita. Non essendo riuscita a trovare un medico in Irlanda, la donna è volata in Inghileterra ad abortire, e poi ha sporto denuncia. Di spalla un articolo sulla politica italiana: “Intellettuali finiani invitano il capo a non morire democristiano. I dubbi di Campi e Ventura sul terzo polo con Casini: eravamo bipolaristi laici e moderni. Lo saremo ancora?”.
Il Fatto quotidiano: “Spioni e massoni alla corte di Berlusconi. Della telefonata Fassino-Consorte intercettata dal Giornale il premier fu l’utilizzatore finale. Ma, garda un po’, paga il fratello Paolo. Poi c’è Lavitola (doveva rovinare Fini) coinvolto nella inchiesta su una loggia segreta”.
Politica
Pierluigi Bersani, intervistato da La Repubblica, spiega che in realtà non è fallita la tentata spallata al premier. “Avevano 70 voti in più, ora ne hanno 2. Certo, nella nuova fase l’esecutivo di transizione sembra meno praticabile. Ma la sostanza politica c’è ancora. E il Pd, entro gennaio, vuole presentare una proposta a tutte le forze dell’opposizione di centro e di centrosinistra che può avere anche un profilo elettorale”. Bersani annuncia “un tour delle regioni per parlare dei problemi reali”, e si rivolge al Terzo Polo. E per questo dice che le primarie, quelle sulle amministrative, “possono inibire rapporti più aperti e larghi noin sono con i partiti ma con la società civile”, e che dunque vanno riformate.
Sul Corriere della Sera una conversazione con Goffredo Bettini: l’ex coordinatore del Pd dice: “Ora alleanza con il terzo polo. Senza primarie. Va allargato il campo del Pd con una guida autorevole che parli a tutto il Paese”.
Domenico Scilipoti oggi merita la prima pagina de L’Unità, per la sua partecipazione alla trasmissione radiofonica “Un giorno da pecora”. “L’Italia affonda, il mondo ride”, il titolo. E poi la notizia che spunterebbe anche “un passato oscuro” del deputato ex Idv: “Rapporto del 2005 su rapporti con la ‘ndrangheta”. Lo stesso Scilipoti parla di “tempismo perfetto” per l’uscita di queste notizie, in una intervista al Riformista: “E’ il przzo che devo pagare per anteporre gli interessi del popolo a quelli di maglietta”. “Hanno scritto che ho preso soldi, ho debiti, adesso la ‘ndrangheta. Tra un po’ diranno che sono implicato nell’attentato alle Torri Gemelle. Sono sbalordito. Ma io querelo, sono stanco di questi mascalzoni”.
Esteri
Su L’Unità l’articolo che Michael Moore ha scritto sul caso Assange: “Anch’io ho dato soldi per liberare Assange: mai più segreti e guerre. Ho versato 20 mila dollari per contribuire alla cauzione. Dobbiamo ringraziare Wikileaks: se ci fosse stato nel 2002 in Iraq sarebbe andata diversamente”. L’articolo è copyright The Daily Beast.
Sul Riformista un giurista come John Bellinger, ex consulente legale di Bush, spiega “come e perché” Assange dovrebbe essere “processato negli Stati Uniti. Senz apassare da Stoccolma”. Avendo egli deciso di pubblicare informazioni sensibili e riservate nonostante l’avvertimento del Dipartimento di Stato Usa, ben consapevole dei danni che avrebbe potuto causare, lo si può incolpare di essersi appropriato indebitamente di documento appartenenti al governo americano. E poi di aver divulgato file cruciali per la sicurezza nazionale, e di averlo fatto per finalità politiche.
