Verso la farsa del G20 a Londra
Al momento in cui scriviamo all’ordine del giorno del vertice del G20 che si terrà a Londra il 2 aprile c’è tutto meno che la “nuova Bretton Woods”. Coloro che sono responsabili del crollo del sistema stanno tentando di far adottare misure che ne prolungheranno l’agonia, invece di sostituire l’intero sistema in bancarotta. Disgraziatamente, il ministro americano del Tesoro Tim Geithner ha proposto di aumentare di 500 miliardi di dollari i fondi al Fondo Monetario Internazionale (FMI), sottomettendo l’economia globale al FMI, alla Banca Mondiale e al Financial Stability Forum, politica del tutto coerente con quella promossa dall’impero britannico.
Il Premier britannico Gordon Brown, in un rapporto pubblicato il 18 febbraio (“Verso il vertice di Londra”) ha invocato un “New deal globale” con iniziative che “stimolino l’economia globale” chiedendo una “riforma degli organismi finanziari internazionali e la creazione di un sistema internazionale di allerta, in cui venga rafforzato il ruolo del FMI”.
In linea con queste raccomandazioni, Tim Geithner ha dichiarato che ciascun paese del G20 dovrebbe impegnarsi a spendere il 2% del proprio PIL del 2009 e del 2010 in misure di stimolo fiscale, e che il FMI dovrebbe monitorare i progressi verso tale obiettivo. Il Fondo dovrebbe emettere Diritti Speciali di Prelievo, una sorta di “quantitative easing”, ovvero espansione monetaria, su scala mondiale. A quel punto potrebbe “salvare” non solo Pakistan, Ucraina e Turchia, ma anche Islanda, Lituania, Ungheria ed Austria – e con loro le banche occidentali che si sono esposte in questi paesi.
Al contempo vengono esercitate pressioni straordinarie su quelle nazioni “che hanno accumulato vaste riserve valutarie”. In altre parole, la Cina, che possiede duemila miliardi di dollari di riserve valutarie, principalmente titoli USA, dovrebbe essere convinta ad utilizzarle per rifinanziare il sistema in bancarotta ed acquistare titoli bancari senza valore.
Pronta la reazione di Lyndon LaRouche alla proposta di Geithner: “Geithner, hai combinato un altro guaio. Sei troppo intelligente per prendere decisioni così stupide. Non sai che cosa stai facendo agli Stati Uniti. Con queste scemenze tradisci la nazione. Alcuni di noi cercano di salvare il paese da questo casino che persone come voi hanno provocato. Sappiamo quello che facciamo, mentre tu non lo sai. Stai provocando danni irreparabili agli Stati Uniti. Ti stai piegando ai britannici. Falla finita! Piegarsi ai britannici è di pessimo gusto”.
L’idea di trasformare il FMI in un superente mondiale è davvero mostruosa – ed esattamente il contrario di una Nuova Bretton Woods. Lo scopo è quello di attuare una politica di austerità fascista stile Hjalmar Schacht al fine di ridurre drasticamente i livelli di vita della popolazione su scala globale. In Svezia, i sindacati hanno già accettato “di propria volontà” una riduzione del salario del 20%, la Lituania ha adottato una riduzione salariale del 15% per i dipendenti statali, mentre l’Ungheria ha già abolito la tredicesima, ed il Premier irlandese Cowen ha ridotto i salari del settore pubblico del 7%. Le manifestazioni di massa in Irlanda e Lituania sono solo un assaggio di quello che ci attende in futuro. Nel frattempo, in Gran Bretagna si prevedono rivolte sociali nei prossimi mesi a causa della drastica riduzione del potere di acquisto della sterlina che la politica di espansione monetaria – e quindi di inflazione – provocherà. Non è da escludere che il recente risorgere del terrorismo attribuito all’IRA funga da pretesto per introdurre un regime di legge marziale col vero scopo di reprimere la protesta sociale.
Tremonti e il credito come Bene Comune
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti costituisce una brillante eccezione nel mondo dei timonieri delle finanze mondiali. La sua recente iniziativa di applicare l’articolo 47 della Costituzione, che protegge il credito come “bene costituzionale” e di affidare ai prefetti il controllo del credito va nella direzione della politica di Banca Nazionale più volte reiterata da Lyndon LaRouche, specialmente se agganciata ad un programma di investimenti pubblici su larga scala come quelli del New Deal di Roosevelt. Non a caso, l’iniziativa di Tremonti si è scontrata contro l’opposizione di Mario Draghi, alias “Mr. Britannia” e capo del Financial Stability Forum, cioè l’organismo di governo mondiale dei bancarottieri della finanza.
L’11 marzo, Tremonti ha istruito 150 prefetti sul ruolo di monitoraggio del credito che alcuni di loro svolgeranno in futuro, assicurando che i soldi dello stato non vengano destinati ad altro che impieghi produttivi. “L’articolo 47 della Costituzione dice che ‘la Repubblica incoraggia e protegge il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito'”. Mai come ora, ha detto Tremonti, l’art. 47 è di attualità.
In un’intervista a La Repubblica, il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi ha indicato che i prefetti sono pronti a svolgere il nuovo compito. Rispondendo alle critiche di chi li accusa di non avere competenze economiche, Lombardi ha detto che i prefetti (non tutti, saranno 20 su tutta la penisola) si avvaleranno di staff di economisti e di esperti. “In tempi ordinari, una decisione di questo genere non sarebbe mai stata presa (…) Ma ci troviamo di fronte a una grave crisi economica: il ricorso ai prefetti diventa uno strumento di garanzia in più per tutti che sottolinea l’eccezionalità del momento”. L’intento del governo, spiega Lombardi, “è semplicemente quello di verificare che i flussi di risorse erogati dallo Stato vadano effettivamente al credito alle imprese e non vengano utilizzati impropriamente. Del resto, l’articolo 47 della nostra Costituzione è molto chiaro (…) Se qualcuno ha delle critiche su questo provvedimento vuol dire che giudica troppo dirigista la nostra stessa Costituzione”.
