ATENE: CONGRESSO SINDACATI EUROPEI, GRECI PROPONGONO MOBILITAZIONE PANEUROPEA CONTRO AUSTERITY 16.05.2011
«Noi resisteremo e lotteremo tutti insieme contro questo ritorno al Medioevo che ci viene imposto». Il sindacato che rappresenta i lavoratori del settore privato, per bocca del suo portavoce Yannis Panagopoulos, interviene così al 12/mo congresso della Confederazione europea dei sindacati (Ces) e insieme al presidente dell’altro sindacato ellenico Adedy, che invece riunisce i dipendenti pubblici, Spyros Papaspyros, parla della situazione nel suo Paese. Per i sindacalisti greci l’errore è dato dalla terapia shock imposta dal Fondo monetario internazionale. «La medicina è peggio della malattia». Il riferimento è alla firma, un anno fa, del Memorandum che ha concesso alla Grecia un prestito da 110 miliardi di euro per evitare la bancarotta e che di fatto ha portato il paese in uno sciagurato vortice senza ritorno. «Si fa piombare la Grecia al di sotto dell’indice di povertà. La recessione si cura solo con lo sviluppo e con la redistribuzione della ricchezza» conclude Pangopoulus. Dello stesso avviso il presidente dell’Adedy che riunisce i lavoratori pubblici «l’orientamento deve essere lo sviluppo economico con il progresso sociale» e «le ricette dell’Fmi non cambiano assolutamente nulla, non risolvono la crisi. Le misure adottate non si sono mostrate credibili nei tempi. In 12 mesi dal Memorandum hanno portato ad un peggioramento della vita ed hanno rovesciato i diritti e le regole. Si vogliono nascondere le rovine, i danni della politica» insieme «al pagamento dei costi imposti dalla speculazione». Ma se governo e troika andranno avanti con le loro folli ricette i sindacati non cedono e Papaspyros, chiama ancora alla «mobilitazione, alla lotta dei lavoratori. La soluzione è nella solidarietà, uscendo dai dogmi della competitività. Servono politiche giuste, che portino alla stabilizzazione dello sviluppo ed all’aumento dell’occupazione. Bisogna andare avanti con coraggio, ci deve essere una nuova mobilitazione paneuropea. Questo è il messaggio che dobbiamo mandare con forza da Atene. Andiamo avanti verso nuovi sforzi, lotte e conquiste». Dalla firma di marzo scorso, i sindacati greci sono già scesi in piazza dieci volte; l’ultimo sciopero generale c’è stato mercoledì scorso, 11 maggio. Mobilitazione paneuropea? 10 scioperi generali? Chissà Bonanni e Angeletti le cui rispettive organizzazioni sono ad Atene al convegno della CES come prenderanno la proposta.
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L’«isola verde» offre elettricità a richiesta 17.05.2011
Katy Mandurino
PADOVA
Le aziende del comparto energie rinnovabili non si fermano e, anzi, sperimentano nuovi modelli di produzione.
Lo ha fatto Fiamm, storica azienda di Montecchio Maggiore (Vi) produttrice di batterie d’avviamento, trombe e antenne per l’industria automobilistica – 493 milioni di fatturato nel 2010 (+25% rispetto al 2009), 3.200 addetti complessivi, stabilimenti in Brasile, Stati Uniti, Europa e Cina –, che sta ultimando in questi giorni la realizzazione di un’«isola energetica ecologica», ovvero una struttura composta da pannelli fotovoltaici, pale eoliche, batterie al sale e inverter in grado di produrre e accumulare energia, rilasciandola solo quando serve.
Si tratta di una centrale elettrica di circa 4.500 metri quadrati – installata ad Almisano, nel Vicentino, nei pressi della sede Fiamm – in grado di produrre da fotovoltaico 230mila kilowattora all’anno, equivalente al consumo di 40-50 famiglie o di un piccolo comune, all’interno della quale un sistema di accumulo modulare con batterie al sale permette di immagazzinare in media circa il 40% dell’energia prodotta e di renderla disponibile quando richiesto.
L’impianto, realizzato in collaborazione con Galileia, spin-off dell’università di Padova, Terni Energia Spa ed Elettronica Santerno (Gruppo Carraro), è a zero impatto ambientale proprio grazie alle batterie al sale, che con l’accumulo energetico risolvono il principale problema dei sistemi di produzione energetica da fonti rinnovabili, ovvero una produzione discontinua. Con le batterie al sale, invece, Fiamm ha calcolato che un’isola energetica consente una riduzione delle emissioni di Co2 pari a 106 tonnellate l’anno. «Il problema dell’energia da fotovoltaico o eolico – spiega l’ad di Fiamm Stefano Dolcetta – è il come immagazzinarla. Questo sistema ci permette di farlo».
La realizzazione dell’isola rientra nel programma di investimenti “green” e altamente tecnologici verso i quali si è orientata Fiamm. Sottratta l’azienda all’avanzata dei fondi di investimento che ne detenevano i crediti e potenziate le sedi italiane (in particolare Avezzano, in Abruzzo) trasformandole in poli tecnologici e innovativi, la famiglia Dolcetta, che ha fondato l’impresa nel 1942, si è buttata a capofitto sui nuovi business, non solo prodotti per stoccare l’energia ma anche nuovi sistemi di illuminazione. Puntando sempre molto sul capitale umano, come dimostrano i progetti di formazione con la Fondazione Cuoa e il centro ricerca di Montecchio che consta di 350 persone. «Guardiamo anche alle acquisizioni – continua l’ad –: poche settimane fa abbiamo rilevato il 100% della Mes-dea, di cui detenevamo il 36%, società svizzera produttrice di batterie al sale. L’operazione, costata circa 40 milioni, ci consente di sviluppare ulteriormente le tecniche di accumulo energetico».
L’isola energetica sarà presentata il 21 giugno; accanto all’impianto “chiavi in mano”, dal costo di circa 700mila euro, in grado di alimentare grandi palazzi o piccole comunità, Fiamm sta preparando anche una sorta di isola in piccolo, un container (con le stesse caratteristiche della centrale energetica) che porterà i primi di giugno all’Intersolar, a Monaco di Baviera.
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L’Israeliano Napolitano 17.05.2011
di Luca Galassi
Elevare lo status del rappresentante palestinese in Italia a quello di ‘ambasciatore’ può essere un mero escamotage formale. Perchè, in sostanza, lo Stato palestinese non esiste. Che la formula sia “riconosciuta dal governo israeliano” è una conferma al gattopardesco rituale degli incontri diplomatici. Napolitano è stato ieri in visita in Israele e in Cisgiordania. Se al presidente palestinese ha promesso un nuovo rango per la sua feluca – “un altro regalo che ci fa l’Italia”, ha commentato in modo assai infelice Abu Mazen – agli israeliani Napolitano, nel corso dell’incontro a Gerusalemme dal titolo “Italia e Israele, da 150 anni insieme”, ha ricordato i legami storici tra Mazzini e Herzl. Perché Italia e Israele dovrebbero essere legati da 150 anni di storia, cultura, politica comune? Che c’entra il patriota italiano con il teorico e fondatore del sionismo?
Chi conosce la storia del sionismo e dello Stato di Israele risponderebbe senza esitazione: c’entrano molto poco. Eppure, metterli insieme, accomunarli in modo arbitrario, deliberato e sgangherato, sancire una comunità di ideali e di aspirazioni tra Mazzini e Herzl – oltreché far correre parallele le storie di due nazioni il cui processo di costruzione è agli antipodi – ha un suo preciso significato.
Per legittimarsi, il potere ha da sempre avuto bisogno di una genealogia. Se una comunità, un popolo, una nazione, non hanno forza, credito, sostegno, necessari a garantirsi l’esistenza (e il mantenimento di tale esistenza, ovvero la sopravvivenza), deve entrare in gioco una narrazione storica che si richiami a una mitologia. Genealogia e mitologia sono il lievito che, impastato alla teoria e all’ideologia politica, rende commestibile un pane altrimenti azzimo.
Ebbene, suo malgrado, Napolitano obbedisce a questo: alla fondazione di un mito e alla sua propaganda. Suo malgrado perché non sa quel che dice. Suo malgrado perché dice quello che gli dicono di dire. Nelle stanze delle istituzioni italiane si sta imponendo un processo di legittimazione dello Stato di Israele e della società israeliana che parte da una colossale mistificazione. E Napolitano è voce forse inconsapevole di tale processo.
Il presidente della Repubblica italiana ieri ha detto che la storia d’Italia e quella di Israele sono “intrecciate in modo speciale e ineludibile”, che “alla radice di entrambi i processi unitari c’è la coscienza di un’identità mai sopita”, che i ‘nostri’ sono “due popoli il cui destino appare intrecciato in nome di una storia così alta e ricca di idealità”, ha sostenuto che sia “la nazione mazziniana che il sionismo di Theodor Herzl sono ben lontani dagli esiti disastrosi dei nazionalismi del XX Secolo”. Ma soprattutto Napolitano ha detto che “il nostro Risorgimento fu fonte di ispirazione e di incoraggiamento per l’evolversi della coscienza ebraica nel senso della consapevolezza di rappresentare non più solo una comunità religiosa, ma un popolo e una nazione, e di dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina. Ma importante – conclude, come se non bastasse, il capo dello Stato italiano – agli albori del sionismo, fu la lezione, soprattutto, di Giuseppe Mazzini per suggerire un approccio alla questione nazionale che presentasse la più limpida impronta umanistica e universalistica”.
Non si capisce in che modo possano essere intrecciate le storie di due nazioni che si sono formate in modo completamente diverso: la prima con i moti carbonari, le Cinque giornate di Milano, la guerra di indipendenza contro gli occupanti borboni, austriaci, spagnoli, francesi. La seconda con l’acquisto e la presa di possesso violenta di una terra abitata da altri, con l’immigrazione illegale e la colonizzazione. La ‘storia’ così ‘alta e ricca di idealità’ che accomuna i due popoli è, per Israele, una storia di invasione e di occupazione. Esattamente il contrario di quella italiana, che è stata di liberazione. Se il sionismo di Herzl è “lontano dagli esiti disastrosi dei nazionalismi del XX Secolo”, chi potrà contestare che la costruzione della nazione israeliana ha avuto esiti disastrosi per settecentomila (secondo la moderna storiografia israeliana) palestinesi che abitavano la Palestina? Come poté il ‘nostro Risorgimento’ essere ‘ispirazione e incoraggiamento’ per l’evolversi di una coscienza ebraica intesa come rappresentazione di un ‘popolo’ e di una ‘nazione’, e di ‘dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina’? In che modo il nostro Risorgimento – che ha combattuto gli occupanti – avrebbe incoraggiato gli ebrei a diventare essi stessi occupanti, a mettere in fuga gli indigeni palestinesi, a diventare d’incanto un ‘popolo’ solo per ius soli, a formare la propria nazione su un territorio solo biblicamente ‘promesso’ (fatte salve le ‘rassicurazioni’ di Lord Balfour nel 1917), a plasmarlo in seguito a un’immigrazione continua e illegale, a generare una ‘nazione’ cosmopolita totalmente artificiale e ad espellerne con massacri i legittimi abitanti? Avrebbe Mazzini appoggiato tale operazione?
Non è difficile individuare gli ispiratori del discorso di Napolitano. Uno si chiama Luigi Compagna, è un senatore del Pdl e nel 2010 ha scritto un libro intitolato “Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele”, in cui sostiene pari pari le tesi enunciate da Napolitano. Compagna, presidente dal 2001 al 2006 del Comitato interparlamentare di amicizia Italia-Israele, è stato il relatore, nel 2005, di un Ddl per la ‘salvaguardia culturale del patrimonio ebraico’, poi diventato legge: un finanziamento di cinque milioni di euro nell’arco di tre anni. L’altro è Francesco Nucara, segretario del Pri e oggi nel Gruppo dei Responsabili, che affiancava Herzl a Mazzini nel suo discorso “La nascita dell’Italia indipendente e quella dello Stato di Israele”, tenuto al municipio di Sderot nel 2007. Tale discorso si concludeva così: “Gli occidentali hanno il dovere di difendere Israele, perché, come diceva lo scomparso leader La Malfa, ‘la libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”. Durante la visita del sindaco di Sderot alla sede del Pri, Nucara disse: “Noi difendiamo Israele perché è l’unica democrazia in tutto il Medio Oriente”. Nucara e Compagna sono entrambi esponenti della lobby ebraica in Italia. E sono entrambi massoni. Anche Mazzini era massone. Ma auspicava – riprendendo il discorso di Napolitano di ieri – “l’aspirazione a realizzare condizioni di pacifica e cooperativa convivenza fra nazioni”. Parole paradossali, se applicate allo Stato di Israele. Ma anche parole pericolose.
Pericolose perché mistificano. Pericolose perché, provenendo dalla più alta carica dello Stato italiano in missione diplomatica, rappresentano la linea di politica estera di un Paese e l’opinione del popolo di questo Paese. Avvalorando tesi che affratellano uno dei padri della patria italiana con l’ideologo del sionismo – in una subdola operazione di hasbara, di propaganda –, non solo si giustifica il sionismo, quello originario di Herzl e quello degenerato fino ai giorni nostri in forme ben più perniciose. Ma si reca ingiuria al pensiero liberale, democratico, laico, solidale e progressista di Mazzini. Al suo ossequio per i principi di giustizia sociale, di libertà, di pace. Alla sua fede nella autodeterminazione dei popoli. Di tutti i popoli, e non di uno soltanto.
http://www.nazioneindiana.com/2011/05/17/lisraeliano-napolitano/#more-39059
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Bitcoin, dobloni digitali contro le monete ufficiali? 18.05.2011
Valuta virtuale legata al Peer-to-Peer sfida le istituzioni. Un progetto nato nel 2009, che deve superare diffidenze legate a riciclaggio e fungibilità. Driblando eventuali messe al bando da parte degli Stati
Roma – Nel corso di una conferenza dedicata all’economia digitale si è parlato di valute virtuali e in particolare della crittovaluta Bitcoin.
Se ne parla diffusamente nella Cypherpunk mailling list: si tratta di un sistema di valuta virtuale basata sulla tecnologia Peer-to-Peer in grado di garantire transazioni invisibili, non tracciabili, anonime, non tassate e gestione decentralizzata. Con tutto ciò che ne consegue, nel bene e nel male.
Da un lato si parla di autonomia da un’autorità centrale di emissione (senza peraltro arrivare a parlare di argomenti borderline come il signoraggio) e di costi di transazione azzerati, dall’altro di indipendenza dal controllo sia degli intermediari, evitando per esempio i problemi avuti dai fondi Wikileaks congelati da diversi enti attraverso gli ISP, che dalle autorità, diventando presumibilmente facile sponda per il riciclaggio di denaro sporco: anche se c’è da tener conto che il sistema nasce in ambienti legati alla crittografia e che quindi è dotato di tutta una serie di contromisure di autenticazione e controllo.
Significa, inoltre, transazioni che rimangono fuori dal sistema internazionale e quindi non soggette a crisi economiche legate al fallimento di determinati sistemi-paese o al mercato finanziario. Insomma, una valuta virtuale con grandi ambizioni.
Uno dei primi a teorizzare un sistema simile è stato nel 2008 Satoshi Nakamoto nella proposta “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System”, in cui ipotizza un sistema di database distribuito su diversi nodi Peer-to-Peer che permettano di tener traccia delle transazioni, usando la crittografia per fornire sicurezza e problemi come la possibilità di spendere due volte gli stessi soldi. Solo nel 2009, tuttavia, un sistema simile è stato messo in pratica: le monete-bit possono essere salvate su un apposito file-portafoglio o conservato su servizi offerti da terzi.
Per il momento la moneta è stata generata solo nell’ambito di lavori e compiti legati alla crittografia, ma è accettata anche da alcuni siti che intendono sfruttarne l’anonimato. In generale ha raggiunto un valore di circa 8 dollari, una notevole crescita rispetto ad un un anno fa quando un membro del forum ad esso dedicato offriva 10mila Bitcoin per due pizze.
Anche in passato vi sono stati tentativi di introdurre monete virtuali, da CyberCash e DigiCash ai crediti legati ai beni virtuali, come quelli di Facebook e di Second Life. E come in questi casi, sarà il valore riconosciuto alla valuta da parte degli utenti a dargli o meno possibilità di successo. E fattore determinante sarà la crescita costante di diffusione.
Prima che possa imporsi al mercato di massa, tuttavia, Bitcoin deve superare alcuni problemi di “produzione” della valuta, processo che per la natura limitata della sua circolazione per il momento è ancora antieconomico; deve sviluppare un’efficace riflessione su sistemi anti-speculativi per evitare pericolose bolle e avviare un dialogo con le autorità nazionali per evitare la messa al bando.
Claudio Tamburrino
http://punto-informatico.it/3164329/PI/News/bitcoin-dobloni-digitali-contro-monete-ufficiali.aspx
Altri links:
Il sito: http://bitcoin.org/
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La lente a contatto bionica ridarà la vista ai ciechi 19.05.2011
Sviluppata in Italia, permetterà di curare le alterazioni retiniche o traumatiche.
È italiana la lente a contatto bionica che promette di far riacquistare la vista ai ciechi.
L’invenzione è stata presentata al nono Congresso Internazionale promosso dalla Società Oftalmologica Italiana, che è in corso a Roma, dal professor Duilio Siravo, presidente dell’Accademia Itlaiana di Oftalmologia Legale.
È proprio Siravo a spiegare in che cosa consista: nella lente «è applicato un microchip che funziona come una telecamera, trasmetterà il segnale ad un sistema wireless applicato nelle vie retrocorticali».
«Al suo interno» – prosegue Siravo – «è posizionato un nanostrato di metallo; viene inserita in un occhio solo e bypassa il bulbo oculare, mandando i segnali direttamente al nervo ottico o alle aree cerebrali deputate all’elaborazione. Per questo, se convalidata, potrebbe rappresentare una valida alternativa per tutti coloro che hanno una patologia che danneggia anche il nervo ottico».
Al momento la sperimentazione è stata condotta, con successo ma per un tempo limitato, sugli animali ed è già in preparazione una proposta per richiedere al Ministero della Salute la sperimentazione umana, che potrebbe avvenire nell’Università di Bologna o presso la Seconda Università degli Studi di Napoli.
«Una volta realizzata la sperimentazione» – conclude Siravo – «la lente a contatto bionica potrebbe essere pronta in pochi anni per i pazienti che presentano alterazioni retiniche o traumatiche».
http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=14908
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Un telescopio sotterraneo a caccia di onde gravitazionali 19.05.2011
Si chiama Einstein Telescope, costerà un miliardo di euro e sarà costruito a 100 metri sotto terra. Obiettivo: captare le vibrazioni dello spaziotempo. E scoprire se il caro Albert aveva ragione
di Daniela Cipolloni
Al link foto
È un progetto fantascientifico di nome Et. Ma gli extraterrestri non c’entrano. Si tratta di costruire sotto terra un gigantesco telescopio di 30 chilometri di perimetro per dimostrare l’esistenza di uno dei fenomeni più misteriosi dell’Universo: le onde gravitazionali, la scia lasciata dai cataclismi cosmici. Secondo la teoria della Relatività generale, eventi violenti come lo scontro di buchi neri, l’esplosione di supernovae, lo stesso Big Bang in principio, dovrebbero generare increspature nello spaziotempo in grado di propagarsi nel Cosmo alla velocità della luce. Un po’ come le onde di una nave che si sposta sulla superficie dell’acqua. Finora, però, nessuno ha avuto la prova diretta di quanto previsto nel 1916 dal genio della fisica moderna. E proprio a lui sarà dedicato Et, l’ Einstein Telescope, l’osservatorio futuristico che dimostrerà, oltre ogni ragionevole dubbio, se il caro Albert aveva ragione, oppure no. La comunità dei fisici ci crede, e pure la Commissione Europea che ha finanziato per tre milioni di euro lo studio di fattibilità di questo ambizioso osservatorio sotterraneo nell’ambito del settimo programma quadro. L’impresa si preannuncia eccezionale. L’ultimo atto nel forsennato inseguimento alle onde gravitazionali che vede gli scienziati impegnati da oltre mezzo secolo, e ormai a un passo dalla vittoria.
“ Il piano è quello di costruire un telescopio di terza generazione: sarà un interferometro triangolare con bracci lunghi 10 chilometri l’uno, posizionato a una profondità tra i 100 e i 200 metri, per attutire i movimenti sismici che rischierebbero di mascherare il debolissimo segnale delle onde gravitazionali”, spiega Michele Punturo, dell’ Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) di Perugia, coordinatore scientifico del progetto che riunisce circa 200 scienziati di tutta Europa. “ Come le due generazioni che lo precedono, anche Et si baserà sulle variazioni subatomiche nel percorso dei fasci laser che corrono all’interno dei bracci. In pratica, bisogna misurare lo spostamento infinitesimale, inferiore alle dimensioni di un atomo, di due masse distanti chilometri, nel passaggio di un’onda gravitazionale”, prosegue Punturo: “ Per misurare un simile effetto occorrono strumentazioni ultrasensibili, ed Et migliorerà di un fattore 100 la sensibilità degli attuali strumenti”.
Le presentazioni ufficiali del nuovo osservatorio sono per il prossimo 20 maggio, presso lo European Gravitational Observatory (Ego) a Cascina, in provincia di Pisa. Qui ha sede Virgo, il fratello minore di Et, un interferometro con due bracci perpendicolari lunghi tre chilometri l’uno, che si estendono nella campagna pisana. Insieme a Ligo, il corrispondente negli Stati Uniti, Geo600 e Tama, Virgo appartiene alla prima generazione di telescopi.
“ Hanno dimostrato la correttezza del principio su cui si basa la caccia alle onde gravitazionali”, specifica Punturo: “ attualmente è in costruzione la seconda generazione di interferometri: Advanced Virgo e Advanced Ligo, un upgrade degli attuali impianti che moltiplicherà per 10 la loro sensibilità. Entreranno in funzione nel 2015”. La seconda generazione promette di rivelare per la prima volta in modo diretto un’onda gravitazionale. Una sfida che i telescopi di terra si contenderanno con quelli nello spazio, come Lisa.
Poi la palla passerà a Et, un’infrastruttura faraonica da un miliardo di euro che unirà gli sforzi di tutti gli scienziati sul fronte delle onde gravitazionali. Come il Cern di Ginevra ha fatto per la fisica nucleare. Non a caso, Et rientra tra i magnifici sette progetti raccomandati dal consorzio Aspera per allargare gli orizzonti della fisica delle astroparticelle in Europa.
La costruzione di Et dovrebbe partire dal 2018. Un sito non è stato ancora stato definito, ma nella short-list dei posti candidati c’è anche l’Italia. Misure effettuate nella miniera di Sos Enattos, vicino Lula, nel cuore della Sardegna, hanno mostrato bassi livelli di rumore sismico, interessanti per Et. “ È difficile trovare un angolo riparato in Europa, così densamente popolata, dove realizzare infrastrutture di questa portata”, commenta Punturo: “ hanno superato le selezioni, anche l’Ungheria e la Spagna. Altrimenti, bisognerà andare in posti sperduti, come l’ Eso fa in Cile realizzando i suoi osservatori astronomici”.
Se i telescopi di seconda generazione manterranno le promesse, Et sarà per gli scienziati la chiave d’accesso a un Universo mai visto. Dovrebbe infatti essere così preciso da permettere la ricostruzione di fenomeni avvenuti un milionesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, un’era in cui nessun telescopio attuale può penetrare. La soglia invalicabile, attualmente, è 380mila anni dopo il Big Bang, quando il cosmo ha iniziato a essere trasparente per la radiazione elettromagnetica, e quindi osservabile: quella è l’epoca, infatti, a cui risale la radiazione cosmica di fondo (Cmb, Cosmic Microwave Background), la più antica forma di radiazione visibile coi nostri telescopi. Significherebbe inaugurare nuovo tipo di astronomia, l’astronomia gravitazionale.
Et è una sfida non solo per le conoscenze della fisica delle astroparticelle, sottolinea Punturo: “ Uno strumento di questo tipo richiede un salto di livello nelle tecnologie laser, delle ottiche e delle meccanica di precisione che avrà importanti ricadute nel futuro”.
Ma se, invece, poniamo il caso, il segnale delle onde gravitazionali non venisse rilevato? “ Vorrebbe dire che la Relatività generale è da rivedere, che i modelli su cui ci basiamo per interpretare l’Universo vanno riscritti”, risponde Punturo. Comunque vada, sarà una rivoluzione scientifica.
