Volare tagliando i costi e le emissioni
Aerei più ecologici, più economici e meno inquinanti. Questo è l’impegno della ricerca aeronautica, spinta sia dalle oscillazioni dei prezzi dei carburanti, sia dall’inquinamento da questi generato (3,16 tonnellate di anidride carbonica per ogni tonnellata di carburante). E riuscire a tagliare i consumi degli aeroplani del 20% senza inventare nulla, ma sfruttando al meglio un principio della fisica, è sicuramente un risultato notevole.
Lo ha raggiunto una ricerca finanziata dall’Engineering and Physical Sciences Research Council (EPSRC) e da Airbus e sostenuta anche da EADS Innovation Works; ricerca che ha coinvolto numerosi scienziati a Cardiff, Imperial, Sheffield, e la Queen’s University di Belfast. Ma è stato un gruppo di ricercatori guidati da Duncan Lockerby dell’Università di Warwick, a realizzare un prototipo d’ala di aereo in grado di ri-direzionare i flussi di aria in modo da ridurre l’attrito, e quindi il consumo di carburante.
Troppo bello per essere vero? Ecco, allora, una prova empirica: se si prova a soffiare delicatamente sull’imboccatura di una bottiglia si produce un suono dovuto alla vibrazione dell’aria in entrata e in uscita dal contenitore. Nella scienza che studia la dinamica dei fluidi questo effetto si chiama principio di risonanza di Helmholtz e spiega che quando dell’aria in eccesso viene forzata attraverso una cavità, la pressione all’interno della stessa aumenta: quando la forza esterna che causa la forzatura dell’aria cessa, l’aria tende a fuoriuscire dallo stesso punto da cui era entrata. A questo principio noto a tutti, anche a chi non ha mai studiato fisica, si è ispirata l’equipe britannica, dotando l’ala di numerosi piccoli ugelli, dispositivi che, applicati alla parte terminale di un condotto, aumentano la velocità del flusso di uscita.
“Vicino alla superficie dell’ala sono presenti numerose turbolenze che generano gran parte dell’attrito che contribuisce al consumo di carburante”, spiega Lockerby: “Questi piccoli dispositivi convogliano l’aria perpendicolarmente alla direzione del moto. Il sistema a micro-jet le riduce, aumentando quindi l’aerodinamicità dell’aeroplano, in teoria anche del 40 per cento”.
Ispirati anche dall’impegno assunto dal Regno Unito, che ha annunciato che entro il 2020 ridurrà del 50% le emissioni di ciascun passeggero per kilometro, i ricercatori prevedono che le nuovi ali saranno pronte per il collaudo entro il 2012.
Secondo gli studiosi inoltre, in futuro la stessa tecnologia potrà essere applicata anche agli altri mezzi di trasporto come automobili, treni e navi
Fonte: EPSRC: Engineering and Physical Sciences Research Council
Qui: http://www.scienzaegoverno.org/n/062/062_01.htm
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Celle fotovoltaiche come fiori di loto
È noto che le foglie della pianta acquatica del fior di loto sono idrorepellenti, ossia in grado di respingere l’acqua che cade su di esse, che tende a formare delle gocce che scivolano molto facilmente sulla superficie, quasi rotolando via. Caratteristica che rende il fiore del loto simbolo di purezza e al centro di mille altri interessi filosofici, proprio perché – protetto da tali foglie – affiora candido da acque anche fangose.
Nel 1982 il botanico tedesco Willhelm Barthlott ha scoperto perché: la superficie delle foglie del loto è caratterizzata da una tessitura di microscopiche protuberanze dell’altezza di alcuni micron per cui le gocce entrano in contatto solo con la sommità di queste microasperità e non bagnano le foglie: configurazione che facilita lo scorrimento delle gocce e consente anche una più facile rimozione delle particelle di sporcizia che si depositano su di esse.
A queste conoscenze si è ispirato un gruppo di ricercatori americani della National Science Foundation (NSF) e dal National Electric Energy Testing Research and Applications Center (NEETRAC) che, nel corso di Spring 2009 – National Meeting of the American Chemical Society svoltosi a Salt Lake City, ha reso noto l’esito di una icerca sulla produzione di celle fotovoltaiche.
Secondo la ricerca, le caratteristiche della superficie delle celle fotovoltaiche farebbero aumentare l’assorbimento dei raggi solari sia intrappolando la luce nella sua struttura tridimensionale, sia grazie alla pulizia automatica della superficie stessa, che sfrutta l’azione della pioggia per allontanare polvere e sporcizia che altrimenti si accumulerebbero sulle celle.
Proprio in virtù di queste caratteristiche, che permettono una maggiore efficienza della cella, lavorando con le nanotecnologie e trattando chimicamente lo strato finale di silicio, i ricercatori hanno imitato la struttura e le caratteristiche intrinseche delle foglie del fior di loto. La cella fotovoltaica in questione, detta cella “superidrofobica”, accoglie le caratteristiche delle foglie di loto, ruvide in superficie in due diversi ordini di grandezza e a livelli sovrapposti. Questa conformazione crea una rete superficiale con angoli di contatto differenti che permette di allontanare il più velocemente possibile l’acqua dalla loro superficie dopo averla raccolta in punti precisi. L’acqua, scorrendo, trascina con sé la sporcizia accumulata: questo effetto, ricreato per il silicio, mantiene pulito l’ultimo strato della cella. La rugosità della superficie, generata attraverso micro e nano strutture, riduce al minimo il contatto tra la superficie della cella e la polvere che vi si accumula.
Le simulazioni finora condotte indicano che, con questa particolare struttura della superficie, l’efficienza finale delle celle potrebbe essere aumentata fino al 2%.
A livello tecnico, la preparazione della superficie superidrofobica inizia con l’incisione chimica del silicio con una soluzione di idrossido di potassio (KOH) e la creazione di una struttura superficiale a microcristalli piramidali.
Con i successivi processi: applicazione di particelle d’oro nanometriche, che catalizzano l’azione di una soluzione di fuoruro di idrogeno (HF) e di perossido di idrogeno (H2O2), rimozione dell’oro, ricopertura della superficie con un fluorocarburo, si ottiene una superficie con struttura nanometrica a doppio effetto.
La combinazione di una superficie autopulente e ad alto assorbimento luminoso amplifica l’efficienza della cella di silicio colpita dalla radiazione solare. In una cella con una struttura di questo tipo la riflessione viene ridotta a meno del 5%, permettendo lo sfruttamento dell’energia solare anche in zone della Terra con condizioni ambientali sfavorevoli e lontane di fonti convenzionali di energia.
Come succede spesso per questo tipo di tecnologie d’avanguardia, l’ostacolo principale alla loro diffusione è legato al costo della “riproducibilità” dell’elemento, alla sua durata e alla sua redditività. La ridotta dimensione delle celle superidrofobiche, infatti, le rende molto fragili soprattutto durante la fase di incisione meccanica, che è anche la fase più costosa del processo.
Fonti: Georgia Institute of Technology
Qui: http://www.scienzaegoverno.org/n/062/062_02.htm
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Tre crisi legate fra loro
Di GILLES KEPEL, 05.06.09
Tre assi di crisi strutturano il Medio Oriente contemporaneo: il Levante, con il conflitto israelo-palestinese e le sue propaggini libano-siriane; il Golfo Persico, con gli idrocarburi e gli antagonismi irano-arabi e sunniti-sciiti; la zona AfPak (Afghanistan-Pakistan), dove l’aumento di potere dei taleban minaccia sia le truppe Nato in Afghanistan sia la coesione dello Stato pakistano. Questi tre assi hanno ognuno la sua logica, ma sono anche fortemente intrecciati, ed è questo che costituisce l’identità del Medio Oriente come oggetto problematico complesso del sistema internazionale. Quando il presidente Obama si rivolge al mondo musulmano dal Cairo o il presidente Sarkozy inaugura una base navale francese a Abu Dhabi, è l’intera posta in gioco che va presa in considerazione.
L’asse di crisi del Levante è caratterizzato innanzitutto dal doppio blocco israeliano e palestinese.
Il governo Netanyahu rifiuta sia la soluzione dei due Stati sia il congelamento degli insediamenti nei Territori occupati. I palestinesi sono divisi tra Fatah, che governa la parte di Giordania non colonizzata dagli israeliani, e Hamas, che controlla l’intera Striscia di Gaza, ormai devastata. Hamas si rifiuta di riconoscere Israele ma è pronto a far parte di una Olp incaricata di negoziare con lo Stato ebraico. I dirigenti delle due fazioni palestinesi sono così indeboliti che Egitto e Arabia Saudita da un lato, Siria, Qatar e Iran dall’altro si danno battaglia per allungare la loro influenza su di esse. Accade così anche con l’elemento libanese di questo asse di crisi. Il Libano, il cui destino è legato all’evoluzione della situazione in Israele – come ha dimostrato la «guerra dei 33 giorni» dell’estate 2006 – è più che mai attento all’Iran, che sostiene Hezbollah, il più potente partito libanese.
Continua qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6035&ID_sezione=&sezione=
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Cuba riammessa all’OSA. Gli Stati Uniti abbassano la testa 05.06.09
Dopo 47 anni l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA, OEA in spagnolo) ha cancellato all’unanimità e senza condizioni la risoluzione imposta dagli Stati Uniti che escludeva Cuba dalle strutture comunitarie continentali. E’ successo nel vertice in Honduras e nelle dichiarazioni di tutti i governanti è la riparazione ad una ingiustizia storica perpetrata dall’OSA contro Cuba e la sanzione che la politica latinoamericana non è più dettata dalla corruzione, i ricatti, le minacce del cosiddetto “Consenso di Washington”.
Il presidente hondureño Manuel Zelaya, nel discorso nella località di San Pedro Sula, col quale con parole inaudite è stata seppellita la risoluzione del 1962 che escludeva Cuba, in presenza di una Hillary Clinton che poteva solo fare buon viso, si è rivolto direttamente a Fidel Castro citando la storica arringa difensiva di questo del 1953: “lo dico al comandante Fidel Castro, oggi lei è stato assolto dalla storia”.
Continua qui: http://www.gennarocarotenuto.it/8268-cuba-riammessa-allosa-gli-stati-uniti-abbassano-la-testa/
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Rifiuti: la dissociazione molecolare
La tecnologia della dissociazione molecolare dei rifiuti esclude la trasformazione dei metalli, che quindi sono recuperati dopo il trattamento esattamente come sono stati immessi.
La stessa tecnologia, lavorando a basse temperature, esclude la formazione di diossine, e non trasporta le polveri insieme ai fumi.
Infatti, l’emissione di polveri è inferiore di 100 volte rispetto agli inceneritori, mentre non si misura alcuna diossina!
Tutti gli altri inquinanti, come i composti dello zolfo, gli ossidi di azoto, il velenoso monossido di carbonio, diminuiscono alla metà o a un terzo, mentre i metalli pesanti si riducono di 50 volte.
Nello stesso tempo, l’impianto di dissociazione molecolare dei rifiuti trasforma in energia ben il 97% della sostanza organica, contro il 70% scarso degli inceneritori: si tratta di una tecnologia molto più efficiente!
Il gas sintetico, o syngas, prodotto dall’impianto, può essere ovviamente utilizzato direttamente per produrre energia, ma anche dissociato ulteriormente per produrre idrogeno (INFORMAZIONI TECNICHE SULL’IDROGENO DA SYNGAS E MOLTO ALTRO (nota: era presente un link non funzionante, posto questo da wikipedia, l’enciclopedia libera: syngas): una opportunità straordinaria!!!
La dissociazione molecolare dei rifiuti è quindi una tecnologia, dimostrata dalla operatività in situazioni reali, estremamente efficiente, affidabile, flessibile e adattabile alle diverse esigenze, compatibile con la massima raccolta differenziata e il recupero della più elevata frazione dei manufatti e dei materiali, in grado di eliminare tutti gli impatti ambientali negativi prodotti dall’incenerimento dei rifiuti.
Rimanendo la priorità quella di massimizzare la raccolta differenziata, perché recuperare i materiali è comunque più importante ed economico che produrre energia, è stato finalmente dimostrato senza dubbio e riserva che esistono tecnologie perfettamente funzionanti in grado di superare l’incenerimento dei rifiuti, che funzionano anche in piccole unità e quindi non richiedono il trasporto di rifiuti a lunga distanza, amici dell’ambiente, della salute, e delle tasche dei cittadini.