Tra le grandi banche il provvedimento tremontiano è stato giudicato “un commissariamento di fatto”. Un dirigente di Banca Intesa citato da Milano Finanza ha accusato il ministro dell’Economia di “criminalizzare l’intero sistema bancario”.
Se è comprensibile, anche se non giustificato, che chi è uso più all’esercizio della “monnezza” finanziaria che del credito produttivo, reagisca negativamente, meno comprensibile è invece l’altolà di via Nazionale. L’ufficio di Mario Draghi ha diramato una circolare interna in cui si istruiscono le filiali della Banca d’Italia di fatto a non collaborare. “Una richiesta di dati disaggregati (ovvero dettagliati, ndr.) alle banche non appare giustificata”. Così si viene a negare l’essenza del lavoro che dovrà essere svolto dagli osservatori presso le prefetture.
Come sovente avviene nei momenti di scontro con la Banca d’Italia, Tremonti non è stato appoggiato da Berlusconi. La sua popolarità nel paese è invece in aumento.
—
visto che per questo mio parto ho ricevuto diversi consensi, lo posto
anche qui 😀
Il segreto della crisi
C’è un particolare aspetto della crisi che si continua ad ignorare in
maniera sospetta, quasi a sollevare il sospetto che insieme a un sacco
di gente che non ci ha capito niente, a molti che preferiscono
nascondere la testa sotto la sabbia, ci siano anche molti furboni
determinati ad attraversare la crisi senza mettere mano ad un sistema
che garantisce loro enormi privilegi e la ricchezza. L’immagine globale
ci restituisce quella che si chiama una crisi di capitali. Anche le
persone meno preparate in tema sanno che la produzione in un sistema
capitalista si fonda sulla disponibilità di capitale, che permette di
investire e quindi produrre e vendere e di conseguenza retribuire il
capitale e ripartire di slancio. Per anni la creazione di capitale
virtuale, attraverso una sequenza impressionante di bolle da parte del
migrare dei capitali in cerca di una retribuzione sempre maggiore, ha
finanziato livelli d’investimento mai visti prima.
Il furioso sviluppo della Cina lo testimonia, in poco più di due decenni
il paese ha compiuto la transizione dalla miseria per oltre trecento
milioni dei suoi abitanti, che ora si possono permettere livelli di
consumo pari a quello dei cittadini dell’Occidente e migliorato
nettamente le condizioni di vita di un altro miliardo di cinesi. In Cina
inoltre è stata costruita dal nulla una capacità produttiva tale da
trasformare il paese nella principale fabbrica del mondo. A questa si è
affiancata, nello stesso tempo, la costruzione di un patrimonio
immobiliare senza uguali al mondo in un tempo così modesto.
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’iniezione di una massa
enorme di capitali, affluiti dalla provincia taiwanese, dalle vicine
tigri asiatiche, dal Giappone, dall’Europa e dagli USA, i capitali hanno
fatto a gara per nutrire il boom cinese ed è noto perché: gli elevati
livello dello sviluppo cinese e la modesta retribuzione della manodopera
hanno garantito retribuzioni impossibili nelle mature economie
occidentali. La caduta del muro di Berlino è stato il segnale d’inizio
della grande corsa all’oro, fatta di nuovi paesi che si aprivano vergini
al capitalismo. Il trionfo del sistema capitalistico è stato subito
preso a pretesto per reclamare a gran voce la demolizione degli ostacoli
legislativi e contabili alla fantasia creativa della finanza.
Mentre il dominio della finanza si perfezionava, si creavano in realtà
le condizioni che ci avrebbero condotto alla crisi che oggi ci preoccupa
tanto. L’aumento della produzione (e del consumo) globale ha portato
molte delle riserve naturali di materie prime al limite, prima tutto
quella del petrolio che ha raggiunto il primo Peak Point della sua
storia, cioè l’incapacità della produzione nello stare dietro alla
domanda. Non è stato l’effetto della speculazione, l’Opec ha già detto a
chiare lettere che il petrolio a 40 dollari non giustifica investimenti
per nuovi pozzi, solo con il petrolio oltre gli 80 dollari il capitale
investito trova retribuzione, a 40 ci si perde. Molte materie prime sono
andate alle stelle, dai minerali fino agli alimentari i prezzi sono
schizzati verso l’alto senza incertezze e la grande fabbrica cinese ha
dovuto preoccuparsi di fare shopping in giro per il mondo per nutrire le
sue fabbriche, senza peraltro incontrare particolari resistenze
politiche, visto che i capitali investiti nell’avventura non erano certo
quelli cinesi.
In quegli anni i capitali sono stati strappati anche ai bilanci pubblici
attraverso le estese privatizzazioni, c’è stata la corsa a liberare
“risorse” utili ad alimentare la grande giostra, fino a che il
raggiungimento dei limiti di sfruttamento di molte risorse ha
determinato la richiesta di una quantità di capitale sempre maggiore per
unità di prodotto. Un banale e scontato aumento dei prezzi, che si è
incrociato con maggiori richieste salariali nei paesi produttori che
hanno visto crescere la loro economia e con l’impoverimento progressivo
delle masse di consumatori nei paesi nei quali l’economia era già
matura, che per capacità di spesa e numero rappresentano ancora un
multiplo dei nuovi consumatori cinesi. Per continuare a far girare la
giostra si è dato il via libera all’indebitamento irragionevole e si
sono trascurati anche i dubbi “fondamentali” della scienza economica.