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Cina: angurie esplosive per eccesso di fitoregolatori? 19.05.2011
Al link il video
In Cina esplodono le angurie. Il fenomeno si è verificato in una serie di piantagioni del Janxu e sembra che la causa sia da ricercarsi nell’uso eccessivo di fitoregolatori. Ne scrive il puntuale blog Questione della decisione che spiega:
Si tratta forse dell’utilizzo eccessivo di un fitoregolatore chiamato forchlorfenuron nome comune della CPPU (N-(2-chloro-pyridyl)-N’-phenylurea) un fitoregolatore che appartiene alla classe delle citochinine. Si utilizza in agricoltura, insieme ad altri composti della classe degli ormoni vegetali, per aumentare la dimensione dei frutti.
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Il manifesto della rivolta in Spagna 19.05.2011
Manifesto (Cast) – «Democrácia Real Ja»
Noi siamo gente comune. Siamo come te: gente che si alza ogni mattina per studiare, per lavorare o per trovare lavoro, gente che ha famiglia e amici. Gente che lavora duramente ogni giorno per vivere e dare un futuro migliore a chi ci circonda.
Alcuni di noi si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Alcuni di noi hanno un’ideologia ben definita, alcuni si definiscono apolitici… Ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale che vediamo intorno a noi. Per la corruzione di politici, imprenditori, banchieri … Per il senso di impotenza del cittadino comune.
Questa situazione fa male a tutti noi ogni giorno. Ma se tutti ci uniamo, possiamo cambiarla. È tempo di muoversi, è ora costruire insieme una società migliore. Perciò sosteniamo fermamente quanto segue:
- Le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l’uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone.
- Ci sono diritti fondamentali che dovrebbero essere al sicuro in queste società: il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all’istruzione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale, e il diritto di consumare i beni necessari a una vita sana e felice.
- L’attuale funzionamento del nostro sistema economico e di governo non riesce ad affrontare queste priorità e costituisce un ostacolo al progresso dell’umanità.
- La democrazia parte dal popolo (demos = popolo, cràtos = potere) in modo che il potere debba essere del popolo. Tuttavia in questo paese la maggior parte della classe politica nemmeno ci ascolta. Le sue funzioni dovrebbero consistere nel portare la nostra voce alle istituzioni, facilitando la partecipazione politica dei cittadini attraverso canali diretti e procurando i maggiori benefici alla società in generale, non per arricchirsi e prosperare a nostre spese, mentre si dà cura solo dei dettami dei grandi poteri economici e si aggrappa al potere attraverso una dittatura partitocratica capeggiata dalle inamovibili sigle del partito unico bipartitico del PPSOE.
- L’ansia e l’accumulazione di potere in poche mani crea disuguaglianza, tensione e ingiustizia, il che porta alla violenza, che noi respingiamo. L’obsoleto e innaturale modello economico vigente blocca la macchina sociale in una spirale che si consuma in se stessa arricchendo i pochi e precipitando nella povertà e nella scarsità il resto. Fino al crollo.
- La volontà e lo scopo del sistema è l’accumulazione del denaro, che ha la precedenza sull’efficienza e il benessere della società. Sprecando intanto le risorse, distruggendo il pianeta, creando disoccupazione e consumatori infelici.
- I cittadini fanno parte dell’ingranaggio di una macchina destinata ad arricchire una minoranza che non sa nulla dei nostri bisogni. Siamo anonimi, ma senza di noi tutto questo non esisterebbe, perché noi muoviamo il mondo.
- Se come società impariamo a non affidare il nostro futuro a un’astratta redditività economica che non si converte mai in un vantaggio della maggioranza, saremo in grado di eliminare gli abusi e le carenze di cui tutti soffriamo.
- È necessaria una Rivoluzione Etica. Abbiamo messo il denaro al di sopra dell’Essere umano mentre dovremo metterlo al nostro servizio. Siamo persone, non prodotti sul mercato. Io non sono solo quel che compro, perché lo compro e a chi lo compro.
Per tutto quanto sopra, io sono indignato.
Credo di poterlo cambiare.
Credo di poter aiutare.
So che insieme possiamo.
Esci con noi. È un tuo diritto.
Fonte: http://democraciarealjabarcelona.blogspot.com/p/somos-personas-normales-y-corrientes.html
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.
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Global Governance – Dominique Strauss-Kahn, l’uomo ‘prezzemolo’ del FMI 19.05.2011
Thierry Meyssan Fonte: “Geostrategie”
Si è costruito un’immagine positiva di uomo della sinistra, preoccupato per il benessere dei poveri. Ma allora, come ha fatto a diventare CEO del Fondo monetario internazionale, l’organizzazione internazionale che ha istituzionalizzato il saccheggio del Sud? Thierry Meyssan risponde rivelando tutto ciò che la stampa mainstream nasconde da anni sulle relazioni di DSK con gli Stati Uniti.
La nomina trionfale di Dominique Strauss-Kahn alla direzione generale del Fondo monetario internazionale (FMI), il 28 settembre 2007, ha dato luogo a due messaggi contraddittori. Da una parte, la stampa occidentale esalta la capacità del blocco atlantico di imporre il suo candidato sfidando quello della Russia, Josef Tosovskij, dall’altra parte, essa afferma che la missione primaria del signor Strauss-Kahn coinvolgerà più ampiamente nelle decisioni i paesi del Sud, cioè a porre fine al dominio del blocco atlantico.
Con sciovinismo, la stampa francese si felicita che i francesi siano ora a capo di quattro importanti organizzazioni internazionali. Infatti, oltre a Dominique Strauss-Kahn al Fondo monetario internazionale, vi sono Pascal Lamy a capo del Organizzazione mondiale del commercio (OMC), Jean Lemierre presiede la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) e Jean-Claude Trichet è alla Banca centrale europea (BCE). Ma dovremmo mettere queste quattro istituzioni sullo stesso piano? E, soprattutto, dobbiamo rallegrarci in una situazione che, lungi dal dimostrare il posto della Francia nel mondo, illustra l’integrazione delle élite francesi nella globalizzazione, vale a dire, il loro desiderio di distruggere il loro paese come Stato nazionale, un quadro politico che ritengono superato?
L’ultima impresa è sconcertante: il FMI è una delle organizzazioni internazionali più criticate al mondo. Ha pesantemente finanziato l’installazione di dittature nei paesi del Sud, tra cui Argentina, Brasile, Indonesia, Nigeria, Filippine, Thailandia, ecc… Inoltre, le sue improvvise esigenze per il rimborso immediato dei prestiti, hanno costretto gli Stati a sacrificare il loro futuro con la svalutazione e chiudendo scuole ed ospedali. I suoi avversari lo accusano di aver così provocato, con l’oppressione e la carestia, centinaia di milioni di morti in mezzo secolo, vale a dire molto di più delle aggressioni militari degli Stati Uniti durante lo stesso periodo. Da parte sua, il Fondo monetario internazionale ritiene che le sue politiche di “aggiustamento strutturale”, lungi dall’essere la causa di questi disastri, vi abbiano messo fine. Premio Nobel per l’economia così diversi come il neo-keynesiano Joseph Stiglitz o il libertario Milton Friedman hanno accusato il FMI di essere il grande organizzatore dello squilibrio tra nord e sud. Infatti, l’azione principale del FMI è stata la finanziarizzare l’economia globale, consentendo agli speculatori del nord di arricchirsi sfruttando il lavoro, più ancora che le risorse, del Sud del mondo. Se non fosse per la venerazione che la società dei consumi dedica ai suo banchieri, da molto tempo il FMI sarebbe stato dichiarato una organizzazione criminale. Eppure, è proprio questa istituzione che il socialista Dominique Strauss-Kahn ambiva a dirigere, ed è il signor Strauss-Kahn ha ottenuto un forte sostegno tra i grandi banchieri del mondo, pressato da ogni parte dalle multinazionali meno scrupolose.
Se si lascia da parte l’interesse personale di Dominique Strauss-Kahn, che è diventato l’alto funzionario più pagato a Washington, con uno stipendio base annuo di 461.510 dollari al netto delle imposte, dobbiamo farci delle domande sui suoi obiettivi politici. Per rispondervi, diamo uno sguardo alla sua biografia e scopriremmo ciò che i media nascondono per anni: il suo rapporto con i leader chiave dell’amministrazione statunitense.
Nato in una famiglia benestante di sinistra, DSK è stata allevato in Marocco e a Monaco. Ha ricevuto un’educazione ebraica – più sefardita che ashkenazita – che attribuisce maggiore importanza alla culturale che alla religione. Si è laureato in Scienze Politiche a Parigi, ex studente della HEC, una laurea in legge e associati in scienze economiche. Era destinato ad essere un avvocato d’affari.
Entra nel 1976 nel Partito socialista (PS), dove fu attivo a Ceres, la corrente socio-statalista guidata da Jean-Pierre Chevènement. Non tarda a separarsene per avvicinarsi a Lionel Jospin e Jean-Christophe Cambadelis, i due seguaci francesi di Irving Brown, l’ufficiale di collegamento della CIA con la sinistra europeo occidentale [1]. Jospin e Cambadelis provengono da un piccolo partito trotzkista (i Lambertisti), tradizionalmente legati alla CIA. Con un centinaio di compagni, hanno infiltrato il PS e sono riusciti a prenderne le redini.
Entra nel 1986 all’Assemblea Nazionale grazie alla rappresentanza proporzionale, all’epoca da poco introdotta. Scelse di stabilirsi, nel 1988, in una circoscrizione di Val d’Oise, a Sarcelles, che ha una numerosa comunità ebraica. Si fa eleggere giocando sul riflesso identitario. Diventa presidente della commissione finanze dell’Assemblea, e nel 1991, Ministro delegato per il Commercio Estero e l’Industria presso il Ministro dell’Economia, Pierre Beregovoy. Due uomini agli antipodi: DSK è un dilettante brillante che vive tra grandi fortune, come un pesce nell’acqua, mentre Béré è uno sgobbone lacerato, diviso tra i suoi ideali operaistici e il suo bisogno di un riconoscimento personale da parte del mondo della finanza. DSK si diverte a dirsi socialista mentre fa il contrario, mentre Béré è affranto.
Mentre era ministro dell’Industria, seppe dei problemi incontrati dal suo amico Jean Peyrelevade, alla guida del Credit Lyonnais. Intervenne personalmente per sostenere le varie operazioni a rischio, effettuate a favore del suo amico Frank Ullman-Hamon. Questo uomo d’affari è noto per avere anche fatto diversi interventi a favore di Israele in America Latina, e di essere socio del fondatore della rivista Marianne, Jean-François Kahn. Le operazioni di Ullman Hamon con le filiali del Credit Lyonnais costeranno decine di milioni di franchi ai contribuenti francesi.
Al tempo stesso, Dominique Strauss-Kahn si sposa in sinagoga – con la terza moglie – una star di rara bellezza, Anne Sinclair, la giornalista preferita dei francesi. La coppia ha scelto di tenere la stampa lontana dalla cerimonia, ma danno brillantezza alla festa all’interno della comunità ebraica, dove si affermano come personalità brillanti. I loro due testimoni al matrimonio sono la professoressa di filosofia Elisabeth Badinter (erede del Groupe Publicis e moglie del ministro della Giustizia, Robert Badinter) e la giornalista Rachel Assouline (moglie del barone della stampa Jean-François Kahn).
Nel 1987, si distacca da François Mitterrand, e guida una delegazione del Partito Socialista in Israele e si reca dal sindaco di Gerusalemme, che considera la capitale dello stato ebraico. Nel 1991
ha partecipato a un viaggio di solidarietà per Israele organizzata dal Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia (CRIF), nel bel mezzo della Guerra del Golfo.
Nel 1994, utilizzando la sua posizione di ex ministro dell’Industria, ha fondato il Circolo dell’Industria, con cui è riuscito a entrare, in sei mesi, in 48 dei 50 maggiori patronati francesi. La metà di loro pagava una quota annuale di almeno 200.000 Franchi francesi affinché i loro interessi siano rappresentati a Bruxelles. Lascia la presidenza della associazione degli imprenditori a Raymond Levy (ex amministratore delegato dalla Renault) e si garantisce la vice-presidenza. Per inciso, lo stesso Raymond Levy sarà nominato capo del Consorzio di realizzazione, responsabile della liquidazione degli investimenti fallimentari del Credit Lyonnais e, incidentalmente, soffocare gli affari di Ullman-Hamon.
Contemporaneamente, DSK è consulente degli stessi imprenditori e avvocato d’affari, e apre il suo ufficio nella sede del Circolo. Cogema, Sofres e EDF, tra gli altri, gli pagano tariffe esorbitanti per un consiglio o una soffiata a un potente di questo mondo. Questa attività poco rischiosa gli assicura un fatturato di oltre 2.000.000 di Franchi all’anno [2].
Successivamente, ha insegnato presso l’università, a Stanford e a Casablanca, oltre a conferenze qua e là, sempre pagate regalmente.
In particolare, negli Stati Uniti, a Stanford, il bastione dei Repubblicani. E’ lì che hanno il loro centro di ricerca, la Hoover Institution [3]. A quel tempo, il prevosto di Stanford – vale a dire la persona che negozia l’ingaggio di Dominique Strauss-Kahn – non è niente meno che Condoleezza Rice, [4]. Sul posto, Dominique Strauss-Kahn ha fatto la conoscenza di George P. Schultz e degli accademici che costituiscono il pool di Bush.
Nel 1995, scrisse la piattaforma economica del programma elettorale di Lionel Jospin, candidato alla Presidenza della Repubblica, ‘Proposte per la Francia’. Difende poi il principio della “Tobin Tax” sulle transazioni valutarie, che poi ha detto essere impraticabile.
Deputato di Sarcelles, ne è anche brevemente il sindaco, prima di affidare le chiavi al suo fedele François Pupponi. Il tempo di “gemellare il più ebreo dei comuni francesi con il più francese dei comuni di Israele”, Netanya.
Dal 1997 al 1999 è stato Ministro dell’Economia e delle Finanze. Guida il passaggio all’euro e la privatizzazione di France Telecom. Soprattutto, ha portato la Francia nel processo di finanziarizzazione dell’economia, moltiplicando le misure settoriali demagogiche. L’adozione della settimana di 35 ore riduce significativamente il numero di ore lavorate, mentre l’esenzione dalle tasse sulle stock option, sposta il reddito dei manager dal lavoro alla finanza. Il risultato di questa politica è che l’inizio del declino della produzione francese viene equilibrata, statisticamente, dallo sviluppo dei profitti finanziari. Tuttavia, in ultima analisi, il potere d’acquisto delle classi medie viene eroso in maniera significativa.
Dominique Strauss-Kahn frequenta i circoli più prestigiosi del potere. Dal 1993, lo si vede al Forum di Davos. Anne Sinclair l’introduce al Siècle, l’associazione più alla moda di Parigi. Poi Antoine e Simone Veil lo fanno entrare al Club Vauban. Nel 2000, la NATO l’invita al Bilderberg Club, dove incontra Pascal Lamy e Jean-Claude Trichet, che occupano con lui, oggi, le più prestigiose poltrone delle istituzioni internazionali.
Dominique Strauss-Kahn è intrappolato dal suo costante mix di lobbying pagato e impegni politici. E’ oggetto di un’accusa, in un caso riguardante la principale assicurazione studentesca, il MNEF, poi in un’altra legata ai fondi neri della società petrolifera nazionale Elf. In definitiva i giudici ritengono che le sue attività fossero legittimi, anche se non morali.
Ma le indagini penali e una commissione parlamentare d’inchiesta, riveleranno i suoi metodi poco ortodossi. Lionel Jospin, quando era Ministro della Pubblica Istruzione, aveva modificato il tasso dei rimborsi alla MNEF dalla sicurezza sociale, trasformandosi in una vera e propria pompa finanziaria del PS. Poi aveva esteso le attività del MNEF ai campus, sempre per rastrellare altri soldi. Dominique Strauss-Kahn stesso percepiva una retribuzione consistente per dei servizi immaginari. Più tardi, aveva attribuito lo stipendio della sua segretaria del Circolo dell’industria (o del suo gabinetto, è quasi impossibile distinguerli) al gruppo Elf.
Dietro modi educati, il gusto per il buon cibo e le belle donne, Dominique Strauss-Kahn è un assassino: quando apparve, a titolo postumo, la registrazione video del promotore immobiliare Jean-Claude Mery, che accusava Jacques Chirac, non ci volle molto a scoprire che lui era uno degli organizzatori di questo furto.
Si sottrae alla legge, abbandonando in tempo la scena politica. Durante la sua attraversava del deserto, sua moglie, Anne Sinclair, dimostrerà compostezza e dignità, perorando in suo favore presso il pubblico, per il suo atteggiamento da solo.
Operando per il suo gran ritorno nel 2001, dopo aver ricevuto il non-luogo a procedere, prende in mano lo sviluppo della Fondazione Jean Jaures, il partner del National Endowment for Democracy (NED) per la sinistra francese [5]. La cosa è ancora più facile ora che, dopo Stanford, conosce il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Condoleezza Rice, e che sua sorella adottiva [6] Madeleine Albright, dirige il National Democratic Institute (NDI), un paravento del NED, responsabile della consegna dei sussidi del Dipartimento di Stato USA ai quadri del partito socialista francese.
Nel 2003, il German Marshall Fund of the United States, una delle principali officine atlantiste, crea un forum sul commercio e la povertà. DSK diventa uno dei sei direttori, pagato come al solito [7]. Ha scritto, o per lo meno firma, i vari rapporti in favore del libero scambio assoluto.
Lo stesso anno, ha costretto un esperto del Partito socialista, Pascal Boniface, a dimettersi. Questo specialista nelle relazioni internazionali ha avuto il coraggio di sottolineare che il cieco sostegno del partito a Israele, è ideologicamente incompatibile ed elettoralmente controproducente, mentre il PS deve aspirare a riunire i sei milioni di cittadini francesi di cultura araba.
Inoltre, Dominique Strauss-Kahn guidava la creazione del Circolo Léon Blum all’interno del Partito Socialista, il cui scopo è garantire il sostegno del partito al movimento sionista.
Nel 2004, ha detto in un’intervista a France-Inter: “Penso che ogni ebreo della diaspora e della Francia dovrebbe dare il suo aiuto a Israele. Questo la ragione per cui è importante che gli ebrei si assumano delle responsabilità politiche. In somma, nei miei doveri e nella mia vita quotidiana, attraverso tutte le mie azioni, cerco di portare la mia modesta pietra per la costruzione di Israele“. [8]
Nel 2005 ha lanciato il club A sinistra in Europa (AG2E) a favore del “sì” al referendum per l’approvazione del progetto del Trattato costituzionale europeo. Ha lavorato in collaborazione con il Policy Network (UK) e la Fondazione Friedrich Ebert (Germania). Ma il voto dei francesi fu “no“.
Nel 2007, mentre lo scrittore Claude Ribbe apriva un dibattito sulle attuali conseguenze sociali della schiavitù e della colonizzazione, DSK era attivamente coinvolto nella creazione del Consiglio rappresentativo dei neri di Francia (CRAN), un organismo che riceve consigli tecnici da specialisti israeliani e riproduce il modello del Consiglio rappresentativo degli ebrei in Francia (CRIF) [9]. Non riuscendo a trovare un’eco tra i neri in Francia, questa iniziativa sarà un successo mediatico, come pochi anni prima fu la creazione di SOS Racisme per impedire la strutturazione dei beurs (immigrati nordafricani di seconda-terza generazione. NdT).
Quando si apre la competizione per nominare il candidato del Partito Socialista per le elezioni presidenziali del 2007, Dominique Strauss-Kahn apparve sia come il candidato nella posizione migliore per affrontare il suo rivale dichiarato, l’ex primo ministro Laurent Fabius, sia come il candidato ufficiale degli Stati Uniti presso la sinistra francese.
Così, diede un’intervista alla rivista neoconservatrice Le Meilleur des mondes, in cui sbeffeggia la politica araba della Francia e auspica un riavvicinamento con Washington e Tel Aviv [10].
Tutto sembra preparato fin dall’inizio. Le quote d’iscrizione al partito socialista sono ridotte ad un importo trascurabile, in modo che poche migliaia di membri del partito lambertista potessero acquisire le tessere, solo per partecipare al voto per la designazione interna del candidato. La manovra è stata organizzata dal luogotenente di DSK, Jean-Christophe Cambadelis, egli stesso un ex leader del partito e che abbiamo già visto circa i suoi rapporti con la CIA.
Eppure, contro ogni previsione, è una outsider, Segolene Royal, che viene nominata. A Washington c’è un altro progetto: mettere Nicolas Sarkozy all’Eliseo. Per questo, conviene mettergli di fronte un concorrente poco credibile. In cambio del suo ritiro in silenzio, DSK sarà ampiamente ricompensato con la direzione del FMI.
Poco dopo la sua ascesa alla presidenza della Repubblica, Nicolas Sarkozy ha presentato la candidatura di DSK a Washington, e Condoleezza Rice lo sosteneva. Durante la partecipazione alla creazione dell’European Council on Foreign Relations (E-CFR) [11], ha viaggiato per il mondo, apparentemente per convincere gli Stati del Sud a sostenere ancora la sua candidatura. In realtà, il loro voto era irrilevante, dal momento che gli Stati Uniti e l’Unione europea da soli hanno il 48% dei voti. La campagna do viene pagata dalla Francia e organizzata dalla agenzia di PR, TD International. Cosa che il gabinetto del signor Strauss-Kahn minimizza, sostenendo di lavorare solo col corrispondente francese dell’agenzia. TD International “venderà” alla stampa la leggenda di un DSK inattivo, chiamando il primo ministro del Lussemburgo Jean-Claude Juncker, durante la conferenza a Yalta, con cui gli avrebbe suggerito di aspirare al FMI. In realtà, Dominique Strauss-Kahn e Christine Ockrent parteciparono al Yalta European Seminar, con i 7.000 euro di spese a testa pagati indirettamente da George Soros. Questa conferenza mirava a sostenere la “rivoluzione arancione” e l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Tuttavia, TD International è un paravento della CIA, incaricato soprattutto della costruzione dell’immagine pubblica della “rivoluzione arancione“. E’ diretta da William A. Green III, un celebre agente che non era né più né meno che il capo dello stay-behind in Francia, state rese note al pubblico.
Hugo Chavez, Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, nel frattempo, non era stato convinto dallo spettacolo di Dominique Strauss-Kahn. Ha confermato il ritiro dal suo paese del FMI “prima che ci derubino“, ed ha invitato tutti gli stati del sud che possono, a fare lo stesso.
Note:
[1] Nelle stesse parole di Irving Brown, in Éminences grises, di Roger Faligot & Rémi Kauffer, Fayard 1992. Sulla rete USA, Stay-behind: les réseaux d’ingérence américains, Thierry Meyssan, Réseau Voltaire (20 agosto 2001).
[2] Dominique Strauss-Kahn, 1993-1997, profession – conseil, Laurent Mauduit, Caroline Monnot & Martine Orange, Le Monde (11 dicembre 1999). Influents dans le monde de l’entreprise, Bérengère Mathieu de Heaulme, Le Figaro (22 gennaio 2002).
[3] La Hoover Institution, archives réservées aux Républicains, Réseau Voltaire (26 ottobre 2004.)
[4] La fulgurante intégration de Condoleezza Rice, Arthur Lepic & Paul Labarique, Réseau Voltaire (8 febbraio 2005).
[5] La NED, nébuleuse de l’ingérence démocratique, Thierry Meyssan, Réseau Voltaire (22 gennaio 2004).
[6] Op. cit.
[7] Le German Marshall Fund, un reliquat de la Guerre froide?, Réseau Voltaire (5 ottobre 2004).
[8] Citato in Encyclopédie politique française, Tome 2, Facta éd., 2005.
[9] Les Nègres de la République, Claude Ribbe, Jean-Paul Bertrand éd., 2007.
[10] MM. Sarkozy et Strauss-Kahn affichent leurs allégeances, Cédric Housez, Réseau Voltaire (7 novembre 2006). Articolo plagiato. La posizione di Dominique Strauss-Kahn è condiviso dal primo segretario del PS, François Hollande, France: le Parti socialiste s’engage à éliminer les diplomates pro-arabes, Réseau Voltaire (9 gennaio 2006). Le dichiarazioni di Holland in questi ultimi articoli sono stati negati dall’interessato, ma sono stati mantenuti sul sito del CRIF.