Qui: http://www.ecquologia.it/sito/pag1098.map
Su wikipedia, l’enciclopedia libera :
http://it.wikipedia.org/wiki/Dissociazione_molecolare
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Nigeria, Shell paga 15,5 milioni per l’omicidio di Ken Saro Wiwa
Davanti a un tribunale di New York la compagnia petrolifera Shell ha accettato di pagare 15,5 milioni di dollari per porre fine al contenzioso legato all’impiccagione nel 1995 dello scrittore ecologista nigeriano Ken Saro-Wiva. Soddisfatti i familiari
Davanti a un tribunale di New York la compagnia petrolifera Shell ha accettato di pagare 15,5 milioni di dollari per porre fine al contenzioso legato all’impiccagione nel 1995 dello scrittore ecologista nigeriano Ken Saro-Wiva e di altri attivisti. L’esponente ecologista, fondatore del Movimento per la sopravvivenza dei Paesi d’Ogon, con una serie di manifestazioni non violente era riuscito nel 1995 a interrompere le attività della Shell nel sud della Nigeria, accusando la compagnia di aver inquinato intere zone.
Un gruppo di vittime dell’ex regime militare nigeriano, tra cui il figlio di Saro-Wiva, aveva denunciato la complicità di Shell con il governo dell’allora presidente Sani Abacha nella morte dello scrittore. Per questo si erano rivolti alla giustizia americana, e sulla vicenda si erano tenute numerose udienze. I legali delle vittime hanno reso noto ieri che “è stato trovato un accordo per il contenzioso con la Shell”. Uno dei legali delle famiglie Ogoni, Paul Hoffman, ha affermato che 5 milioni di andranno in un trust a beneficio del popolo Ogoni. Il resto del denaro andrà agli avvocati e alle famiglie delle vittime.
Continua qui:
http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=11124&contenuto=Notizia
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Tratto da http://www.movisol.org
LaRouche ammonisce Russia e Cina sulle conseguenze di un abbandono del dollaro
In una dichiarazione d’emergenza registrata il 6 giugno, Lyndon LaRouche ha ammonito Russia e Cina a non intraprendere azioni contro il dollaro, azioni che i due paesi potrebbero essere tentati di fare sotto influenza britannica, percependole come qualcosa che va nel proprio interesse immediato. “Se ci fossero pressioni russe sulla Cina per rompere col dollaro, e se la Cina accettasse, ci sarebbe un crollo immediato del funzionamento del governo federale USA e degli stati americani. E naturalmente, una catastrofe in tutta Europa”, ha detto LaRouche.
“Attualmente non c’è nessuno, in posizione, per affrontare questo problema”, ha sottolineato, “a meno che io non sia sul ponte di comando a dirigere”. So come affrontare il problema, come ho specificato. Nessuno dei personaggi attualmente in controllo della politica finanziaria ed economica degli USA è competente. Certo, ci sono persone competenti nei meandri del governo USA, ma non sono al comando, non fanno la politica. C’è una situazione simile, persino peggiore in qualche aspetto, in Europa centrale e occidentale”, dove le nazioni “non hanno l’autorità istituzionale o le altre competenze richieste. Il sistema britannico è caotico e una crisi in Inghilterra può essere fatale”.
Occorre cancellare la politica sanitaria demolitrice di Obama (cfr. sotto) e “occorre muoversi verso una riorganizzazione di emergenza, stabilire accordi di emergenza con vari governi nel mondo, mettere l’intero sistema mondiale, da un giorno all’altro, sotto un regime molto simile a quello che fu deciso il 1 marzo 1968”, quando il governo USA decise il doppio sportello per il prezzo dell’oro: “decidere repentinamente un accordo che congeli i pagamenti in certe categorie di titoli finanziari, creando nuovi veicoli di credito a lungo termine tramite accordi internazionali, che ci permetteranno di ribaltare immediatamente la tendenza verso la disoccupazione di massa e la riduzione della produzione agricola e industriale, e delle infrastrutture ad essa collegate, negli Stati Uniti, in Europa e altrove”.
“Si possono intraprendere azioni di emergenza di quel tipo. Richiedono un accordo immediato tra certe nazioni, almeno un numero significativo di nazioni importanti che, se lo vogliono, possono stipulare un accordo entro 24 o 48 ore di negoziati. Io so quali misure funzioneranno e so anche dove trovare le persone, in vari governi, che sanno come mettere in atto tali misure”.
LaRouche ha criticato lo stato mentale dei leader di governo, dei parlamentari e della popolazione in genere, che non vogliono affrontare la realtà di “una crisi da collasso generale dei sistemi finanziario-monetario e fisico-economico dell’intero pianeta”, per cui non esiste precedente nella storia conosciuta. Purtuttavia, “poiché il problema è in gran parte solo il denaro, e poiché, se creiamo un nuovo sistema creditizio che sostituisca quello attualmente fallito, allora possiamo impedire un collasso fisico, in termini dell’economia mondiale”. Ancora una volta, LaRouche ha asserito la necessità che egli si trovi in una posizione di leadership perché una tale politica riesca.
Che cosa suggerisce il risultato delle elezioni europee
Contrariamente alla propaganda pubblica, se il Trattato di Lisbona entrerà in vigore, il Parlamento Europeo eletto il 6-7 giugno non avrà più potere di quello che avevano gli organi consultivi nel XVIII secolo, ai tempi delle monarchie assolute. La bassissima affluenza alle urne, il 43% di media, riflette la saggia sfiducia popolare nei confronti delle istituzioni UE. Come ha osservato un commentatore svedese, se fossero state elezioni dell’Unione Africana invece dell’Unione Europea, con un’affluenza così bassa i paesi occidentali non le avrebbero riconosciute come una consultazione democratica.
Uno degli aspetti significativi del risultato è la sconfitta del Labour Party britannico e della sinistra laburista in genere negli altri paesi. Al grande travaso di voti degli operai sindacalizzati ha corrisposto l’ascesa dei partiti conservatori, tre dei quali (i britannici, l’ODS ceco e il PiS polacco), usciranno dal gruppo del Partito Popolare e formeranno il proprio gruppo. Un risultato decisamente preoccupante è la crescita dei Verdi, specialmente in Francia e Germania, e di partiti di destra xenofobi come il BNP in Gran Bretagna, il PVV in Olanda e lo Jobbik ungherese.
Il Parlamento Europeo non ha sovranità assoluta, come i parlamenti nazionali democratici. Anche se il 70% delle leggi nazionali sono applicazione di quelle europee, queste sono nella stragrande maggioranza emanazione della Commissione, vero esecutivo e legislativo dell’Eurosistema. Sotto il Trattato di Lisbona, il Parlamento Europeo è associato al potere legislativo della Commissione, ma in un ruolo di fatto consultivo. Nella legislazione ordinaria, cambiare le leggi, i regolamenti e le direttive della Commissione è formalmente possibile ma di difficile attuazione.
I risultati elettorali hanno comunque indicato una tendenza al cambiamento politico in numerosi paesi europei.
Si prevede che nei prossimi giorni i traballanti governi inglese e irlandese cadano o per dimissioni o per voto di sfiducia. Un futuro governo Tory in Gran Bretagna farà sfoggio di retorica anti-europea e cercherà di ostacolare ancora più decisamente le politiche UE ogni volta che queste minaccino la posizione di Londra come principale centro finanziario europeo. Questo significa monetarismo e assoluta priorità agli interessi bancari a danno degli interessi delle masse popolari e del sociale. La sconfitta dei socialdemocratici rafforzerà la stessa tendenza anche in Germania, dove si prevede che la SPD non sarà al governo dopo le elezioni politiche del 27 settembre.
Il risultato in Irlanda, dove il partito di governo Fianna Fail ha subìto la più grave sconfitta da 80 anni, dovrebbe essere un chiaro avvertimento per coloro che sono a favore di un secondo referendum sul Trattato di Lisbona. In contrasto con la tendenza generale, i laburisti hanno guadagnato seggi in Irlanda, confermando la forte opposizione al Trattato già evidente nella manifestazione antigovernativa che alcune settimane fa ha raccolto 120.000 lavoratori nelle strade di Dublino. Un secondo referendum, per cui non è ancora stata fissata una data, risulterebbe in un “no” al Trattato ancora più forte.
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09.06.09
Massacro in Amazzonia, perché gli indigeni del Perù ci riguardano
È finora di una quarantina di morti e di centinaia di feriti il bilancio dell’uso della forza da parte del governo peruviano di Alan García, uno degli ultimi in America latina che al consenso degli elettori continua ad anteporre, come se fossimo ancora nei decenni neri di fine XX secolo, quello di Washington.
Il conflitto tra gli indigeni dell’Amazzonia e il governo di Lima (del quale demmo conto qui e qui) ha avuto così lo sviluppo più sanguinoso possibile che in queste ore sta provocando una vera e propria caccia all’uomo con almeno uno dei dirigenti indigeni più in vista, Alberto Pizango (nella foto), costretto a chiedere asilo politico in Nicaragua. Non poteva averne altro che questo in un paese come il Perù, tra gli ultimi ad essere retto da un governo ortodossamente neoliberale e che si è legato mani e piedi firmando un trattato di libero commercio all’origine dell’attuale crisi.
Continua qui:
http://www.giannimina-latinoamerica.it/visualizzaNotizia.php?idnotizia=244
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Poco a poco stanno obbligandoci a chiudere l’Università
Come nella Cacania, l’Austria di fine impero di Robert Musil de “l’uomo senza qualità”, stiamo spegnendo le luci e chiudendo il paese. Vogliono farci credere che sia più grande di quello che ci possiamo permettere. Succede con piccole decisioni, apparentemente inevitabili e neutrali. La mia Università dal primo luglio organizzerà la propria attività su cinque giorni lavorativi e non più su sei. Ci saranno deroghe fino a fine anno ma poi basta, tutto dovrà succedere dal lunedì al venerdì.
Riscaldare, illuminare e tenere aperte le sedi un giorno in meno è stato considerato tra i risparmi possibili quello meno doloroso in un contesto dove i fondi ordinari si riducono a precipizio. Alle sedi locali, nel falso rispetto della loro autonomia, non resta che arrovellarsi e adeguarsi ai tagli di un governo e di un ministro, Mariastella Gelmini, che considera l’educazione pubblica e la ricerca uno spreco e non un investimento.
Non discuto la decisione locale, se non questa sarebbe stata un’altra, e so che in amministrazione non dormono per trovare come aggiustarsi in un contesto nel quale è come se stessimo pescando sul fondo di un serbatoio ormai vuoto. Da vent’anni si taglia e tra i paesi OCSE siamo gli ultimissimi per PIL investito (pardon, sprecato) in Università e ricerca. Non so com’era e se c’è mai stata una Università delle vacche grasse, ma poi non lamentatevi se il paese non è competitivo, se non innova, se i professionisti sono sempre più approssimativi.
Le sedi che accorciano di un giorno la loro settimana lavorativa mi colpiscono e non soltanto perché vado quasi sempre a lavorare in dipartimento anche di sabato. Penso agli studenti stranieri che arrivano per il progetto Erasmus e dai quali, ci è stato spiegato, dipendono così ingenti fondi che per attrarli è bene attrezzarsi a far loro lezione in inglese. Faremo lezione in inglese, non è un problema, ma quanto saremo appetibili se per due giorni su sette non potranno andare in biblioteca e forse neanche potranno controllare l’email? Penso all’alta formazione, quella permanente che dovrebbe essere il futuro per rinnovare il paese, ai Master, che essendo rivolti a lavoratori, sfruttano il sabato mattina per le lezioni.
La mia è una Università virtuosa, di quelle con i conti in regola. In teoria potrebbe perfino assumere nuovo personale ma sembra che tutti gli sforzi siano inutili e che il futuro dell’educazione universitaria voglia per scelta politica prescindere dal merito, dal virtuosismo costantemente evocato dalla ministro nelle interviste preconfezionate e negato nei fatti e concentrarsi in poche sedi, grandi, possibilmente al Nord. Sembra ieri che la Confindustria chiedeva 200 università pubbliche per radicarsi sulle esigenze del territorio. Il ministero applica un costante mobbing sulle sedi. Più queste si mettono in regola, controllano la qualità, più arrivano nuove angherie, vessazioni, demansionamenti.
Eppure vedo quello che succede ogni volta che arriva un nuovo ricercatore: una boccata di aria fresca, idee nuove, entusiasmo, voglia di fare. Sento che ci abbiano fatto tutti entrare in una camera a gas proprio per privarci dell’aria fresca, delle idee nuove, dell’entusiasmo, della voglia di fare. In qualche modo ci organizzeremo, mi dico, ma causa angustia questo ennesimo segnale. Lavorerò mai in una Università e un paese che crescono? Dove ci siano mezzi per far ricerca e produrre cultura e ci sia spazio, secondo il dettato costituzionale, per i giovani capaci e meritevoli? Una Università dove gli spazi, i tempi, le opportunità aumentino invece di diminuire? Comincio a temere di no.