La Stampa offre una conversazione con l’ex procuratore del Tribunale penale internazionale Carla Del Ponte, che si sofferma sulle accuse al leader kosovaro Thaci. Oggi la Del Ponte, ambasciatrice svizzera in Argentina, ricorda di aver avvertito Thaci, durante la conferenza di Dayton, che stavano emergendo accuse a suo carico, e che lui le rispose che quei crimini erano stati commessi da “serbi travestiti da kosovari”. “Thaci è sempre stato politiciamente molto attivo ed è giusto avere anche per lui la presunzione d’innocenza, ma è doveroso indagare. Ci vuole una vera inchiesta, dove sia possibile avere accesso alla documentazione riservata, dove si possa dare la giusta protezione ai testimoni, dove si possano fare delle ricostruzioni sui posti dove si presume siano avvenuti i fatti”.
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Alessandro Dal Lago
Scendere dal pulpito 17.12.2010
Quanto sembra remoto l’unanimismo
democratico di «Vieni via con me», con l’officiante Fazio che assemblava tutto il perbenismo nazionale – di centro, di destra e di sinistra – e proclamava, parole sue, che la trasmissione era la prima della tv post-berlusconiana! Sono passate poche settimane, ma sembrano anni. Il Cavaliere, che i conti li sa fare, ha emarginato il suo oppositore interno. I centristi, raccolte le loro sparse ed eterogenee truppe, si leccano le ferite. Di Pietro ha abbassato la cresta e magari riflette sulla selezione del personale politico dell’Idv. Il Pd tira un sospiro di sollievo, perché per un po’ le elezioni si allontanano…
E soprattutto la rivolta del 14 dicembre ha mandato in pezzi quel buonismo peloso e dolciastro che il centrismo di destra e di sinistra ha cercato di contrapporre invano a Berlusconi. Bersani sui tetti, Granata sui tetti – dopo che il primo non aveva fatto una grande opposizione per fermare il Decreto Gelmini e il secondo si disponeva a votarlo.
Per il momento, il progetto di un berlusconismo senza Berlusconi, di un moderatismo costituzionale e unanimista, perde colpi. Come si è visto dalle straordinarie immagini dei palazzi del potere assediati dai manifestanti, la rocciosa realtà del conflitto ha preso il sopravvento sulla realtà illusoria e distraente delle rappresentazioni mediali e delle «battaglie» parlamentari in cui la sola posta in gioco è quale destra governerà il paese.
Il conflitto, appunto. Deve essere il capo della polizia Manganelli, pensate un po’, a ricordare che la violenza è la manifestazione visibile di un disagio sociale terribile che accomuna studenti, precari e giovani esclusi da qualsiasi speranza. Tutto il polverone sugli infiltrati, i mitici black bloc, gli autonomi redivivi, gli anarchici in trasferta rivela l’incapacità di comprendere che la manifestazione di Roma non è che l’espressione di una turbolenza profonda che non bisognerebbe emulsionare con gli stereotipi più triti.
In questo senso la lettera che Saviano ha indirizzato su la Repubblica ai «ragazzi» del movimento è l’esempio perfetto dell’immagine irreale – a metà tra il sogno e l’esorcismo – che nella sfera separata dei media ci si vuol fare dei movimenti contemporanei.
Cento «imbecilli», come dice Saviano? Al di là del tono paternalistico della missiva («ve lo dico io che sono giovane come voi, credetemi»), colpisce l’incapacità di entrare, se non altro con l’immaginazione, nelle motivazioni di persone tagliate fuori, come centinaia di migliaia di loro coetanei, da qualsiasi progetto, non dico di società, ma di sopravvivenza anche immediata. Dove sarebbero, di grazia, caro Saviano e cari organi di stampa, i black bloc tra i manifestanti oggi scarcerati? E dove i violenti che agirebbero solo per brama di sfascio e poi, curiosa contraddizione, appena arrestati, si metterebbero a «piagnucolare e a chiamare la mamma» (ma chi glielo ha detto, a Saviano?).