[11] Création accélérée d’un Conseil européen des relations étrangères, Réseau Voltaire (3 ottobre 2007).
Traduzione di Alessandro Lattanzio http://www.aurora03.da.ru http://www.bollettinoaurora.da.ru http://aurorasito.wordpress.com/
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Il primo pc era italiano e ora diventa un film 20.05.2011
di Alessio Lana
Programma 101 fu inventato da Pier Giorgio Perotto per la Olivetti negli anni ’60. Ma fu bocciato, perché se non ci avevano ancora pensato gli americani…
“ Se le grandi aziende americane, l’IBM e gli altri non hanno costruito niente di simile, vuol dire che è un prodotto senza futuro”. Questa fu la tiepida accoglienza dei vertici della Olivetti quando gli fu presentata la Programma 101, il primo personal computer della storia, progettato dall’italiano Pier Giorgio Perotto tra il 1962 e il 1964. Non si rendevano conto di avere tra le mani una pepita d’oro, un oggetto che avrebbe non aperto ma spalancato le porte del futuro. “ Nel 1965 non esisteva l’idea stessa di strumento di elaborazione “personale”, con programma, supporto magnetico per l’ingresso e l’uscita dei dati e delle istruzioni, totalmente autosufficiente, da mettere sulla scrivania di un qualsiasi impiegato di un ufficio”, ricorda Perotto, scomparso 9 anni fa all’età di 72 anni, “Potevamo pensare che la macchina avrebbe potuto più facilmente essere accolta negli ambienti tecnico-scientifici, ma anche lì c’era il timore che questi fossero abituati ad usare strumenti di elaborazione più potenti, anche se più scomodi e meno accessibili”. La macchina era arrivata troppo presto: i dirigenti ancora non erano pronti. Era programmabile, dotata di memoria e di dimensioni ridottissime per l’epoca. Aveva anche la stampante integrata, simile a quelle che si usano oggi per le casse dei negozi. Il design poi era un avveniristico mix di curve e tratti netti che faceva da anello di congiunzione tra gli anni ’50 e i ’60. Con un po’ di riluttanza, l’azienda elettronica di Ivrea, il 4 Ottobre 1965, porta la P101 al BEMA Show, la più importante esposizione di prodotti per ufficio. Norberto Patrignani, altra eccellenza dell’informatica italiana, in un suo scritto ricorda come la Olivetti “ espose in bella mostra i suoi nuovi gioipadiglione”. A un certo punto però lo speaker annunciò: “This is the Olivetti programma-one-o-one!” e, prosegue Patrignani, “tutti andarono a vedere questa macchina programmabile. Fu un successo clamoroso. Lo stand venne preso d’assalto, curiosi e addetti ai lavori formarono file interminabili e obbligarono gli organizzatori a predisporre un servizio d’ordine per regolare le entrate”. “ Seppure tra le diffidenze e talvolta le aperte ostilità di quasi tutta la direzione Olivetti” scrive Daniele Casalegno nel suo libro Uomini e Computer (Hoepli, 2010), la produzione prese il via e in pochi anni ne furono vendute 44mila. Dopotutto la P101 aveva dalla sua la portabilità ma anche il prezzo: 3.200 dollari contro i 30mila di un computer di allora. Casalegno sottolinea come la P101 sia stata acquistata anche dalla Nasa e dall’IBM, che voleva studiarne i componenti. Gli altri, infatti, non stavano a guardare. Di lì a poco la Hewlett Packard lanciò l’HP9100 ma nel 1967 venne condannata a pagare 900mila dollari per aver copiato la macchina italiana.
Perotto invece cedette i diritti della sua invenzione alla Olivetti per 1 dollaro simbolico. Gli bastava essere riconosciuto come il papà del primo personal computer. Ma a sognare quella macchina “ amichevole alla quale delegare quelle operazioni che sono causa di fatica mentale e di errori”, come disse l’inventore, c’erano anche Giovanni De Sandre, Gastone Garziera e Mario Bellini. Dopo oltre 50 anni, la loro storia verrà raccontata nel documentario Quando Olivetti inventò il PC realizzato da Alessandro Bernard e Paolo Ceretto. Il film andrà in onda il 26 giugno prossimo alle ore 23 in anteprima mondiale su History Channel. Nell’attesa, ti proponiamo una fotogallery e alcuni video per conoscere meglio la P101 e i suoi creatori.
http://gadget.wired.it/foto/2011/05/20/programma-101-primo-personal-computer-italiano.html#content
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Open Spectrum 20.05.2011
L’affascinante mondo della Cognitive Radio e dell’Open Spectrum
Proviamo ad immaginare un mondo dove le frequenze radio non sono più assegnate dallo stato attraverso il Ministero delle Comunicazioni, ma sono una risorsa libera a tutti come una spiaggia o l’acqua di un fiume: forse è una proposta utopica, ma la forza delle grandi idee è proprio quella di andare oltre la realtà che le circonda. Questa idea ha già un nome e anche una lunga serie di sostenitori che la sostengono in vari stati in giro per il mondo.
Il nome è ‘Open Spectrum’ ovvero la proposta di aprire al pubblico dominio lo spettro di frequenze utilizzate per la trasmissione di onde elettromagnetiche, con poche garanzie di fondo. Questo, secondo i suoi sostenitori, sempre più numerosi, allargherebbe le potenzialità di comunicazione e di business di ogni cittadino dotando tutti di banda praticamente infinita. Il limite di questa tecnologia è legata agli attuali sistemi di trasmissione e ricezione che sono costruiti per lavorare su frequenze fisse o sintonizzabili in un preciso banda assegnata. Per l’Open Spectrum invece bisognerebbe utilizzare radio “intelligenti” che gestiscono in tempo reale lo spettro elettromagnetico e scelgono la migliore frequenza per trasmettere senza disturbare le altre emissioni.
Questa tecnologia, già disponibile per il mondo militare è una realtà oggi anche per i “civili” e si chiama Cognitive Radio. Queste radio “cognitive” trasmettono e ricevono su una frequenza esplorata e rilevata libera da altri segnali e pulita da interferenze localmente veicolando vari contenuti (audio, video, dati) in un unico segnale digitale distribuito su più frequenze sparse per lo spettro radio. Le cognitive radio permettono di creare reti capaci di scegliere all’istante le frequenze libere e utilizzarle senza dover rispettare una canalizzazione predeterminata. Ciò permette di superare l’attuale necessità di dare più frequenze a servizi simili o canalizzando lo spettro lasciarne parecchie vuote o poco utilizzate, consentendo un uso di tutto lo spettro di frequenze, e degli spazi di trasmissione teoricamente illimitati, per un ampio numero di canali.
Il primo prodotto commerciale “cognitive” è stato realizzato da una piccola società la Adapt4 che ha ricevuto dall’FCC (l’agenzia federale americana che regolamenta le telecomunicazioni) il primo permesso sperimentale per testare questa nuova tecnologia. La Adapt4 XG1T Data Radio permette di trasferire fino a 180 kb/s di dati digitali sulla banda di frequenza di 217-220 Mhz che è stata scelta dall’FCC per questa sperimentazione.
La XG1T Data Radio analizza in tempo reale la situazione delle frequenze utilizzate nella banda e scelte le frequenze libere dove trasmettere. E’ interessante notare che vengono usate 40 frequenze per realizzare una modulazione Frequency Hopping e che una singola frequenza non viene ma occupata per più di 10 millisecondi (la durata di un burst digitale), utilizzando in maniera ottimale i 3 mhz dati della banda in concessione dall’Fcc.
Questa tecnologia permette inoltre di non interferire in nessun modo con gli utilizzatori “normali” ed “analogici” delle frequenze allocate tra 217-220 Mhz. Gli utilizzatori ideali di queste radio sono civili (vigili del fuoco, protezione civile, mondo sanitario) o militari che hanno bisogno di un sistema di trasmissione digitale efficiente e soprattutto decisamente difficile da intercettare.
La XG1T Data Radio permette di trasferire dati, voci ed immagini e può essere configurata come una “ethernet” wireless permettendo così applicazioni Tcp-ip via radio come una rete wi-fi. Anche la potenza di trasmissione viene gestita in maniera dinamica a seconda delle qualità del canale radio e dei parametri che ogni terminale “cognitive” riceve dalle altre unità attive. Insomma un vero e proprio sistema “intelligente” che gestisce lo spetto radio nel modo più efficiente facendo rapidamente dimenticare concetti come “il canale” o “disturbi isofrequenza”. L’utilizzo di questa tecnologia può permettere una migliore gestione dello spettro delle frequenze, che vale la pena ricordare non è infinito, e che soprattutto secondo una calcolo dell’FCC è realmente occupato al 30% delle possibilità.
Secondo un analisi americana le frequenze assegnate soprattutto ai servici civili (ambulanze, servizi di sicurezza, etc) hanno un tasso di utilizzo temporale (cioè il periodo in cui la frequenza è libera e non utilizzata) inferiore al 50% e quindi l’utilizzo di radio cognitive permetterebbe di avere più utenti e più servizi utilizzando le stesse frequenze.
La tecnologia Cognitive Radio si basa su un algoritmo denominato ASAP (Automatic Spectrum Adaptation Protocol) che permette ad ogni singolo terminale di configurare ogni sua parametro in modo automatico in base allo stato delle frequenze dello spettro radio. Questo è possibile grazie ad un uso avanzato di un radio SDR (Software Defined Radio) che è costruita quindi con un front-end RF connesso all’antenna e un complesso sistema DSP che gestisce la modulazione e l’analisi della banda di frequenza.
Con l’aumentare della potenza di calcolo dei processori e con la miniaturizzazione dei componenti (pensiamo a quando è grande oggi un terminale Utms) sarà sempre più facile realizzare radio “cognitive” e il sogno dell’Open Spectrum potrebbe diventare realtà. Per maggior informazioni sul mondo delle Cognitive Radio si può visitare il sito dell’ Adapt4 all’indirizzo http://www.adapt4.com o i documenti di un interessante convegno realizzato dall’FCC sul futuro di questa tecnologia http://www.fcc.gov/oet/cognitiveradio/ http://obzudi.splinder.com/
http://permalink.gmane.org/gmane.politics.activism.neurogreen/33938
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La Consob, fa schifo perchè… 23.05.2011
Ecco come si tutelano i piccoli risparmiatori:
Entro l’estate la Consob dovrebbe autorizzare le banche a emettere le obbligazioni piu’ semplici senza l’obbligo di pubblicare il prospetto informativo. Lo ha detto il presidente della Commissione, Giuseppe Vegas, aggiungendo che “a breve” sara’ possibile emettere “obbligazioni senza necessita’ di pubblicare il prospetto”. Si trattera’ di “prodotti semplici” che prevedono, ha spiegato Vegas, per esempio “una durata limitata 3-5 anni”, prodotti che “i risparmiatori potranno sottoscrivere immediatamente, con facilita’ per un rapporto diretto con la banca”. La novita’, ha aggiunto, sara’ comunicata da Consob entro l’estate. Piu’ in generale, Vegas ha ribadito la necessita’ di un approccio della vigilanza “meno formalistico e piu’ basato sulla sostanza, e soprattutto volto alla limitazione della quantita’ delle regole per il settore finanziario”.
Dott Fabio Troglia fabio.troglia@gmail.com
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Un gigante del mare per estrarre gas naturale 24.05.2011
L’ Australia e la Shell puntano tutto sul gas naturale, e lo fanno pensando decisamente in grande. È di venerdì scorso, infatti, la firma ufficiale della Royal Dutch Shell sulle carte del Prelude Flng Project: la realizzazione della Prelude, enorme nave-impianto di gas naturale liquido per lo sfruttamento dei ricchissimi fondali australiani, nonché più grande oggetto galleggiante mai costruito.
Questo vero gigante del mare sarà lungo 488 metri – più di quanto le Petronas Towers di Kuala Lampur siano alte, tanto per capirsi – largo 75 metri e peserà circa 600mila tonnellate (il peso di sei portaerei e di tre Oasis of the Seas, la più grande nave passeggeri del mondo). La Prelude sarà costruita nel cantiere navale delle Samsung Heavy Industries presso le Geoje Island in Corea del Sud, e una volta completata, sarà ancorata a circa 400 chilometri dalle coste di Broome, nella parte nordoccidentale dell’Australia, in corrispondenza del giacimento scoperto dalla Shell nel 2007. Resterà lì per 25 anni, prima di essere revisionata e destinata ad altri giacimenti. Secondo i progetti sarà in grado di resistere ai tifoni più prorompenti.
A fare più impressione delle dimensioni della nave è quello che l’impianto riuscirà a fare: secondo le stime della compagnia, a partire dal 2017 (quando sarà operativo), questo mostro produrrà l’equivalente di 110mila barili di petrolio al giorno, ovvero 5,3 milioni di tonnellate annue tra gas naturale liquido, condensato e Gpl. “La nostra decisione di andare avanti con questo progetto rappresenta un progresso per l’industria del gas naturale liquido ed è una significativa risposta alla crescente richiesta di energia pulita”, spiega Malcolm Brinded, direttore esecutivo Upstream International della Shell.
Tutta questa energia è destinata soprattutto alle grandi economie emergenti, come la Cina. La nave, infatti, raffredderà in loco il gas naturale a un temperatura di -162° C per ridurne il volume di circa 600 volte e trasportarlo in Asia, navigando lontano dalle rotte migratorie delle balene, assicurano dalla compagnia.
La Shell non ha dichiarato ufficialmente i costi dell’intera operazione, stimati lo scorso anno a poco meno di 4 miliardi dollari. Trenta, invece, sono i miliardi che la compagnia intende investire in Australia entro i prossimi 5 anni. Nelle prospettive del colosso anglo-olandese, infatti, oltre al progetto Prelude – che creerà almeno 350 nuovi posti di lavoro diretti – c’è anche il progetto Gorgon e diversi studi esplorativi e di fattibilità.
http://www.galileonet.it/articles/4ddb49ca72b7ab3abe0000eb
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Indignados EU
Portogallo: http://roarmag.org/2011/05/manifesto-rossio-square-lisbon-portuguese-revolution/
Francia: http://roarmag.org/2011/05/french-group-calls-for-spain-style-street-protests/
Grecia: http://www.skai.gr/player/tv/?mmid=214557
Reperito il 26.05.2011
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Cara Gerit, io non ti pago! 23.05.2011
di Sciopero precario
Gli “sceriffi di Nottingham” non riscuotono mai successo, indipendentemente da chi gli capita sotto. E i precari si muovono contro Gerit-Equitalia, a Roma.
Rivendichiamo il diritto all’insolvenza per tutti i precari e le famiglie indebitate e ingiustamente perseguitate dalla Gerit/Equitalia, chiediamo una sanatoria immediata e generalizzata per tutti i precari, disoccupati, pensionati e lavoratori. Sarà una manifestazione costruita dal basso a partire dai movimenti sociali dei precari, dei senza casa, degli studenti delle scuole e delle università, dalle rappresentanze di base dei sindacati, dai centri sociali, ma soprattutto sarà dei tanti singoli debitori e famiglie che vogliono manifestare la loro indignazione e che da oggi non saranno soli contro le ingiustizie che si celano dietro i tanti contenziosi accumulati a centinaia di migliaia in tutto il paese.
Un’agenzia la Gerit/Equitalia, nata inizialmente con il compito di contrastare l’evasione fiscale che in Italia arriva a superare ormai i 120 Miliardi ogni anno e che invece di segnalare i grandi e piccoli noti evasori, perseguita i precari, i senza casa, la povera gente che onestamente e con dignità arranca tutta la vita. Dentro questa importante giornata di mobilitazione che si lega idelamente e materialmente alla giornata di azione indetta dagli Stati Generali della Precarietà che si sono visti a Roma a metà aprile e che accolgono l’appello internazionale contro l’austerity diffuso dalle reti sociali francesi in occasione del vertice del G8, cominciano le prove generali e diffuse sul territorio del nostro sciopero, uno sciopero precario. Lo sciopero sociale della rabbia dei precari, che tornerà già a partire dal prossimo 30 Maggio ad occupare le piazze e le strada di Roma con lo sciopero metropolitano dei sindacati di base e dei movimenti indipendenti. Cominciano le prove generali della ricomposizione sociale e della lotta dal basso senza quartiere contro i cravattari dello Stato.
We are anticapitalist – we are everywhere-get ready for us – Expect us –
Reddito x Tutt@
Giovedì 26 Maggio h 12:00 Manifestazione davanti alla sede della Gerit/Equitalia in Via Palmiro Togliatti 1545 – Roma
Noi la così detta crisi la stiamo già pagando, per le scelte di politica economica che questo governo ha intrapreso peraltro perfettamente in linea con le indicazioni della Commissione Europea e della BCE. Provvedimenti che hanno salvato i debiti privati delle banche causate dalle speculazioni finanziarie manovrate dai burattinai che spesso etero dirigono la rappresentanza politica, facendoli pagare dal pubblico, ovvero con i nostri soldi, attraverso i contributi che versiamo non solo per mantenere una pubblica amministrazione corrotta e inefficace, lontana dai bisogni dei cittadini, ma oggi anche per mantenere e ripianare i debiti delle banche e delle loro indegne speculazioni. E’ veramente troppo, è veramente inaccettabile.Siamo i precari, parasubordinati, cassaintegrati, senza casa, parite iva, lavoratori autonomi e dipendenti, insomma quelli che producono la ricchezza di questa città! Spesso malpagati, ricattati, con contratti senza diritti e condizioni di lavoro inaccettabili. Siamo i precari che pagano la crisi tutti i giorni sulla propria pelle e che stringono la cinghia quotidianamente per arrivare a fine mese. Come se non bastasse molti di noi si sono indebitati e con mutui, bollette, prestiti, finanziarie, carte revolving, multe non pagate e si trovano oggi ad essere insolventi e perseguitati dalla Gerit/Equitalia, nota a tutti come agenzia dello strozzinaggio istituzionalizzato, che oggi attraverso una normativa di emergenza è addirittura autorizzata dal governo ad entrare direttamente sui i nostri conti correnti e congelare le poche disponibilità finanziarie che abbiamo o pignorare i nostri beni. Spesso l’unica casa, per chi ce l’ha, o addirittura sequestrando dal giorno alla notte le nostre automobili, motorini, a volte l’intero garage, sempre per chi lo possiede. A fronte di questa situazione inaccettabile ed insostenibile andremo il prossimo 26 di Maggio a manifestare la nostra rabbia ed indignazione che guarda in prima battuta alla Gerit/Equitalia, ma che nel mentre, urla al Governo di questo paese la responsabilità politica della repressione fiscale, capillare e incontrollata che stiamo subendo.
http://www.indipendenti.eu/blog/?p=25358
http://www.contropiano.org/it/sindacato/item/1461-cara-gerit-io-non-ti-pago
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Google: noi raffreddiamo ad acqua 25.05.2011
Mountain View è pronta per inaugurare il primo data center raffreddato ad acqua di mare nella località finlandese di Hamina. Investimento costoso, ma vantaggioso. E le casse di BigG si riaprono per le energie rinnovabili
Roma – Il rapporto tra Google e la natura è sempre stato caratterizzato dal rispetto e dall’esborso economico sostanzioso. E dopo gli investimenti considerevoli nel settore delle energie rinnovabili, BigG è pronta a inaugurare il primo data center raffreddato ad acqua.
Si chiama SeaWater Air Conditioning, o SWAC, la tecnologia che permetterà a Mountain View di condurre l’esperimento singolare nel suo genere: costruire il centro di elaborazione dati presso la località finladese di Hamina, scelta per essere lambita dalle fredde acque del Mar Baltico.
I test di fattibilità sono partiti verso la fine del 2010 e, al momento, si trovano allo stato operativo. Secondo quanto riportato sul blog ufficiale, Google avrebbe pianificato di impiegare 50 addetti che vanno dagli amministratori di Linux ai manager esperti in datacenter, passando per gli agenti della sicurezza e i tecnici. La cifra impiegata nel progetto ammonta a 200 milioni di euro.
Secondo Joe Kava, direttore dei lavori, l’azienda ha già scoperto le soluzioni utili a risolvere le sfide portate dal raffreddamento ad acqua. Nel corso del Datacenter Summit di Zurigo, Kava ha spiegato alla platea presente il funzionamento del progetto. L’acqua del mare sarà pompata attraverso dei moduli di raffreddamento che avranno il compito di portare la temperatura al livello adeguato.
L’impatto ambientale sarà minimizzato. L’intento di Google è quello di sensibilizzare gli operatori minori di datacenter sulle soluzioni per rendere più efficienti i centri, anche se le aziende più piccole sono messe in guardia dall’adottare la scelta di raffreddare attraverso l’acqua del mare. “In piccola scala, l’investimento non è economicamente vantaggioso, ma i benefici sono elevati. Si tratta di una fonte termica davvaro affidabile poiché il golfo gela ogni anno”, avverte Kava.
L’operazione di Google potrebbe essere ben presto replicata da altri giganti IT come Microsoft, IBM e Yahoo, impegnati nella ricerca di una maggiore efficienza da parte dei propri data center. Anche Facebook ha creato il progetto Open Compute, allo scopo di mantenere sempre al passo i propri sforzi nella gestione energetica.
E a proposito di energie naturali, Google si è resa protagonista di un altro significativo investimento economico. Si tratta di 55 milioni di dollari stanziati nel progetto Alta Wind Energy Center gestito da Terra-Gen Power presso Tehachapi, California del Sud. La cifra sborsata da Mountain View servirà per la produzione di energia eolica.
Cristina Sciannamblo
http://punto-informatico.it/3172917/PI/News/google-noi-raffreddiamo-ad-acqua.aspx
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Ecco l’auto che monitora il tuo cuore 25.05.2011
Secondo recenti statistiche le malattie cardiovascolari sono una delle principali cause di mortalità.
Ma se per un verso il numero di decessi è in diminuzione grazie alle innovazioni nelle cure di queste patologie, per altro verso aumentano i soggetti con complicazioni, per esempio post-infarto, che necessitano di continui controlli, cure e trattamenti.
La casa automobilistica Ford, in collaborazione con i ricercatori dell’università tedesca RWTH Aachen University, ha annunciato lo sviluppo di un sedile particolarmente utile ai pazienti affetti da patologie cardiovascolari.
Sei sensori posizionati sullo schienale monitorano costantemente la frequenza cardiaca dei pazienti, ed attraverso l’utilizzo dei bluetooth è in grado di lanciare un allarme tempestivo in caso di un attacco di cuore. Nei casi più gravi, la centralina sarebbe anche in grado di aiutare meccanicamente il conducente ad arrestare il moto del veicolo, evitando dunque che l’automobile senza controllo diventi un rischio per gli altri individui sulla strada.
I test effettuati da Ford stanno superando le aspettative della stessa casa produttrice: si parla di una accuratezza che sfiora il 98% del tempo in cui viene effettuata la rilevazione del battito cardiaco sul 95% dei conducenti, ma c’è ancora molto da lavorare per trovare un tipo di sensore capace di rilevare i dati attraverso ogni tipo di tessuto dei vestiti.
L’invecchiamento della popolazione in condizioni di salute migliori rispetto al passato, ma con una percentuale di malattie croniche molto alta fa sì che l’idea di Ford possa essere applicata in maniera efficace anche ad altri tipi di patologie: già nel 2005 Toyota ha parlato della possibilità di avere nei veicoli una cabina di monitoraggio del livello di glicemia nel sangue, o di particolari sensori posti sul volante per il controllo costante della pressione sanguigna.
Questo tipo di tecnologia invisibile sta ormai diventando realtà, e regala ai pazienti cronici prospettive di indipendenza finora insperate, rendendo questo tipo di malattie meno invalidanti dal punto di vista sociale.
Anna Maria Campise
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Grecia senza speranza (intervista al regista Angelopoulos)
Il regista Théo Angelopoulos regista racconta l’inquietudine di un Paese sull’orlo della catastrofe
Il maestro greco non si è stancato di sperimentare. Lingue, mestieri, inclinazioni. La vita è tutta un piano sequenza e per le strade di Atene, nei bar e sugli autobus, la metafora del presente non basta a ipotizzare il domani. A 75 anni compiuti da pochi giorni, Théo Angelopoulos, unico regista greco a collezionare orsi, leoni e palme tra Berlino, Venezia, Cannes, non riconosce l’età dell’oro. Nel mezzo della crisi economica più grave dell’ultimo secolo, l’ex studente di Legge che emigrò a Parigi e al ritorno, trovò i Colonnelli per strada, non si è stancato di pensare al volo. Ad Atene, i volti parlano la lingua sospesa della paura. Nessuna recita, questa volta. L’eternità è lontana, il quotidiano somiglia a un incubo e mentre l’architrave politica gioca a nascondersi demandando il disastro a misteriosi fattori esterni, Angelopoulos riflette ad alta voce. Un po’ di italiano, passaggi di inglese storpiato, poi la preghiera, laicissima: “Conversiamo in francese, finché si può”.