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Roma – Un essere umano ha bisogno di bere acqua in quantità copiose e costanti pena la disidratazione dell’organismo e la morte, ma l’acqua è presente in quantità microscopiche anche nell’aria, persino nei deserti più aridi del pianeta come quello di Atacama. Quell’acqua diluita nell’aria si può raccogliere e convertire in acqua potabile, dicono ora i ricercatori, che avrebbero trasformato in realtà una visione già da tempo evocata nel classico della fantascienza di Frank Herbert: Dune.
L’avanzamento tecnologico è frutto del lavoro dei ricercatori del Fraunhofer Institute for Interfacial Engineering and Biotechnology IGB di Stoccarda, che assieme ai colleghi della società Logos Innovationen hanno sviluppato una struttura a torre completamente autosufficiente, capace di sfruttare fonti energetiche rinnovabili come collettori del calore solare e cellule fotovoltaiche per sostenere il processo di conversione della pura aria in acqua potabile.
Il funzionamento della struttura è presto spiegato: una soluzione salina igroscopica (capace cioè di assorbire l’umidità nell’aria) scorre giù per la torre catturando le particelle di acqua dissolte nell’aria, venendo poi risucchiata in una cisterna a pochi metri dal suolo. L’energia catturata dai collettori solari riscalda la soluzione, già diluita dall’acqua assorbita in precedenza, e fa evaporare l’acqua non salina che viene infine incanalata in una tubazione mentre la soluzione ritorna al punto di partenza del processo, sulla sommità della torre.
Grazie alla sua completa indipendenza da una qualsiasi rete elettrica permanente, sottolineano i ricercatori di Stoccarda, la torre igroscopica è perfettamente adatta per essere costruita nelle zone desertiche dove il bisogno di acqua è direttamente proporzionale alla perenne scarsità di fonti di approvvigionamento.
“Si tratta di un’idea adatta a installazioni di varie dimensioni”, dice Siegfried Egner dell’IGB, “da unità per singole persone a impianti capaci di fornire acqua a interi hotel”. I prototipi sin qui sviluppati comprendono sia il sistema di assorbimento dell’umidità che quello di evaporazione dell’acqua: quello che ora intendono fare i ricercatori è uscire dai laboratori per costruire un impianto dimostrativo completo.
Alfonso Maruccia
Qui http://punto-informatico.it/2641356/PI/News/si-puo-estrarre-acqua-dal-deserto.aspx
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Haneke e il “male oscuro” dell’Europa
Di Giuliano Garavini, 11 giugno 2009
Il film del regista austriaco, che uscirà nelle sale italiane distribuito dalla Lucky Red in autunno è un’opera tutta intesa a ricercare le origini del male europeo che sembra a lui annunciarsi nella Grande guerra e poi nella disposizione al male di una generazione corrotta, disponibile a subire il fascino di fascismo e nazismo. Un’opera difficile, che però parla direttamente all’oggi: con la crisi economica e la crisi dell’interazione europea: aleggia lo spettro di una disoccupazione continentale attorno al 10 per cento, della guerra fra poveri che prende di mira i più indifesi e diversi, in primo luogo gli immigrati. La prospettiva di vita per i nostri giovani è tutto tranne che chiara, educati all’edonismo più superficiale ed insieme al passivo piegare la testa nei luoghi di lavoro. In Europea dell’Est il ricongiungimento con l’Occidente ha fatto rinascere religiosità estreme e organizzazioni neofasciste
Recente vincitore della Palma d’Oro al festival del cinema di Cannes, il film di Michael Haneke “il nastro bianco” è un’opera misurata dall’ambizione smisurata. Per uno storico europeo essa richiama alla mente le ammonizioni di Marc Bloch a temere “l’idolo delle origini”: quel feticcio alla ricerca del quale viene sacrificata ogni narrazione, complessità e scampolo di umanità. E Haneke crea un’opera tutta intesa a ricercare le origini del male europeo che sembra a lui annunciarsi nella Grande guerra e poi nella disposizione al male di una generazione corrotta, disponibile a subire il fascino di fascismo e nazismo.
Sono tempi di crisi questi per l’integrazione europea e per la sua economia. Aleggia lo spettro di una disoccupazione continentale attorno al 10 per cento, della guerra fra poveri che prende di mira i più indifesi e diversi, in primo luogo gli immigrati. La prospettiva di vita per i nostri giovani è tutto tranne che chiara, educati all’edonismo più superficiale ed insieme al passivo piegare la testa nei luoghi di lavoro. In Europea dell’Est il ricongiungimento con l’Occidente ha fatto rinascere religiosità estreme e organizzazioni neofasciste.
Per tutte queste ragioni ed altre ancora il film del regista austriaco, che uscirà nelle sale italiane distribuito dalla Lucky Red, parla direttamente all’oggi. Ci troviamo in un villaggio agricolo della Germania protestante in un anno, quello fra il 1913 e il 1914, sul quale incombe la minaccia di qualcosa. La religione, il rispetto per i parenti e per le classi sociali superiori sembra l’amalgama che serra un mondo di contadini, maestri di scuola, medici, preti e baroni e che dà la forza di raccogliere e macinare grano dal quale tutta la comunità sembra trarre alimento. Il villaggio è bello ma non incantato. Con il proseguire della narrazione accadono una serie di eventi macabri, giochi sempre più crudeli, sanguinosi e infine mortali, che espellono dal villaggio le pochissime forze positive che vi risiedono. La società è ordinata ma malata.
I contadini più deboli soccombono senza sapersi organizzare. La comunità paesana, superato il trauma della Grande guerra che non offre alcuna speranza né cambia alcunché, viene lasciata in preda alla sua gioventù, incolpevole se non del fatto di assorbire più degli altri la malvagità e la
corruzione dell’aria che si respira.
Non è un film per tutti, nel senso che il suo linguaggio è quello della raffinata e apolide comunità di laureati. Non ha niente dell’ottimismo di un’altra epopea rurale che è quella raffigurata da Bertolucci in “Novecento”, l’Emilia Romagna a cavallo della seconda guerra mondiale. D’altronde “Novecento” era stato scritto e diretto con un Partito comunista al 35 per cento dei consensi e con Grecia, Spagna e Portogallo che si liberavano dai regimi autoritari: gli anni Settanta sembravano annunciare liberazione e non schiavitù. Non c’è ironia in Haneke e non c’è colore. Tutto, dai dialoghi alle istantanee di una pianura di grano e alberi, sono un bellissimo bianco e nero che
allo stesso tempo lascia la sensazione di un’epoca lontana ma anche della fredda cattiveria scientifica della nostra età disillusa.
Haneke rientra così, che lo sappia o meno – ma è probabile che lo sappia – in un filone di storiografico prevalentemente anglosassone tesa a ricordarci come l’Europa sia il luogo della nascita dello scontro di classe, della violenza etnica, della selezione razziale e di guerre di annichilimento sempre più feroci.
Mark Mazower nel suo “The Dark Continent” (in italiano: “Le ombre dell’Europa”) ci ha spiegato come la democrazia in Europa occidentale sia stata un prodotto fragilissimo e fortemente sensibile alle sirene fasciste.
Sono tesi che, così come l’utilizzo del digitale bianco e nero, sono belle, convincenti, fascinose e colte, ma anche stranamente distanti da una realtà che non riescono pienamente ad afferrare. Se nel film l’unico elemento vagamente positivo sembra essere l’amore fra due giovani innocenti e quello fra una madre e suo figlio, quindi il bene ricondotto alla sua dimensione familistica, la storia dell’Europa, nella sue tragedie come nelle sue luminose realizzazioni, è forse soprattutto altro.
Il colore epico di Bertolucci ci ricorda come l’organizzazione sociale abbia anche permesso un miglioramento dei rapporti sociali e delle condizioni di vita, la presa diretta di “Gomorra” ci racconta che il mondo oggi è un’anarchica giungla urbana governata dal denaro o dal desiderio di potere ad esso associato. E quanto è lontano il rigido protestantesimo dalle strade polverose e caotiche di Scampia! E forse il “male oscuro” dell’Europa è proprio questa ossessione di classi dirigenti, politiche e intellettuali, di tornare sempre a fare leva, per vincere le elezioni o spiegare quello ciò che hanno intorno, su sulla paura per il diverso e l’invida per il prossimo. Una tendenza che investe in pieno gli intellettuali che, al contrario di Saviano, sembrano adagiarsi nella certezza di far parte di un sistema e di una società votata al male.
Di tutte queste riflessioni e di molte anche ancora, che non possono non affacciarsi in due ore e mezzo di corposo spettacolo, lo spettatore non potrà che essere riconoscente ad un regista coraggioso e importante.
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Sapienza: scontri per Gheddafi
(11 giugno 2009)
Il leader libico arriva all’università di Roma, protestano i ragazzi dell’Onda. Le immagini
Qui: http://tv.repubblica.it/dossier/gheddafi-roma/sapienza-scontri-per-gheddafi/33802?video
11.06.09
Visita di Gheddafi alla Sapienza. Università militarizzata. Scontri studenti Polizia.
Questa mattina il “Magnifico” Rettore Frati, in vista dell’invito fatto al leader libico Gheddafi, ha militarizzato come non accadeva da decine d’anni l’università la Sapienza, dispiegando centinaia di uomini delle forze dell’ordine tra carabinieri, poliziotti e finanzieri, blindando in maniera inaccettabile gli spazi universitari e gli ingressi delle facoltà con transenne e camionette (defender).
Oltre 200 persone fra studenti dell’Onda e delegazioni di migranti e cittadini antirazzisti, si sono dati appuntamento davanti la facoltà di Lettere per esprimere ancora una volta il proprio dissenso nei confornti di chi è complice delle morti e dei maltrattamenti dei migranti che arrivano dall’Africa verso l’Italia e chi come il nostro Rettore ha fatto un’altra volta dell’Università la propria vetrina.
Poco prima dell’arrivo del dittatore Gheddafi, gli studenti sono stati caricati dalle forze dell’ordine dopo aver accesso fumoni e aver lanciato secchi di vernice rossa e gommoni per simboleggiare il viaggio straziante che compiono i migranti verso l’Italia e i respingimenti sanguinosi nelle acque del Mediterraneo che provocano ogni anno migliaia di morti.
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08.06.09
Nuova luce per vecchie lampadine
Colpendo i filamenti di tungsteno, il bulbo a incandescenza emette quasi il doppio della radiazione luminosa, senza aumentare il consumo di energia
Le lampadine a incandescenza stanno per vivere una seconda giovinezza. Lo pensano i fisici dell’Università di Rochester, nello stato di New York, che hanno trovato il modo di aumentare enormemente l’efficienza dei cari vecchi bulbi. Irradiando i fili di tungsteno con un fascio laser ultra rapido – impulsi di un miliardesimo di secondo – si può quasi raddoppiare la luminosità della lampada senza modificarne la potenza e, quindi, il consumo di energia.Autore della scoperta è Chunlei Guo che, insieme al suo gruppo, studia l’effetto dei fasci di luce laser sui metalli. Questi, in seguito all’irraggiamento, invece che fondersi subiscono un ri-arrangiamento molecolare che ne aumenta la capacità di assorbire la radiazione termica. Guo e colleghi si sono chiesti se avvenga anche il contrario, cioè se i metalli irraggiati emettano la radiazione con la medesima efficienza con cui l’assorbono.
I ricercatori hanno allora “sparato” per un femtosecondo un raggio laser attraverso il vetro di una lampada a incandescenza, colpendo una parte del filamento in tungsteno. La parte colpita è diventata nera. Accesa la lampada, la zona annerita emetteva una luminosità considerevolmente maggiore rispetto al resto del filamento. Come riportato nell’articolo apparso su Physical Review Letters, ulteriori test hanno dimostrato che trattando l’intero filamento di una lampada da 60 watt si ha una emissione in luminosità pari a 100 watt.
“È facile intuire l’immediato potenziale commerciale del processo”, afferma Guo: “Sebbene il trattamento laser sia costoso, la produzione in massa delle lampade lo renderebbe conveniente”. Soprattutto pensando al problema delle lampade a fluorescenza, che contengono mercurio difficile da smaltire. Secondo William Stwalley docente di fisica presso l’Università del Connecticut, è importante riflettere su come la tecnologia laser possa cambiare la sorte di un oggetto, e sulle possibili applicazioni del processo nel campo dell’energia solare. (a.d.)