I commenti pubblicati dalla stessa Repubblica in coda alla letterina rendono bene lo sconcerto, e in certi casi la rabbia, di tanti che magari si erano identificati nel simbolo Saviano e ora si trovano etichettati come imbecilli. Perché loro c’erano e hanno visto. E quanto all’invito ai manifestanti a fare cortei in letizia e alle forze dell’ordine a comportarsi bene, manganellando solo i cattivoni, beh, accidenti, come sarebbe bello e democratico! Peccato però che le cose non vadano mai così. Io mi ricordo bene Genova, perché c’ero e ho visto, e posso assicurare Saviano che il comportamento pacifico di decine di migliaia di dimostranti non li ha esattamente preservati dalle botte.
Questione ben più seria è che sbocco avrà questo movimento, analogamente ad altri che si diffondono in Europa, perfino nella già compassata Inghilterra. Ma il primo passo per discuterne è prenderlo sul serio, rinunciare ai luoghi comuni rassicuranti, non dar retta al pentitismo nazionale (in cui sono specializzati, magari, ex sessantottini approdati ai media), ascoltare prima di giudicare e, soprattutto, scendere dai pulpiti che stanno un po’ di spanne al di sopra del mondo reale.
http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2010/mese/12/articolo/3862/
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El silencio 17.12.2010
El Silencio è il nome dell’isola dell’arcipelago del Tigre, non lontano da Buenos Aires, riservata un tempo a luogo di riposo del cardinale della capitale argentina.
Dopo il colpo di Stato del 24 marzo 1976, con il quale si impadronisce del potere la cosca clerico-militare capeggiata da Videla, però, l’isola cambia destinazione.
Con la piena complicità della Chiesa cattolica argentina, sostenuta dal Vaticano, l’isola diventa il luogo di un perverso programma di “disintossicazione e rieducazione” al quale vengono assegnati alcuni prigionieri politici giudicati particolarmente ricattabili per essere addestrati ad attività di falsa testimonianza a copertura del trattamento inumano e criminale riservato agli arrestati dalla dittatura.
Sull’isola viene praticata la tortura alternata ad atteggiamenti “morbidi” e compiacenti per ottenere la collaborazione dei prigionieri selezionati.
A trattamento avanzato, ed in rapporto alla loro disponibilità, si arriva persino a concedere “permessi” per rivedere, nel fine-settimana, i parenti, e rassicurarli sulla loro sorte.
Al rientro in carcere, i torturatori in divisa raccontano alle loro vittime tutti i movimenti che questi ultimi hanno compiuto nelle ore di falsa-libertà: tutto ciò per renderli consapevoli di essere in balia di un dominio “assoluto”.
Quando, al termine della “rieducazione”, ad alcuni viene concesso di espatriare, essi sanno che possono muoversi solamente come testimoni della correttezza del trattamento riservato dalle bestie in divisa agli oppositori: a casa, è rimasto sempre qualcuno che può essere rapito, torturato o fatto “sparire”.
El Silencio dipende dalla Scuola Meccanica della Marina, uno dei reparti più spietati della Junta: ne fanno parte animali in sembianze umane educati non solo all’obbedienza cieca ed assoluta, ma anche e soprattutto alla difesa attiva della argentinidad, ossia alla tradizione cattolica affidata alla fedeltà dei corpi militari, alla loro opposizione ai “falsi valori” della democrazia, del liberalismo, dell’ateismo e, più di tutto, del comunismo.
Hanno imparato che la pratica della tortura è una “sofferenza giusta” da infliggere in particolar modo agli intellettuali che “corrompono le masse”, a coloro che credono di combattere per una giustizia che “non può essere di questo mondo”.
Imparare a torturare è una tecnica che non si improvvisa: perciò le bestie dei reparti speciali sono stati addestrati ad assistere alla sofferenza che essi stessi infliggono, spesso con l’aiuto di un medico che indica loro l’opportunità di sospendere il trattamento per riprenderlo appena il torturato ha superato il pericolo del collasso fisico irreversibile.