Questa tragedia greca, tra debiti, bilanci e agenzie di rating, è raccontabile in un film?
È possibile, ma ancora non so dirlo con certezza. In questo momento la dinamica degli eventi è talmente rapida che è difficile formarsi un’opinione: serve la distanza necessaria per osservare quello che succede. Perché un film non è un documentario.
Che giornate sta vivendo la Grecia? Che atmosfera si respira per strada?
Un’inquietudine totale. Sono tutti molto preoccupati, non soltanto per la crisi economica. Basta ascoltare le discussioni sugli autobus per capire che questa è una società che non è ancora nel panico, ma certamente è molto turbata. Bisogna aspettare la decisione finale sui prestiti di emergenza promessi dall’Europa e poi valutare le conseguenze. Condividiamo una certezza: arriveranno severe misure del governo, davvero spiacevoli per i lavoratori.
Lei ha affrontato il lato oscuro della dittatura. Nei suoi film, l’allegoria dei regimi è una spia sempre accesa. C’è il rischio che la crisi economica favorisca un governo autoritario, magari in forme diverse da quelle del ‘67?
Ai tempi della dittatura c’era un regime tirannico. Ma almeno esisteva la speranza di sovvertire l’orrore. Adesso, non pulsa neanche quell’aspettativa. E questa è una grande differenza. Durante il totalitarismo, covavamo la certezza che, presto o tardi, quell’incubo sarebbe terminato, che quando la Grecia sarebbe tornata ad essere libera, i greci si sarebbero aperti al progresso in tutti i campi e avrebbero scoperto anche una libertà vissuta come normalità e non più come qualcosa di straordinario. Questa era l’aspettativa, oggettivamente, come insegnano i moveimenti di liberazione, più di un elisir.
E ora?
Ogni cosa è diversa: manca la visione di un futuro migliore, l’idea che presto possa arrivare un istante in cui vivere normalmente. Siamo consapevoli che stiamo correndo il rischio di vivere in una nuova dittatura, un regime totalitario che questa volta sarà economico. È l’unica aspettativa che abbiamo. A meno che non si assista a un immediato miglioramento della situazione finanziaria. In questo scenario, non manca mai chi insegue l’utopia autarchica. Il vasto esercito di chi è convinto che la Grecia starebbe meglio fuori dall’euro, ai margini dell’Unione europea.
Un miraggio di autosufficienza?
Assolutamente no. Il punto non è discutere se la Grecia possa farcela o no da sola, ma se i tedeschi – cioè Angela Merkel – sono pronti ad aiutarci per evitare il peggioramento del deficit. Non siamo ancora in agonia, ma quasi.
Soluzioni?
Viviamo sotto il peso dell’incertezza. Ancora non sappiamo se l’agonia si rivelerà o meno definitiva. Nessuno pensa che per Atene sia meglio essere fuori dall’euro o cose simili. E poi va ricordato che il problema non è la Grecia, ma l’Europa: certo, qui ci sono dei buchi di bilancio, ma sono in corso anche grandi speculazioni finanziarie che in questo momento si stanno accanendo contro un obiettivo più grande.
Quale?
L’euro e l’Europa: come stiamo vendendo la crisi ha coinvolto anche il Portogallo e la Spagna, presto potremmo ricevere notizie anche a proposito di voi italiani.
Sembra un lugubre slogan neofascista degli anni ‘70: “Ankara, Atene, adesso Roma viene”.
Contesti diversi, prospettive lontanissime, ma il rischio emulazione non è lunare.
Quali le responsabilità del governo Papandreou e di quelli precedenti che hanno truccato i bilanci, mentendo all’Europa e ai mercati sulle reali condizioni di salute del vostro Paese?
Il governo socialista attuale, quello di Papandreou, non ha responsabilità perché non ha avuto possibilità di scelta. Il problema è la Germania che ha determinato il ritardo negli aiuti, colpa di un esecutivo insediatosi da poco, con una scarsa esperienza alle spalle. Rispetto alla leggendaria efficienza teutonica, la Merkel risulta più lenta e incerta nell’azione.
Però i conti greci sono messi male, nel 2009 il deficit è stato il 14 per cento del Pil. Ormai si parla di default quasi sicuro. Insomma, di una Grecia che diventerà molto simile all’Argentina del 2001. Avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità troppo a lungo?
Spero proprio di no. Non sono un economista e non mi voglio sbilanciare sugli esiti di questa situazione. Preferisco fidarmi di alcuni amici che mi garantiscono che questo scenario non si verificherà. Però è vero che per anni e anni ci siamo illusi di essere un Paese ricco, ma era un’inganno, un’astrazione. Adesso, come capita quando si sogna senza costrutto, ne paghiamo il conto.
La crisi della Grecia e le rigidità negli interventi dei governi potrebbero diventare uno stimolo per costruire un’Europa economica più solida, e magari più solidale?
Spero non soltanto economica. L’Unione europea è stata pensata non per essere un’unione economica, ma una vera unione politica. E questa evoluzione si deve verificare non per salvare la Grecia, ma per proteggere l’Europa stessa.
L’arte e il cinema riusciranno a raccontare questo momento?
Prima di tutto soffriranno. Durante la dittatura si è assistito al rinascimento della cinematografia greca. Anche i miei film, e quelli della mia generazione, sono stati girati sotto il regime. Adesso ci sarà una situazione difficile, dal punto di vista economico, per chi vuole girare un film. Ma può essere che i cineasti possano trovare in un frangente così malinconico la spinta per produrre opere migliori, più interessanti di prima.
Alle persone che la fermano e le chiedono una parola di speranza, lei cosa risponde?
Devo recuperare un’espressione che usavo spesso ai tempi della dittatura: “L’ora più scura è quella prima dell’alba”. E spero che l’alba sorga, di nuovo, anche in Grecia.
Stefano Feltri e Malcom Pagani
Fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it/
Da il Fatto Quotidiano del 30 aprile
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=24454
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Fibra ottica e laser, nuovo record di velocità 26.05.2011
Un innovativo sistema di codifica e trasmissione delle informazioni digitali è alla base dell’ennesimo avanzamento nelle comunicazioni su fibra ottica. Il laser scompone i bit in onde luminose ricomponendo tutto dall’altro lato
Roma – Un team di ricerca tedesco ha stabilito un nuovo record in fatto di velocità di trasmissione dei dati binari su fibra ottica usando un singolo impulso laser. Il merito dell’impresa va all’adozione di un algoritmo per la frammentazione del fascio di luce in singole lunghezze d’onda noto come orthogonal frequency-division multiplexing (OFDM).
Le cifre riferite dagli esperti del Karlsruhe Institute of Technology (KIT) parlano chiaro: il link da record è stato in grado di trasmettere 26 Terabit di informazioni al secondo coprendo una distanza di 50 chilometri, il che equivale – dicono gli scienziati – a inviare 700 DVD di informazioni o 400 milioni di chiamate telefoniche in un solo secondo.
Il nuovo record supera di gran lunga i risultati ottenuti solo pochi anni or sono, ed è particolarmente interessante per il fatto di impiegare un solo fascio laser piuttosto che un complesso setup di impulsi multipli come è la norma in questo genere di esperimenti.
Grazie all’algoritmo OFDM, infatti, il laser ha scomposto la luce in vari pattern di colore codificando un singolo bit per ogni pattern: all’altro capo del link di comunicazione l’algoritmo è stato in grado di ricostruire le informazioni basandosi sul numero di volte in cui le differenti lunghezze d’onda venivano trasmesse.
Alfonso Maruccia
http://punto-informatico.it/3173183/PI/News/fibra-ottica-laser-nuovo-record-velocita.aspx
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GLI ORRORI DELLE CLUSTER
Le bombe a grappolo ora sono davvero vietate 19.05.2011
L’Italia non potrà più produrle né venderle
Il voto della Camera dopo un iter travagliato ha ratificato finalmente le indicazioni della Convenzione di Oslo del 2008. Molti l’avevano già fatto da tempo, altri ancora no, compresa l’Italia. Chi ancora fa finta di niente sono Usa, Russia e Cina che non hanno neanche firmato l’accordo in Norvegia. Eppure sono rimaste alcune lacune e alcune scappatoie possibili per tornare a produrle. Ci vuole vigilanza
di ANDREA SARUBBI*
ROMA – La notizia è stata inghiottita dai titoli sulle amministrative e sugli smottamenti nel governo, ma in altre circostanze – e forse in altri Paesi – avrebbe meritato approfondimenti in prima serata: da ieri, l’Italia ha messo fuori legge le munizioni a grappolo, che se esistesse un campionato di crudeltà tra le armi in commercio lo vincerebbero a spasso. Se le cosiddette bombe intelligenti sono pensate per colpire un obiettivo specifico, le cluster hanno esattamente la finalità opposta: colpire a casaccio, che sia un campo di battaglia o un campo di grano, che la guerra sia in corso o che sia finita da anni, che la vittima sia un soldato col bazooka o un bimbo col pallone. Lanciate dall’alto, nella traiettoria si sparpagliano dove capita e si fermano lì, spesso inesplose, finché qualche sventurato non le pesterà.
Non si possono più produrre né vendere. La Convenzione di Oslo, nel 2008, le aveva vietate, lasciando però agli Stati firmatari il compito di recepire il divieto nel proprio ordinamento: qualcuno lo ha già fatto da tempo, qualcun altro – tipo Stati Uniti, Russia e Cina – non ha neppure firmato la Convenzione. L’Italia ci ha messo tre anni per ratificarla, ma ce l’ha fatta, e da oggi cambia qualcosa: nel nostro territorio le munizioni a grappolo non si possono più produrre, né trasferire, né vendere, né stoccare; le scorte esistenti vanno distrutte, tranne una minima parte utilizzabile nelle esercitazioni per lo sminamento; siamo obbligati a bonificare i territori infestati ed a fornire assistenza alle vittime.
E La Russa si è dirato dall’altra parte. Avevo posto il problema alla Camera qualche mese fa, presentando una proposta di legge “pluripartisan” che aveva raccolto 86 firme: deputati di Centrosinistra, di Centrodestra, del Terzo Polo e del gruppo misto. Ma le firme, da sole, servono a poco e va riconosciuto al governo di aver lavorato perché questo testo arrivasse in Aula; in particolare, il merito va al ministero degli Esteri, che ha preso a cuore il tema ed ha trovato un po’ di fondi per la copertura, mentre il ministero della Difesa – che pure dovrebbe sapere quanto sia fondamentale l’opera quotidiana dei nostri soldati per lo sminamento delle cluster in Libano – si è girato dall’altra parte. Ne è venuto fuori un disegno di legge governativo sufficiente a portare a casa un risultato, ma decisamente minimalista rispetto alla mia proposta iniziale: con un po’ di coraggio, si sarebbe potuto fare di più.
Le lacune della legge. Sul fronte cassa, ad esempio, la metà vuota del bicchiere ci dice che – mentre i tagli alla cooperazione proseguono, in spregio a tutti gli impegni presi in sede internazionale con l’Onu – il testo approvato ieri non prevede risorse adeguate per aiutare le vittime delle munizioni a grappolo: servono almeno altri 2 milioni di euro, più o meno il prezzo di una villa a Lampedusa su un terreno di proprietà del demanio, ma il presidente del Consiglio stavolta non li ha trovati. Poi c’è un’altra lacuna della norma, che poteva essere facilmente colmata: a differenza della legge che il Parlamento approvò 14 anni fa, recependo la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, in questo caso non c’è nessun obbligo di denuncia a carico di chi dispone di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di munizioni a grappolo.
Le scappatoie possibili per fabbricarle ancora. È vero che al momento non risultano aziende italiane produttrici; è vero che esiste un divieto di produzione di questi ordigni sul territorio nazionale; può accadere, però, che le tecnologie o i diritti di brevetto esistenti vengano ceduti da un titolare italiano ad un’azienda americana o cinese, e sarebbe stato opportuno vietarlo. Infine, il tema dei finanziamenti: può una banca italiana – o un intermediario italiano – finanziare la produzione di munizioni a grappolo in Russia? In molti altri Paesi europei ciò è espressamente vietato, da noi no; eppure, non ci voleva molto a prevedere un controllo della Banca d’Italia. Tutti questi miglioramenti del testo, contenuti nella mia proposta di legge iniziale e tradotti in emendamenti al ddl governativo, sono stati respinti dalla maggioranza; li ho così trasformati in ordini del giorno, che il governo ha accolto come raccomandazioni. Toccherà insomma vigilare perché, da qui a fine legislatura, si riprenda in mano l’argomento e non lo si lasci cadere.
11 mila morti l’anno: 98% civili; 1/4 bambini. Ma è soprattutto su un altro fronte che attendiamo sforzi concreti dalla nostra diplomazia: se non faremo pressione anche sugli Stati più refrattari alla firma, per convincerle a sottoscrivere la Convenzione ed a recepirla nel proprio ordinamento, le armi a frammentazione continueranno a provocare stragi di innocenti, come sta avvenendo oggi in 23 aree di guerra e come probabilmente avverrà ancora. Degli 11 mila morti l’anno per le cluster, il 98 per cento sono civili, e un quarto sono addirittura bambini: insieme alle vittime, è il caso di dirlo, saltano in aria anche le norme di diritto umanitario, ed è su questo punto che ci aspettiamo dal governo un’azione incisiva in sede internazionale.
* Andrea Sarubbi è deputato del PD
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Egitto, con l’archeologia spaziale scoperte nuove piramidi e un tesoro sepolto dalla sabbia 26.05.2011
Al link foto satellitari
Con il diffondersi oltre gli ambiti militari delle prime fotografie satellitari negli anni ‘70, in Italia molti tombaroli hanno fatto delle piccole fortune, rubacchiando tra ville patrizie sepolte dai rovi e catacombe.
Oggi, in Egitto, l’evoluzione di quella tecnologia, la fotografia satellitare a infrarossi, ha rivelato l’esistenza di un tesoro ancora sepolto in Egitto. Ben diciassette piramidi, migliaia di tombe, e i resti dell’insediamento dell’antica città di Tanis, sarebbero sepolti sotto la sabbia.
Le immagini ad infrarossi, provenienti dai satelliti in orbita 700 km sopra la terra, sono servite a Sarah Parcak, dottoressa dell’University of Alabama, e al suo team, per questa prima ricostruzione. Adesso resta da vedere se sarà possibile effettuare gli scavi e, con tutta probabilità, riportare alla luce degli autentici tesori
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Turchia, un Bosforo bis per produrre idrogeno 26.05.2011
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La Turchia ripensa alla sua centralità nello sviluppo energetico del Mediterraneo. E lo fa partendo da un progetto che va oltre l’ambizione e rasenta la follia, così come lo ha definito lo stesso primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan: un Bosforo bis per produrre idrogeno. Il nome del progetto è ICHET ossia il Centro internazionale per le tecnologie dell’idrogeno che dovrebbe essere realizzato con la benedizione dell’ UNIDO United Nations Industrial Development Organization, fondata in Turchia nel 2003. La pensata consiste nell’andare a costruire un secondo canale nel Bosforo su cui andare a versare l’attuale traffico navale, circa 150 navi al giorno, e liberare così il primo canale che sarebbe destinato a diventare un immenso laboratorio per la produzione di idrogeno. L’energia sfruttata proverrebbe dalle correnti marine e noi in Italia lo stiamo già sperimentando con il progetto Impetus a Trapani.
Per quanto riguarda la produzione di idrogeno leggo su Today’s Zaman:
Secondo gli studi condotti l’entità delle correnti è sufficiente a generare 20 kilowatt. Sarà installata una turbina a otto metri di profondità. Durante le fasi iniziali, l’energia elettrica sarà generata dal flusso delle correnti tra il Mar Nero e il Mar di Marmara, lungo lo stretto del Bosforo. Utilizzando questa energia, l’acqua di mare depurata di ioni per elettrolisi produrrà idrogeno. L’idrogeno generato viene raccolto sotto pressione.
Ma non vi è solo idrogeno. Accanto al Bosforo Bis lo sviluppo di aree vergini intorno Instanbul e dunque intorno al secondo canale si verserebbero milioni di metri cubi di cemento per tirar su villaggi turistici, centri congressi, sale espositive, impianti sportivi e alloggi. Gli ambientalisti si sono detti, a dir poco, sgomenti.
Erdoğan ha presentato il progetto come attento all’ambiente:
Un progetto per preservare la natura, il mare, le risorse idriche, aree verdi, la flora e la fauna di Istanbul e dintorni.
Ma risulta difficile valutare una simile imponente costruzione, come appunto un secondo canale, come attento all’ambiente. Sarà circa la metà del canale di Panama, lungo circa 40 chilometri, profondo 25 metri e largo 150 metri. Tra l’altro Istanbul ha subito le pesanto inondazioni del 2007 e 2009, eventi che fecero cambiare opinione a Bülent Ecevit in merito alla fattibilità del Bosforo bis e vero padre di questa idea poi ripresa un mese fa da Erdoğan che però ha ribadito, così come riporta Il Futurista:
Kanal Istanbul non danneggerà le risorse idriche sotterranee o di superficie e non creerà in alcun modo problemi di scarsità idrica a Istanbul e anzi, servirà proprio a prevenire nuovi disastri, allagamenti o incidenti nel Bosforo.
L’incidente, in cui morirono 43 persone, a cui fa riferimento Erdoğan è quello della Independentia, petroliera rumena che nel 1979 fu speronata da un mercantile. Finirono in mare centomila tonnellate di petrolio che bruciarono per 27 giorni.
In merito alla sostenibilità della produzione di idrogeno, noi qui avevamo già espresso una marea (è il caso di dirlo!) di dubbi.
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Inquinamento: Ecco la mappa europea 27.05.2011
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La Commissione europea e l’Agenzia europea per l’ambiente hanno partorito e messo online a disposizione di tutti i cittadini una mappa dell’inquinamento nel vecchio continente. Il lavoro è mastodontico: si tratta di 32 mappe sovrapponibili che non solo permettono di localizzare le principali fonti diffuse di inquinamento atmosferico, ma anche di distinguere fra i principali inquinanti e il settore responsabile delle emissioni, dall’industria alla mobilità su gomma.
Rendere pubblici questi dati ha lo scopo, deliberato, di informare i cittadini europei perché reagiscano e si facciano sentire con le autorità locali. Lo dichiara apertamente Jacqueline McGlade, direttrice esecutiva dell’Agenzia europea per l’ambiente:
L’inquinamento atmosferico è una seria minaccia per la salute e in particolare per i soggetti vulnerabili come i bambini e le persone che soffrono di malattie respiratorie. Informando i cittadini sull’inquinamento atmosferico determinato dai trasporti, dalle case e da altre fonti presenti nell’ambiente dove vivono queste mappe danno la possibilità ai cittadini di agire e sollecitare le autorità a migliorare la situazione.
Il progetto è in implementazione dell’E-PRTR che dal 2009 prima di oggi riportava soltanto i dati provenienti dell’inquinamento atmosferico dalle fonti puntuali delle grandi aziende. Nelle nuove mappe sono state inserite le informazioni sulle emissioni delle fonti diffuse: trasporto stradale, marittimo, aereo, dal riscaldamento degli edifici, dall’agricoltura e dalle piccole imprese. Le 32 mappe, con la possibilità di zoom su aree di 5 km, indicano le fonti d’inquinamento in particolare gli ossidi di azoto (NOX), gli ossidi di zolfo (SOX), il monossido di carbonio (CO), l’ammoniaca (NH3) e il particolato (PM10).
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Bob Dylan compie 70 anni
Vicino al Nobel per la letteratura meditò anni addietro anche il suicidio
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“Woody Guthrie prese un treno dall’Oklahoma
insieme a un povero bianco del Missouri che voleva inventare macchine agricole
e insieme si chiesero: perchè andiamo?
Andiamo perchè siamo vivi, e per vedere
dov’è il futuro dell’America
Whitman incontrò Ginsberg su un ottovolante
[ a Long Island
benchè vecchio, saltò giu al volo
e lo seguì, per strade che non aveva mai visto
senza chiedersi dove andavano
l’importante era essere vivi
per vedere il futuro dell’America
Robert Zimmermann Dylan partì da solo
dalla riva di un grande lago
e incontrò gli altri in un bar (impossibile dire
in quale città, quale Stato e quale sogno)
sapevano soltanto di essere vivi
e, benché preoccupati del futuro dell’America
continuarono a suonare tutta la notte
e quella notte sta risuonando ancora
Canto per te, Bob, l’ultimo della band
perchè sei ancora vivo e vivo resterai
perchè i tempi sono cambiati
perchè sono stanco di poster e anniversari
e di lavare magliette con i miei morti preferiti
Tu che hai la chitarra di Guthrie
la lingua feroce di Whitman, la malinconia di Ginsberg
tu che sai cantare le tue canzoni
ogni volta come fosse la prima volta
tu, che il tempo ha trasformato in un vecchio uccello
di cui nessuno conosce il nido né l’età
resta sul ramo più alto, nel buio della notte
Ci sono canzoni che finiscono in un attimo
moritat per rassegnati al lume di accendini
grandi schermi per far sembrare enorme il nulla
parole che restano sulle piazze come lattine vuote
ma ci sono canzoni che ti accompagnano su ogni strada
corde che vibrano per notti e giorni e notti
e ci stupisce che quelle note ci seguano
come quando ascoltiamo il nostro respiro nel buio
Non voglio scrivere il tuo nome sui muri, Dylan
voglio vederti, vecchio, accordare la chitarra
e scordare le parole di una tua vecchia ballata
voglio vederti secco, rugoso, irritabile
fermare il tremito per artigliare un accordo
come fanno i vecchi col bicchiere di vino
Canto per te che sei vivo, Bob Dylan
perchè se tu ci sei siamo tutti più vivi
e cambierei una sola ora della tua vita futura
con mille giorni di ricordi e monumenti
E’ vero i tempi stanno cambiando
ma non sempre cambiano come speravamo
perciò abbiamo bisogno di tutti i suonatori stonati
perchè io guardo fuori, questa notte
e aspetto che sul palco della mia finestra vuota
entri da un’autoradio lontana la tua ultima canzone
l’ultima e la più bella, Robert Zimmermann Dylan”.
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(La poesia è di Stefano Benni ed è tratta da un vecchio numero de Il Manifesto anni 90)
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Tratto da
http://selvatici.wordpress.com/2011/05/24/robert-zimmermann-dylan/
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Australia, la studentessa ai raggi-X 31.05.2011
Una giovane ricercatrice australiana fornisce un importante contributo sperimentale alle teorie scientifiche sulla distribuzione della massa nell’universo conosciuto. Un primo passo verso la materia oscura?
Roma – Amelia Fraser-McKelvie ha solo 22 anni, ma è già riuscita a mettere il suo nome su una rivista scientifica. Studentessa laureanda di ingegneria aerospaziale presso la Monash School of Physics, la studentessa australiana ha contribuito a quantificare la presenza di materia nei cosiddetti “filamenti” che uniscono galassie e strutture dell’Universo conosciuto.
La teoria sin qui accettata prevede che per avere la forma che è possibile osservare al momento, l’universo dovrebbe contenere una quantità di massa doppia rispetto a quella osservabile. La maggior parte di questa massa sarebbe organizzata in “filamenti” cosmici di natura extra-galattica, sovrastrutture dalle dimensioni ciclopiche formate principalmente da barioni, protoni, neutroni e altri elementi osservabili della materia.
La teoria dice ancora che i filamenti di massa mancante dovrebbero essere caratterizzati da una bassa densità ma da alte temperature, intercettabili attraverso una scansione sullo spettro elettromagnetico dei raggi-X. Il lavoro della giovane Fraser-McKelvie si è appunto concentrato sulle “proprietà osservabili” di questi filamenti, migliorando sensibilmente la rilevazione di materia tradizionale al loro interno. Nessuna traccia di materia oscura, ma un progresso interessante relativo al modo in cui osserviamo quello che ci circonda.
Nello studio della ricercatrice australiana si esamina “se la presenta di un filamento all’interno di un super-cluster porta a una maggiore densità di elettroni come previsto da Kull e Bohringer nel 1999”. Il risultato del lavoro servirà non solo a far avanzare le conoscenze sull’universo conosciuto, ma anche a sviluppare nuovi telescopi specificatamente pensati per questo genere di applicazioni scientifiche.