Qui:
http://www.galileonet.it/news/11619/nuova-luce-per-vecchie-lampadine
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14.06.09
Le interviste del blog: Boubacar Boris Diop
In questi giorni il Parlamento si sta affrettando a introdurre in Italia disposizioni ingiuste e lesive della libertà di informazione. Ma la Storia ci ha insegnato che non tutte le leggi sono meritevoli di essere applicate. A volte disobbedire è una virtù. E’ il caso di Mbaye Diagne, capitano Caschi Blu senegalesi inviato in Rwanda con la missione ONU UNAMIR durante il genocidio. Disobbediendo alle regole di ingaggio ONU che gli avrebbero proibito di intervenire e di salvare civili, salvò la vita a centinaia di persone.
Il Blog ha contattato via Skype Boubacar Boris Diop, scrittore e giornalista senegalese, per conoscere la storia del capitano Mbaye Diagne.
Testo:
“Mi chiamo Boubacar Boris Diop, sono senegalese e scrittore.
Mi sono sempre sentito coinvolto dal genocidio dei Tutsi in Rwanda al quale ho dedicato un romanzo intitolato “Murambi, il libro delle ossa” e numerosi articoli in diversi giornali e riviste. Oggi parleremo del Capitano Mbaye Diagne. E’ un argomento importante nel senso che tutti i racconti di tutti i genocidi vengono associati a immagini di orrore e di odio, mentre nei casi come quello del Capitano Mbaye Diagne abbiamo a che fare con la compassione, l’altruismo; in breve abbiamo un’altra possibilità di parlare del genocidio senza suscitare disgusto o scoramento in coloro che ci ascoltano. E dato che il Capitano Mbaye Diagne è come tutti noi un uomo ordinario, ciò che il suo ruolo nel genocidio del Rwanda ci insegna, è che ognuno di noi in fondo ha dentro di sé il meglio e il peggio.
Il capitano (senegalese n.d.t.) Mbaye Diagne è stato inviato in Rwanda nel 1993 per far parte dell’UNAMIR, la missione delle Nazioni Unite in Rwanda, e si è ritrovato nella posizione di osservatore militare, lavorando col comandante in capo, il generale canadese Romeo Dallaire. Quando è iniziato il genocidio e le truppe dell’ONU si sono ritirate… ebbene, egli ha molto semplicemente deciso di disubbidire agli ordini: ha deciso di salvare quelli che poteva. Come sapete per esempio è stato lui a salvare i figli della primo ministro Agathe (Uwilingiyimana n.d.t.) che è stata assassinata nel primo giorno del genocidio. Quindi questo vuol dire che il Capitano Mbaye Diagne fin dall’inizio, non ha aspettato, non si è posto troppe domande; fin dall’inizio ha capito che la cosa più importante non era obbedire a degli ordini ingiusti dei burocrati comodamente seduti a New York, ha capito che doveva dare ascolto prima di tutto alla propria coscienza di essere umano. Ciò che ha fatto è stato salvare un numero elevato di vite umane. Si dice che siano state decine, qualcuno dice anche seicento persone, ma il numero esatto di Tutsi che sono stati salvati dal Capitano Mbaye Diagne sarà difficile da determinare, credo.
La prima cosa importante è che il Capitano Mbaye Diagne è morto per gli altri: è morto perché non è rimasto tranquillo, perché stava compiendo una missione e lo faceva sapendo di farlo a rischio della propria vita. Ma forse una delle lezioni più importanti è la rilevanza che questo ha rispetto a tutti i genocidi. Come sapete, dopo un simile avvenimento, quando si interrogano gli assassini l’unica cosa che rispondono è “ho ricevuto degli ordini, sapevo che erano ingiusti, ma non avevo i mezzi per contestarli e li ho eseguiti. Così ho assassinato gli armeni, ho assassinato gli ebrei, ho assassinato i cambogiani o i Tutsi perché lo Stato me lo richiedeva”.
Ebbene questa logica dell’obbedienza assoluta è stata in qualche modo sconfitta sul nascere dal Capitano Mbaye Diagne, nel senso che egli ha disubbidito. Ritengo che la prima cosa, la più interessante, sia la virtù della disobbedienza. Egli ha detto: “Io non ubbidisco a questi ordini”.
La seconda cosa è che in fondo egli non ha cercato di giocare a Superman, non ha cercato di sfoderare la sua pistola e di battersi da solo contro quelli che erano ai posti di blocco a uccidere i Tutsi. Ha discusso con loro, ha negoziato con loro e con questo ci ha dimostrato che anche in questi mostri c’è una scintilla di umanità a cui si può fare appello.
Parlare coi mostri: io penso che questo… non tutti ne abbiano la capacità. Questo richiede, come dire, un grande coraggio fisico, perché questa gente era sempre drogata e ubriaca e poteva uccidere chiunque in qualsiasi momento.
Ma per me la principale lezione della storia di Mbaye Diagne è che in fondo, in modo estremamente ingiusto, si vuole fare nei media e in una certa letteratura alquanto nauseabonda bisogna dirlo… si vuol fare del Rwanda il simbolo del disastro africano, una specie di apoteosi del male e si cerca di farci credere che siccome il genocidio ha avuto luogo in Africa, è una cosa normale. C’è una specie di distorsione nella definizione di genocidio: quando avviene in Germania non è normale, è un incidente spaventoso; ma quando avviene in Rwanda, in Africa, ebbene è normale. Perché?
Perché gli africani non fanno distinzione tra la morte e la vita. Invece l’esempio di Mbaye Diagne mette al primo posto i valori della vita anziché rassegnarsi ai valori della morte.
Insomma a partire da questa tragedia, che è veramente una delle peggiori della storia dell’umanità, è bene dire ai giovani africani in particolare, che non dobbiamo rassegnarci alla morte: la morte non è fatalità e voi avete dentro di voi, come tutti gli esseri umani, il peggio e il meglio. E soprattutto ciò che Mbaye Diagne insegna è che il genocidio non è normale da nessuna parte e non lo era neanche nel Rwanda.
E per me questo è estremamente importante.”
Ps. Per maggiori informazioni sul capitano Mbaye Diagne e sul genocidio in Rwanda, potete visitare il sito dell’associazione Benerwanda.
Qui: http://www.beppegrillo.it/2009/06/le_interviste_d_4/index.html?s=n2009-06-14
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Tripoli e Roma
Gheddafi ha bisogno dell’Italia per continuare a governare la Libia
di
Arturo Varvelli
21 Maggio 2009
Gheddafi ha bisogno di noi. Sembra paradossale sostenerlo proprio quando l’Italia
sembra sottoposta ad un duplice ricatto proveniente dalla Libia: quello dell’immigrazione
e quello del petrolio. Tuttavia siamo sempre stati un partner essenziale
nello sviluppo dell’economia libica.
Se l’Italia ha da sempre avuto bisogno del greggio libico, anche il regime
di Tripoli ha necessità dell’Italia, innanzitutto come fondamentale
contribuente alla stabilità del rentier state, ossia di quella formula di
stato, come quello libico e come le economie del Golfo, che basa gran parte
delle proprie entrate sulla rendita petrolifera.
L’Italia è tuttora la prima importatrice di petrolio libico, i cui introiti
permettono a Gheddafi di distribuire questa rendita alla popolazione in
maniera diretta o attraverso la creazione di posti di lavoro pubblici, una
politica dei prezzi controllata dallo stato e un sistema di sussidi ai beni
di prima necessità. In sostanza, grazie a noi, i libici possono permettersi
di lavorare veramente poco e di avere un discreto tenore di vita.
Ma l’Italia, attraverso la propria tecnologia, è necessaria anche per il
mantenimento della capacità libica sia di estrarre il petrolio che fornisce
la rendita, sia di attuare il processo di distribuzione della stessa, che
avviene grazie alla realizzazione italiana di molte opere civili e alla
importazione di beni primari e prodotti finiti.
La stipula dell’accordo italo-libico pare un affare per entrambi i paesi.
Garantisce a Gheddafi la costruzione di opere infrastrutturali per 250
milioni di dollari annui, il miglior contributo al mantenimento del patto
sociale stabilito tacitamente con i libici. Allo stesso tempo, visto che i
fondi saranno gestiti direttamente dal governo italiano, permetterà alle
aziende di casa nostra di ottenere lavori per milioni di dollari l’anno con
la certezza – e non è cosa da poco in Libia – di essere pagati nei tempi
stabiliti. In un momento di crisi come questo i lavori in Libia si
presentano quasi come investimenti “pubblici” anti-ciclici.
Le partecipazioni libiche in ENI e nelle altre aziende italiane, compresa
quella annunciata in questi giorni in ENEL, permetteranno alla Libia di
avere quella parziale influenza nel mercato che è da sempre obiettivo dei
paesi produttori e consentirà di partecipare alla definizione di strategie
del suo principale cliente che avranno un effetto sul proprio futuro. I
fondi alimentati dalla rendita petrolifera vengono infatti impiegati
principalmente per ridurre l’impatto della volatilità delle entrate
petrolifere ma anche per garantire alle generazioni future gli stessi
potenziali di crescita attuali: la rendita da capitale dovrebbe
progressivamente sostituire la rendita petrolifera via via che si
esauriranno le riserve di idrocarburi.
Contemporaneamente, essere azionisti in società italiane è una garanzia
rispetto agli investimenti italiani in Libia in quelle aree strategiche che
sono essenziali nel processo di riforma economica avviato dal regime libico
negli ultimi anni. Gli investimenti libici in Italia si inseriscono in una
strategia più ampia orientata all’ottenimento del know-how necessario allo
sviluppo dell’economia libica.
Se quindi l’Italia ha inevitabilmente bisogno del petrolio libico, è
altrettanto vero che la Libia ha bisogno della tecnologia e dell’industria
italiana. Il trattamento privilegiato riservato all’ENI, mai nazionalizzata
a dispetto del trattamento riservato a tutte le altre compagnie negli anni
Settanta, è sempre stato la dimostrazione di ciò. L’Italia di fatto
contribuisce più di ogni altra forza alla stabilità del regime libico. Il
Colonnello lo sa e ha capito che legarsi all’Occidente e all’Italia è la
maggiore garanzia alla propria, già piuttosto lunga, sopravvivenza.
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“Statalisti” all’attacco dei “privati” è guerra di potere in Confindustria
L’ad dell’Eni Scaroni guida la rivolta: “Vogliamo contare”
(la Repubblica, sabato, 13 giugno 2009)
ROBERTO MANIA
SANTA MARGHERITA LIGURE – C’è una talpa in Confindustria. La galleria
che sta scavando serve, per ora, a conquistare territori di prestigio
(l’Assolombarda di Milano), a sfidare i piccoli industriali arrabbiati
del nord est candidandosi alla presidenza dell’Unione industriali di
Venezia, ad aprire i nuovi varchi in direzione di Brindisi e Siracusa,
dove presto si cambieranno i vertici. In mezzo c’è l’occupazione di
alcune federazioni di categoria, dai trasporti alle telecomunicazioni.
Poi si vedrà.
È l’avvio di una metamorfosi confindustriale. D’altra parte neanche il
capitalismo sa più dove andrà a finire con l’ondata di fabbriche e
banche salvate dai governi. E la talpa è proprio quella delle aziende
ancora controllate dallo Stato (Eni, Enel, Finmeccanica, in testa) o
dipendenti dalle concessioni pubbliche (Autostrade, per esempio) che
hanno deciso di non interpretare più il ruolo dei figli di un dio minore
a Viale dell’Astronomia. Lì versano i contributi e lì vogliono contare.
Almeno come gli altri.
Così, è scoppiata la guerra tra la “razza pura” dei manifatturieri
incontaminati dallo statalismo, i veri industriali insomma, da una
parte, e dall’altra i grandi gruppi, quelli privatizzati sì ma pur
sempre a maggioranza pubblica e spesso fornitori di servizi, o quelli
privati sì, ma dipendenti dalle concessioni e tenuti in vita dalle
tariffe. Dove il mercato è davvero un optional. È un conflitto per tutti
inedito e proprio per questo già scomposto. È in gioco il modello di
rappresentanza della Confindustria che oggi tiene dentro tutti (grandi,
medi, piccoli, piccolissimi) e compone, sempre più con fatica, i
conflitti di interesse (tra produttori di energia e acquirenti, per
esempio). Un modello ricco di contraddizioni se si pensa che i primi
dieci contribuenti che reggono in vita il pesante e burocratico sistema
di Confindustria sono nell’ordine: Poste italiane, Telecom, Enel, Fiat,
Ferrovie dello Stato, Eni, Finmeccanica, Gruppo Riva, Fincantieri e Rai.