Le autorità ecclesiastiche e militari sanno che alcuni di questi esecutori della “punizione di Dio” sono più facilmente esposti alla corruzione, sia per la facile occasione di accumulare ricchezze, sia per quella di praticare sopraffazioni sessuali. Esse, tuttavia, ritengono che questo sia il prezzo da pagare per mantenere “l’integrità della dottrina cristiana” che considerano l’unica occasione di salvezza per l’umanità.
Così, a volte, alcuni di coloro che comandano intervengono – su richiesta di amici o di parenti – per attenuare gli eccessi, ma più spesso per coprire la brutalità e la perversità dei torturatori e dei loro immediati superiori. O per illudere i postulanti. O per esortarli a confidare nella “giustizia divina”, chiamata a riparare gli errori umani che la situazione di “guerra ai nemici di Cristo” rende inevitabili.
I nomi di qualche responsabile di questi “santi crimini”, di queste barbarie clerico-fasciste?
Il nunzio apostolico Pio Laghi, il cardinale Jorge Bergoglio, monsignor Emilio Teodoro Grasselli, …, i primi di una lista molto lunga, anche se sicuramente ed infinitamente meno lunga di quella delle loro vittime.
di Matteo Sepulveda
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Jeremy Rifkin: “La terza rivoluzione industriale può iniziare in Sicilia” 17.12.2010
Al link il video
Alcuni giorni fa è stata presentata, a Palermo, l’iniziativa Fred: Forum regionale per l’energia distribuita. Vi partecipano l’industria, il sindacato, i consumatori e il Cetri, Centro europeo per la terza rivoluzione industriale. Quella di Jeremy Rifkin, per capirci. Proprio Rifkin ha voluto essere virtualmente presente alla presentazione del Fred, inviando un videomessaggio nel quale spiega le potenzialità della generazione distribuita dell’energia rinnovabile in Sicilia:
Uno studio molto interessante in Sicilia ci da una idea dell’impatto importante che la Terza Rivoluzione Industriale può avere sull’economia locale. Lo studio mostra che se solo il 6,5 percento dei tetti siciliani, residenziali, uffici, capannoni industriali, fossero equipaggiati con pannelli fotovoltaici si produrrebbe quasi il cinquanta per cento del consumo elettrico in Sicilia oggi. Questi pannelli fotovoltaici permetterebbero in altre parole ai cittadini e consumatori siciliani di “fare da se” per quasi la metà dei loro consumi elettrici. Ma c’è di più. Coprire il solo 6,5 percento dei tetti siciliani oltre a fornire quasi la metà dell’energia, produrrebbe anche un giro d’affari per le piccole e medie imprese siciliane di circa 6 miliardi di euro e un reddito supplementare per le famiglie e le imprese variabile fra i 25 e i 35 miliardi di euro per vent’anni”
Un Rifkin nuovamente economista, quindi. Ma anche un po’ politico nelle sue parole immediatamente successive:
La Terza Rivoluzione Industriale è “power to the people”, è la democratizzazione dell’energia, così che ogni famiglia siciliana, ogni piccola impresa siciliana, ogni consumatore, possa trasformarsi in piccolo imprenditore dell’energia, condividere l’energia in modo collaborativo nell’isola, e nel resto del Paese. La mia speranza è che questo nuovo movimento animato da CGIL, le piccole e medie imprese, le cooperative, Confindustria e le associazioni dei consumatori, manderà un messaggio in Sicilia e in Italia, che la politica tradizionale è superata, e che bisogna creare un movimento economico che coinvolga milioni di italiani e li proietti nel 21simo secolo così che l’Italia possa diventare, con le sue risorse naturali e umane, il faro di uno sviluppo sostenibile per i nostri figli, nipoti e le generazioni a venire.