Una scelta abbracciata ecumenicamente, senza timori nemmeno quando la
bilancia commerciale degli Stati Uniti ha cominciato a segnalare la
corsa del paese intero verso il fallimento. Una scelta consapevole,
perché senza la complicità della finanza statunitense non sarebbe stato
possibile mantenere la famigerata “crescita”, venendo a mancare il
contributo dei migliori consumatori al mondo, senza il quale tutto il
castello era destinato a crollare. Come è poi divenuto evidente, la
creazione di capitale virtuale non sarebbe stata possibile senza
l’entusiastica partecipazione delle istituzioni finanziarie globali e
senza la complicità di grandi istituzioni bancarie e di revisione
contabile. Quando la finanza globale ha visto la curva in fondo al
rettilineo dell’impossibile “crescita” infinita, non ha potuto che
continuare a tenere il piede sull’acceleratore, nessuno a bordo era mai
stato istruito a frenare e quei pochi che avevano il compito di vigilare
sull’eccesso di velocità erano da tempo stati convertiti al verbo del
lasciar fare.
Lo scontro con la realtà ha determinato prima di tutto la distruzione di
una quantità mostruosa di capitali. Qualunque somma i governi possano
riversare nel sistema, lo stock di capitale ante-crisi non sarà
ricostituito a breve, ci vorranno anni, se non decenni di ripresa prima
che sia possibile. Anche perché se i valori di borsa di sono dimezzati,
è abbastanza intuitivo che la loro capacità di produrre utili e quindi
capitale aggiuntivo sia ugualmente ridotta. Questo significa fuor di
ogni dubbio che gli investimenti su scala globale caleranno
necessariamente e con essi la produzione, gli occupati e i consumi e per
diversi anni non recupereranno i livelli raggiunti prima della crisi. Le
imponenti ondate migratorie di ritorno che in questi giorni riportano a
casa le braccia migranti, l’aumento della disoccupazione in tutti i
paesi del mondo alimentano il problema, depennando legioni di
consumatori e possibili clienti che in teoria dovrebbero alimentare al
mitica “ripresa”.
Cancellare gli effetti della crisi non sarà possibile senza aver
ricostituito la stessa base di capitale, la stessa base di consumo e la
stessa capacità produttiva. Queste condizioni però si sono dimostrate
materialmente insostenibili, così come si è dimostrato insostenibile il
livello di consumo pazzesco degli americani, che nei prossimi anni
saranno caricati di un debito imponente e che avranno le loro belle
difficoltà a interpretare il ruolo di locomotiva del treno dei consumi.
Ultima, ma non meno importante nel remare contro, c’è anche il fatto
indiscutibile per il quale in un momento del genere la migliore
retribuzione del capitale (per chi ce l’ha) si trova nell’acquisto a
prezzo di fallimento, non certo nell’investimento produttivo senza
sbocchi per mancanza di clientela.
Il segreto della crisi è quindi che non c’è abbastanza capitale per
risolverla alla svelta come auspica la maggioranza dei commentatori. Una
parte del segreto dice poi che anche quando si riuscisse a “risolverla”
si sarebbe solamente sull’orlo di un’altra identica crisi. Un destino
inevitabile senza l’adozione di robusti cambiamenti, prima di tutto
ideologici, che avrebbero ovviamente la conseguenza di ritardare la
ripresa impossibile, risultando così inaccettabili ai grandi attori
dell’economia e dai governi che negli ultimi anni sono andati al loro
traino. Non potendo discutere il segreto della crisi (è segreto e quindi
sconosciuto ai più) il dibattito pubblico si orienterà prevedibilmente
su altro, perseverando nel costruire una macchina economica votata a
velocità insostenibili, priva di limiti e dei più elementari sistemi di
governo che impediscano o limitino lo schianto inevitabile e ciclico del
sistema, che storicamente avviene sempre con grande spargimento di
sangue e di dolore.
—
Il diritto all’acqua non è stato ancora riconosciuto
Pubblicato da Marco Pagani alle 09:30 in Acqua
Il 5° forum mondiale dell’acqua si è chiuso ieri a Istanbul,
sostanzialmente senza nessuna novità positiva.
I delegati delle varie nazioni non sono nemmeno riusciti a mettersi d’accordo
per definire l’acqua come un diritto umano di base,
come richiesto da molti paesi e ONG.
A causa dell’opposizione di alcuni paesi, in particolare Egitto, Brasile
e USA (sic), ci si è limitati a dichiarare l’acqua come un
bisogno umano di base; è proprio il caso di dire la
scoperta dell’acqua calda!
Qui:---Fibre ottiche superveloci
Grazie all’impiego di un materiale organico è stata messa a punto una struttura in grado di trasmettere dati con velocità otto volte superiore a quelle dei dispositivi tradizionali
Lo studio di materiali in grado di trasmettere dati a velocità sempre più elevate è la costante sfida della tecnologia delle telecomunicazioni ottiche. L’uso di un nuovo materiale di natura organica, sperimentato da un team di ricerca statunitense ed europeo coordinato da Ivan Biaggio della Lehigh University (Stati Uniti), ha consentito di raggiungere velocità di trasmissione dei dati di gran lunga superiori rispetto a quanto ottenuto finora con i dispositivi tradizionali.
Qui: http://www.galileonet.it/news/11287/fibre-ottiche-superveloci
—
L’energia pulita di Marghera
Primo impianto italiano per l’energia dalle alghe
“L’obiettivo – ha illustrato Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale di Venezia – è di garantire l’autosufficienza energetica del porto e, nel prossimo futuro, di guardare alla possibilità di fornire da terra l’energia alle navi ormeggiate”.
Ecco quindi che sorgerà a Venezia il primo impianto in Italia per produrre energia ricavata dalle alghe, ad emissioni zero che potrà essere attiva tra un paio d’anni. Le alghe che si trovano in laguna saranno coltivate in un’area dismessa a Marghera, vasta tra gli 8 e i 12 ettari. Il progetto prevede un budget di circa 200 milioni di euro e produrrà circa 40 MWh l’anno, cioè l’equivalente della metà dell’energia necessaria agli abitanti del centro storico di Venezia e un terzo della centrale Enel di Porto Marghera.