Quasi tutti brand statali, qualcuno ancora circondato da più d’un alone
partitocratico. Eppure poiché in Confindustria si paga in base al numero
dei dipendenti, loro sono i principali pagatori. Ma non hanno gli stessi
diritti di voto perché al momento del loro ingresso, con lo scioglimento
dell’Intersind nella stagione delle grandi privatizzazioni, si sono
stabiliti vincoli e pure limiti per l’eleggibilità alla presidenza
nazionale. Ma la battaglia è solo cominciata.
E la battaglia si tinge anche di politica, va detto subito. Perché c’è
un nome che ritorna nei conciliaboli di questi giorni nelle sedi
confindustriali lungo la penisola: è quello di Giulio Tremonti, ministro
dell’Economia, azionista di maggioranza delle aziende partecipate. Uomo
potente e ambizioso. Che non lascia nulla al caso.
Ma andiamo con ordine. Perché c’è un fronte in cui si combatte ancora:
quello veneziano. Il fattaccio è accaduto lì, provincia secondaria
(confindustrialmente parlando) nel Veneto combattivo di Andrea Tomat. Lì
per la successione a Antonio Favrin si erano messi d’accordo Enrico
Marchi, bocconiano, presidente della Save la società che controlla
l’aeroporto Marco Polo, e Paolo Trovò, piccolo industriale che ben
incarna il ribellismo tendenzialmente leghista dell’area. Il primo
avrebbe fatto il presidente il secondo il vice esecutivo. Ma hanno
sbagliato: hanno reso noto il patto prima che i saggi comunicassero
all’assemblea l’esito della consultazione. Una violazione delle regole
che potrebbe costare a Marchi e Trovò la sanzione dell’ineleggibilità.
Precedenti di questo tipo nessuno li ricorda. Ma questa, appunto, è una
battaglia nuova.
In realtà contro Marchi si erano già schierati (con il sostegno del
leader nazionale Emma Marcegaglia e di quello locale Tomat) gli
industriali “puri” quelli che vivono di mercato, come declama la
retorica confindustriale. Mentre Marchi – riprendendo un ragionamento
generale di Antonio Costato, vicepresidente della Confindustria
nazionale e console di Marcegaglia in Veneto – fa parte di quel tipo di
imprenditori che «opera in situazioni di monopolio o oligopolio» e che
«vede spesso nel legislatore l’arbitro ultimo delle sue fortune». Ecco
il dualismo di questa stagione. Così, per provare a ricucire lo sbrego,
è sceso in campo Luca Marzotto, amministratore delegato della Zignago,
giovane industriale dal cognome pesante, non conosciutissimo nella vita
associativa. Però non è detto che convincerà i grandi che in quel
territorio hanno Porto Marghera (l’Eni), due centrali elettriche
(l’Enel), uno stabilimento dell’Alenia (la Finmeccanica) e poi la
Fincantieri con la sua base produttiva. Un apparato industriale che dà
lavoro a tutta la filiera territoriale. E il dualismo – va da sé –
scolora un po’.
Il king maker di questa rivolta è Paolo Scaroni, amministratore delegato
dell’Eni. È lui che decide le mosse, è lui che ha tolto il detonatore
per la prima bomba lanciata sull’Assolombarda, con la conquista del
salotto per antonomasia degli industriali, portando Alberto Meomartini,
manager della Snam rete gas, e già uno dei “Reviglio boys” con Tremonti
e Domenico Siniscalco, alla presidenza. Contro lo schieramento del
numero uno uscente Diana Bracco, fedelissima di Marcegaglia.
Meomartini è uomo di Scaroni e entrambi hanno rapporti strettissimi con
Tremonti. La rete di ricompone. Perché, ad esempio, con Reviglio c’era
anche Gian Maria Gros Pietro, che è stato riconfermato alla presidenza
di Federtrasporto, mentre la Marcegaglia, convinta che non fosse
rieleggibile, aveva sondato la disponibilità di alcuni industriali “puri”.
Scaroni probabilmente non ha apprezzato di essere stato lasciato fuori
dalla squadra di Emma Marcegaglia ed è stato “costretto” ad accettare lo
“strapuntino”, come dice più d’uno in Confindustria, della delega «per
le dinamiche dei nuovi scenari mondiali». Oggi Scaroni è un manager, ma
mangia pane e Confindustria da quando indossava i pantaloni corti. Il
padre è stato uno storico direttore dell’associazione di Vicenza. Lui
stesso racconta che lì passava molti dei suoi weekend. Poi è diventato
anche presidente di Venezia dal 2001 al 2005. Chi gli ha parlato in
questi giorni dice che non ha alcuna intenzione di candidarsi al dopo
Marcegaglia. Peraltro una norma dello Statuto probabilmente gli
sbarrerebbe la strada. Non ci vuole molto a capire che un manager di
Stato non avrebbe alcuna possibilità di rappresentare la lobby
industriale nel rapporto con il governo.
«Ma noi vogliamo pari dignità in Confindustria», ripete Scaroni. Che è
già pronto ad aprire due nuovi fronti nei prossimi mesi: a Brindisi e
Siracusa per la successione, rispettivamente di Massimo Ferrarese,
imprenditorie edile con l’hobby del canto (ha inciso un disco con Al
Bano) che è andato al ballottaggio (lista Pd) alle provinciali, e di
Alvaro di Stefano. A Brindisi e Siracusa, si sa, ci sono gli impianti
dell’Eni. E anche dell’Enel. Il gioco ricomincia e riporta alla
battaglia tra i “puri” e gli “statali”.
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Le conseguenze di Tienanmen
Andrew J. Nathan intervistato da Maria Elena Viggiano
Sono passati venti anni e il massacro di Tienanmen rimane ancora un argomento tabù. A spiegare cosa accade e quali siano state le conseguenze degli eventi di Tienanmen è Andrew J. Nathan, professore di Scienze Politiche alla Columbia University, uno dei massimi esperti della politica cinese contemporanea e dei diritti umani, e co-autore del libro The Tiananmen Papers, una raccolta di documenti segreti del governo cinese nel periodo aprile-giugno 1989.
03.06.09
Qui: http://www.resetdoc.org/IT/Nathan-tienanmen.php
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Il dilemma dell’Europa
Emanuela Scridel
La Cina è oggi il mercato che cresce più rapidamente al mondo in termini di importazioni dall’UE. Il 30 gennaio scorso il Premier cinese Wen Jiabao in visita ufficiale presso l’UE ha incontrato il Presidente Barroso: i leader hanno affermato il loro impegno reciproco a sviluppare ulteriormente la partnership UE–Cina in tutti i settori strategici. Sviluppo economico non significa sviluppo democratico e sviluppo sociale, così come il dialogo economico non è dialogo interculturale. Tuttavia l’apertura cinese, anche se principalmente dettata dall’interesse economico, è comunque un’“apertura”, che, inevitabilmente, travalica la sfera meramente economica.
“La Democrazia è un ideale della vita umana come la libertà e il diritto. Ora per ottenerli dobbiamo sacrificare le nostre giovani vite. Lo sciopero della fame è la scelta di chi non ha scelta. Stiamo combattendo per la vita con il coraggio di morire. Caro padre, cara madre, non siate tristi, che non vi si spezzi il cuore mentre diciamo addio alla vita. Abbiamo una sola speranza, che questo permetta a tutti di vivere in modo migliore. Abbiamo una sola preghiera: non dimenticate che non è assolutamente la morte quello per cui stiamo lottando. La democrazia non è un affare che riguarda poche persone. La battaglia democratica non può essere vinta da una sola generazione…”. Così recita uno stralcio del Manifesto degli studenti di Piazza Tienanmen.
A vent’anni di distanza dal massacro, avvenuto nella notte fra il 3 e il 4 giugno di quel 1989, ora che il Regno di Mezzo è diventato un gigante economico, temuto e al tempo stesso guardato con ammirazione da oriente e occidente, si sente spesso fra i leader politici la frase: “Su Tienanmen è tempo di voltare pagina”. E i primi a tentare di voltare pagina sono stati i leader cinesi. Sebbene la transizione della Repubblica Popolare Cinese da un’economia pianificata alla cosiddetta “economia socialista di mercato” abbia avuto inizio alla fine del 1978, con la demaoizzazione che ridisegnò progressivamente la traiettoria di sviluppo precedentemente adottata – basandosi su elementi di apertura verso l’estero e crescente internazionalizzazione, valorizzazione delle specificità geografiche e socio-culturali regionali e progressiva liberalizzazione economica, benché non accompagnata da aperture rilevanti in ambito politico – è dopo Tienanmen che si realizza una potente accelerazione delle riforme economiche.
Deng Xiaoping, proclamando che “essere ricchi è glorioso”, ha tentato di adoperare il desiderio di ricchezza e il consumismo come “oppio del popolo” cinese. Molte volte negli anni successivi a quel 1989 lui stesso, poi Jiang Zemin e Hu Jintao, hanno spiegato che il benessere degli anni recenti è giunto “grazie” all’opera del Partito che ha fermato la rivolta sociale dei “controrivoluzionari” al suo nascere. Il massacro è stato “il male minore” per “l’enorme bene” seguito. Di certo, il percorso di crescita economica verificatosi in Cina ripropone il quesito: “Il successo economico necessita della democrazia?”. Si tratta di una domanda cruciale che ricorda la nota disputa che vide protagonisti in Italia, tra gli altri, Luigi Einaudi e Benedetto Croce su liberismo e liberalismo. La storia del pensiero politico è ricca di argomenti a favore e contro il nesso tra libertà politica (stato di diritto) e libertà economica (mercato).
In realtà, il teorema che ha dominato la filosofia politica degli ultimi vent’anni del XX secolo è stato ispirata dalla prospettiva che, sebbene tra democrazia e libertà economica non ci fosse un legame logico, l’esperienza storica mostrava che paesi politicamente repressi, alla lunga, qualora avessero ampliato i margini della libertà sul fronte economico, sarebbero stati costretti ad allargare le maglie della repressione politica fino ad esplodere o a collassare, in forza della spinta interna proveniente dall’inedita presenza di una classe borghese, imprenditoriale, capitalista. Tale teorema sembra però essere messo in discussione proprio da casi come quello cinese, dove ad uno sviluppo economico senza precedenti non si è accompagnato un altrettanto importante sviluppo democratico.
I numeri che descrivono la Cina sono davvero impressionanti: una popolazione di 1,2 miliardi di persone e una crescita media del PIL, negli ultimi dieci anni, pari al 10%, con un massimo storico toccato nel 2007 dell’11,8%. Nessun paese al mondo e in primis l’Unione Europea, nano politico ma gigante economico, poteva rimanere indifferente di fronte a quei numeri. Dopo aver adottato una serie di misure restrittive, tra cui l’embargo alla vendita di armi alla Cina a seguito dei raccapriccianti fatti di Piazza Tienanmen, l’UE, al centro dei processi di globalizzazione e in piena fase di allargamento ricomincia, pian piano a dialogare con l’impero cinese, sebbene si tratti per lo più di dialogo economico. E a quanto pare, il dialogo ha prodotto risultati importanti.
La Cina è oggi il mercato che cresce più rapidamente al mondo in termini di importazioni dall’UE: nel 2008, le esportazioni commerciali europee verso la Cina sono state pari a quasi 78,4 miliardi di euro, realizzando un incremento del 9% rispetto all’anno precedente e, se consideriamo il periodo 2004-2008, l’incremento complessivo è stato del 65%. Negli ultimi cinque anni, le importazioni cinesi verso l’UE sono cresciute mediamente del 18% all’anno e una leggera flessione si è registrata solo nel 2008, a causa della crisi economica mondiale. Nel 2008 le importazioni di beni dalla Cina ha raggiunto i 248 miliardi di euro. Sono numeri che fanno riflettere, soprattutto in virtù del fatto che, fino a vent’anni fa gli scambi commerciali fra Europa e Cina, erano praticamente nulli.