Parole non da poco, visto che Rifkin aveva battezzato il Piano energetico e ambientale regionale siciliano, per poi lamentarsi di non vederlo minimamente applicato nell’isola del sole. Che sia il tentativo di un nuovo approccio, questa volta dal basso? Dall’alto ci ha provato, senza grossi risultati…
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Anno nuovo, abitudini vecchie: l’Italia pagherà salato per le quote sulle emissioni di CO2 16.12.2010
Che il nostro Paese non sia lungimirante nelle proprie scelte politiche ed in particolar modo su quelle energetico-ambientali è cosa abbastanza risaputa; non altrettanto si può dire sulla percezione che hanno gli italiani sulla spesa che dovranno sostenere a causa di quest’inefficienza. La mia non vuole essere la solita critica fine a sé stessa, ma un’osservazione (con numeri alla mano) sul fatto che i cittadini italiani rischiano di dover pagare cifre salate a partire dal prossimo anno alla luce della conferenza sul clima di Cancun.
L’entità del prezzo sarebbe intorno a circa 2,2 miliardi di euro; per capirci si tratta di debiti generati dall’acquisto di crediti esteri di anidride carbonica da parte delle imprese italiane per quel che riguarda il periodo compreso tra il 2008 e il 2012. Il dato, che emerge dal nuovo rapporto della Ong londinese Sandbag, conferma (semmai ce ne fosse bisogno) della pochezza del nostro Governo in tema di politiche climatiche ed energetiche.
Dal rapporto emerge chiaramente come il Governo italiano abbia preferito in questi anni proteggere le imprese dalle riduzioni dei livelli di emissioni, preservandosi da un bilancio negativo in termini di ingressi di tasse. In sostanza lo Stato nell’ultimo quinquennio ha fatto ben poco per permettere che le aziende assoggettate agli obblighi di riduzione delle emissioni di CO2 si dotassero di tecnologie a basso impatto ambientale anziché orientarle all’acquisto dei crediti.
Morale della favola: sarebbero stati spesi ben 1,7 miliardi di euro di denaro pubblico per comprare crediti nei Paesi in via di sviluppo, in particolare in Cina. Inoltre le imprese italiane soggette all’Emission Trading si troveranno ora a dover spendere altri 500 milioni di euro per trasferire le proprie riduzioni di emissioni all’estero, invece di investire nell’innovazione e nella competitività del sistema industriale nazionale.
L’unica via d’uscita è quella allinearsi quanto prima ai Paesi che stanno andando in direzione opposta rispetto al nostro, avviando un processo di decarbonizzazione delle proprie infrastrutture energetiche. Riusciremo ad assistere un giorno a questo tipo di dibattiti fra i nostri rappresentanti politici anziché continuare a sorbirci i tristi teatrini poveri di contenuto degli ultimi tempi?
Via | Sandbag.org.uk
Foto | Flickr
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Voyager, dove muore il vento solare 16.12.2010
La sonda con oltre sei lustri alle spalle arriva ai confini del Sistema Solare. La Soyuz parte dal cosmodromo di Baikonur con a bordo un italiano
Roma – Dopo 33 anni la navicella spaziale Voyager 1 ha raggiunto un punto dell’eliosfera dove il vento solare rallenta fino a spengersi, punto conosciuto con il nome di eliopausa.
L’eliopausa è, per l’appunto, la regione dove il vento solare (un flusso continuo di particelle tutte cariche elettricamente che partono dal Sole verso ogni direzione) si scontra con la materia interstellare e da questa viene deviata e rallentata fino a zero.
Proseguendo nel suo viaggio verso i confini del nostro sistema stellare, Voyager 1 ha continuato a misurare la velocità del vento solare e ha rilevato che allontanandosi questo continuava a rallentare ad un ritmo sempre maggiore, che da agosto 2007 diventava di circa 60 chilometri al secondo. Fino a toccare quota zero a giugno 2010 e a oltre 17 miliardi di chilometri dal Sole, sulla strada verso lo spazio interstellare.