Qui: http://www.rinnovabili.it/primo-impianto-italiano-per-lenergia-dalle-alghe-530102
—
Il ritorno della fusione fredda
di Simone Serra
Era il 1989 quando Martin Fleischmann e Stanley Pons dimostrarono di aver ottenuto sperimentalmente la fusione fredda, suscitando grande clamore nella comunità scientifica e non solo. La fusione è la reazione che avviene all’interno delle stelle, la loro fonte di energia; riuscire a riprodurre in laboratorio a temperatura ambiente questo processo sarebbe un risultato straordinario. Il proseguimento delle ricerche deluse poi le aspettative iniziali: i rari tentativi (per esempio quelli del 2000 e del 2002) di riprodurre il risultato del 1989 non hanno convinto e la strada della reazione nucleare a bassa energia non si è dimostrata percorribile come alternativa “pulita” alla fissione nucleare, sulla quale si basa il funzionamento delle comuni centrali atomiche.
La sperimentazione di Mosier-Boss è stata condotta immergendo in una soluzione di cloruro di palladio e acqua pesante (acqua con atomi di deuterio al posto dell’idrogeno) un elettrodo di oro o nichel, nel quale è stata fatta passare corrente per innescare la reazione, con un processo detto di co-deposizione Per rilevare le tracce delle particelle emesse durante le reazioni è stata usata una plastica chiamata Cr-39. Su questo materiale, al termine dell’esperimento sono stati osservati gruppi di minuscoli segni che sarebbero stati prodotti, secondo gli autori, dai neutroni originati dalla fusione di nuclei di deuterio. Un piccolo indizio che segnala la possibilità di innescare in laboratorio le cosiddette reazioni nucleari a bassa energia, che sono alla base dei processi di fusione atomica a basse temperature.
Qui un video del 2007 in cui Mosier-Boss spiega il processo di co-deposizione.
http://www.galileonet.it/il-punto/11318/il-ritorno-della-fusione-fredda
—
http://www.generation-online.org/p/fp_bifo6.htm
Franco Berardi (rekombinant)
IL COMUNISMO E’ TORNATO
MA DOVREMMO CHIAMARLO TERAPIA DI SINGOLARIZZAZIONE
1. NON UNA CRISI, MA IL COLLASSO
Economisti e politici la chiamano crisi e sperano che si evolva come
le molte crisi che hanno scosso l’economia durante il secolo passato e
che sono finite rafforzando il capitalismo. Ma io penso che questa
volta sia diverso. Questa non è una crisi, ma il collasso finale di un
sistema che è durato cinquecento anni. Non è una crisi ma il segno
della incompatibilità tra potenza delle forze produttive (rete
globale, lavoro cognitivo immaterializzazione) e paradigma
capitalistico.
Guardiamo il panorama: le grandi potenze del mondo stanno cercando di
salvare le istituzioni finanziarie, ma il collasso finanziario ha già
colpito il sistema industriale, la domanda sta precipitando, milioni
di posti di lavoro scompaiono. Per salvare le banche, lo stato è
costretto a prender soldi dai contribuenti di domani, e questo
significa che nei prossimi anni la domanda è destinata a cadere
ulteriormente.
In un articolo pubblicato sull’International Herald Tribune, scrive
David Brooks:
“Temo che stiamo operando in condizioni che sono molto al di là della
nostra conoscenza economica.”
Qui sta il punto: la complessità dell’economia globale è di gran lunga
al di là della capacità di conoscenza di cui dispone l’economia come
scienza e come tecnica. L’economia moderna ha funzionato finora come
tecnica di produzione della scarsità e di organizzazione dello
sfruttamento del lavoro. Ma ora questa tecnica non riesce più ad
organizzare la complessità e la ricchezza infinita delle forze
produttive nell’epoca delle tecnologie dell’informazione e del
capitalismo cognitivo. E la forma di conoscenza che si è definita come
economica nell’epoca moderna non è in grado di cogliere la complessità
di una produzione che ha coinvolta l’anima, il linguaggio, l’affetto.
Fin quando rimane incapace di autonomia dai criteri dell’economia, la
politica non può aver più ogni controllo sulle dinamiche sociali che
il crollo finanziario del 2008 ha messo in moto.
Presentando il piano economico di Obama, il 10 febbraio 2009, il
segretario del Tesoro Timothy Geithner ha detto: “ Voglio essere
sincero. Questa strategia costerà danaro, comporterà rischio e
richiederà tempo. Dovremo adattarla man mano che le condizioni
cambiano. Dovremo fare cose che non abbiamo tentato di fare in
precedenza. Faremo errori. Passeremo periodi in cui le cose vanno
peggio e il progresso è improbabile o interrotto.”
Queste parole testimoniano l’onestà intellettuale di Geithner,
(pensate che differenza rispetto alla tracotanza intellettuale del
clan bushista. Ma al tempo stesso dimostrano un crollo della fiducia
negli strumenti di comprensione della politica e dell’economia.
La conoscenza politica che abbiamo ereditato dalla filosofia
razionalistica dell’epoca moderna è oggi inutilizzabile. I problemi
posti dalla depressione non possono essere risolversi con
l’adattamento e la razionalizzazione dell’Economia. Il paradigma
capitalista non può essere più la regola universale dell’attività
umana.
La storia del capitalismo moderno è finita.
E allora?
2 ECONOMIA CRIMINALE
Sguardo retrospettivo alla crescita e al declino dell’economia
neoliberale, che proclamava la legge del più forte. Vediamo due
aspetti, nell’economia post-moderna degli ultimi trent’anni: uno è
quella della Net economy, l’altro quello del capitalismo criminale.
L’economia di rete è basata sulla collaborazione e la condivisione,
sulla creazione di nuovi metodi di gestione dell’attività sociale.