Il 30 gennaio scorso il Premier cinese Wen Jiabao in visita ufficiale presso l’UE ha incontrato il Presidente Barroso: i leader hanno affermato il loro impegno reciproco a sviluppare ulteriormente la partnership UE–Cina in tutti i settori strategici e ad approfondire il dialogo per una migliore comprensione reciproca basata sui principi di eguaglianza e rispetto reciproco e in grado di condurre ad una appropriata gestione delle differenze. Sviluppo economico non significa sviluppo democratico e sviluppo sociale, così come il dialogo economico non è dialogo interculturale. Tuttavia l’apertura cinese, anche se principalmente dettata dall’interesse economico, è comunque un’“apertura” che, inevitabilmente, travalica la sfera meramente economica e tocca quella culturale, sociale, perché dà la possibilità agli individui di rapportarsi, anche se in maniera limitata, con altre realtà, con altre culture, di conoscere e quindi di contaminarsi. La contaminazione dunque come via di accesso verso la libertà.
L’autrice è Economista – Esperto in Strategie Internazionali e U.E.
3 Jun 2009
Qui: http://www.resetdoc.org/IT/Tienanmen-europa.php
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«Non accetteremo la violenza del regime»
Ramin Jahanbegloo intervistato da Nikolai Eberth
«Le elezioni iraniane sono state un’esperienza terribilmente sorprendente, prima di tutto per l’enorme participazione. Il risultato, per molti di noi e per molti giovani iraniani, è stato negativo, senza speranza. Le conseguenze internazionali sranno molto negative per il nuovo governo. C’è un conflitto aperto, all’interno della nomenclatura, e il governo ha deciso di risolverlo con la violenza. Ma questa violenza non sarà né giustificata né accettata dalla società iraniana e dalla comunità internazionale». In una video-intervista esclusiva con Resetdoc, il filosofo iraniano Ramin Jahanbegloo commenta il risultato delle elezioni e affronta alcune delle questioni che sono ora davanti al governo e alla società iraniana.
Qui: http://www.resetdoc.org/IT/Video-Ramin-Jahanbegloo-elezioni.php
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Per Rekombinant: GERMANIA – BILDUNGSSTREIK ’09 – duecentomila studenti in piazza
Da alioscia@globalproject.info
Ecco i link a uniriot.org e globalproject.info – video e
foto – in serata saranno disponibili audio e un commento-report da parte
dei compagni di edu-factory e dell onda romana che si trovano a Berlino.
Onda dappertutto!
un abbraccio
Alioscia
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esperimento scientifico seconda puntata, e ultima
Di Franco Berardi, per Rekombinant
L’ “esperimento scientifico” di cui vi ho parlato in un messaggio del
23 marzo si è concluso, con la netta sconfitta elettorale di Bologna
città libera, e ora debbo trarne alcune conseguenze. Naturalmente non
pretendo che le mie conclusioni siano obiettive, valide in ogni
contesto e per chiunque. Altri ricercatori saranno più bravi o più
fortunati di me, e la situazione può modificarsi in un senso positivo
che io non riesco a vedere. Ma intanto io sono giunto alla mia
conclusione.
Ancor più importanti e istruttive di quanto siano state le elezioni
sono le esperienze dei movimenti di massa dell’ultimo anno, che
mostrano l’inefficacia crescente dell’azione collettiva. Il movimento
dell’Onda italiana, l’insurrezione greca di dicembre, i movimenti
francesi di primavera non hanno modificato in nulla la traiettoria
delle politiche dei governi di destra. L’Europa appare come
paralizzata dalla paura della senescenza.
Leggendo i dati delle elezioni europee qualcuno osserva che la
divisione politica della sinistra è assurda e suicida. Non c’è dubbio,
s’è visto benissimo anche a Bologna e non possiamo prendercela con
nessuno dal momento che abbiamo contribuito alla frammentazione.
Ma io non credo che il problema sia quello della divisione politica. Il
problema è quello dell’incapacità sociale di produrre ricomposizione
culturale, sociale e politica del lavoro.
Il lavoro appare incomponibile. Lavoro migrante, lavoro precario, lavoro
cognitivo non riescono a trovare le forme della ricomposizione.
E’ questo l’effetto della precarizzazione: il lavoro è trasformato in
erogazione di tempo frattale, ricombinato dalla rete finanziaria e
tecnica del capitale. Il lavoro precario è tempo de-personalizzato a
disposizione del capitale ricombinante. Tempo frattale, modulare
incapace di soggettivazione per ragioni che sono
inerenti alle forme di vita e di relazione tecno-linguistica che
definiscono la precarietà.
Nella passata modernità industriale il capitalista doveva negoziare
con gli operai in carne ed ossa, per poter ottenere la disponibilità
del loro tempo di lavoro. Oggi i corpi fisici e giuridici dei
lavoratori non c’è più
c’è il loro tempo nudo: cellule di tempo acquistabili senza bisogno di
guardarsi in faccia. Quello che Marx chiamava esercito industriale di
riserva è divenuto illimitato, e la forza di contrattazione è ridotta a nulla.
Perciò il lavoro è divenuto incomponibile, incapace di riconoscersi come
soggettività solidale.
Un discorso a parte va fatto per il lavoro cognitivo.
La ricerca che si è svolta in questi ultimi nove anni in questa
mailing list è stata prioritariamente dedicata alle prospettive di
ricomposizione del lavoro cognitivo.
Definirei ricombinazione la forma tecnica e finanziaria del processo
lavorativo, mentre con la espressione ricomposizione intendo il
processo sociale e culturale che permette ai frammenti del processo
lavorativo di farsi soggettività consapevole.
I movimenti dell’ultimo decennio sono stati un tentativo di produrre
soggettivazione attraverso la ricomposizione del lavoro
precario e cognitivo. Ma questa prospettiva è fallita.
Il general intellect di cui parla Marx consiste nella accumulazione
del sapere e della innovazione in forza produttiva immediata.
In Marx il capitale fisso assorbe e incorpora le potenze
dell’intelligenza generale. Noi abbiamo oggi a che fare con qualcosa
di differente. Il cervello vivente degli individui sussunti entro il
processo di produzione reticolare viene sottoposto ad un sistema di
automatismi che gli permettono di funzionare come forza produttiva.
Ricombinazione è la tecnica (informatica, biopolitica) che trasforma
l’attività dei cervelli individuali in un continuum produttivo
astratto. Ciò significa che il cervello individuale può agire
efficacemente solo attraverso la modalità ricombinante. Il processo
produttivo reticolare è ricombinazione funzionale di frammenti di
lavoro cognitivo sparsi nel tempo e nello spazio ma unificati
funzionalmente dalla rete. La potenza tecnica e funzionale del lavoro
cognitivo è però inversamente proporzionale alla sua ricomponibilità
politica.
Il cervello collettivo viene ricombinato funzionalmente nella sfera
della rete produttiva, e in essa emerge tutta la potenza
dell’intelletto generale. Ma sul piano sociale ed
affettivo il cervello sociale appare incapace di ricomporsi, di
trovare strategie
comuni, di condividere narrazioni, incapace di solidarietà materiale.
L’espandersi della potenza dell’intelletto generale coincide con una
frammentazione schizoide del cervello collettivo, incapace di
comporsi in forma di soggettività consapevole, incapace di funzionare in maniera
collettiva e cosciente.
Per me qui si conclude l’esperienza novennale di Rekombinant.
La mailing list nacque nell’estate del 2000, nel pieno dei movimenti no
global, formulando l’ipotesi di una ricomposizione del cervello
collettivo entro le condizioni di ricombinazione tecnica del lavoro mentale.
Si trattava di un’ipotesi di ricerca teorica ma al tempo stesso si
trattava di un’ipotesi di inchiesta e di azione politica.
Ora Rekombinant, pur continuando ad avere un
ruolo significativo sulla scena della rete di europea per numero di
iscritti, qualità dei contributi, vastità del panorama – non è più
in grado di dire nulla proprio sull’unico punto che ne definisce lo
spazio politico e teorico.
Credo nelle comunità elettive alle quali si partecipa non per fedeltà
né per appartenenza ma per desiderio. Tra i suoi iscritti
ci sono tante persone che spero di ritrovare in futuro.
Rekombinant è stata per nove anni la mia comunità elettiva.
Ora non lo è più.
—
TOLLERANZA ZERO AGLI OGM
e ai loro fans istituzionali
Cooperativa agricola biologica “La Terra e il Cielo”
Arcevia (An), 13 Maggio 2009
Sommario: La legge truffa sul biologico / La balla della coesistenza / Un meccanismo diabolico / Porte aperte agli ogm sulla nostra tavola / Perché no agli ogm / Dannosità degli ogm / Le nostre proposte / Una nuova concezione del potere
UNA TRUFFA DENTRO LA NUOVA LEGGE SUL BIOLOGICO. La nuova legge europea sul biologico, entrata in vigore all’inizio del 2009, prevede che un alimento possa ancora chiamarsi biologico ed essere considerato e venduto come tale, pur in presenza di una contaminazione fino allo 0,9% di OGM (organismi geneticamente modificati).
Gli agricoltori biologici non sono affatto d’accordo su questo aspetto, che viene loro imposto. Una delle prerogative principali e una delle regole essenziali del biologico è che sia esente da OGM, in ogni fase di creazione di un alimento, dalla semina al prodotto finito. Tale prerogativa il mondo del biologico vuole conservare intatta, tramite le sue associazioni, e perciò, indipendentemente da cosa dice la legge, considera non biologico un alimento contaminato OGM. L’unica regola valida e ammissibile per gli OGM nel biologico è la TOLLERANZA ZERO.
Il biologico, come ben si sa, è nato per opporsi all’inquinamento chimico di suolo, acqua, aria, piante, animali, cibo, ambiente e uomo, e per collaborare alla creazione di un ambiente agricolo armonico. Ma l’inquinamento da manipolazione genetica, si prospetta come enormemente più grave rispetto all’inquinamento chimico. Un alimento biologico inquinato con OGM è un puro non senso che può nascere solo in menti a loro volta “manipolate”, come lo sono gli organismi che vogliono promuovere.
Altrettanto totalmente contrari alla contaminazione sono la maggior parte dei consumatori di prodotti biologici, che non ammettono presenza di inquinamenti da OGM.
E contrari agli OGM non sono solo i coltivatori e consumatori di alimenti biologici, ma anche la gran maggioranza di tutti i consumatori, anche quelli di alimenti convenzionali, così come quasi tutto il variegato mondo agricolo italiano, il quale vuole proteggere la qualità e il valore degli alimenti made in Italy, che sono di assoluta eccellenza mondiale, contraddistinti anche da svariati marchi di qualità.
Come mai è stata introdotta questa regola?! Non certo per tutelare il mondo del biologico da contaminazioni accidentali da OGM, come si vuol far credere, ma al contrario per aggiungere al danno la beffa e voler permettere ai contaminatori di non pagare i danni in caso di contaminazione. E’ cioè una legge tutta a favore delle poche ed enormi multinazionali produttrici degli OGM, Monsanto in testa, e da esse voluta e promossa con azione di lobbing presso le istituzioni europee.
Ma gli agricoltori europei, biologici e non biologici, e in particolare quelli italiani, non possono e non vogliono vendere prodotti inquinati da OGM e chiedono che chi inquina sia obbligato a pagare completamente tutti i danni arrecati. Un agricoltore biologico ha il dovere morale, secondo la propria etica, di distruggere le proprie colture contaminate con OGM, perché non vuole vendere prodotti contaminati, né come biologici né come convenzionali, ritenendoli dannosi alla salute e all’interesse pubblico.
Si consideri anche che l’agricoltore biologico non sottostà solo alle leggi europee, ma anche ai disciplinari di conduzione biologica dell’ associazione di tutela del biologico alla quale aderisce e viene controllato, dagli organismi di controllo accreditati, sull’osservanza di tali disciplinari. Ma nessuna associazione del biologico accetta come regola valida la contaminazione anche minima da OGM. Senza contare che i negozi di alimenti biologici e le organizzazioni dei consumatori non accettano in ogni caso prodotti inquinati OGM. Perciò le imprese responsabili dell’inquinamento di altre colture, attraverso la coltivazione di piante GM, devono essere chiamate a risarcire tutto il raccolto contaminato più i danni apportati all’immagine delle aziende contaminate, anche per le vendite future.
E non solo! Occorre anche considerare che l’inquinamento delle colture si traduce anche in un inquinamento OGM permanente del terreno, attraverso i resti delle piante, che rimangono in esso. E’ già stato documentato da ricerche serie l’impatto negativo dei resti di colture GM sulla vita del terreno e sui microrganismi benefici per il suolo. Va dunque considerato anche il danno relativo all’impedimento a coltivare biologico per almeno 5 anni.