Voyager, in ogni caso, non sembrerebbe ancora aver superato i confini dell’eliosfera arrivando nello spazio interstellare, ma ora gli scienziati parlano di appena altri 4 anni di viaggio. L’eliopausa si estenderebbe secondo alcuni dati per 21 unità astronomiche (con una tolleranza di più o meno 6UA), la distanza media tra Sole e Terra: con i dati acquisiti nel frattempo, gli scienziati del progetto Voyager avranno numerose verifiche da effettuare per arricchire la conoscenza dello spazio e costruire un modello più accurato.
Nella notte infine la Soyuz sta ha portato tre nuovi membri a bordo dell’International Space Station (ISS): l’astronauta della NASA Catherine Coleman, il cosmonauta russo Dmitry Kondratyev e l’italiano Paolo Nespoli.
Claudio Tamburino
http://punto-informatico.it/3056471/PI/News/voyager-dove-muore-vento-solare.aspx
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Imparare dalle vespe a produrre energia 12.2010
Volare grazie all’energia solare. Se per gli umani è un sogno, per una particolare specie di vespe è una dote naturale. La scoperta, riportata nella rivista Naturwissenschaften, è di un team di ricercatori che lavorano in Israele e Regno Unito, guidato dal dottor Mariano Plotkin della Tel-Aviv University.
La vespa in questione è un imenottero della famiglia delle Vespidae, simile al calabrone, che può raggiungere le dimensioni di circa tre centimetri, precisamente identificata con il nome di “vespa orientalis” (Vespa orientalis Linnaeus). E’ diffusa soprattutto nel sud est dell’Europa e nel Medio Oriente; in Italia è presente nelle regioni meridionali e in Sicilia e nidifica solitamente all’interno di cavità ricavate nei muri e negli alberi, oppure direttamente nel terreno.
L’osservazione degli scienziati ha portato a stabilire che la “vespa orientale”, riconoscibile dalla grande striscia di colore giallo che attraversa il suo corpo, deve proprio a quella la particolare capacità di trasformare l’energia luminosa in energia elettrica.
Osservandone l’attività giornaliera, gli scienziati hanno appurato che questo tipo di vespe lavora molto anche durante l’inverno e che la loro attività è molto più frenetica durante le ore centrali della giornata:
il numero di vespe che entrano ed escono dalla tana è parso addirittura raddoppiare quando il sole è alto, esattamente al contrario di ciò che succede con altri insetti simili.
I ricercatori hanno, così, ipotizzato una correlazione tra la maggiore insolazione e la maggiore attività, ed hanno indirizzato osservazioni ed esperimenti nello studio dei processi metabolici.
Un primo legame tra presenza del sole e attività di queste insetti era stato notato da alcuni entomologi, che avevano osservato come le vespe scavassero con maggiore intensità i loro nidi nel terreno quando maggiore era l’esposizione ai raggi solari.
Dopo aver pubblicato importanti studi sul comportamento e sulla biologia di questi insetti (già nel 2004 e nel 2007) gli studiosi israeliani hanno scoperto che le vespe utilizzano due zone corporee che si trovano sull’esoscheletro (una gialla e una marrone) come fossero dei pannelli solari.
Per molto tempo si è pensato che questa doppia colorazione avesse fondamentalmente una funzione difensiva rispetto agli altri animali. In realtà, pare invece che l’esoscheletro abbia delle proprietà molto più interessanti: la parte marrone è formata da un insieme molto fitto di scanalature, alte appena 160 nanometri e contiene melanina, mentre la parte gialla contiene xantopterina, presente anche in altri animali, che agisce come un vero e proprio pannello solare.