Alfonso Maruccia
http://punto-informatico.it/3175811/PI/News/australia-studentessa-ai-raggi-x.aspx
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Jamie Oliver su Cielo svela il declino alimentare dei Navajo 31.05.2011
I Navajo sono una delle popolazioni autoctone degli Stati Uniti relegati in una riserva a cavallo dell’Arizona, Nuovo Messico e Utah. Li ha visitati Jamie Oliver che di professione è chef e impegnato a diffondere i principi della sana alimentazione. Ha condotto diverse trasmissioni tv e in queste settimane su Cielo va in onda Il mio giro americano, dove ha appunto visitato diverse realtà alimentari made in Usa.
Ebbene la sua visita ai Navajo in Arizona ha svelato come gli Stati Uniti stiano proseguendo con la politica atta a piallare la cultura dei nativi americani privandoli di fatto delle loro tradizioni alimentari. La puntata la potete vedere in replica sabato 4 giugno alle 19 e vi assicuro che è di una tristezza infinita. Dunque, Jamie ha incontrato il sindaco dei Navajo che gli ha raccontato di come i giovani non sappiano più né allevare bestiame e né coltivare la terra e ciò non perché vi sia stato un corto circuito nella trasmissione della tradizione ma per ostacoli governativi. Già negli anni ‘30 il Governo americano impose l’abbattimento di milioni di capi di bestiame, privando di fatto i Navajo di una delle principali fonti di sostentamento; la riserva in cui sono stati relegati non è molto adatta alle coltivazioni agricole e di fatto molte varietà autoctone come il mais blu si stanno perdendo; intervista Luva, che gli rivela le vere ricette dei Navajo tra cui una zuppa a base di cenere e mais blu ma a cui è stato impedito di avere un ristorante.
Nota, infatti, Jamie Olivier che in tutta l’area della riserva non esiste né un fast food né un ristorante e che se qualcuno vuole mangiare qualcosa non può fare altro che uscire dalla riserva e fiondarsi in uno dei tanti ristoranti della zona che offrono montagne di cibo spazzatura a buon prezzo. Il rispetto che riservano i Navajo alla Terra e al cibo è enorme: per loro i cicli naturali e le stagioni sono il fulcro dell’esistenza. Ecco perché hanno deciso di riprendere in mano il loro destino alimentare e ambientale e per preservare con il cibo i giovani da malattie quali il diabete che negli Usa è in costante avanzata.
I Navajo hanno iniziato a installare serre e a ripristinare gli allevamenti di bestiame, coinvolgendo però nella loro gestione proprio i giovani. Oltre alle tecniche di coltivazione tramanderanno il rispetto per l’ambiente, la sostenibilità alimentare (mai mangiare oltre quello di cui necessitiamo) e il giusto uso delle risorse: troppo rivoluzionari per i consumisti americani?
Foto | Jamie Oliver
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RICCARDO PETRELLA: COSA SIGNIFICA “CAPITALISMO BLU” 02.06.2011
Nel mondo della finanza la chiamano “The Ultimate Commodity” l’ultima merce, la merce finale, nello stesso senso di quando si dice “l’ultima sponda”. Parlano dell’acqua. La considerano la sponda finale del processo di mercificazione della vita e del Pianeta Terra. (1)
Una merce che genera profitti elevati. Secondo il “libro bianco” 2Opportunity
. Il “capitalismo verde” sarebbe, sempre secondo detti pontefici di cui numerosi sono i “servitori” cresciuti di recente in tante università italiane, la testimonianza evidente della perenne capacità di rinnovamento del sistema capitalista. per l’appunto: un business formidabile, una notevole opportunità di profitto nel contesto della nuova (supposta e sperata) crescita economica mondiale che sarebbe alimentata, secondo i pontefici attuali dell’economia capitalista mondiale, dalla nuova “economia verde” sotto l’egida del nuovo L’
Il “capitalismo verde”, nella scia del quale si situa il “capitalismo blu”, pretende di rappresentare un mutamento strutturale del capitalismo perché starebbe trasformando l’economia mondiale fondata sull’utilizzo non sostenibile di risorse fossili e di altre risorse naturali, anche rinnovabili, in un’economia fondata sull’utilizzo “sostenibile” di risorse rinnovabili e naturali “amichevoli per la vita sul Pianeta, nell’interesse anche delle generazioni future.
Al centro di siffatto mutamento ci sarebbe, in particolare, la presa di coscienza della finitezza delle risorse idriche, (per quanto rinnovabili) e, quindi, dell’importanza di saperne gestire la scarsezza affinchè i bisogni attuali e futuri di acqua buona per usi umani della popolazione mondiale siano soddisfatti in maniera ottimale, soprattutto dal punto di vista dei rendimenti economici.
Con il termine “capitalismo blu” intendiamo l’affermazione nel corso degli ultimi quarant’anni di una società capitalista fondata sulla mercificazione della vita e sulla privatizzazione del “vivere insieme” a partire da una concezione dell’acqua della Terra, in particolare l’acqua dolce, come un bene economico, una risorsa economica al pari del petrolio o del gas, un prodotto industriale, una merce (anche se, i gruppi dominanti dicono, differente dalle altre merci). Che si può e si deve vendere e comprare; che deve avere un prezzo di mercato. Una società che afferma che non v’è diritto all’acqua se non si paga l’acqua perché essa non può essere fornita “a titolo gratuito”; che avere accesso all’acqua costa e, quindi, si deve pagare in funzione del consumo; che l’acqua deve essere gestita secondo una logica di efficienza ed efficacia capitalista (cioè, l’utilizzo dell’acqua deve generare la creazione di valore per il capitale investito).
Così:
■in Cile, la costituzione di Pinochet, ancora oggi in vigore, riconosce il diritto di proprietà privata dell’acqua;
■la Direttiva Quadro Europea sull’acqua del 2000 ha legalizzato il principio “chi consuma paga” e del prezzo dell’acqua fondato sul principio che esso deve essere fissato ad un livello tale da permettere la remunerazione del capitale investito (cioè, un livello appropriato di profitto finanziario), perché altrimenti il capitale privato non avrebbe alcun interesse ad investire nel settore dell’Acqua;
■la grande maggioranza degli Stati europei ha promosso la privatizzazione dei servizi idrici;
■dal 2000 non si contano più i fondi d’investimento speculativi attivi nel settore dell’acqua (esplosione del capitalismo blu finanziario);
■l’acqua minerale è stata trasformata in un grande business commerciale (l’acqua San Pellegrino, diventata di proprietà di Nestlè, troneggia sulle tavole dei ristoranti chic di Osaka, New York, Mosca, San Paolo, Johannesburg….).
In realtà, che sia blu, verde, rosso, selvaggio, a volto umano, renano, cinese, brasiliano, nazionale, municipale, mondiale….. è sempre capitalismo.
Con la complicità dei poteri pubblici di molti Stati e l’avallo del mondo delle conoscenze e dell’informazione (università, esperti, media….), i poteri forti della società capitalista hanno elaborato e diffuso l’idea dell’acqua come “oro blu” (in analogia al petrolio, l’oro nero del XIX e XX secolo). Su questa base, simbolicamente forte sul piano dell’immaginario collettivo, hanno spostato la cultura dell’acqua dal mondo della natura, dei diritti umani naturali alla vita, del vivere insieme e della solidarietà, del benessere per tutti, al mondo del mercato, dei bisogni di consumo, dell’efficienza produttiva, commerciale e finanziaria, del “tutto ha un prezzo”, della lotta per la propria sicurezza e del proprio benessere.
Così facendo il “capitalismo blu” non solo si pone come il fiume che trascina la società umana verso l’ultima sponda della mercificazione della vita e, quindi, pretende di salvare la società capitalista dal fallimento strutturale, ma si candida anche a diventare il fiume della privatizzazione del potere politico e, quindi, dell’apertura di un nuovo corso di esaltazione dell’assolutismo economico capitalista in linea con la teologia universale capitalista.
1.”, sottolinea a giusto titolo Mc Whinney, “the water shortage creates investment opportunities”. In un’economia capitalista quel che da valore è la scarsezza, la rarità!, articolo pubblicato in Investopedia. Special Feature “Green Investing”, 3 novembre 2010. In questa breve nota, l’autore, consigliere finanziario, ricorda l’importanza crescente dell’acqua per i mercati finanziari e segnala i principali indici destinati a depistare e misurare le opportunità legate agli investimenti nel settore dell’acqua (citiamo il Palisades Water Index, il Dow Jones U.S. Water Index, l’ISE.B&S Water Index, il S&P 1500 Water Utilities Index, il Bloomberg World Water Index ed il MSCI World Water Index). Non c’è male per l’acqua: gli operatori finanziari dimostrano di avere sempre di più un interesse “morboso” per l’acqua. La ragione è piuttosto semplice “Like any other James E. Mc Whinney,
2., di Lily Donge (Calvert Asset Management Company Inc.) e Jens Peers e Craig Boynthron (Kleinworth Benson Investors International Ltd.) in Cfrwww.calvert.com sito di Calvert Investments, impresa di gestione di investimenti.
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Droga, la svolta dei grandi del mondo “E’ il momento di legalizzarla” 02.06.2011
Clamoroso cambiamento di strategia nel rapporto della Global Commission on Drug Policy dopo gli anni della repressione che hanno rappresentato un fallimento. “Va trattata come una questione sanitaria”. Nell’organismo Kofi Annan, Paul Volcker, Mario Vargas Llosa, Richard Branson
dal nostro inviato ANGELO AQUARONEW YORK – Cinquant’anni di guerra alla droga hanno fallito e all’Onu non resta che prenderne atto. Dicendo basta alla criminalizzazione e trattando l’emergenza mondiale per quello che è: una questione sanitaria. Di più: legalizzando il commercio delle sostanze stupefacenti – a partire magari dalla cannabis. Firmato: l’ex presidente dell’Onu che di questa politica fallimentare è stato uno dei responsabili, cioè Kofi Annan. Ma anche Ferdinando Cardoso, George Schultz, George Papandreu, Paul Volcker, Mario Varga Llosa, Branson. I grandi del mondo della politica, dell’economia e della cultura mondiale – che certo nessuno si sognerebbe mai di associare a un battagliero gruppo di fumati antiproibizionisti.
La clamorosa dichiarazione verrà resa nota oggi a New York in una conferenza stampa: il primo atto di una grande campagna mondiale che raccoglie e rilancia tante idee di buon senso che troppi governi (compresi quelli che loro amministravano) continuano a negare. Lo slogan è efficace: “Trattare i tossicodipendenti come pazienti e non criminali”. E l’obiettivo è più che ambizioso: cambiare radicalmente i mezzi che Stati e organismi internazionali hanno fin qui inutilmente seguito per sradicare la tossicodipendenza. Il traguardo è una petizione da milioni di firme che verrà presentata proprio alle Nazioni Unite per adottare le clamorose conclusioni dei “saggi”: su cui certamente si scatenerà adesso un dibattito internazionale.
“La guerra mondiale alla droga ha fallito con devastanti conseguenze per gli individui e le comunità di tutto il mondo” si legge nel rapporto presentato dalla Global Commission on Drug Policy. “Le politiche di criminalizzazione e le misure repressive – rivolte ai produttori, ai trafficanti e ai consumatori – hanno chiaramente fallito nello sradicarla”. Non basta. “Le apparenti vittorie nell’eliminazione di una fonte di traffico organizzato sono annullate quasi istantaneamente dall’emergenza di altre fonti e trafficanti”. Basta dare un’occhiata alle statistiche raccolte dal rapporto. Nel 1998 il consumo di oppiacei riguardava 12.9 milioni di persone: nel 2008 17.35 milioni – per un incremento del 34.5 per cento. Nel 1998 il consumo di cocaina riguardava 13.4 milioni: dieci anni dopo 17 milioni – 27 per cento in più. Nel 1998 la cannabis era consumata da 147.4 milioni di persone: dieci anni dopo da 160 milioni – l’8.5 per cento in più. Sono i numeri di una disfatta.
A cui si accompagna un’altra debacle. “Le politiche repressive rivolte al consumatore impediscono misure di sanità pubblica per ridurre l’Hiv, le vittime dell’overdose e altre pericolose conseguenze dell’uso della droga”. Da un’emergenza sanitaria a un’altra: un disastro che è anche un tragico spreco. “Le spese dei governi in futili strategie di riduzione dei consumi distraggono da investimenti più efficaci e più efficienti”. L’elenco delle personalità coinvolte è impressionate. Il panel è l’organismo che a più alto livello si sia mai pronunciato sul fenomeno: tutti esponenti della società politica e civile internazionali che prima o poi si sono occupati ciascuno nel proprio campo dell’emergenza. Da Kofi Annan all’ex commissario Ue Javier Solana. Dall’ex segretario di Stato Usa George P. Schultz all’imprenditore miliardario e baronetto Richard Branson. Dal Nobel Vargas Llosa all’ex presidente della Fed Paul Volcker. Ci sono quattro ex presidenti: il messicano Ernesto Zedillo, il brasiliano Fernando Cardoso, il colombiano Cesar Gaviria, la svizzera Ruth Dreifuss. C’è l’ex premier greco George Papandreu. C’è lo scrittore messicano Carlos Fuentes. C’è il banchiere e presidente del Memoriale di Ground Zero John Whitehead. La loro voce sarà rilanciata adesso dall’organizzazione no profit Avaaz che conta già nove milioni di iscritti in tutto il mondo.
Non è solo la denuncia del fallimento della politica internazionale. E’ anche la prima sistematica proposta di una risposta globale. Invitando i governi a sperimentare “forme di regolarizzazione che minino il potere delle organizzazione criminali e salvaguardino la salute e la sicurezza dei cittadini”. Ma anche di quelle persone negli ultimi gradi del sistema criminale: “Coltivatori, corrieri e piccoli rivenditori: spesso vittime loro stessi della violenza e dell’intimidazione – oppure essi stessi tossicodipendenti”. Il rapporto presenta e analizza una serie di “casi critici” dall’Inghilterra agli Usa passando per la Svizzera e i Paesi bassi. Evidenziando quattro principi.
Principio numero uno: le politiche antidroga devono essere “improntate a criteri scientificamente dimostrati” e devono avere come obiettivo “la riduzione del danno”. Principio numero due: le politiche antidroga devono essere “basate sul rispetto dei diritti umani” mettendo fine alla “marginalizzazione della gente che usa droghe” o è coinvolta nei livelli più bassi della “coltivazione, produzione e distribuzione”. Principio numero tre: la lotta alla droga va portata avanti a livello internazionale ma “prendendo in considerazione le diverse realtà politiche, sociali e culturali”. Non sorprende il coinvolgimento di tante personalità dell’America Latina: quell’enorme mercato che finora si è cercato di sradicare soltanto a colpi di criminalizzazione e che è invece – dice proprio l’ex presidente colombiano Gaviria “il risultato di politiche antidroga fallimentari”. Principio numero quattro: la polizia non basta e le politiche antidroga devono coinvolgere dalla famiglia alla scuola. “Le politiche fin qui seguite hanno soltanto riempito le nostre celle – dice Branson, l’inventore del marchio Virgin – costando milioni di dollari ai contribuenti, rafforzando il crimine e facendo migliaia di morti”.
E’ una rivoluzione. Sostanziata dalle raccomandazioni contenute nei principi. Una su tutte: “Sostituire la criminalizzazione e la punizione della gente che usa droga con l’offerta di trattamento sanitario”. Come? “Incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione” a partire dalla cannabis. L’appello è secco. Bisogna “rompere il tabà sul dibattito e sulla riforma” dicono i saggi. Che concludono con uno degli slogan che hanno portato alla Casa Bianca Barack Obama: “The time is now”. Il momento è questo. Non abbiamo già buttato cinquant’anni?
http://www.repubblica.it/esteri/2011/06/02/news/liberalizzazione_droga-17097826/
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Acqua pura con i nanotubi di carbonio 01.06.2011
di Nicoletta Conte
Ottenere acqua potabile a partire da quella marina: sarà una delle sfide più importanti dei prossimi decenni, vista la sempre maggiore richiesta d’acqua da parte della popolazione mondiale. E le nanotecnologie possono dare una mano. Lo ha spiegato Jeeson Reese, della Strathclyde University (Glasgow, UK), che usando una simulazione al computer, ha esaminato le reali possibilità di raggiungere questo obiettivo utilizzando i nanotubi di carbonio.
Il sistema analizzato e descritto da Reese, pubblicato su Physics World, si basa sul processo di osmosi inversa. In un normale processo di osmosi, l’acqua con la concentrazione più bassa di soluti disciolti oltrepassa spontaneamente una membrana permeabile per andare a diluire quella con più soluti, in questo caso l’acqua salata. Al contrario, per ottenere il passaggio inverso viene applicata una pressione maggiore all’acqua salata, che in tal modo è spinta ad attraversare la membrana, lasciando il sale da parte e unendosi a quella potabile. Questo metodo permette di dissalare l’acqua, ma produrre la pressione necessaria al processo ha un costo molto elevato.
Ed è qui che intervengono i nanotubi, separando meglio l’acqua dai sali disciolti e aumentando l’efficienza della membrana. Infatti, solo poche molecole d’acqua per volta riescono ad attraversare i minuscoli pori presenti tra gli atomi di carbonio, alla stessa velocità delle membrane tradizionali, mentre non possono passare gli ioni di sodio e di cloro o gli altri minerali. In tal modo, le prestazioni del sistema sono migliori, la pressione necessaria ad effettuare l’osmosi inversa diminuisce, e così anche il costo della dissalazione.
Secondo il modello descritto dello scienziato, grazie ai nanotubi si possono avere membrane per osmosi inversa venti volte più permeabili alle molecole d’acqua, e molto più efficienti nell’allontanamento degli ioni salini, rispetto a quelle attualmente in commercio. Pertanto, come spiega lo stesso Jeeson Reese: “anche se molte questioni rimangono ancora aperte, la grande potenzialità delle membrane di nanotubi di carbonio nel trasformare i processi di dissalazione e purificazione dell’acqua è chiara, ed è un uso delle nanotecnologie positivo e socialmente utile”.
http://www.galileonet.it/articles/4de6493772b7ab31c400004f
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Come si legge il pensiero 01.06.2011
DreamBrain è il casco con cui Riccardo Prodam riesce a comunicare con suo padre. Nella videointervista ci spiega come funziona
Il 13 dicembre 2009, Fabrizio Prodam, imprenditore torinese, viene colto da ictus. I danni all’encefalo lo privano di movimento e della capacità di comunicare. Ma non di pensare, avere esigenze e sentire. E il figlio Riccardo gli sussurra all’orecchio: “ non ti preoccupare papà, questa la risolviamo”. Comincia così l’avventura di Riccardo – raccontata su Wired di giugno -, che di mestiere è ingegnere con una specializzazione in calcolo combinatorio, alla ricerca di un mezzo che lo metta in comunicazione con la mente del padre.
Dopo mesi e mesi passati a studiare, a confrontarsi con colleghi matematici e logopedisti, arriva a creare un casco dotato di sedici elettrodi che, appoggiati sulla testa, basandosi su un modello matematico, decifrano i messaggi cerebrali. L’avventura disperata di un figlio per aiutare il padre ha partorito un’invenzione attorno a cui oggi lavora un team di persone, ad esempio la sorella Flavia Prodam, e i cui brevetti stanno per essere depositati, come racconta lo stesso Riccardo nella videointervista rilasciata a Wired.it. Perché leggere la mente è da sempre uno dei sogni più grandi della scienza: non solo in campo medico, anche militare.
Qui il video http://tv.wired.it/swf/player_video.swf
La tecnologia del casco in sei passi
1 Sedici sensori senza gel né bisturi
I 16 sensori del caschetto utilizzato dal DreamBrain si appoggiano sulla testa, senza bisogno di applicare gel o di impiantare chirurgicamente nei tessuti gli elettrodi. Il casco, prodotto dall’americana Emotiv, costa circa 3mila euro. Da tempo è utilizzato per gli elettroencefalogrammi medici.
2 Nel cervello corre l’onda
I sensori, all’interno della calotta, rivelano le variazioni di corrente elettrica prodotte dall’attività dei neuroni e associate alle onde cerebrali, trasmettendo il segnale a un netbook su cui gira il software.
3 Connessi senza fili
Addio fili e cavetti: la trasmissione dei dati al pc è wireless e lascia a chi lo indossa il massimo di comfort. L’unico gesto da fare è accendere il pc.
4 Il software non sa, ma impara
Chi indossa il caschetto per la prima volta deve attendere alcuni minuti perché il software possa campionare i segnali provenienti dalla sua corteccia cerebrale e calibrare il modello matematico. Gli impulsi relativi a un pensiero, ad esempio il desiderio di bere, sono elaborati con algoritmi che traducono cosa si pensa. L’accuratezza è dell’82% nei pazienti colpiti da ictus e altre patologie, ma superiore al 90% nei soggetti sani.
5 “Sì grazie, voglio bere!”
Una volta accesa e tarata, la macchina propone una serie di azioni con un’interfaccia grafica user-friendly sviluppata dalla torinese Brainer per tradurre ciò che pensa chi indossa il casco.
Quando la certezza dell’interpretazione è inferiore al 60% il sistema scarta la risposta e ricomincia la sequenza.
6 Il sacro Graal del sì e del no
Calibrato su una persona, DreamBrain traduce facilmente pensieri come “bere”, “mangiare”, “dormire”, “andare in bagno”, ma anche semplicemente dire “grazie”. In particolare, il sistema è molto efficace nel distinguere tra “sì” e “no”. Questo è il sacro Graal dei neuro scienziati ed è essenziale per costruire una macchina della verità davvero affidabile. Su questo fronte, DreamBrain vanta un’accuratezza dell’83,7% contro circa il 60% dei sistemi tradizionali.
http://mag.wired.it/rivista/extra/2011/06/01/come-si-legge-il-pensiero-video.html#content
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Il caso Fincantieri 02.06.2011
CAPIRE OGGI COSA ACCADE DOMANI
A cura del Coordinamento nazionale Fiom-Cgil del gruppo Fincantieri
Premessa.
Cosa succede nei cantieri navali?
I lavoratori dei cantieri navali stanno scioperando contro la privatizzazione e la quotazione in Borsa della Fincantieri. Negli stabilimenti del gruppo è in corso una grande raccolta di firme: i dipendenti diretti e quelli degli appalti sottoscrivono un appello a Prodi, nel quale si chiede al presidente
del Consiglio di non dare corso a un’operazione che può concludere la storia della cantieristica navale, distruggendo migliaia di posti di lavoro. Il 15 giugno è dichiarato dalla Fiom-Cgil uno sciopero nazionale di 8 ore, con una manifestazione a Roma: i lavoratori della Fincantieri porteranno a Roma le firme raccolte e chiederanno di consegnarle al capo del governo. I lavoratori dell’ultima grande industria pubblica del nostro paese chiedono di essere ascoltati.
INDICE
Premessa. Cosa succede nei cantieri navali? ………………………………….1
1. L’industria che sopravvisse tre volte …………………………………………..3
2. Dall’industria alla finanza: la Borsa……………………………………………7
3. La finta trattativa ………………………………………………………………………9
4. Le responsabilità del governo…………………………………………………..12
5. Il piano industriale 1/Le acquisizioni all’estero ………………………….13
6. Il piano industriale 2/Gli investimenti in Italia ……………………………18
7. Il piano industriale 3/Gli organici………………………………………………20
8. La questione del reperimento delle risorse……………………………….23
9. La quotazione in Borsa e la privatizzazione……………………………….25
10. La Fincantieri oggi: si può disimparare a fare navi? …………………..29
11. Le scelte industriali necessarie per il rilancio
della cantieristica navale italiana ……………………………………………..32
Conclusioni …………………………………………………………………………………35
Schede
1. Il gruppo Fincantieri ………………………………………………………………..37
2. La storia recente del gruppo ……………………………………………………38
3. La cronologia della vertenza contro la quotazione
in Borsa e la privatizzazione …………………………………………………….40
4. Il boom del mercato mondiale………………………………………………….43
5. Gli investimenti ……………………………………………………………………….44
Documenti e rassegna stampa …………………………………………………….46
Riferimenti bibliografici e siti di interesse ……………………………………64
http://materialiresistenti.blog.dada.net/post/1207167371/Fincantieri#more
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Monta protesta, Fincantieri ritira il piano
Frida Roy, 03.06.2011
Fincantieri fa marcia indietro e ritira il piano industriale che prevede la chiusura degli stabilimenti di Sestri Ponente e Castellamare di Stabia, il ridimensionamento di Riva Trigoso con un taglio di 2.550 posti di lavoro. L’annuncio è arrivato proprio mentre i lavoratori giunti a Roma da Genova, Ancona e Catellammare manifestavano in corteo nel centro della Capitale
Fincantieri, per ora non si chiude. Ed è già una grande conquista da parte dei lavoratori scesi oggi in strada, anche a Roma, dove si è svolto l’incontro tra sindacati, governo e azienda.