Tuttavia sia chiaro che a noi non interessa affatto il risarcimento dei danni, ma interessa fermare la coltivazione e il commercio di piante geneticamente modificate e l’alimentazione da materie prime da esse provenienti, che ci sembra pura follia, allo stato attuale delle ricerche. Solo per questo motivo mettiamo in campo anche l’argomento degli ingenti danni che chiederemmo di pagare.
Tutto questo è riferito ai danni arrecati alle singole imprese agricole, ma i danni sociali si preannunciano come molto più ingenti. Chi li pagherà questi?
Nell’ipotesi di evidenziazione futura di danni alla salute fisica e psichica dei cittadini, causati dagli OGM, le istituzioni che hanno approvato norme favorevoli agli OGM, trascurando protervamente il principio di precauzione e le numerose prove già disponibili sulla dannosità degli ogm e la volontà della maggioranza dei cittadini, dovranno essere chiamate, dalle organizzazioni civiche e dei consumatori, a massicci risarcimenti dei danni provocati.
Un aspetto estremamente grave di questa vicenda è quello della “lesa democrazia”. Alcuni burocrati e politici dell’ Unione Europea, e le multinazionali che stanno alle loro spalle, si permettono di decidere cosa si debba intendere per “biologico”, contro quello che sostengono gli agricoltori che il biologico lo hanno creato e i consumatori che se ne nutrono. E impongono, senza possibilità di replica, la loro visione e i loro interessi. Questa è pura dittatura, intollerabile!
Dunque la legge europea tollera lo 0,9% di contaminazione per il biologico. Sembra però che ci sia ancora la possibilità per i singoli stati di limitare questa soglia allo 0,1% (minimo rilevabile) o allo zero. Lo stato italiano non si sa ancora cosa deciderà in proposito, ma vogliamo ancora sperare positivamente.
Tuttavia è a livello europeo che il limite andrebbe portato al minimo rilevabile.
LA BALLA DELLA COESISTENZA. Prima di questa legge le istituzioni europee avevano già fatto una azione gravissima favorevole alla coltivazione degli OGM. La famigerata commissione europea (dal nostro punto di vista solo così si può aggettivare), ha dato indicazione ai governi di preparare delle leggi che introducano e disciplinino la “coesistenza” di coltivazioni convenzionali, biologiche e GM, sottoponendosi ai diktat degli interessi delle multinazionali degli OGM, attraverso i ricatti dell’ Organizzazione mondiale del commercio (WTO). La stessa commissione ha dichiarato non valide le leggi regionali che impediscono le coltivazioni OGM nel loro territorio. Così è avvenuto, per esempio per la nostra regione (Le Marche)! C’è da chiedersi chi ha autorizzato costoro a comandare in casa altrui! E poi ci si chiede perché le popolazioni europee quando possono votare sono contrarie a questo tipo di istituzioni dittatoriali europee (non all’Europa e ad istituzioni realmente democratiche)!!
Gli agricoltori, biologici e non biologici, affermano che la coesistenza non è possibile, dato che l’inquinamento avviene anche nel raggio di molti chilometri di distanza, per l’azione degli insetti impollinatori e/o del vento, come è già stato ampiamente dimostrato, e dato anche che le misure complessive per prevenire la contaminazione, non solo in campo, ma anche nelle fasi successive, sarebbero ingenti. Vanno infatti considerate anche le operazioni di raccolta con le mietitrebbie, che passando da un campo all’altro dovrebbero essere accuratamente pulite, così come i trasporti, da quello del raccolto ai successivi, gli stoccaggi, e tutte le altre operazioni che sono foriere di contaminazione. Ci sono già problemi nel differenziare i prodotti biologici da quelli convenzionali ed essi si aggraverebbero con l’aggiunta delle colture GM, da gestire con ulteriori stoccaggi e linee differenziate.
La coesistenza fra coltivazione GM e altri tipi di coltivazione non è tecnicamente, economicamente e umanamente possibile, soprattutto perché le colture GM si comportano in pratica come colture killer per tutto il resto che trovano sulla loro strada e nei dintorni. La coltura GM parassita le altre colture fino a farle scomparire. La coesistenza è una favola, che ci si vuole raccontare per addormentarci, ma noi preferiamo rimanere ben svegli.
I burocrati pro OGM dell’Unione europea vogliono farci credere che la possibilità di coltivare piante GM sia una questione di libertà. Ciascun agricoltore dovrebbe essere libero di scegliere se coltivare tradizionale o biologico o geneticamente manipolato. Eppure sappiamo bene che non si hanno tutti i diritti a disposizione nel proprio paniere! Esiste forse il diritto e la libertà di uccidere gli altri, di stuprarli, di annientarli? Allo stesso e identico modo non può esistere il diritto di coltivare ogm, quando questo diritto danneggia gravemente tutti gli altri coltivatori del territorio e toglie loro, questa volta sì, la libertà di coltivare come vogliono. Chi toglie, dunque, la libertà a chi?! Il re è nudo e l’inganno facilmente scoperto! I falsi paladini della libertà sono autentici dittatori che cercano di imbellettarsi e mascherarsi per non essere riconosciuti nella loro vera natura.
Sappiamo bene che per sfondare il muro della opposizione popolare agli OGM, le grandi industrie interessate sono disposte a pagare bene, in un primo tempo, quegli agricoltori che si prestano al gioco (salvo spremerli successivamente). Per questo motivo è bene che teniamo fermo anche il principio che a fronte di un’alta remunerazione promessa per poco tempo, dovranno pagare ingenti danni arrecati agli altri coltivatori in caso di contaminazione.
Le industrie degli OGM hanno svolto presso le istituzioni europee una tenace, costante ed incalzante azione di promozione dei propri interessi, che ha portato dapprima alla approvazione delle disposizioni sulla cosiddetta “coesistenza” e poi alla recente disposizione dello 0,9% all’interno della nuova legge europea sul biologico. Certamente i mezzi finanziari e di corruzione non mancano per proseguire nella conquista e distruzione del mondo naturale a favore del monopolio OGM; corruzione che si spinge verso i politici, le istituzioni, i mass media, il mondo accademico e della ricerca scientifica, verso gli pseudo-scienziati, che invece della verità, della precauzione e dell’interesse generale, cercano successo e denaro.
UN MECCANISMO DIABOLICO: I ricercatori delle multinazionali degli OGM “sparano” dentro alle cellule di una pianta alcune sequenze di DNA prese da un altro tipo di organismo (per esempio da un batterio). La pianta sarà così modificata geneticamente perché costretta ad ospitare sequenze di DNA ad essa estranee. Una volta che queste sequenze sono entrate la pianta rimane modificata per sempre. Questa modifica viene brevettata. Supponiamo che, per esempio, alcune varietà di mais molto valide e produttive vengano modificate geneticamente e brevettate (e lo stesso gioco si può fare con qualsiasi tipo di pianta). Con il diffondersi della pianta modificata e con la contaminazione della impollinazione, attraverso vento o insetti, nel giro di alcuni decenni le piante non modificate non esisterebbero più e piante prima naturali, a disposizione di tutti, diverrebbero di esclusiva proprietà di poche multinazionali. Normalmente da migliaia di anni gli agricoltori hanno potuto tenere le loro sementi e riseminarle nei loro campi. Ma con la trappola mortale degli OGM non sarebbe più possibile. La pianta geneticamente modificata è di esclusiva proprietà della multinazionale che l’ha brevettata. Negli Usa e in Canada sono successi molti casi in cui gli agricoltori contaminati che hanno riseminato le loro sementi sono stati denunciati e costretti a pagare multe salate perché avevano seminato un seme modificato geneticamente senza aver pagato la tassa al brevetto. Ancora una volta al danno della contaminazione segue la beffa di non poter più usare le proprie sementi e, addirittura, di dover pagare delle panali, per essere stati inquinati! Se la manipolazione genetica andasse avanti, il mondo naturale diventerebbe di proprietà esclusiva di poche multinazionali!! Come chiamare tutto questo se non il dominio del “diavolo” più terribile all’interno della mente e della coscienza dell’uomo?
PORTE APERTE AGLI OGM SULLA NOSTRA TAVOLA. Per quanto riguarda il fronte della coltivazione, come abbiamo visto, l’attacco Ogm alla natura e all’Europa libera, è avvenuto attraverso le disposizioni sulla coesistenza e la modifica della legge sul biologico. Ma ciò non basta. Anche sull’importantissimo fronte del consumo occorreva dar modo alle varie multinazionali di poter intanto immettere sul mercato europeo le loro derrate OGM prodotte già in varie parti del mondo, come, per esempio, negli USA, in Argentina, Brasile, India, e altrove. Questa già enorme diffusione di alcune piante modificate geneticamente (soia, mais, colza, cotone ed altre) si giustifica solo con la disinformazione sui presunti vantaggi e sulla minimizzazione dei rischi, oltre che sulla corruzione. In ogni caso l’apertura normativa europea ha già prodotto fatti gravissimi anche sul fronte del consumo.
Già nel settembre del 2003 il parlamento europeo ha approvato un regolamento con il quale si ammette l’uso di ingredienti OGM per la produzione di alimenti per l’uomo e per gli animali, con l’obbligo di dichiarare in etichetta questa caratteristica e permettendo di non indicare nulla nel caso in cui la presenza OGM nell’ ingrediente sia inferiore allo 0,9%!
Ma soprattutto già da molto tempo i nostri governanti hanno permesso che, in sordina, gli OGM fossero quotidianamente sulle nostre tavole, senza che noi lo sapessimo, perché soia e mais geneticamente modificati sono stati e sono quotidianamente usati per l’alimentazione animale, senza che ciò sia vietato o che debba essere dichiarato. Così la carne che mangiamo e i latticini che consumiamo possono facilmente provenire da animali che sono stati nutriti anche con soia o mais OGM e anche in percentuali molto alte, senza che noi possiamo saperlo, perché non c’è alcun obbligo di indicazioni in etichetta né obbligo di tracciabilità! Incredibile! Evviva alla morte della libertà di scelta e della democrazia!!
PERCHE’ NO AGLI OGM. Perché siamo così contrari agli OGM?
Perché la manipolazione della struttura basilare della vita -geni e DNA- non può che essere estremamente pericolosa, nel lungo termine, e affrontabile solo con infinite precauzione e non certo al fine di conquistare il dominio commerciale sul mondo. Perché pensiamo che la diffusione di colture e alimenti OGM possa essere un problema di una gravità senza precedenti, per la vita futura sulla terra, e perché chi la promuove, come valori reali, al di là della propaganda strumentale, ha solo il potere e il profitto, cioè non valori ma disvalori.
Perché trasferire frammenti di DNA da una specie naturale ad un’altra, con mezzi artificiali, senza sapere che risultati possono derivarne nel lungo termine e prendere questi esperimenti come base dell’alimentazione umana di massa ci sembra pura follia e delirio gratuito di onnipotenza.
Abbiamo già sperimentato il caso del grano duro Creso, che è stato prodotto in Italia per lungo tempo e viene ancora prodotto. Era stato ottenuto per mutazione da raggi gamma prodotti da scorie nucleari. Ora, dopo 4 decenni di produzione e commercio, si ha il forte sospetto che rappresenti una delle cause principali del grande aumento dei casi di celiachia. L’organismo umano tende ad essere intollerante nel lungo termine a ciò che viene manipolato artificiosamente! Per fortuna!
Che garanzie abbiamo che gli OGM non scatenino, nel lungo termine, allergie, tossicità, forme incontrollabili di tumori e quant’altro?
Siamo contrari perché non si tratta più soltanto di applicare un principio di precauzione, che già da solo escluderebbe in modo categorico la coltivazione e il consumo di OGM, ma abbiamo ormai la certezza della pericolosità e nocività degli OGM (vedi prossimo titolo).
Siamo contrari perché tutte le prerogative positive che vengono propagate di volta in volta dalle industrie degli OGM si sono rivelate sempre un falso alla prova dei fatti ed hanno avuto solo un valore puramente pubblicitario e propagandistico. Di fatto si hanno maggiori costi di produzione, effettivo maggior uso di pesticidi (vedi, per esempio, il massiccio aumento dell’uso del glifosfato, estremamente tossico), minore produzione, minor prezzo unitario, minor reddito e grossi problemi legali con gli agricoltori vicini. Quindi, in compenso agli enormi pericoli, non abbiamo, e neanche ci interessano, vantaggi reali di nessun genere, ma ulteriori e notevoli svantaggi.