È, infatti, proprio la striscia gialla che ricopre l’addome che consente alla vespa di catturare il 99 per cento dell’energia solare da cui è colpita, sia grazie alla particolare conformazione dei pigmenti della cuticola, che impediscono alla luce di essere riflessa e di abbandonare il corpo, sia dalla parte colorata di marrone, che aiuta a convogliare la luce verso l’area dell’addome colorata di giallo, intrappolando così maggiori quantità di luce.
Il segreto a quanto pare sia tutto nella xantoferina: “Questo pigmento cattura l’energia solare, e la trasforma in elettricità, che viene usata per le attività di ricerca del cibo – spiegano gli autori – ed è proprio intorno all’addome che si concentra la maggior parte dell’attività metabolica dell’insetto”.
Analizzando l’addome della vespa al microscopio è emersa una struttura molto complessa, formata da protrusioni esagonali di 50 nanometri con al centro una piccola depressione, estremamente efficaci nel catturare la luce. Per confermare la teoria i ricercatori hanno realizzato sinteticamente una piccola cella solare con lo stesso principio, riuscendo ad ottenere una conversione della luce in elettricità con una resa per ora molto bassa, ma che in futuro potrebbe essere alzata e sfruttata per dei pannelli utilizzabili dall’uomo.
Fonte: BBC Earth News – http://news.bbc.co.uk
http://www.scienzaegoverno.org/n/093/093_01.htm
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Bollorè si aggiudica contratto per servizio auto elettrica a Parigi 16.12.2010
(il sole 24 ore radiocor) – parigi, 16 dic – il gruppo bollorè si è aggiudicato il contratto autolib’ per il servizio di auto elettriche ad uso pubblico a parigi e nella ’banlieù della capitale. Autolib, che ripete il modello di velib, il servizio pubblico parigino di biciclette, dovrebbe partire alla fine del 2011 e «sarà una prima mondiale per le sue dimensioni», ha sottolineato il sindaco socialista di parigi, bertrand delanoe. Sono 3.000 le auto elettriche che dovrebbero essere messe in circolazione in un primo tempo a parigi e in molti comuni limitrofi tra un anno. Come nel caso della bicicletta, le auto potranno essere prese da una stazione e lasciate in un’altra. Al progetto partecipano oltre alla capitale una quarantina di città della regione parigina. Gli abbonamenti costeranno 12 euro per mese e cinque euro per la prima mezzora di utilizzo della vettura. Le batterie elettriche saranno prodotte in bretagna, mentre le auto saranno fabbricate in italia a torino. Il gruppo bollorè ha una jv per la produzione dell’auto elettrica con pininfarina, ma nei mesi scorsi ha siglato un accordo con la torinese cecomp che produrrà – aveva spiegato ad ottobre vincent bollorè – «le prime migliaia di auto elettriche», mentre «i grandi numeri saranno prodotti da pininfarina».
http://www.uiga.it/2010_articolo.asp?articolo=2943
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In Qatar c’è aria di rivoluzione culturale, si è aperto il Museo di Arte Moderna Araba 16.12.2010
Al link il video
Dopo aver conquistato, con la forza dei petroldollari, il Mondiale di Calcio 2022, lo sceicco del Qatar incassa un’altra grande vittoria, avendo fatto confluire nella capitale Doha il gotha dell’arte mondiale, in occasione dell’apertura del grande Museo di Arte Moderna Araba. Un’istituzione che raccoglie oltre 6.000 opere, raccolte dal 1840 ad oggi (quindi si dovrebbe parlare anche di arte contemporanea).
Come potete vedere nel reportage di Al Jazeera qui sopra, l’artista più chiacchierato è sempre lui, Waafa Bilal, “l’uomo con il terzo occhio”. La notizia del professore d’arte americana che si è fatto installare la telecamera in testa è infatti stata un ottimo ‘apripista’ per il lancio del nuovo museo.
Adesso, molti si chiedono cos’altro inventerà lo sceicco, che pochi mesi fa aveva manifestato l’intezione di comprarsi per intero la casa d’aste Christie’s. L’idea dello sceicco Hassan è di farsi prestare opere da musei come il Louvre o il Guggenheim, per richiamare a Doha turisti da tutto il mondo.