“Il piano presentato nei giorni scorsi – avrebbe spiegato l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, nel corso del tavolo con governo e sindacati – non era una novità per nessuno, sono una persona che si assume le sue responsabilità ma con gli attacchi subiti da tutte le parti, da destra e sinistra, anche la mia forza viene meno. Ritiro il piano e spero che cosi si possano esorcizzare le tensioni”.
Sospensione confermata anche dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, che ha annunciato che già nei prossimi giorni si apriranno due tavoli regionali, in Campania e in Liguria, per gli stabilimenti interessati: l’obiettivo è di trovare nei prossimi mesi soluzioni condivise con livelli occupazionali adeguati. “Se non si troveranno comunque soluzioni condivise (per i due cantieri, ndr) – ha spiegato Romani – non si procederà, nel frattempo, alla chiusura di nessun cantiere. Ritengo che nei prossimi mesi si troveranno soluzioni condivise per i cantieri con livelli occupazionali adeguati”.
Meglio tardi che mai. Fincantieri è uno dei maggiori gruppi esistenti al mondo attivo nella progettazione e costruzione di navi mercantili e militari. È focalizzato nella produzione di navi complesse e ad alto contenuto tecnologico, come navi da crociera e traghetti di grandi dimensioni, ed è operatore di riferimento in campo militare attraverso l’offerta di una ampia gamma tipologica che comprende navi di superficie (fregate, corvette, pattugliatori, ecc.) e sommergibili.
L’azienda, nata nel 1959 come Società Finanziaria Cantieri Navali- Fincantieri, si è trasformata nel 1984 in società operativa, a seguito della fusione per incorporazione di otto società da essa controllate, operanti nel campo della costruzione e riparazione navale e della realizzazione di componenti meccaniche e motori diesel.
La crisi era nell’aria da tempo, come da tempo Giuseppe Bono, amministratore delegato, aveva sollecitato l’intervento del Governo italiano, suo maggiore azionista, senza però ricevere alcuna risposta. Da qui la decisione di presentare lo scorso 23 maggio un piano capestro, che prevedeva la chiusura degli stabilimenti di Castellammare di Stabia (Napoli) e di Sestri Ponente (Genova), il ridimensionamento dello stabilimento di Riva Trigoso (Genova), 2.551 esuberi su un totale di circa 8.500 lavoratori.
Due giorni dopo, il 25 maggio, l’azienda, controllata dal ministero dell’Economia attraverso Fintecna, aveva fatto sapere che “le linee del piano” non andavano intese come un “prendere o lasciare”. In particolare, per il cantiere di Castellammare Fincantieri confermava, come concordato con le istituzioni locali, l’avvio della costruzione, a partire da settembre, dei due pattugliatori della Guardia Costiera, che satureranno in parte il Cantiere per i prossimi due anni. Quanto a Sestri l’azienda confermava l’intenzione di firmare l’accordo di programma, come pattuito con tutti gli altri enti coinvolti, e di utilizzare le opere previste secondo le esigenze del proprio piano industriale, come più volte ribadito alle Istituzioni.
Il piano vacante. Oggi il ritiro del piano industriale e, dunque, l’assenza di un piano industriale tout court. Non è un caso che Bono avverta: “Non esistono ricette miracolose perché le nuove commesse devono essere realizzate a costi competitivi”.
“Fincantieri – questa la posizione dell’azienda al termine dell’incontro con il governo e i sindacati – è disponibile a costruire tutte le navi ovviamente potendo recuperare il differenziale di costo oggi esistente con i cantieri del Far East. Nel caso in cui questo non avvenisse l’azienda dovrebbe portare i libri in Tribunale e dichiarare il fallimento”. Non manca una nota di amaro sarcasmo verso i ” direttori commerciali aggiunti” comparsi negli ultimi tempi. “L’azienda li ringrazia per la loro buona volontà ma sottolinea che ha sempre risposto alle richieste di offerta anche da parte degli armatori più improbabili”. Da qui l’auspicio che “il ritiro del piano possa esorcizzare la crisi mondiale e che da domani possano affluire nuovi ordini in quantità”.
Con il ritiro del piano, fa sapere l’azienda, “Fincantieri pone ora tutti di fronte alle proprie responsabilità, responsabilità che l’azienda si era assunta presentando il piano oggi ritirato”.
La gioia dei lavoratori. Il ritoro del piano e le dichiarazioni del ministro Romani sono state accolte da urla di gioia da parte degli oltre duemila operai che hanno sfilato stamattina a Roma dalla stazione Ostiense al Colosseo. Il treno speciale proveniente da Genova con a bordo i lavoratori sarebbe dovuto arrivare a Termini ma, vista l’impossibilità di manifestare nel centro della città, è stato dirottato nello scalo ferroviario più vicino all’Eur dove appunto si è svolto l’incontro tra sindacati, governo e azienda. La riunione era stata spostata nella sede distaccata del ministero e non nel centro di Roma come previsto inizialmente, a causa della presenza di numerose delegazioni straniere arrivate nella capitale per la festa del 2 giugno.
“Il ritiro del piano industriale di Fincantieri è un primo importante risultato della mobilitazione”, ha commentato il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. “Si tratta – ha aggiunto – di un passo indispensabile per proseguire il percorso di rilancio di un settore fondamentale per l’economia italiana”. “E’ una grande soddisfazione il risultato è stato raggiunto con la lotta di tutti i lavoratori, non solo di quelli degli stabilimenti a rischio chiusura”, ha commentato Giorgio Cremaschi, presidente del comitato centrale della Fiom.
Ma dopo la gioia è tempo di proposte. Ora serve il rilancio e un vero piano industriale capace di reggere alla pressione della crisi. Le responsabilità del Governo nella sottovalutazione delle evidenti difficoltà di Fincantieri sono gravissime dato che, già nei mesi scorsi, si era accesa la spia del disastro che ne sarebbe venuto. In particolare, con la manovra di bilancio del 2008 sono stati sottratti circa 75 milioni di euro dal programma europeo Leadership dedicato all’innovazione e alla ristrutturazione della cantieristica. Così, mentre gli altri Paesi europei sostenevano le loro imprese, il governo Berlusconi lasciava soli azienda e lavoratori.
Il richiamo alla responsabilità arriva non solo dai vertici aziendali ma anche dalla politica. “Servono soluzioni rapide e urgenti ed il Governo ora deve fare la sua parte, recuperando di credibilità dopo aver dato l’impressione di non controllare l’azienda nonostante il Ministro Tremonti sia azionista di Fincantieri”, afferma il deputato e capogruppo del Pd in commissione Trasporti alla Camera, Michele Meta.
“Si convochi al più presto un tavolo tecnico-politico per la ricerca e l’innovazione che miri a progettare navi di nuova generazione a basso consumo energetico ed ecocompatibili – sottolinea Meta – come quelle a doppia propulsione (elettrica in porto e a carburante in navigazione). Riteniamo inoltre che vada rifinanziata la legge prosciugata dal Governo Berlusconi sulla rottamazione delle navi passeggeri e dei traghetti che in Italia hanno anche 80 anni di servizio sulle spalle. Chiediamo inoltre di approvare in Parlamento la proposta di legge che ho presentato, ferma da un anno, per la costruzione delle cosiddette navi ‘mangia petrolio’ in grado di intervenire con prontezza al verificarsi di incidenti con sversamento in mare di prodotti petroliferi. Fincantieri è sicuramente in grado di costruire questo tipo di navi così come è in grado – conclude l’esponente del Pd – di cimentarsi sulla costruzione di gasiere di ultima generazione e di specializzarsi sulla costruzione di navi da diporto di lunghezza superiore ai 100-110 metri lineari”.
http://www.paneacqua.eu/notizia.php?id=17912
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Le macchie solari non sono più un mistero 03.06.2011
di Giulia Belardelli
Per più di un secolo gli astronomi di tutto il mondo si sono scervellati nel tentativo di spiegare la struttura e la dinamica delle macchie solari, regioni della nostra stella che ci appaiono più scure rispetto al resto per via di una temperatura minore (circa 5.000 gradi Kelvin). Ora, grazie ai dati raccolti dallo Swedish 1-meter Solar Telescope, un gruppo di ricercatori delle università di Stoccolma (Svezia) e Oslo (Norvegia) è riuscito a ricostruire il meccanismo che porta alla formazione di queste macchie. Lo studio, pubblicato su Science, conferma i più recenti modelli e simulazioni tridimensionali, mostrando come le macchie solari siano il prodotto del movimento di gas caldi verso l’alto e freddi verso il basso.
“Le macchie solari – spiegano gli studiosi – sono formate da un nucleo centrale scuro, detto ombra, circondato da un anello più chiaro, chiamato penombra. Se nell’ombra i filamenti magnetici fuoriescono dalla superficie del Sole, è nella penombra che la maggior parte di questi filamenti ha un moto circolare”. I filamenti, simili a delle colonne, possono essere lunghi più di 2.000 chilometri e spessi circa 150 chilometri.
I ricercatori scandinavi sono ora riusciti a dimostrare che i filamenti sono in realtà delle colonne di gas che si muovono avanti e indietro, “bucando” la superficie solare. Il movimento di questi gas, chiamato flusso convettivo, è proprio ciò che provoca le macchie solari. Il nucleo più scuro è la regione in cui le colonne di gas raggiungono la superficie del Sole e si raffreddano, per poi sprofondare nuovamente nella zona di penombra.
Il gruppo di ricerca, guidato da Göran Scharmer dell’Istituto svedese di Fisica Solare, ha utilizzato immagini scattate dallo Swedish 1-meter Solar Telescope, posizionato a La Palma, nell’arcipelago delle Canarie. Il 23 maggio del 2010 il telescopio è stato puntato su una macchia solare in particolare, per documentarne la dinamica ed eseguire analisi di spettropolarimetria. I ricercatori hanno così potuto osservare la presenza di due tipi di movimento: una serie di flussi convettivi scuri verso il basso, la cui velocità è stata stimata attorno ai 3.600 chilometri orari, e una serie di flussi convettivi brillanti, che si muovevano a velocità superiori ai 10.800 chilometri all’ora.
“È ciò che pensavamo di trovare – ha spiegato Scharmer – anche se non ci aspettavamo di riuscire a osservare direttamente questi flussi”. Nel prossimo futuro, l’obiettivo dei ricercatori sarà quello di misurare i campi magnetici collegati ai flussi convettivi, così da comprenderne meglio il funzionamento.
http://www.galileonet.it/articles/4de8911372b7ab31cd000021
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Questo bidone è un laboratorio 03.06.2011
A prima vista potrebbe sembrare un semplice bidone alla deriva in mezzo all’oceano. Ma basta guardare con più attenzione per scoprire un vero e proprio laboratorio automatico per l’analisi delle acque. Lo ha realizzato un team coordinato da Chris Scholin, presidente ed amministratore dell’Istituto di Ricerca dell’Acquario della baia di Monterey in California (Mbari). Questo “bidone-laboratorio”, il cui nome ufficiale è Environmental Sample Processor (Esp) è stato presentato recentemente sul portale della National Science Foundation (Nsf) statunitense .
Fra i principali punti di forza di Esp vi è sicuramente la capacità di compiere analisi in situ, evitando ai ricercatori di rientrare in laboratorio dopo aver raccolto i campioni. Il cuore di ESP è infatti un sofisticato laboratorio di analisi chimiche e microbiologiche. Quando viene rilasciato in mare, il dispositivo può prelevare campioni di acqua grazie ad apposite siringhe e filtrarli per separare particelle di varie dimensioni. Inoltre, grazie a sofisticate tecniche di analisi molecolare, può evidenziare la presenza di microorganismi, tossine e persino compiere semplici analisi del Dna.
Un altro grande vantaggio di questo mini laboratorio è la lunga autonomia: “Esp ha delle batterie che durano da 30 a 45 giorni, ma il nostro obiettivo è realizzare qualcosa che possa operare per sei mesi”, ha spiegato Jim Birch, direttore del Centro di ricerca per i sensori sottomarini. Secondo i ricercatori, i mari potrebbero presto essere monitorati da una fitta rete di questi dispositivi, pronti a indicarci lo stato di salute delle acque e il loro grado di inquinamento. Si potrebbe così rilevare tempestivamente la presenza di salmonella negli allevamenti ittici, salvaguardando anche la qualità del pesce che arriva sulle nostre tavole.
Anche ora le potenziali applicazioni sono innumerevoli, come ha illustrato Scholin: “Potrebbe essere stare in un centro di distribuzione dell’acqua, sulle spiagge o nel retro di un camioncino di un ispettore deputato al controllo della qualità dell’acqua”. I ricercatori del centro MBARI stanno già lavorando per il trasferimento di queta tecnologia a società no-profit e ad agenzie non governative, e nel frattempo sono al lavoro per realizzare il successore di questo “bidone-laboratorio”, che potrà persino navigare autonomamente, vigilando come un’infaticabile sentinella sulla salute del mare.
Riferimenti: Nsf
http://www.galileonet.it/articles/4de8aa7172b7ab31c3000079
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Sovranità monetaria e democrazia 05.06.2011
Sergio Cesaratto
Un grande primo ministro canadese, William Mackenzie King,[1] ebbe a dichiarare prima delle elezioni del 1935: “Una volta che a una nazione rinuncia al controllo della propria valuta e del credito, non importa chi fa le leggi della nazione. … Fino a quando il controllo dell’emissione della moneta e del credito non sia restituito al governo e riconosciuto come la responsabilità più rilevante e sacra, ogni discorso circa la sovranità del Parlamento e della democrazia sarebbe ozioso e futile”.
La rinunzia alla sovranità monetaria è precisamente quello che il nostro paese ha fatto con l’adesione alla moneta unica. In verità, a ben guardare, l’aveva fatto già prima con il famoso “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia nel 1981. Con quell’atto, compiuto attraverso un fait accompli – uno scambio di lettere fra Andreatta e Ciampi – in barba a qualsiasi decisione parlamentare, i governi della Repubblica rinunciavano alla prerogativa di determinare la politica monetaria, dunque moderare i tassi di interesse, con successive conseguenze disastrose per conti pubblici e distribuzione del reddito.[2] Con la moneta unica il nostro paese ha persino rinunciato alla possibilità di tornare indietro in quella decisione. Le ulteriori conseguenze sulla nostra economia dovute all’abbandono della flessibilità del cambio estero sono davanti agli occhi di tutti con un crescente disavanzo delle partite correnti, dal pareggio del 1999 sino al -3,5% del 2010, con conseguente crescente indebitamento netto con l’estero.
Lo sconforto sarebbe attenuato se la sovranità monetaria fosse passata a una Europa politica che avrebbe potuto usarla al meglio. Non è stato invece così, avendo l’Europa inscritto persino nel proprio trattato costituzionale, com’è noto, che la banca centrale è indipendente dal potere politico avendo come solo obiettivo quello di stabilizzare il livello dei prezzi. Le conseguenze ultime di questa indipendenza si vendono nella indegna sceneggiata che si sta in questi giorni svolgendo fra le cancellerie europee e la BCE. A fronte del palese fallimento delle politiche di rientro dal debito imposte alla Grecia e della difficoltà a far digerire ulteriori aiuti ai propri contribuenti, alcuni paesi europei, la Germania in primis, si sono dichiarati favorevoli a qualche forma di ristrutturazione del debito di quel disgraziato paese. Di riflesso, gli esponenti della BCE hanno cominciato a rilasciare a destra e a manca dichiarazioni minacciose che se tale ristrutturazione avvenisse la banca centrale non avrebbe più stampato un quattrino a sostegno del debito e delle banche greche (una “opzione nucleare” è stata definita), mentre il governatore Trichet si è permesso di alzare la voce in summit di rappresentanti di governi democraticamente eletti e addirittura di abbandonarli sbattendo le porte.[3] Draghi, per coloro che coltivassero illusioni, ha ribadito nelle ultime Considerazioni finali che “né la presenza di rischi sovrani, né la dipendenza patologica di alcune banche dal finanziamento della BCE” possono farla “deflettere” dall’obiettivo della stabilità dei prezzi. Quello che appare intollerabile non è tanto il comportamento degli apprendisti stregoni di Francoforte, che in fondo rifiutano di fare quello che i trattati europei vietano loro di fare e difendono la reputazione di “guardiani della moneta”, ma che le democrazie europee si siano auto-inflitte queste umiliazioni. Si badi, da sempre la democrazia popolare ha avuto necessità di contro-altari istituzionali in un sistema di checks and balances. Ma a parte di una banda di fanatici economisti ultra-liberisti, mai a nessuno era venuto alla mente di elevare una banca centrale al rango di un quarto potere che espropria le istituzioni democratiche delle decisioni di politica economica!
La BCE ha dovuto durante questa crisi, nolente o volente, assumere ruoli – quello di prestatore di ultima istanza ai governi (che non era in effetti nei suoi statuti) e alle banche, pena l’implosione del sistema finanziario europeo e globale. A parte l’implausibile ipotesi che la Grecia riesca a stabilizzare se il proprio debito pubblico a colpi di deflazione e di svendita del patrimonio pubblico, ipotesi a cui sembra incredibilmente dar credito solo la BCE attraverso l’ultra-falco Bini Smaghi, qualunque sia la strada alternativa prescelta dall’Europa – una ristrutturazione del debito o quella più razionale e meno dolorosa di europeizzazione del debito (per esempio qui) – la BCE sarebbe costretta a una politica monetaria accomodante. L’indipendenza della banca centrale è in generale, e in particolare nei frangenti attuali, sbagliata, e lo statuto della BCE va assimilato a quello della FED americana i cui esponenti mai e poi mai potrebbero permettersi di non collaborare alle decisioni dell’amministrazione.
Per quanto riguarda il nostro paese, esso sta pagando a quest’Europa dei prezzi elevatissimi in termini di disoccupazione crescente e di deindustrializzazione, e il futuro si presenta fosco. La consapevolezza di questo è ancora scarsa, spesso anche a sinistra dove, per cinismo o ignoranza, ci si appassiona ad altri temi che non siano quelli dell’occupazione e dei bisogni elementari della gente. Le proposte che l’Italia dovrebbe avanzare a Bruxelles le abbiamo esposte (qui, qui e qui), ma l’Europa prosegue in una cacofonia di voci e inadeguatezza di proposte che fa poco ben sperare.
La dichiarazione di Mackenzie del 1935, continua così: “Il Partito Liberale si dichiara in favore dell’immediata istituzione di una banca nazionale debitamente costituita al fine del controllo dell’emissione di moneta rapportata ai bisogni pubblici. Il flusso di moneta deve essere in relazione ai bisogni nazionali, sociali e industriali del popolo canadese”. Le urne diedero al partito liberale una maggioranza senza precedenti. Dopo le belle vittorie di Milano e Napoli, i prossimi mesi potrebbero vedere la partecipazione della sinistra italiana al governo. Naturalmente il problema che si presentava a Mackenzie era quello, più semplice, di nazionalizzare l’emissione di moneta. Più complicato sarebbe se il Canada avesse stabilito una unione monetaria con gli Stati Uniti, come abbiamo fatto noi con la Germania. La consapevolezza di quanto dura è la battaglia a cui dovrebbe attrezzarsi una sinistra che volesse davvero sollevare le sorti del paese ci sembra, comunque, un primo, essenziale passo.
[1] William Lyon Mackenzie King (1874–1950), leader del partito liberale, un partito di centro ma con sensibilità ai problemi sociali, fu per tre volte primo ministro del Canada.
[2] Come ricordato da Aldo Barba in un interessante intervento al convegno per il 150mo su Sviluppo capitalistico e unità nazionale nei giorni scorsi.
[3] Bini Smaghi è arrivato a minacciare che la BCE possa imporre che i paesi membri dell’UME rimborsino la banca decine di miliardi di titoli greci che essa detiene. Contro i timori della BCE vedi Roubini.
http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/sovranita-monetaria-e-democrazia/
Commenti:
Cesaratto scrive: “… con il famoso “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia nel 1981 … i governi della Repubblica rinunciavano alla prerogativa di determinare la politica monetaria, dunque moderare i tassi di interesse, con successive conseguenze disastrose per conti pubblici e distribuzione del reddito. Con la moneta unica il nostro paese ha persino rinunciato alla possibilità di tornare indietro in quella decisione.”
L’indipendenza della Banca Centrale è figlia della teoria delle aspettative razionali, e della conseguente mancanza di trade-off fra inflazione e disoccupazione (curva di Phillips verticale). Solo senza questo trade-off, infatti, tanto vale delegare il controllo dell’inflazione a una Banca Centrale Indipendente dal governo. La teoria delle cosiddette aspettative razionali, che in realtà non implicano razionalità ma piuttosto un successo non dimostrato nel prevedere il futuro, è oggi screditata, ma purtroppo l’indipendenza della Banca Centrale, vincolata al solo obiettivo dell’inflazione, è e rimane una delle condizioni per I paesi che vogliono entrare nell’area dell’euro. Quindi il “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia, se non fosse avvenuto nel 1981, sarebbe dovuto avvenire in ogni caso prima del 1999. A onor del vero va riconosciuto che il patto Andreatta-Ciampi, se ha condotto alla sfrenata crescita del debito pubblico italiano, almeno ha contenuto l’inflazione.
L’idea che una “europeizzazione del debito” sia “più razionale e meno dolorosa” della ristrutturazione del debito o del taglio drastico dei conti pubblici si basa su un pio ma malinteso desiderio. E cioè che un’istituzione dell’Unione Europea, che ha un bilancio di poco più dell’1% del PIL europeo e un surplus primario costituzionalmente uguale a zero (sempre bilanciato ex-post con un prelievo sugli stati membri proporzionale al loro PIL), possa assumersi gran parte del debito degli stati membri emettendo titoli in concorrenza con gli Stati Uniti, che hanno un bilancio dell’ordine del 35% del PIL e la indiscussa possibilità che, prima o poi, sia realizzato un surplus primario sufficiente a stabilizzare e ridurre il rapporto fra il loro debito e PIL. Il mondo di Varoufakis & Holland potrà essere migliore, ma non è certo quello in cui viviamo nel nostro continente.
- 6 Giugno 2011 alle 8:14 am
paolo leon scrive:
Ormai sono passati tanti anni, ma sul patto Andreatta-Ciampi mi arrabbiai moltissimo; avevo intuito che il divorzio avrebbe fatto esplodere il debito pubblico. Cesaratto dovrebbe ricordare che la sovranità monetaria consiste anche nello scambiare l’emissione di nuova moneta con il finanziamento gratuito del deficit pubblico. Credo che si possa sempre fare qualcosa in sede europea; è tardi, certo e non si è sfruttata la crisi, ma l’Italia potrebbe ben far pesare la propria importanza. La minaccia di lasciare l’Euro non è ridicola, finché siamo il terzo paese manifatturiero d’Europa e il sesto nel mondo.
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Il nanocerotto per il post-infarto 05.06.2011
Abbiamo già avuto modo di vedere quanto sia importante e delicata la fase riabilitativa post-infarto, che necessita anzitutto (ma non solo) di un cambiamento radicale dello stile di vita degli infartuati. Su questo l’innovazione può fare ben poco, ma sui danni provocati al cuore presto la tecnologia potrà giocare un ruolo determinante.
La novità viene questa volta da USA e India, in particolare dalla stretta collaborazione tra i ricercatori della Brown University di Providence e dell’India Institute of Technology Kanpur che hanno messo a punto una tecnologia che permetterà di cambiare radicalmente la cura delle persone che hanno avuto un infarto.
Si tratta di un cerotto che impiega materiali innovativi: nanofibre di carbonio che, applicando il cerotto con un catetere, sono in grado di stimolare la riparazione della parte del cuore danneggiata dall’infarto, su cui sinora non era possibile intervenire. In particolare, i polimeri e i nanomateriali di cui è composto il microcerotto consentirebbero la riaggregazione delle cellule cardiache e il passaggio di corrente che permette al cuore di contrarsi.