L’economia di rete sfida il principio proprietario che ha dominato la
società capitalista moderna. Per riaffermare e re-imporre il ruolo
proprietario, il capitalismo ha allora abbandonato ogni regola legale
nel perseguimento del profitto, ha usato la guerra come forma suprema
della competizione. Questa politica ha portato l’economia globale nel
casino attuale, ma i criminali sono ancora al potere pur avendo
fallito nel governare la caotica realtà creata dalla deregulation.
Ma sullo sfondo cresce la potenza autonoma del general intellect
rispetto alla classe dirigente criminale che ha fatto bancarotta.
La vittoria di Obama può aprire un nuovo periodo nell’evoluzione
dell’umanità. Questo evento ha iniettato nuova speranza nell’esercito
pacifico del general intellect in tutto il mondo. Il nuovo presidente
è stato votato massicciamente dal lavoro cognitivo e la sua vittoria è
la sconfitta della classe criminale e del fanatismo rappresentati da
Cheney Bush. Ma questa vittoria segna solo l’inizio della lotta, che
sarà conflitto tra la forza intellettuale contro la brutale forza
dell’ignoranza, della violenza e del profitto.
Possiamo descrivere questa lotta tra intelligenza collettiva e
dogmatismo neoliberista nei vecchi termini della lotta di classe? Sì e
no.
Sì perché effettivamente il lavoro intellettuale in rete (che possiamo
chiamare cognitariato) è la principale forza produttiva di questo
tempo in termini di valorizzazione e in termini di utilità sociale.
No, perché la complessità del panorama sociale è cresciuta fino a un
punto che non può più ridursi allo’opposizione lineare di un fronte
sociale contro un altro.
La classe criminale è composta da avventurieri della finanza, managers
delle grandi corporationi e da una lunpen-bourgeoisie di tipo mafioso,
ma anche di vasti strati sociali della popolazione che sono incapaci
di far fronte alle conseguenze della crisi.
La dissociazione tra proprietà e gestione, la finanziarizzazione del
processo di accumulazione rendono impossibile la individuazione di una
controparte sociale. La proprietà è stata polverizzata, e la gestione
de-personalizzata. La classe criminale ha preso il potere in due
mosse: prima la dichiarazione neoliberista del primato della
competizione su ogni regola etica o politica o legale. Seconda
l’occupazione del sistema di produzione della mente collettiva, il
media system.
Producendo le aspettative sociali e l’immaginazione collettiva, il
sistema mediatico ha espropriato la classe cognitiva produttiva e
soggiogato gli sfruttati agli incubi dei loro sfruttatori.
L’occupazione privata dello spazio sociale di comunicazione
(pubblicità, televisione) ha prodotto l’effetto distorto di
un’identificazione alienata. Gli sfruttati, lavoratori, consumatori
sono stati spinti a vedersi attraverso gli occhi dei proprietari del
Mediascape. La privatizzazione della vita, la distruzione della rete
sociale e di solidarietà e la privatizzazione del bisogno e del
consumo sono state mediaticamente organizzate.
La privatizzazione della mobilità è il miglior esempio di questa
distorsione della sfera pubblica. Un oggetto irrazionale e
ingombrante, la macchina privata (tre tonnellate di ferro per lo
spostamento di un corpo che pesa solo ottanta chili) è stato l’oggetto
centrale della produzione industriale del secolo ‘900. E in ogni caso
perché le auto debbono essere private? Potrebbero essere oggetti
pubblici che ognuno può prendere e usare per il tempo necessario, poi
lasciare aperte nelle strade, pronte per il trasporto di qualcuno
altro. Potrebbero essere sostituite da un sistema di trasporto molto
più comodo. Perché il sistema di trasporto pubblico è stato sabotato
dalla classe dirigente negli ultimi decenni? Sappiamo bene il perché:
perché l’economia capitalista crea scarsità nel campo del trasporto
come in ogni altro campo. La creazione di scarsità è la premessa
dell’accumulazione, ed è resa possibile dalla privatizzazione del
bisogno. Il bisogno non è un impulso naturale, ma il prodotto di
un’azione culturale che modella l’immaginazione sociale e la
sensibilità.
Negli anni ’90 la crescita della produzione in rete e la diffusione
della cibercultura libertaria avevano aperto la strada a un’alleanza
tra capitalismo finanziario e lavoro cognitivo. Sotto la bandiera
delle dotcom, giovani intellettuali e scienziati poterono trovare i
mezzi per creare la loro impresa e divenne possibile un processo di
redistribuzione del reddito. Ma questa alleanza fu rotta quando la
classe criminale prese il controllo della potenza tecnologica per
sottometterla alla guerra.
Negli anni ’90 l’esperienza delle dotcom era stata largamente
catturata dall’illusione neoliberista, ma nel primo decennio del nuovo
secolo il lavoro intellettuale è stato precarizzato, costretto ad
accettare qualsiasi condizione economica. La rottamazione del general
intellect è stata perseguita dalle forze della reazione neoliberista:
la conoscenza frammentata, il reddito ridotto, lo sfruttamento e lo
stress in aumento perenne.
Il crollo delle dotcom e 9/11 segnarono l’assoggettamento
dell’esperienza tecnologica alla guerra.
Ma la produzione di massa della paura, il fanatismo e l’ignoranza non
furono sufficienti per costringere gli occidentali ad accettare la
guerra. Questo consenso fu comprato attraverso un enorme
indebitamento.
I cittadini occidentali vennero invitati dal presidente Bush a uscir
di casa e fare shopping. Shopping contro il terrore e contro la
depressione psichica. Ma questo accesso massiccio al consumo è stato
finanziato da un indebitamento senza limiti. La popolazione
euroamericana è stata sistematicamente spinta a comprare montagne di
cose inutili, è stata intossicata mentalmente dalla pubblicità e
costretta a identificare la felicità con il consumo e il benessere con
il possesso.
La privatizzazione del bisogno e la riduzione del benessere
all’acquisizione ha distrutto ogni senso di dignità e di amore di sé.