Al momento comunque, la sfida è tutta interna al piccolo paese degli Emirati Arabi. L’Islam più radicale infatti, rifiuta l’arte figurativa e la scultura. Già poter allestire, nelle prossime occasioni espositive, la collezione dello sceicco, dove sono presenti molti nudi e quadri ’scandalosi’, sarebbe una grande rivoluzione culturale per il Qatar.
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Di questi tempi se ne sentono e se ne vedono di tutti i colori:
editori che rifiutano testi nel timore che pubblicarli possa nuocere ai loro rapporti con “il potere”;
musei sponsorizzati da fabbricanti di missili.
Il consenso sconfina ogni giorno di più nella cecità. Fra tutti, voglio segnalare questo episodio denunciato dall’assemblea permanente noF35 in questo appello al quale invito ad aderire.
LA CULTURA FA PAURA
(soprattutto in questi tempi…)
La Questura di Novara vieta
la “VIA CRUCIS DEL POVERO CRISTO”, tragedia popolare in 15 stagioni
Il giorno 19 dicembre 2010 un gruppo di giovani e meno giovani organizzati in un gruppo teatrale spontaneo ha indetto uno spettacolo in piazza a Novara il cui sfondo era l’antimilitarismo e la contrarietà alla fabbrica della morte per la costruzione dei cacciabombardieri F35.
Per questo è stata chiesta l’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico come da regole di P.S. ed è stata fatta comunicazione alla Questura.
Fin qui tutto bene, senonché a tre giorni dall’iniziativa arriva il divieto dall’autorità costituita. Ufficialmente il motivo è futile quanto pretestuoso: “Abbiamo rifiutato la piazza ai vostri antagonisti politici e quindi la rifiutiamo anche a voi perché siete schierati politicamente”.
In merito a ciò ci preme sottolineare alcune cose.
1.Lo spettacolo ha un connotato di cultura popolare ed è rivolto alla gente per sviluppare un senso critico, per fare pensare, per riflettere sullo stillicidio delle spese natalizie.
2.L’articolo 9 della costituzione recita testualmente “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” e rimanda l’art. 33 “L’arte e la scienza sono libere.”
3.Paragonare un’iniziativa di questo genere ad una presenza propagandistica degli avversari è quantomeno una dimostrazione di rifiuto della cultura più in generale e soprattutto di quella popolare, o peggio, di non conoscenza di cosa è cultura.
Rivolgiamo il nostro appello a tutto il mondo della cultura “alta” che recentemente si è mobilitato contro i tagli del governo.
Noi non abbiamo chiesto sovvenzioni, ma solo lo spazio per “fare cultura”. Crediamo che l’attacco al nostro diritto ad esprimerci sia parte dell’attacco più generale all’esistenza ed al ruolo della cultura popolare.
Chiamiamo a raccolta su questo appello tutti coloro che si battono per poter fare cultura, per poterla portare nei teatri, nei luoghi di socialità, nelle strade e nelle piazze.
Ad essi si aggiungano tutti coloro, singoli o collettivi, che si battono contro una società bloccata e che si vuole culturalmente sterile ed asservita ad una logica che ci vuole tutti intenti a spendere i pochi soldi che ci restano nell’orgia natalizia.
Si uniscano infine tutti coloro che non ne possono più dei teatrini della politica, ben misere espressioni di cultura malata e che si battono da sempre per una diversa socialità.
Novara, 15 dicembre 2010
Gruppo Teatrale Spontaneo dell’Associazione Amici di Isarno (Onlus) – Per info teatro: infocts@libero.it
Assemblea Permanente NO F-35
Per adesione appello: adesione@nof35.org
http://forummediterraneoforpeace.it.forumfree.it/?t=52756669
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