I primi test sul nanocerotto sono stati fatti in provetta e stanno dando risultati incoraggianti.
Speriamo.
Anna Maria Campise
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Batterio killer. Miracolo: c’è il vaccino! 05.06.2011
E’ davvero un grande miracolo. Un miracolo italiano. E la cosa più miracolosa, è che l’annuncio dell’imminente vaccino contro la malefica Escherichia Coli sia arrivato circa un anno PRIMA dell’epidemia che è scoppiata in Europa. Le vie della Provvidenza sono davvero infinite.
Come infinita è la gratitudine che dobbiamo nutrire verso la Novartis, che dopo averci salvato tutti dall’epidemia di suina con un tempestivo vaccino, ecco che in quel di Siena nel 4 maggio scorso annuncia di aver identificato antigeni di E.Coli mai scoperti prima (prima della seguente epidemia) e quindi di essere sulla buona strada per produrre il fatidico vaccino.
Ma le mirabilie non finiscono qui. Anche una compagnia canadese ha appena comunicato di aver pronto il vaccino, proprio lì nel cassetto, quello giusto giusto per la variante O157:H7 tedesca, che servirà per inoculare le Nmiliardi di vacche residenti sul pianeta e renderle inabili a produrre il batterio.
Davvero noi comuni mortali dobbiamo stupire ed inchinarci davanti alla scienza, che riesce persino a prevedere il futuro grazie ai suoi misteriosi esoterici poteri.
http://crisis.blogosfere.it/2011/06/batterio-killer-miracolo-ce-il-vaccino.html
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Nazioni Unite, “internet diritto fondamentale” 06.06.2011
Ci sono molti aspetti d’avanguardia nel rapporto con cui le Nazioni Unite, per la prima volta, dichiarano internet un diritto fondamentale del cittadino. E che togliere l’accesso equivale a violare la convenzione internazionale sui diritti civili e politici.
Le Nazioni Unite in particolare puntano il dito non solo contro i Paesi che poco democraticamente bloccano internet per contrastare le rivolte. Ma anche contro coloro (come Francia e Regno Unito) in prima fila per voler disconnettere gli utenti colpevoli di pirateria.
E’ interessante che le Nazioni Unite parlino di un diritto inviolabile, superiore a quello della tutela del copyright. La libertà (e la democrazia) val più dei soldi dei discografici e di Hollywood, insomma.
Interessante anche che certi leggi pro copyright siano equiparate, nella denuncia delle Nazioni Unite, ai Paesi dittatoriali che tolgono la spina al web. Diversi sono i contesti e la scala, certo, ma il principio censurabile è lo stesso: quello secondo cui ci sia uno status quo, economico e/o politico, più importante della libertà di accedere a internet.
Ma bisogna anche chiedersi se questo principio non si trovi espresso anche in altre cose che limitano, anche se non bloccano, l’accesso al web. Come le violazioni della neutralità della rete: gli operatori mobili che per esempio, per migliorare i propri conti, discriminano l’utilizzo del VoIP (o bloccandolo o tariffandolo a parte).
Oppure le norme anti pirateria in arrivo in Italia. O- infine- la scelta del governo di mettere in fondo alle priorità l’investimento in infrastrutture banda larga, togliendo così a una fetta di popolazione il diritto a un completo accesso a internet.
Questo è un diritto che deve essere ancora protetto e diffuso, quindi. In varie forme e contro nuovi e vecchi pericoli, non sempre riconoscibili con facilità. Se lo si crede- con le Nazioni Unite- fondamentale alla democrazia.
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Antimateria: presa in trappola per 16 minuti 06.06.2011
Atomi di anti-idrogeno catturati per il tempo record di mille secondi. Quanto basta per poterli studiare. Cosa nascondono?
di Caterina Visco
Mille secondi, ovvero 16 minuti e 40 secondi. Tanto è il tempo per il quale i ricercatori dell’ esperimento Alpha (Antihydrogen Laser Physics Apparatus) del Cern sono riusciti a catturare alcuni atomi di anti-idrogeno. “ Un’eternità”, secondo Joel Fajanas, membro dell’esperimento e docente di Fisica a Berkeley. Si tratta, infatti, di un record assoluto: un tempo 5mila volte superiore a quello raggiunto lo scorso novembre sempre dai ricercatori dell’Alpha. Ma soprattutto, come spiega Jeffrey Hangst, leader dello studio, è un intervallo abbastanza lungo per cominciare a studiare queste particelle. Questo risultato è stato presentato sulle pagine di Nature Physics insieme a un resoconto dettagliato di quanto ottenuto nel corso degli scorsi dodici mesi: 112 atomi di anti-idrogeno creati e catturati per un tempo variabile tra un quinto di secondo e mille secondi.
Da quando, nel 2009, atomi di anti-idrogeno sono stati catturati per la prima volta (sono stati creati per la prima volta, sempre a Ginevra, nel 2002 ma si sono istantaneamente distrutti), la possibilità di studiare l’antimateria, postulata negli anni ’30 da Paul Dirac, si sta velocemente trasformando da sogno impossibile per appassionati di Star Trek e fantascienza, a realtà. Da allora, infatti, nel centro svizzero sono stati creati e catturati 309 atomi di anti-idrogeno. Ma il Cern con il suo Lhc non è il solo istituto occuparsi di antimateria: c’è anche il Relativistic Heavy Ion Collider (Rhic), negli Usa, dove lo scorso aprile è stato catturato l’antiatomo più pesante al mondo: l’antielio-4. Inoltre, non si può dimenticare Ams 02 (Alpha Magnetic Spectrometer), il cacciatore di antimateria che è appena arrivato sulla Stazione Spaziale Internazionale per catturare le particelle elementari nello Spazio.
Le particelle di antimateria sono, secondo il Modello Standard, il corrispettivo delle particelle di materia (elettroni, neutroni, protoni, ecc). Riprodurle in laboratorio non è più un problema per i fisici del Cern o di altri laboratori dotati di un acceleratore di particelle come il Large Hadron Collider. Grazie a questi strumenti, infatti, è lavoro di tutti i giorni creare anti-protoni che vengono poi mescolati con anti-elettroni o positroni (quelli della tomografia a emissioni di positroni) in una camera a vuoto, dove alcuni di questi si combinano per dare origine ad atomi di anti-idrogeno.
È qui che comincia il lavoro più complicato per i ricercatori. Queste particelle infatti si distruggono appena entrano in contatto con la materia, devono quindi essere catturate in complicate trappole: campi magnetici molto potenti e dalle maglie molto strette, chiamati bottiglie magnetiche.
Queste particelle sono create direttamente all’interno delle trappole e individuate semplicemente interrompendo il campo magnetico e registrando la loro distruzione, che provoca un lampo.
Anzi, come ricorda il Guardian, questo processo, chiamato annichilazione, trasforma le masse delle particelle in energia secondo la famosa equazione di Albert Einstein, E=mc 2. Un Kg di antimateria che entra in contatto con altrettanta materia provoca un’esplosione circa 3000 volte superiore a quella di Hiroshima.
L’obiettivo di Hangst e colleghi, tuttavia, non è creare esplosioni (anche se questo tipo di esperimenti affascina molto gli autori di Science Fiction), quanto condurre esperimenti sull’antimateria per stabilire se essa ubbidisce alle stesse leggi della fisica della materia, e per capire perché, rispetto a quest’ultima, sembra essere così poco presente nell’Universo, sebbene durante il Big Bang se ne dovrebbe essere creata una quantità uguale.
Come riportato su Nature Physics, i ricercatori hanno già cominciato a studiare gli anti-atomi misurandone la distribuzione dell’energia. “ Potrebbe non sembrare molto emozionante”, commenta Jonathan Wurtele, coautore dello studio, “ ma si tratta del primo esperimento mai condotto su anti-idrogeno intrappolato. Quest’estate speriamo di riuscire a misurare cambiamenti indotti dalle microonde sullo stato atomico degli anti-atomi”.
http://daily.wired.it/news/scienza/2011/06/06/antimateria-trappola.html#content
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Il batterio killer si uccide con la polvere di vetro 06.06.2011
Sviluppato in Spagna un metodo per togliere di mezzo dagli alimenti i batteri come l’E. coli. Sarebbe innocuo per salute e ambiente. Ma intanto non si ha ancora la certezza del veicolo dell’epidemia
di Valentina Arcovio
Come alcune volte accade nella scienza, le scoperte arrivano un po’ per caso. Gli scienziati del Consiglio Superiore di Ricerca Scientifica spagnolo stavano infatti analizzando i materiali con nanoparticelle di argento e rame, due noti biocidi, quando poi si sono imbattuti nelle straordinarie proprietà del comune vetro nel distruggere i microrganismi. Ed è così che è nata una nuova arma contro quei microscopici nemici che si annidano subdolamente nei frutti dei nostri raccolti: una polverina di vetro che, tanto per essere chiari, se fosse stata utilizzata prima dell’emergenza batterio killer, non avremmo mai parlato di un nuovo ceppo di Escherichia coli (di cui ancora si sta cercando il veicolo di infezione). Almeno così dicono gli scienziati che l’hanno creata sotto la supervisione di José Serafin Moya. Questo nuovo biocida infatti avrebbe dimostrato, come riporta il paper pubblicato sulla rivista Advanced Biomaterials, di essere davvero spietato con tutti i ceppi del batterio killer e non solo. Si tratta di una soluzione ottimale perché la materia prima, cioè il vetro, è facilmente reperibile, economico e cosa più importante è innocuo per la salute degli esseri umani e dell’ambiente. Il lavoro, finanziato dalla fondazione ITMA, ha coinvolto congiuntamente anche l’ Istituto di Scienza dei Materiali di Madrid e il Centro Nazionale di Biotecnologia.
Il prodotto è stato brevettato un anno e mezzo fa e potrebbe iniziare a essere commercializzato presto. Varie aziende infatti avrebbero già manifestato interesse nel produrre questo antimicrobico che, tra le altre applicazioni, potrebbe essere utilizzato per la fumigazione delle colture e dei prodotti alimentari e per disinfettare l’acqua. In pratica, sarebbe efficace per prevenire epidemie come quella che in questi giorni si è diffusa nel Nord Europa.
A questa polverina di vetro speciale bastano all’incirca 24 ore per eliminare qualsiasi ceppo di Escherichia coli: distrugge la membrana cellulare del batterio che, di conseguenza, muore. Sebbene la maggior parte dei ceppi di questo batterio, che vive nell’intestino degli animali, è innocua, alcuni possono provocare gravissime forme di diarrea emorragica e possono portare addirittura alla morte come sta succedendo con il batterio killer in Germania. Il nuovo biocida però non è solo efficace contro l’ Escherichia coli, un batterio cosiddetto gram negativo per via della sottile parete cellulare. Per dimostrarlo i ricercatori hanno utilizzato campioni del batterio Micrococci luteus (gram positivo) e del lievito Candida Krusei.
” Così possiamo confermare – ha riferito Moya al quotidiano El Mundo – che si tratta di un biocida inorganico ad ampio spettro. In genere, questi prodotti sono molto particolari. Cioè sono antibatterici e antimicotici (ovvero che combattono anche lieviti e funghi).
Abbiamo fatto molte prove con altri tipi di lieviti e batteri altamente resistenti agli antibiotici (come per esempio lo Pseudomonas aeruginosa ) e il nostro vetro li ha fulminati in 24 ore“. È stato quasi scioccante scoprire di avere una soluzione così a portata di mano per rendere sicuri i nostri cibi.
” I risultati sono stati così sorprendenti – ha raccontato Moya – che in un primo momento non ci credevamo. Abbiamo ripetuto molte volte le prove per dimostrarlo“. La composizione del prodotto è molto simile al vetro utilizzato per la fabbricazione di finestre e bottiglie, anche se contiene più calcio. A differenza dei biocidi inorganici utilizzati per combattere i batteri, la polvere di vetro è un materiale inorganico che rispetta l’ambiente. ” Contiene solo calcio, silicio, ossido di sodio e anche boro, gli stessi componenti – ha spiegato lo scienziato – che si trovano generalmente nel terreno. Si potrebbe anche ingerire senza pericoli“. I biocidi clorurati, per esempio, in grandi quantità sono tossici e di conseguenza hanno un impatto ambientale.
” Al momento non esiste un biocida universale, cioè che può essere utilizzato con sicurezza su tutti i prodotti“, ha spiegato a Ciboscienza Pier Sandro Cocconcelli, docente di microbiologia all’ Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza, che ha fatto parte di un comitato della Commissione Europea che si è occupato di resistenze ad antibiotici e biocidi. ” Ce ne sono diverse centinaia – ha continuato – e ognuno di essi viene utilizzato per alcuni prodotti e non per tutti“. Per il settore agroalimentare, in particolare, l’utilizzo dei biocidi segue rigide regole imposte dall’Unione Europea. L’ acqua ossigenata, per esempio, è un biocida utilizzato come sanificante delle apparecchiature di trattamento del latte. ” Nonostante agisca rapidamente – ha detto l’esperto – può colpire anche le cellule superiori e quindi l’uomo“. Un discorso simile vale anche per il quaternale d’ammonio, il sorbato e l’acido benzoico. ” La questione – ha detto Cocconcelli – è quali di questi biocidi è efficace e allo stesso tempo quali sono tossici per l’ambiente e salute“. Anche la nuova polverina di vetro, prima di essere commercializzata, dovrà ricevere il via libera dall’autorità europea che ne deve verificare la tossicità. ” Non dimentichiamo – ha precisato l’esperto – che il nome stesso biocida ci indica che si tratta di una sostanza uccide gli organismi. In genere, ci vuole qualche anno prima che arrivi l’ok“.
L’autorità europea dovrà valutare la nuova polverina di vetro non solo per il suo utilizzo nel settore agroalimentare. Il biocida spagnolo si è dimostrato efficace anche per purificare l’acqua. Se utilizzato nelle piscine, elimina gli effetti collaterali del cloro che può irritare gli occhi e la pelle. Un altro vantaggio dei biocidi inorganici, come il vetro, è che sono molto più stabili e non degradano per effetto della pioggia o dalle variazioni della temperatura.
(Credit per la foto: MARIUS BECKER/epa/Corbis)
http://daily.wired.it/news/scienza/2011/06/06/modi-uccidere-batterio-killer.html#content
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Israele dispotica
Stefano Rizzo, 06.06. 2011
Non sarà così, ma ci somiglia molto da vicino. Ieri in Medioriente migliaia di giovani disarmati che sventolavano la bandiera nazionale hanno manifestato pacificamente contro un regime che occupa le loro terre e che considerano oppressore. L’esercito di quel regime ha cercato prima di disperderli con i lacrimogeni e poi ha sparato sulla folla ad altezza d’uomo
Venti tra i manifestanti sono morti, centinaia i feriti. Nessun ferito tra “le forze dell’ordine”.
Non parliamo dell’ultima manifestazione di protesta in un qualche paese arabo, una delle tante che si sono susseguite in questi mesi, e in cui anche ieri centinaia di giovani hanno pagato un altissimo tributo di sangue. Parliamo di quello che è successo sulle alture del Golam, nei pressi del varco di Ramallah e di altre città palestinesi dei territori occupati, così come della strage di analoghe proporzioni di un mese fa al confine con la Giordania. A dare ordine di sparare contro civili inermi questa volta non è stato il rais arabo di un regime dispotico, ma il primo ministro di uno stato democratico, quale è Israele. A cadere sono i colpi del suo esercito sono stati giovani palestinesi e siriani che manifestavano pacificamente commemorando la Naqsa, il giorno della sconfitta al termine della breve guerra dei sei giorni, vinta da Israele contro gli stati arabi, che portò all’occupazione di tutta la Palestina al di fuori di Israele, di Gaza, della penisola del Sinai e delle alture del Golan.
Da allora Israele si è ritirata dal Sinai, concludendo la pace con l’Egitto e la Giordania; nel 2005 si è ritirata da Gaza, continuando tuttavia a tenere la striscia in un regime di isolamento che la fa somigliare ad un grande campo di concentramento. Ma continua l’occupazione del resto della Palestina, seppure a macchia di leopardo, con la concessione di una limitata autonomia all’Autorità nazionale palestinese, e con migliaia di insediamenti israeliani costruiti nel corso dei decenni che hanno frammentato il territorio in un bantustan dove i palestinesi sono separati dai “coloni” israeliani da centinaia di chilometri di muri e di filo spinato, da migliaia di check points umilianti per chi li deve attraversare anche solo per recarsi a coltivare il proprio campo. E continua l’occupazione del Golan, territorio siriano al confine con Israele: poche migliaia di chilometri quadrati, ma di terra fertile e irrigua.
La comunità internazionale, le Nazioni Unite e l’Unione europea non hanno mai accettato lo stato di fatto dell’occupazione militare. Israele è stata condannata più volte nei consessi internazionali e invitata a restituire i territori occupati con la forza delle armi. Alla condanna e alle pressioni diplomatiche sono state aggiunte le rassicurazioni sul diritto all’esistenza e alla sicurezza di Israele, nella speranza di portarla al tavolo del negoziato per concludere una pace durevole che riconosca i diritti e le aspirazioni degli abitanti – di tutti gli abitanti — della regione.
Negoziati e trattative ci sono stati nel corso degli anni, così come ci sono stati attacchi armati e terroristici da parte dei palestinesi e la durissima risposta repressiva del governo israeliano. Qualche risultato è stato ottenuto, nonostante la violenza che ciclicamente riesplode, e ha portato al riconoscimento dell’Autorità nazionale palestinese da parte di Israele e al suo accoglimento in seno all’ONU come membro osservatore. Ma sono ormai dieci anni, dagli ultimi negoziati falliti di Camp David prima e di Tabah poi, che la situazione è ferma. Nel mentre che aumentano e si ingrandiscono gli insediamenti israeliani nei territori occupati e nella parte Est di Gerusalemme storicamente araba, rendendo sempre più difficile la prospettiva di un accordo sui tre grandi nodi della pace: i confini, il diritto al ritorno dei rifugiati, lo status di Gerusalemme.
L’ultima proposta è venuta dal presidente americano Obama: fare ripartire i negoziati dai confini precedenti alla guerra del 1967, ma senza rigidezze, cioè prevedendo la possibilità di scambi di territori per compensare quelli che Israele ritenesse indispensabili per la propria sicurezza. Sul piatto della bilancia Obama ha anche posto l’impegno ad adoperarsi perché nella prossima sessione autunnale delle Nazioni Unite non sia votato, come è previsto, il riconoscimento formale dello stato di Palestina, con tutte le conseguenze giuridiche sul piano internazionale che un tale riconoscimento comporterebbe.
Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu ha incassato l’impegno americano, ma ha rifiutato la base delle trattative. Anzi ha alzato la posta. Ora non parla più del diritto (sacrosanto) all’esistenza di Israele, ma dello “stato ebraico”, con ciò intendendo che i milioni di cittadini israeliani di etnia araba e religione mussulmana che sono al suo interno sarebbero anche giuridicamente (e non già di fatto, come sono ora) considerati di serie B, pronti per una ulteriore futura espulsione quando si deciderà di rendere Israele uno stato etnicamente puro. E’ da sempre la posizione della destra nazionalista e ultraortodossa, un programma che non è esplicitamente condiviso dal governo Netanyahu, che intanto però agita la parola chiave: stato ebraico.
Con il mondo arabo in subbuglio e alla ricerca di nuove strade per conquistare la propria dignità e le libertà individuali, era inevitabile che la protesta si estendesse anche ai territori occupati e anche al di là delle alture del Golan, dove si trovano, così come al confine con il Libano, la Giordania e l’Egitto, centinaia di migliaia di profughi palestinesi (molti di più sono alloggiati nei campi all’interno dei vari paesi confinanti): milioni di persone che vivono da sessanta anni senza casa, in campi o alloggiamenti di fortuna assistiti dall’Alto commissariato per i rifugiati e dall’Unione europea. Tra di loro ci sono ancora gli anziani che conservano gelosamente la chiave della casa che dovettero abbandonare nella speranza di ritornarci un giorno. Ma la maggioranza sono giovani e giovanissimi che non vogliono più aspettare e che non si rassegnano ad accettare che anche la loro generazione sia condannata ad una attesa senza sbocchi, scandita dal corso tortuoso di negoziati che non portano a nulla e dalla progressiva erosione della loro terra da parte degli occupanti.
E’ contro questi giovani alla ricerca di una identità e di una patria che si è scatenata la violenza dell’esercito di Israele. Come se fosse una delle tante autocrazie della regione.
http://www.paneacqua.eu/notizia.php?id=17936
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La Francia chiede gli Stati generali dell’energia in Europa 06.06.2011
La Francia è preoccupatissima per l’uscita della Germania dal programma nucleare. Non ne fa mistero e anzi chiede gli Stati generali dell’energia che si dovrebbero tenere a Parigi giovedì 9 giugno tra tutti i ministri per l’Energia e l’Industria dei 27.
L’invito lo lancia Eric Besson ministro francese per l’Industria che chiede una concertazione europea. Ha detto Besson in un tweet:
La Germania è sovrana ma le conseguenze sono europee.
Si discuterà di mercato unico dell’energia così come propone Angela Merkel e dei costi. In sostanza il cancelliere tedesco punta a calmierare i prezzi interni del costo dell’energia che si otterrà evidentemente da fonti rinnovabili sostenendoli grazie anche al contributo dell’Europa. I francesi che invece, vorrebbero si rinunciasse al nucleare, ma di fatto si tengono strette le centrali che hanno, credono che il prezzo dell’energia non dovrà essere fissato per scelta politica, ma in base ai costi di produzione e di mercato.
Certamente la Francia in questa fase iniziale di transizione da un sistema di produzione energetico all’altro ci guadagnerà e si dicono, di fatto, pronti alla speculazione. Europea.
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Commentatori esteri: stroncatura netta del Padiglione di Sgarbi. Per il Times è scandalo nazionale 07.06.2011
Come vi avevo anticipato, eccovi una sintetica rassegna stampa internazionale su come il Padiglione Italiano è stato recensito all’estero: il quadro è semplicemente desolante.
Durissimi i giudizi dei commentatori, che con voce unanime decretano il fallimento della proposta artistica e curatoriale di Sgarbi: Roberta Smith del New York Time parla di scandalo nazionale certo e artisti di qualità irrimediabilmente pessima; Harry Bellet per Le Monde non ha dubbi e ironizza: la croce di Pesce? ecco la perfetta rappresentazione dell’operazione Sgarbi, seppellire gli artisti italiani per festeggiare i 150 anni dell’unità nazionale…; Judith Benhamou-Huet di Les Echoes ci va giù davvero pesante: il padigliore fa urlare per la bruttezza e la mostra è un’accozzaglia di quadri indistinguibile da quella della sala pranzo del suo albergo; infine, Filippo Montefort per afp.com punta il dito su una mostra caotica e illegibile dove il visitatore si deve districare fra il meglio e il peggio.
Dopo il salto trovate riportati e tradotti gli stralci degli articoli (molto più densi e coloriti del riassunto: lettura atamente consigliata): ci sono anchhe i link per chi vuole approfondire. Altre recensioni (specie se il tono cambia) e tutti vostri commenti sono assolutamente benvenuti.
Roberta Smith, New York Times
“Un nuovo record negativo della Biennale è stato raggiunto dal vasto Padiglione Italia dove Vittorio Sgarbi […] ha supervisionato un’installazione assurdmente densa di opere di circa 260 artisti italiani, la maggior parte dei quali irreparabilmente di pessima qualità. Suscitando dal cuore un’odio incredibilmente profondo, la mostra sarebbe uno scandalo nazionale, se l’Italia non ne fosse già tormentata da così tanti altri.”
“A new and historic Biennale low is reached in the vast Italian Pavilion where Vittorio Sgarbi […] has overseen a ludicrously dense installation of work by some 260 Italian artists, almost all of it unredeemable still-born schlock. Bristling with an unbelievably venomous hatred of art, the exhibition would be a national scandal, if Italy weren’t already plagued by so many.”
http://artsbeat.blogs.nytimes.com/2011/06/02/venice-biennale-the-enormity-of-the-beast/
Le Monde, Harry Bellet
“Questa mostra, o piuttosto questa esibizione, è messa a punto dall’immensa croce […] creata da Gaetano Pesce per la Triennale di Milano, dove al Cristo si sostituisce una rappresentazione rosso sangue dello stivale. L’Italia crocifissa e i suoi artisti seppelliti da Sgarbi: ecco un bel modo di festeggiare un anniversario.”