Il tempo sociale di attenzione è stato occupato dal flusso di
info-lavoro e di pubblicità. Il linguaggio è stato assorbito dal
lavoro, e abbandonato dall’affetto. Amore, tenerezza, sesso, affetto e
cura degli altri sono stati trasformati in merce. Ogni persona è
divenuta proprietaria di molte carte di credito, trasformata in una
macchina per comprare, costretta a lavorare sempre di più per poter
pagare un debito crescente. Il debito è diventato la catena universale
e così si sono create le condizioni per il collasso generale. E alla
fine il collasso è arrivato.
Non ci sarà alcuna ripresa, la crescita non ritornerà, non solo perché
la gente non sarà più in grado di pagare per il debito accumulato
durante i tre decenni passati, ma anche perché le risorse fisiche del
pianeta sono prossime all’esaurimento, e le risorse nervose del
cervello sociale sono prossime a un crollo.
Che accadrà ora?
3. PROTESTA ETICA E GUERRA
Alla fine degli anni ’90, quando il processo di globalizzazione
sembrava inarrestabile, il suo potenziale di devastazione ben nascosto
nelle parole dei guru neoliberisti, e quando la filosofia della
privatizzazione non si poteva criticare, un movimento di protesta
etica emerse dalle fila del lavoro cognitivo. Alla fine del secolo
capitalista, nell’estremo occidente dell’occidente, a Seattle,
centomila persone si incontrarono e marciarono per fermare il summit
WTO e per protestare contro gli effetti dello sfruttamento globale.
Era il principio dell’epoca della Dimostrazione Etica. Da Seattle a
Genova, da Praga a Bologna a Cancun folle di lavoratori precari e
cognitivi marciavano insieme. Erano la coscienza etica del mondo, e
naturalmente vennero aggrediti dalla polizia per istigazione della
classe criminale.
Alcuni vennero uccisi, molti arrestati, perché stavano dicendo la
verità. Essi cercavano di avvertire il popolo della terra che un
grande pericolo era in vista. Ora sappiamo che avevano ragione. I
dimostranti noglobal stavano avvertendo della catastrofe imminente, e
adesso la catastrofe è arrivata.
I dimostranti etici furono sconfitti, dopo la marcia mondiale contro
la guerra del 15 febbraio del 2003. Centomilioni di persone marciarono
quel giorno contro la guerra in Iraq. Bush rispose che non aveva
bisogno di consigli e cominciò la guerra.
La classe criminale dell’ignoranza vinse contro il movimento
dell’intelletto generale.
Ecco perché adesso il mondo sta collassando.
Poi la violenza si oppose alla violenza, i fanatici combatterono
contro i fanatici.
Dall’Iraq all’Afghanistan, dal Pakistan all’Iran alla Georgia,
l’esercito americano è stato sconfitto dovunque, e isolato. E alla
fine, il collasso finanziario non è certo privo di rapporto con la
sconfitta geopolitica.
Mentre stava svanendo il periodo delle dimostrazioni etiche, un nuovo
ciclo di insurrezione esplose da qualche parte in occidente. Le
rivolte delle banlieux di Parigi nel novembre 2005, l’insurrezione dei
maestri a Oaxaca ottobre 2006, l’esplosione di rivolta generale in
Grecia nel dicembre 2008 sono stati annunciatori di una ondata
insurrezionale che scuoterà parti del mondo nei prossimi anni, mentre
la recessione devasterà la vita sociale. Insurrezioni sparse avranno
luogo, ma non dobbiamo aspettarcene molto. Esse saranno incapaci di
toccare i veri centri del potere, a causa della militarizzazione dei
territori metropolitani, e non saranno capaci di ottenere molti
risultati in termini di ricchezza materiale o di potere politico.
Come la lunga onda di protesta morale non poté distruggere il potere
neo liberista così le rivolte insurrezionali non troveranno una
soluzione, fin quando una nuova coscienza e una nuova sensibilità non
emergerà e non si diffonderà cambiando la vita quotidiana e creando
Zone Autonome NON Temporanee, radicate nella cultura e nella coscienza
della rete globale.
Catastrofe significa, in greco, un cambio della posizione che permette
all’osservatore di vedere cose che non poteva vedere prima. La
catastrofe apre nuovi spazi di visibilità e di possibilità, ma implica
anche un cambio di paradigma.
Il pieno impiego è finito. Il mondo non ha bisogno di tanto lavoro, di
tanto sfruttamento. Il reddito di cittadinanza dovrà affermarsi come
diritto alla vita indipendente dall’impiego e dalla prestazione di
tempo di lavoro. Le zone autonome NON temporanee organizzeranno
l’attività sociale nella forma di aiuto collettivo reciproco.
4. IL DEBITO
Non dovremmo considerare la recessione come un fenomeno economico, ma
vederla come una svolta antropologica che cambierà la distribuzione
delle risorse mondiali e del potere mondiale. L’Europa è condannata a
perdere il suo privilegio economico, ora che finiscono i 500 anni di
colonialismo. Il debito, che i bianchi hanno accumulato non è solo un
debito economico ma anche morale: il debito dell’oppressione, della
violenza e del genocidio deve essere pagato, e non sarà così facile.
Una larga parte della popolazione europea non è pronta ad accettare la
redistribuzione della ricchezza che la recessione impone. L’Europa,
travolta da ondate di immigrazione, dovrà affrontare una minaccia
razzista crescente. La guerra civile interetnica sarà difficile da
evitare.
La vittoria di Obama segna l’inizio della fine della dominazione
bianca che è stata la premessa del sistema capitalista moderno.
Un’onda di rinascenza indigena non identitaria sta montando,
specialmente in America Latina. La battaglia tra lavoro e capitale ha
raggiunto una nuova fase, che potrebbe avere esiti imprevedibili. Non
possiamo sapere cosa intenda fare davvero l’amministrazione americana.
Come dice Geithner, l’Amministrazione Obama sta procedendo per
tentativi. Questo è il senso del concetto di pragmatismo
post-partisan: le vecchie soluzioni ideologiche non funzionano più,
sia il liberismo che il socialismo sono inefficaci. La classe
dirigente e gli economisti propongono vecchi metodi per affrontare la
recessione, usano mappe vecchie per un territorio nuovo. Tutti dicono
il protezionismo è una brutta cosa, ma tutti proteggono la loro
economia nazionale. I neoliberisti dicono che lo stato dovrebbe
salvare le banche pagare i debiti e restaurare il credito quindi
lasciare che i proprietari privati riprendano le loro imprese. I
socialisti per parte loro dicono che lo stato deve prendere in mano le
banche e nazionalizzare le imprese. Ma che differenza farebbe se le
imprese nazionalizzate continuassero a produrre la stessa roba?
L’alternativa tra privato e pubblico è falsa, la soluzione non sta più
nel campo dell’economia ma nel campo della cultura sociale.
Il modello della crescita è stato interiorizzato profondamente, ha
pervaso la vita quotidiana, la percezione i bisogni gli stili di
consumo. L’azione culturale deve liberarci da questo modello.
5. COMUNISMO SENZA AUFHEBUNG
La privatizzazione dei bisogni, come abitazione trasporto
alimentazione, e la privatizzazione dei servizi sociali fonda
l’identificazione culturale della ricchezza e del benessere come
quantità di proprietà privata. Nell’antropologia del capitalismo
moderno il benessere è stato identificato con la acquisizione, mai con
il godimento.
Nel corso della tempesta sociale che stiamo per attraversare
l’identificazione di benessere e proprietà deve essere messa in
questione. E’ un compito politico, ma soprattutto un compito
culturale, ed anche un compito psicoterapeutico. La giustificazione
teoretica della istituzione della proprietà privata (ad esempio nel
pensiero di John Locke) è basata sulla necessità di garantire il
godimento esclusivo di una cosa che non può essere condivisa: una mela
non può essere condivisa, se la mangio io non la mangi tu. Ma nell’era
digitale lo statuto dei beni è cambiato: i beni immateriali sono roba
semiotica che non viene annullata dall’uso. Quando si tratta dei
prodotti semiotici la proprietà privata diviene irrilevante, e in
effetti è sempre più difficile imporla legalmente. Le campagne contro
la pirateria sono in effetti paradossali, perché i veri pirati sono le
corporazioni che cercano disperatamente di privatizzare il prodotto
dell’intelligenza collettiva. I prodotti dell’intelligenza collettiva
sono immanentemente comuni perché la conoscenza non può essere
frammentata né posseduta privatamente. Un nuovo tipo di comunismo
stava emergendo dalla trasformazione prodotta dalla rete digitale,
quando il collasso dei mercati finanziari e della ideologia
neoliberista ha mostrato la fragilità dei fondamenti
dell’ipercapitalismo, ed ora possiamo prevedere una nuova onda di
trasformazione che viene dal collasso della crescita e del debito, e
anche del consumo privato.
A causa di tre forze – comunalità della conoscenza, crisi ideologica
del privatismo, necessaria comunalizzazione del bisogno – si sta
aprendo un nuovo orizzonte e comincia ad emergere un nuovo paesaggio.
Il comunismo sta ritornando.
La vecchia faccia del comunismo, che era fondato sul volontarismo di
una avanguardia, e sulle attese paranoiche di una nuova totalità, è
stata sconfitta alla fine del ventesimo secolo e non risorgerà mai.
Ora sta emergendo una nuova forma del comunismo come forma della
necessità, come risultato inevitabile del tempestoso collasso del
sistema capitalistico finanziarizzato. Il comunismo del capitale è una
necessità barbarica. Occorre introdurre libertà e scelta in questa
necessità. Occorre creare un paradigma che faccia della necessità del
comunismo del capitale una scelta cosciente e organizzata.
Il comunismo ritorna ma dovremmo chiamarlo in un modo differente. Il
comunismo storico del XX secolo era fondato sull’idea di un primato
della Totalità sulla singolarità. Ma il contesto dialettico che
definiva il movimento comunista del xx secolo è completamente stato
abbandonato.
La visione hegeliana ha giocato un ruolo decisivo nella formazione di
quel tipo di credenza religiosa che si chiamava storicismo.
L’Aufhebung (abolizione del reale e realizzazione dell’idea) è il
retroterra paranoico dell’antica concettualizzazione del comunismo. In
quel contesto dialettico il comunismo era visto come una totalità
universale che avrebbe dovuto abolire la totalità universale
capitalista. Il soggetto (volontà e azione della classe operaia) era
visto come lo strumento per l’abolizione del vecchio e per
l’instaurazione del nuovo.
6. SINGOLARITA’
Essendo la classe operaia esterna al processo di produzione dei
concetti, poteva trovare identità solo nella mitologia dell’abolizione
e della totalizzazione, ma l’intelletto generale non ragiona in
termini di totalità ma in termini di globalità e di singolarizzazione.
L’intelletto generale è come il pesce di cui parla Iggy Pop:
“The fish is mute expressionless, because the fish knows.
Everything.”
L’intelletto generale non ha bisogno di un soggetto espressivo come
era il partito leninista nel ventesimo secolo. L’espressione politica
dell’intelletto generale è tutt’uno con la sua azione di conoscenza
creazione e produzione di segni. Noi abbiamo abbandonato il terreno
della dialettica per il territorio plurale della dinamica di
singolarizzazione e per la coevoluzione di singolarità.
Il capitalismo è finito, ma non è destinato a scomparire. La creazione
di zone NON temporanee autonome non produrrà nessuna totalizzazione.
Dopo aver abbandonato il terreno della Dialettica di abolizione e
totalizzazione cerchiamo ora di costruire una teoria della dinamica di
ricombinazione e singolarizzazione, concetto che ricaviamo dall’opera
di Felix Guattari specialmente dal suo ultimo libro, Chaosmose.