“Cette exposition, ou plutôt cette exhibition, est ponctuée par l’immense croix […] créée par Gaetano Pesce pour la dernière Triennale de Milan, où le Christ est remplacé par une représentation de la botte italienne, rouge sang. L’Italie crucifiée, et ses artistes mis au tombeau par Sgarbi, voilà une digne manière de fêter un anniversaire.”
http://www.lemonde.fr/culture/article/2011/06/03/le-pavillon-italien-par-vittorio-sgarbi-indigne-et-douteux_1531508_3246.html
Les Echos, Judith Benhamou-Huet
“Il Padiglione Italiano fa inorridire per la sua bruttezza. L’accozzaglia di quadretti, più qualche tela buona, somiglia a quella della sala da colazione del mio hotel. Non ho fatto tutto questo per… si dice il visitatore assetato che sogna in vano, all’Arsenale, un venditore di acqua minerale. Fortunatamente un po’ più lontano c’è il video di Christian Marclay che non per nulla ha ottenuto il Leone d’Oro.”
“Le Pavillon italien est à crier de laideur. L’accrochage à touche –touche de peinturlures, plus quelques toiles bien, ressemble à celui de la salle des petit dej’ de mon hôtel. J’ai pas fait tout ça pour… se dit le visiteur assoiffé qui rêve en vain, à l’Arsenale d’un marchand d’eau minérale. Heureusement un peu plus loin il y a la vidéo de Christian Marclay qui a d’ailleurs obtenu un Lion d’or.”
http://blogs.lesechos.fr/judith-benhamou-huet/venise-les-jeux-olympiques-de-l-art-contemporain-la-suite-a5922.html
afp.com, Filippo Montefort
“[…] Il risultato: un accatastamento di opere, alcune interessanti altre meno, ma evidentemente senza alcun filo contuttore che possa dare una coerenza o una griglia di lettura d’insieme. In questo bric-à-brac, il pubblico deve districarsi fra il meglio e il peggio.”
[…] Le résultat: un empilement d’oeuvres, certaines intéressantes, d’autres moins, mais bien évidemment sans aucun fil conducteur qui puisse donner une cohérence ou une grille de lecture à l’ensemble. Dans ce capharnaüm, le public doit côtoyer le pire et le meilleur.”
http://www.lexpress.fr/actualites/1/culture/jesus-en-slip-a-la-biennale-d-art-de-venise-une-provocation-italienne_999190.html
Nell’articolo anche commenti correttivi della traduzione.
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La Grecia è salva 07.06.2011
L’Ue sta lavorando all’ipotesi di un coinvolgimento del settore privato, cioe’ le banche, nella nuova operazione di salvataggio della Grecia. La conferma ‘ufficiale’ e’ giunta dal presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker e dal commissario per gli affari economici Olli Rehn in occasione di un’audizione al Parlamento europeo.
Questo cosa significa??
Che in cambio di favori su Basilea e altri parametri,le banche aiuteranno La Bce e il Fmi, entrando più massicciamente nel debito greco e poi….
Poi quando le acque si saranno calmate si faranno dei bei prodotti strutturati che verranno dati ai soliti poveri consumatori che per un risicato 3% si prenderanno dei rischi incredibili.
La cosa bella che con la nuova legge italiana anche le Poste potranno partecipare al banchetto,quindi immaginate voi la povera anziana che mette i suoi risparmi in un prodotto,che ha al suo interno…Bond della Grecia,non male no??
I commenti direi che sono superflui questo è il mondo della Finanza di oggi!!
Chi la conosce la sfrutta,gli altri soccombono!!
Dott Fabio Troglia
fabio.troglia@gmail.com
http://www.lamiaeconomia.com
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È autentica la Fibula prenestina, con la prima iscrizione latina 06.06.2011
Indagini condotte dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Università ‘La Sapienza’ fugano i dubbi sulla preziosa spilla etrusca e sulla sua incisione, che si conferma la più antica testimonianza in lingua latina (VII secolo a.C.).
Vera o falsa? Il caso della Fibula prenestina, esposta nel Museo nazionale etnografico ‘Luigi Pigorini’ di Roma, è finalmente risolto. L’autenticità della preziosa spilla, datata al VII secolo a.C., e della sua iscrizione, ritenuta la più antica testimonianza della lingua latina, è stata confermata dalle indagini condotte da Daniela Ferro dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismn-Cnr) e da Edilberto Formigli, restauratore con incarichi di insegnamento all’Università ‘La Sapienza’ di Roma e all’ Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
I due studiosi, che da anni conducono analisi multidisciplinari sulla tecnologia orafa antica, presentano oggi, presso il Museo ‘Pigorini’, i risultati delle indagini micro-analitiche condotte nel laboratorio di microscopia elettronica a scansione del Dipartimento di Chimica dell’Università ‘La Sapienza’.
La Fibula, trovata a Palestrina, l’antica Praeneste, fin dalla sua presentazione ufficiale nel 1887 da parte dell’archeologo tedesco Wolfgang Helbig è stata oggetto di accesi dibattiti, in merito alla sua autenticità e al contesto di appartenenza. Nel 1979 fu dichiarata un falso dalla celebre studiosa Margherita Guarducci che attribuì l’iscrizione allo stesso Helbig.
Il gioiello d’oro, lungo 10.7 cm, reca incisa sulla parte esterna della staffa l’iscrizione latina “Manios med fhefhaked Numasioi”, in latino classico ‘Manius me fecit Numerio’ ovvero ‘Manio mi fece per Numerio’ che in quanto datata attorno alla metà del VII secolo a. C. risulta la più antica pervenutaci.
“Lo studio di un reperto impone la scelta di metodi analitici non distruttivi e non invasivi”, spiega Daniela Ferro dell’Ismn-Cnr. “L’utilizzo della microscopia a scansione elettronica, accoppiata alla microsonda elettronica a raggi X a dispersione di energia, consente osservazioni ad alta risoluzione della superficie e, contemporaneamente, permette di acquisire dati sulla composizione chimica in elementi. In particolare, la fibula è stata studiata con una strumentazione dotata di una camera porta campioni che permette di muovere agevolmente l’oggetto, investigandone ogni parte senza danneggiarlo”.
Se per l’oro non sono stati ancora trovati metodi di datazione è possibile risalire ad una contestualizzazione dell’oggetto attraverso le tecnologie applicate alla sua costruzione. Le apparecchiature scientifiche utilizzate hanno reso possibile accertare metodologie e composizione chimica compatibili con la datazione attribuita alla spilla al VII secolo a.C., nonostante gli interventi di pulitura e lucidatura eseguiti nell’800. Anche l’iscrizione è risultata antica sulla base delle indagini microstrutturali delle aree interessate ai solchi, confermandola come la più antica testimonianza in lingua latina.
“La spilla è un manufatto di alta oreficeria, realizzato utilizzando leghe d’oro di diversa composizione secondo la funzione d’uso delle varie componenti”, continua la ricercatrice. “E’ stata anche individuata una riparazione originale che conferma l’uso prolungato dell’oggetto in età antica. È improbabile che un falsario ricostruisse tali dettagli senza una conoscenza delle procedure dell’oreficeria antica che, tra l’altro, non avrebbero potuto essere rilevate se non con sofisticate strumentazioni tecnologiche disponibili solo ai nostri giorni”.
La preziosa spilla è stata oggetto non solo di dibattiti sull’autenticità, ma anche di tormentate vicissitudini. Donata nel 1889 al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, nel 1900 fu trasferita al Museo nazionale preistorico etnografico e kircheriano del Collegio Romano e riunita (nonostante l’appartenenza non sicura) al corredo della principesca Tomba Bernardini di età orientalizzante, scoperta a Palestrina nel 1876. Nel 1960 il corredo di questa tomba fu trasferito al Museo di Villa Giulia, mentre la fibula rimase al Collegio Romano.
Sono disponibili immagini
La scheda
Chi Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) del Cnr, Università ‘La Sapienza’ di Roma
Che cosa: confermata autenticità della fibula prenestina e della sua iscrizione (VII sec.a.C)
Quando: 11 giugno , ore 10.30
Dove: Museo Pigorini di Roma
Per informazioni: Daniela Ferro, Istituto per lo studio dei materiali nano strutturati del Cnr, Roma tel. 06/49913361, e mail: daniela.ferro@cnr.it
http://www.cnr.it/cnr/news/CnrNews?IDn=2239
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«Israele non è le sue armi. Chi lo dice ci porta al disastro» 07.06.2011
Fonte: Umberto De Giovannangeli – l’Unità
Intervista a Shulamit Aloni
Appello al mondo: «Sostenete la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese»
La scrittrice fondatrice di «Peace Now» ha firmato un manifesto di intellettuali israeliani per chiedere il rispetto delle frontiere del ’67. «Sì a uno Stato palestinese, basta apartheid»
L’altro Israele alza la voce, scende in strada e si ribella: «Dovrebbe essere chiaro a tutti l’inconciliabilità tra democrazia e oppressione esercitata contro i palestinesi. I governanti d’Israele hanno solo un disegno in testa e lo perseguono con ogni loro atto: il disegno del Grande Israele. Ne faranno un ghetto atomico in guerra con il mondo». L’altro Israele, quello che l’altra sera ha dato vita a una manifestazione di massa conclusasi in piazza Yitzhak Rabin, nel cuore di Tel Aviv, si riconosce nelle affermazioni di Shulamit Aloni, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace adesso). «Chi persegue la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, chi opprime un altro popolo afferma Aloni coltiva l’illusione che la sicurezza d’Israele possa reggersi sulla forza delle armi. Ma questa è una illusione che ha già prodotto disastri e altri ne provocherà ancora, se il mondo non farà sentire la sua voce di protesta. A cui deve unirsi l’Israele che non accetta di essere complice di questi crimini».
Shulamit Aloni è una delle venti personalità israeliane tra cui l’ex presidente della Knesset, Avraham Burg, il premio Nobel Daniel Kahneman, l’ex presidente dell’Accademia delle Scienze di Israele Menahem Yaari che hanno firmato un appello ai leader europei affinché appoggino la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese indipendente sulla base del confini del 1967, quando verrà presentata a settembre alle Nazioni Unite. Il nostro colloquio parte da qui.
Qual è il senso di questo appello e delle mobilitazioni di piazza che ne sono seguite? «È l’affermazione di un concetto fondamentale che rappresenta il vero discrimine oggi…».
Quale sarebbe questo concetto?
«La pace, una pace giusta, fondata sul principio di “due popoli, due Stati”, non è una concessione che Israele fa al “Nemico”, e neanche un atto di giustizia. È semmai un sano atto di “egoismo”…».
In che senso? «Nel senso che solo riconoscendo ai palestinesi il loro diritto a vivere da donne e uomini liberi in uno Stato indipendente, integro territorialmente, solo così Israele potrà difendere il bene più prezioso: la sua democrazia. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti l’inconciliabilità tra democrazia e oppressione esercitata contro i palestinesi. Non c’è democrazia in uno Stato che impone a un altro popolo un regime di apartheid. Da qui nasce l’appello e le mobilitazioni che l’hanno seguito. Il passaggio chiave è questo: come cittadini israeliani dichiariamo che se e quando la Nazione palestinese dichiarerà uno Stato sovrano e indipendente, che vivrà a fianco di Israele in pace e sicurezza, appoggeremo questa dichiarazione e riconosceremo uno Stato palestinese basato sui confini del 1967, e chiediamo alle Nazioni del mondo di dichiarare la loro volontà a riconoscere uno Stato palestinese indipendente basato su questi principi».
Il presidente Usa, Barack Obama, non sembra essere di questo avviso… «Rispetto la sua posizione e ho anche apprezzato alcuni passaggi del suo recente discorso in cui ha fatto riferimento ai confini del ‘67. Ma il presidente Obama sa bene che gli appelli alla ragionevolezza rivolti a più riprese agli attuali governanti d’Israele sono puntualmente caduti nel vuoto. Per questo occorre cambiare registro, e dimostrare a questi oltranzisti che si è capaci di dire basta. Se non ora, quando?».
La destra israeliana non ha nascosto il suo scetticismo, se non la sua contrarietà, verso le rivolte che stanno scuotendo il mondo arabo…
«Il mio atteggiamento, e per fortuna non sono la sola a pensarlo, è diametralmente opposto: la “primavera araba” può avere ricadute importanti per l’intera regione e anche per Israele. In Piazza Tahrir, il cuore della rivoluzione egiziana, non ho visto bruciare una bandiera israeliana.
E questo è un segnale di straordinaria importanza che noi israeliani non dovremmo sottovalutare. Io sono con loro, e non sento minimamente nostalgia per i raìs che hanno spazzato via dalla scena».
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Chi è
La leader storica dei pacifisti israeliani
Scrittrice, combattente nella guerra d’Indipendenza, fondatrice di «Gush Shalom» (Pace Adesso), parlamentare per diverse legislature, è stata più volte ministra nei governi laburisti guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Per le sue battaglie democratiche è stata minacciata di morte dall’ultradestra israeliana.
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Energia nucleare: la Francia si candida per venderla alla Germania 07.06.2011
Ne scrivevo ieri: la Francia è seriamente preoccupata per l’abbandono del programma nucleare della Germania, ratificato dal parlamento. Ha chiesto perciò gli Stati generali dell’energia perché vuole che vi sia concertazione.
Oggi però il presidente Nicolas Sarkozy fa sapere che la decisione dei tedeschi di rinunciare al nucleare sarà un vantaggio per i francesi e ha detto:
Non critico la scelta della Germania. Se fermano le centrali dovranno rimpiazzare l’energia. Ci candidiamo a vendere loro l’elettricità anche in un rapporto di competitività che ci sarà favorevole.
La Germania, però progetta piuttosto di delocalizzare l’approviggionamento e parte delle centrali a carbone che le serviranno per avere energia ma senza inquinare la Germania, saranno impiantate in Polonia. Eric Besson, ministro francese per l’Energia teme più che altro dunque la perdita di forniture alla Germania, fatto probabilmente confermato dall’accordo per il Nord Stream, il gasdotto che porta il gas dalla Russia, passando per il Baltico direttamente in Germania. Entrerà in funzione a pieno regime nel 2012. A quel punto i tedeschi saranno tutti figli del gas di Putin.
Via | Le Figaro, L’Occidentale,
Foto | Instabulian
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A Fukushima cerimonia del tè al nucleare 07.06.2011
Incolore e insapore. E’ questo l’aspetto del tè che si beve a Fukushima. Le prime foglie raccolte quest’anno non forniscono una bevanda di qualità. Il 10 maggio scorso c’è stata la prima raccolta, 24h su 24h per imprigionare tutti gli aromi e i profumi e preservare le qualità organolettiche. Ma le foglie non sono buone: o troppo grandi o troppo piccole e per la prima volta il Giappone rischia di non avere il suo tè. E coltivatori e raccoglitori accusano le radiazioni nucleari per aver inficiato la crescita e la qualità delle piante da tè.
Secondo coltivatori e produttori sembra che la causa sia da ricercarsi nell’incidente nucleare ancora in corso alla centrale di Fukushima Daiichi e che dista un centinaio di chilometri dalle zone di di raccolta del tè di Okukuji e a 150 km da Tukaimura.
Spiega Saito Hidekazu presidente delle cooperative di raccoglitori e appartenente a una famiglia che da cinque generazioni coltiva il tè:
Non vi sarà raccolto di foglie di tè per quest’anno in questa zona del Giappone. Dalla prima esplosione della centrale abbiamo chiesto alla Prefettura della Regione di effettuare dei test ma ci ha risposto di non conoscere i livelli di radiazioni per cui il tè sia da considerare pericoloso.
Risultato, la cooperativa che conta 37 aziende e di cui Sato è il presidente si sta organizzando per effttuare i test. Sembra che il ministero della Salute invierà degli esperti per analizzare i raccolti di foglie di tè poiché il sospetto è che le radiazioni abbiano influito sulla crescita delle piante.
Il tè si raccoglie in tre momenti dell’anno: il 10 maggio, il 1° e il 15 luglio, quando grazie al calore e all’umidità le foglie sono al massimo del loro profumo. Spiega Sato:
Faremo dei test per capire se possiamo recuperare qualcosa dal secondo raccolto. La stituazione è grave poiché la maggior parte del tè giapponese arriva dalla prima raccolta, che è praticamente da buttare.
Conclude Sato:
Abbiamo avuto fiducia nel nucleare. Controlliamo sempre il bollettino meteo con il bollettino sui livelli di radioattività E infatti non ne sappiamo più nulla. La contaminazione è in aumento, nell’aria, nella terra nel mare. Ma le autorità ci hanno sempre detto che il nucleare era sotto controllo. E guardate dove siamo arrivati.
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A Porto Torres nascerà il primo polo chimico verde d’Europa 07.06.2011
La sfida è di quelle importanti: trasformare un’area che da anni sacrifica il proprio territorio in nome dell’industria e riqualificarla come sito di produzione a basso impatto ambientale. E’ il caso di Porto Torres in Sardegna, sede di un polo industriale che da qualche anno sta attraversando una grave crisi economica e i cui impianti nell’ultimo periodo sono finiti sotto l’occhio del ciclone per alcuni danni ambientali provocati dal riversamento a mare di ingenti quantità di olio combustibile.
La svolta però potrebbe davvero essere dietro l’angolo; la scorsa settimana si è infatti gettato il primo mattone per la trasformazione del sito nel primo polo produttivo di chimica verde in Europa. L’annuncio del nuovo progetto era stato già dato da Eni e Novamont agli inizi di febbraio, ora però sembra si stia dando l’input decisivo: sul piatto oltre 1,2 miliardi di euro di investimento in sei anni per la creazione di una filiera integrata per le bioplastiche biodegradabili che prevederà la nascita di sette nuovi impianti, un centro ricerche, la costruzione di una centrale termoelettrica da 40 MW che, almeno secondo gli intenti, utilizzerà biomasse locali.
Nel dettaglio il progetto prevede l’utilizzo di sostanze organiche oleoginose dalle quali, attraverso un processo particolare, si riuscirà ad estrarre olii biologici che poi consentiranno la realizzazione di prodotti biodegradabili come buste o pellicole di plastica per alimenti. I presupposti sembrano esserci tutti, lo stesso ministro del lavoro Sacconi ha lodato l’iniziativa definendola un evento di straordinaria rilevanza per l’alto contenuto tecnologico, per la filiera agroindustriale che vi è interessata e per il significativo impatto occupazionale.
Però proprio su quest’ultimo punto sono nate le prime diatribe: nella giornata di ieri infatti, durante un convegno di presentazione del piano industriale, un nutrito gruppo di lavoratori del Polo chimico di Porto Torres ha duramente criticato l’iniziativa considerandola poco attenta alla situazione precaria attuale dei lavoratori stessi. Siamo però agli inizi, al di là delle inevitabili critiche di questa fase, si tratta comunque di un’iniziativa da seguire con particolare attenzione.
Via | Polimerica.it
Foto | Flickr
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2 nuovi elementi per la tavola periodica 07.06.2011
Benvenuti flerovio e moscovio. Ecco i nuovi atomi superpesanti che sono entrati ufficialmente nella tavola di Mendeleev
di Tiziana Moriconi
Da oggi, gli studenti di tutte le scuole avranno due nomi in più da memorizzare, quando si confronteranno con l’abc della chimica. A 10 anni dalla loro scoperta, infatti, fanno il loro ingresso nella tavola periodica degli elementi due nuovi atomi superpesanti, nelle caselle 114 e il 116. L’ Unione Internazionale di Chimica Pura ed Applicata (Iupac) e l’ Unione Internazionale di Fisica Pura ed Applicata (Iupap), infatti, hanno appena sciolto le loro ultime riserve e reso ufficiale l’entrata di questi due nuovi elementi nel regno di Mendeleev.
Il peso atomico (cioè di protoni e neutroni all’interno del nucleo) delle due new entry è, rispettivamente, 289 e 292. Li precedono il roentgenio (numero atomico 111, peso atomico 272) e il copernicio ( numero atomico 112 e peso atomico 285), l’ultimo ad essere stato riconosciuto, nel 2009.
Essendo superpesanti, i due elementi sono altamente instabili (radioattivi) e decadono velocemente, perdendo particelle alfa. Il 116 diventa 114 in meno di un secondo, e questo a sua volta decade nel copernicio. Questo il motivo per cui sono serviti più di dieci anni per la raccolta delle prove sulla loro esistenza, e tre anni per la revisione di tutti i dati. Ad accumulare evidenze hanno cominciato i russi e gli americani, nel lontano 1999. Bombardando il plutonio 244 (cioè con 244 protoni e neutroni) con il calcio 48, i fisici erano riusciti a creare un atomo con un nucleo di 292 protoni e neutroni (244 + 48): era il 116. Questo decadde però immediatamente in un elemento con 289 protoni e neutroni: così, in un colpo solo, ecco anche il 114.
Ricevuto il riconoscimento della comunità scientifica, ai due manca però ancora il nome; provvisoriamente si chiamano ununquadium e ununhexium. I papà russi hanno proposto flerovio per il 114, in onore del suo scopritore sovietico Georgy Flyorov, e moscovio per il 116, in onore della Oblast di Mosca.
Per la cronaca, sono attualmente in attesa di essere riconosciuti come legittimi altri tre elementi: 113, 115 e 118. Chissà che nel 2011, Anno internazionale della chimica, non entreranno anche loro nella tavola periodica.
http://daily.wired.it/news/scienza/2011/06/07/nuovi-elementi-tavola-periodica.html
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Liquidazione danno biologico: le tabelle milanesi costituiscono parametro uniforme per tutta l’Italia 08.06.2011
Le tabelle milanesi, per il risarcimento del danno non patrimoniale, devono essere applicate su tutto il territorio nazionale: è questo, in sintesi, il contenuto della sentenza del 7 giugno 2011 n. 12408 estesa dalla terza sezione civile della Corte di cassazione.
I valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano “costituiranno d’ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi equo, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità”.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, dunque, poiché l’equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell’integrità psico- fisica presuppone l’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto.
La Corte ha, tuttavia, chiarito che l’aver assunto la tabella milanese a parametro in linea generale attestante la conformità della liquidazione equitativa del danno non comporterà automaticamente «la ricorribilità in Cassazione, per violazione di legge, delle sentenze di appello che abbiano liquidato il danno in base a diverse tabelle per il solo fatto che non sia stata applicata la tabella di Milano e che la liquidazione sarebbe stata di maggiore entità se fosse stata effettuata sulla base dei valori da quella indicati. Perché il ricorso non sia dichiarato inammissibile per la novità della questione posta, non sarà sufficiente che in appello sia stata prospettata l’inadeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice, ma occorrerà che il ricorrente si sia specificamente doluto in secondo grado, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano. La violazione della regola iuris potrà essere fatta valere in sede di legittimità ex art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la questione sia stata specificamente posta nel giudizio di merito”. (Biancamaria Consales)
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Usa in Default tecnico?? 08.06.2011
L’ipotesi che un ‘breve’ default Usa sia un prezzo accettabile se coincide con un miglior controllo della spesa da parte della Casa Bianca, un tempo presa in considerazione soltanto da un’esigua minoranza, sta prendendo piede in seno alla corrente di maggioranza del partito repubblicano.
Un crescente numero di esponenti repubblicani non pare disposto a credere alle previsioni dell’amministrazione Obama, che parlano di “catastrofe” economica in caso non venga innalzato per legge il tetto sul debito pubblico. Un periodo di default tecnico, si sostiene, può essere gestito senza precipitare i mercati nel caos.
Esponenti dell’establishment repubblicano tra cui Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota candidatosi il mese scorso alla presidenza, sono faverevoli a un default di breve durata in caso comporti immediati e più radicali tagli alla spesa pubblica.
Jeff Sessions e Paul Ryan, i due massimi esponenti del partito alla commissioni bilancio di Camera e Senato, sono anch’essi del parere che un mancato innalzamento del limite sul debito non innescherebbe immediatamente una catastrofe economica.
L’ipotesi di permettere un breve default tecnico sembra però spaventare la maggioranza degli investitori esteri, tra cui la Cina in qualità di primo creditore Usa.
Non sono favorevoli all’idea nemmeno molti degli osservatori di Wall Street, secondo cui anche il più breve dei default causerebbe una brusca impennata dei rendimenti a livello mondiale e un forte deprezzamento del dollaro, che potrebbe far tornare gli Stati Uniti alla recessione e dare origine a sconvolgimenti dei mercati del calibro del collasso di Lehman Bros.
Dott Fabio Troglia
fabio.troglia@gmail.com
http://www.lamiaeconomia.com
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