Con la parola singolarità intendo un agente affettivo e semiotico che
non segue alcuna regola di assoggettamento.
La singolarità è un processo non necessario, perché non è logicamente
né materialmente implicato nella consequenzialità della storia.
Singolarità non significa “individualità”: si possono avere
singolarità collettive.
Durante i prossimi mesi e anni non avremo un processo di liberazione
generale, un evento catartico di rivoluzione, non vedremo l’improvviso
crollo del potere di stato. Vedremo una sorta di rivoluzione senza
soggetto, vedremo un proliferare le singolarità.
Il potere degli stati moderni è destinato forse a sopravvivere e
trascinarsi in una condizione di crescente impotenza e corruzione
mentre la società creerà le sue istituzioni. Gli stati stanno
diventando essenzialmente una macchina militare di controllo e
repressione. Incapace di governare realmente una società che viene
minacciata dagli effetti del collasso economico, la macchina dello
stato reagirà come macchina di guerra. La democrazia non è distrutta
da cambiamenti costituzionali, ma dalla corruzione dei suoi fondamenti
culturali, dalla instaurazione del potere totalitario mediatico, dalla
impossibilità di governare razionalmente l’Insieme Caotico.
Abbandonare la totalità, far proliferare singolarità, questo è la via
della democrazia post-capitalista.
7. INFINITO PROCESSO DI TERAPIA
Non dobbiamo attenderci un cambiamento repentino del panorama sociale,
piuttosto il lento emergere di nuove tendenze: comunità che
abbandonano il campo dell’economia dominante che crolla, un numero
crescente di individui che smettono di cercare lavoro e creano la
propria rete autonoma di attività.
Lo smantellamento dell’industria è inarrestabile per la semplice
ragione che la vita sociale non ha più bisogno di lavoro industriale.
Il mito della crescita sarà abbandonato e la gente cercherà nuove
forme di distribuzione della ricchezza. Le comunità singolari
cambieranno la stessa percezione del benessere e della ricchezza nel
senso della frugalità e della libertà del tempo. La rivoluzione
culturale di cui abbiamo bisogno in questa transizione conduce dalla
percezione della ricchezza come proprietà privata di beni di cui non
possiamo godere perché non ne abbiamo il tempo, alla percezione della
ricchezza come godimento di una quantità di beni che saranno tanto più
utili e abbondanti quanto più potremo condividerli con gli altri.
La de-privatizzazione dei servizi e dei beni sarà resa possibile da
questa urgente rivoluzione culturale. Ciò non accadrà in modo
pianificato e uniforme, ma piuttosto sarà l’effetto della sottrazione
di singolarità individuali e comunitarie, e della creazione di
un’economia dell’uso condiviso di beni comuni, e della liberazione di
tempo per la cultura il piacere e l’affetto.
Mentre questo processo si espande nei sotterranei della società, la
classe criminale si aggrappa al suo potere, crea una legislazione
sempre più repressiva, rendendo il clima sociale aggressivo e
disperato. La guerra civile interetnica si diffonderà in Europa,
devastando lo stesso tessuto della vita sociale.
La proliferazione di singolarità (sottrazione e costruzione di zone
autonome NON temporanee) sarà un processo pacifico, ma la maggioranza
conformista talvolta reagirà violentemente, e questo già sta
accadendo. La maggioranza conformista è spaventata dalla fuga
dell’energia intelligente e al tempo stesso aggredisce l’espressione
dell’attività intelligente.
La situazione può essere descritta come una lotta tra ignoranza di
massa prodotta dal totalitarismo mediatico, e intelligenza condivisa
dell’intelletto generale.
Non possiamo prevedere quale sarà l’esito di questo processo. Il
nostro compito è estendere e proteggere il campo dell’autonomia ed
evitare per quanto possibile ogni contatto violento con il campo
dell’ignoranza aggressiva di massa. Non sempre questa strategia di
sottrazione non confrontazionale funzionerà. Cosa fare nei casi di
conflitto non voluto si dovrà decidere caso per caso. La reazione non
violenta è ovviamente la scelta migliore, ma non sempre sarà
possibile.
Castoriadis e i suoi amici fecero una rivista che si chiamava
Socialisme ou barbarie, riprendendo una frase di Rosa Luxemburg.
Ma nell’introduzione a Mille Plateaux Gilles Deleuze e Felix Guattari
dicono che è ora di liberarsi dalla logica dell'”o”.
Il pensiero idealistico è ossessionato dalla logica della
disgitunzione: o…o…o
Il pensiero rizomatico sceglie invece la logica della congiunzione.
“Un rizoma non comincia e non finisce, esso sta sempre nel mezzo, tra
le cose, inter-esse, intermezzo. L’albero è filiazione, ma il rizoma è
alleanza. L’albero impone il verbo essere, ma il rizoma ha come
tessuto la congiunzione “e…”.e..”..e.”.In questa congiunzione c’è
forza sufficiente per scuotere e sradicare il verbo essere. Instaurare
una logica dell’e, rovesciare l’ontologia, destituire il fondamento,
annullare fine e cominciamento.” (Deleuze Guattari: Rizoma).
Diversamente da Cstoriadis e i suoi amici dovremo dire dunque:
Socialisme ET Barbarie.
Il problema è quanto ampio sarà il campo della barbarie e quanto ampio
sarà quello dell’umanità.
Qua si colloca il nostro attuale compito politico e intellettuale.
In una lettera a Freud, il suo discepolo Fliess chiedeva: maestro,
quando posso considerare un’analisi finita, quando posso considerare
guarita la persona che viene in analisi?
Il vecchio Freud, che non era stupido, gli rispose che un’analisi si
può considerare conclusa quando la persona che ti sta di fronte ha
capito che l’analisi è interminabile.
—
Rispondi