Siamo contrari perché è un falso scandaloso che gli OGM possono aiutare a risolvere la fame nel mondo. E’ esattamente vero il contrario. Il mercato dei semi e degli alimenti nelle mani di poche industrie fa aumentare la fame nel mondo, che dipende soltanto da motivi politici, di potere e di sistema, che sono accentuati dal modello che le grandi imprese degli OGM tentano di imporre.
L’introduzione degli OGM in India ha portato già al suicidio di 250.000 persone!
Siamo contrari agli OGM perché siamo contrari ai brevetti sulla vita, sugli organismi viventi, che vengono concessi alle piante naturali manipolate.
Perché la manipolazione genetica distrugge la biodiversità naturale e altera per sempre le specie viventi naturali, comprese quelle microbiche che stanno alla base della vita.
Perché l’agricoltura biologica, che rappresenta il passato millenario e il futuro della produzione degli alimenti e della cura dei territori, viene distrutta dalla manipolazione genetica. Perché anche l’agricoltura convenzionale viene distrutta dagli OGM. Non tutto ciò che si può fare è buono e da farsi!
Perché l’uomo vive all’interno di una catena biologica che comprende il minerale, il vegetale e l’animale e quindi una manipolazione su uno degli anelli della catena si traduce in una manipolazione irreversibile su tutti gli anelli della catena. Manipolata la pianta è manipolato anche l’animale che se ne nutre e l’uomo che si nutre sia di piante che di animali e il terreno che vive in scambio simbiotico con la pianta e i microrganismi. E’ manipolata tutta la vita. Che conseguenze avranno le manipolazioni geniche che entrano nell’uomo attraverso le manipolazione delle piante e degli animali che se ne nutrono e del terreno che riceve e assimila tutti i resti delle piante?
Perché la manipolazione viene introdotta anche con l’inganno nei cibi ed è contraria ad ogni elementare diritto di scelta sulla propria alimentazione. Ora, per esempio, quando consumiamo carne non sappiamo se l’animale si è nutrito o no di mangimi contenenti Ogm.
Perché è nettamente contraria agli interessi economici degli stati europei e dei loro agricoltori.
Perché si incomincia col manipolare poche piante in pochi modi e poi non si sa dove si può andare a finire, nel campo potenzialmente sconfinato della manipolazione genetica.
Perché la manipolazione genetica può portare non solo a danni fisici, ma ancor più a danni nelle parti costitutive “sottili” dell’uomo. Quali influssi si avranno nel lungo termine sul sistema immunitario? Che influssi si avranno nella capacità di pensiero libero, nei campo dei sentimenti e delle emozioni, nel campo degli impulsi liberi della volontà? Chi può quantificare questi aspetti? Manipolare la base della vita e imporne i risultati come alimentazione dell’uomo è un’impresa della massima pericolosità e del maggior rischio per l’uomo e per la vita sul pianeta. Si può usare l’immagine della roulotte russa. Si carica però il pallottoliere non con una sola pallottola ma con tutte tranne una, poi si gira il pallottoliere, si punta alla tempia e si spara. Sarà andata bene?!
Perché non vogliamo essere, né noi né i nostri figli la cavia di esperimenti senza via di ritorno.
Perché l’avvio della manipolazione genetica potrebbe diventare la più grande emergenza del mondo attuale, più della fame nel mondo, più della distruzione ambientale, più dell’inquinamento da radioattività, più delle guerre, per le conseguenze imprevedibili e SENZA RITORNO, su tutte le generazioni future!!
DANNOSITA’ DEGLI OGM. E’ stata riportata sulla stampa proprio di recente (Espresso n.5 del 2009), la seguente notizia: “I ricercatori della facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Vienna hanno dimostrato, in un voluminoso rapporto, che alimentando topine di laboratorio incinte con una dieta in cui un terzo delle calorie deriva da mais geneticamente modificato (in particolare l’esperimento è stato condotto su alcune varietà della Monsanto), nascono neonati con un basso peso e a dimensioni ridotte della prole. L’accusa dei ricercatori viennesi è ripresa e collegata ad altri dati sugli OGM nel libro Genetic Roulette”, di Jeffrey Smith, capo dei programmi alimentari dell’Institute for Responsible Technology (www.responsibletechnology.org). Il saggio documenta ben 65 rischi per la salute emersi in animali nutriti con vegetali Ogm, tra i quali l’aumento di mortalità (anche di 5 volte) neonatale, basso peso dei neonati, sterilità maschile e femminile, danni al DNA”
Sull’opuscolo “Gli OGM opportunità o rischi?” pubblicato di recente dalla Regione Marche si trova il seguente testo
«Uno studio di Arpad Pusztai, ricercatore al Rowett Institute di Aberdeen (Inghilterra), già nel 1998 ha riscontrato marcate differenze a livello immunitario in topi nutriti con patate OGM.
Stessi risultati di modificazioni di cellule epatiche e pancreatiche in topi alimentati con soia OGM si sono evidenziati da uno studio pubblicato nel 2002 su autorevoli riviste scientifiche da una ricercatrice dell’Università di Urbino (Malatesta M. Istituto di Istologia Università di Urbino – “Ultrastructural morphometrical and immunocytochemical analyses of hepatocyte nuclei from mice fed on genetically modified soybean”).
Una ricerca della stessa multinazionale biotech Monsanto (i cui esiti sono sfuggiti al controllo ed sono stati resi pubblici nel giugno 2005), ha riscontrato reni più piccoli del normale, diversa composizione del sangue e altre anomalie fisiche in topi alimentati con mais OGM.»
Nel libro “I semi del dubbio” sono riportati vari esempi di osservazioni che testimoniano come, sia gli animali d’allevamento che quelli selvatici, quando hanno possibilità di scelta non mangiano le colture OGM e vanno su quelle ogm free, anche se più lontane. Nello stesso libro si trova questa frase “Gli allevatori di maiali dell’Iowa, da quando hanno iniziato a usare mais Bt come mangime, hanno avuto una grave riduzione nei tassi di fecondazione.”
E’ stato dimostrato che il mais Mon 863, pur autorizzato, non è adatto al consumo per i problemi di tossicità al fegato e ai reni (http://www.disinformazione.it/ogm_vigilanza.htm). E’ stato anche dimostrato che ratti nutriti con grano geneticamente modificato sviluppano anomalie agli organi interni (http://www.rfb.it/csa/links/archivio/monsanto-studiosegreto.htm). Ma gli studi che dimostrano la pericolosità degli Ogm sono ormai innumerevoli e questa lista, ricavata con una brevissima ricerca, potrebbe essere molto più lunga.
LE NOSTRE PROPOSTE
In premessa diciamo che riteniamo positiva qualsiasi iniziativa che dia un contributo alla lotta contro la coltivazione e il commercio di OGM. Da parte nostra facciamo proposte e richieste ai vari soggetti concreti che sono coinvolti nella vicenda degli OGM.
A tutti gli organismi dell’Istituzione europea (commissione, parlamento, ecc) chiediamo di tornare indietro sulle decisioni prese favorevoli agli OGM e di fare in modo che i territori europei siano OGM free. Ai parlamentari europei chiediamo che contribuiscano a far approvare delle disposizioni che proibiscano la coltivazione, su tutto il suolo europeo, delle piante modificate geneticamente, tranne che in particelle limitate e controllate ai soli fini di ricerca. Analogamente devono essere proibiti l’importazione e il commercio di alimenti ogm o contenenti ingredienti provenienti da organismi e piante GM. Chiediamo anche che venga abolita la ridicola norma che tollera una contaminazione OGM sui prodotti biologici e che invece vengano stabilite pene pecuniarie severe per chi contamina le altre colture.
Plaudiamo alla recente decisione del Consiglio UE che ha confermato la moratoria sul mais Mon810, nonostante la protervia della Commissione.
Allo Stato italiano chiediamo di difendere la nostra agricoltura dall’introduzione delle coltivazioni GM e la nostra alimentazione di qualità dall’ingresso dei prodotti GM o da essi contaminati (qui occorre una legge che si basi sul fatto che la liberta’ di commercio deve venire dopo la sicurezza alimentare e sanitaria).
In primo luogo chiediamo la proibizione totale per la coltivazione di piante ogm, anche al fine di difendere le caratteristiche di qualità del cibo made in Italy, non accettando quindi di dar luogo a disposizioni sulla cosiddetta “coesistenza”, perché non idonee al territorio italiano e alla storia, alla cultura e all’economia del cibo italiano. Per eventuali e non auspicate disposizioni di coesistenza chiediamo comunque che il limite di contaminazione europeo dello 0.9% sia abbassato per lo stato italiano allo zero % o al limite di rilevabilità degli strumenti, che attualmente sembra essere dello 0,1%, prevedendo pene pecuniarie severe verso i contaminatori.
Sul fronte del consumo chiediamo, come minimo, l’immediata tracciabilità dei mangimi OGM sulla filiera zootecnica. Per non far scomparire la libertà di scelta al consumo, chi ha usato mangimi contenenti OGM sia obbligato a dichiararlo sulla carne degli animali che se ne sono nutriti e sui latticini di loro provenienza. Tuttavia, per evitare questo ulteriore costo e complicazione, in via prioritaria chiediamo che vengano del tutto proibiti i mangimi contenenti OGM.
Siamo grati all’attuale ministro dell’agricoltura Luca Zaia, che a più riprese ha mostrato di essere contrario alle coltivazioni e ai prodotti GM. Speriamo, anche per suo tramite, in una legge nazionale contraria agli ogm o che comunque renda di fatto impossibili le coltivazioni GM, e speriamo anche in una sua azione di contrapposizione verso l’attuale indirizzo della commissione europea, in modo che si giunga ad un cambiamento di orientamento, ad una difesa dell’ agricoltura europea e ad una vera tutela dei consumatori e della vita futura sulla terra, proibendo la coltivazione e il commercio di alimenti ottenuti con il contributo della manipolazione genetica. Abbiamo la speranza che tutti gli uomini dell’attuale e dei futuri governi vorranno difendere, valorizzare e contribuire ad incrementare, l’eccellenza italiana nel settore agricolo e alimentare, invece di distruggerla a favore di poche multinazionali estranee al nostro paese.
Alle Regioni italiane chiediamo di non accettare i diktat dell’Unione europea. Le regioni hanno tutti i motivi e tutti gli obblighi morali, per non accettare i diktat dall’alto. L’agricoltura è di competenza delle regioni, così come la sanità pubblica. Chiediamo di non lasciarsi, a nessun titolo, espropriare delle proprie funzioni e di utilizzarle per mettere al bando gli OGM, sia alla produzione che al consumo, così come ha fatto la nostra regione (ed altre 10 regioni italiane), anche se l’unione europea si è arbitrariamente opposta alla sua libera legislazione.
A tutte le regioni chiediamo di aderire alla Rete delle regioni d’Europa OGM-free (http://www.gmofree-euregions.net:8080/servlet/ae5Ogm) ed esprimere, per questo tramite, forti opposizioni ad ogni iniziativa legislativa pro OGM, a qualunque livello avvenga. Chiediamo inoltre di farsi promotrici della registrazione di marchi OGM-free per tutte le produzioni regionali. La nostra Regione prevede già il marchio QM Qualità Marche, che fra le sue norme ha anche quella di vietare l’utilizzo di OGM in tutte le fasi del processo produttivo.
A proposito della Regione Marche, ringraziamo l’assessore all’agricoltura Paolo Petrini e il presidente dell’assemblea legislativa Raffaele Bucciarelli che nel recente convegno ” gli OGM: dalla contaminazione accidentale ai distretti free”, tenutosi a Loreto il 27 marzo 2009, si sono espressi con decisione per una politica contraria agli ogm. Ma crediamo che tutta la giunta sia parimenti da ringraziare.
Alla Conferenza Stato-Regioni, che dovrebbe stabilire linea guida per la coesistenza, chiediamo di affermare il principio che le Regioni sono sovrane nel poter decidere di proibire la produzione e il commercio di organismi geneticamente modificati, seppur all’interno di una legislazione quadro nazionale leggera, che vada nella stessa direzione.
Ai Comuni chiediamo di aderire alla rete dei Comuni antitransgenici. (http://www.rfb.it/comuni.liberi.ogm/default.htm) ed opporsi ad ogni coltivazione ogm sul loro territorio, creando dei distretti OGM-free
A tutti i partiti politici e ai loro responsabili chiediamo di farsi portatori della sensibilità e della cultura contraria alla manipolazione genetica. Questo tema non è né di destra, né di sinistra, né di centro, ma universalmente valido per garantire una vita di qualità alle generazioni future.
Alle Aziende “Unità salitaria locale” chiediamo iniziative anti Ogm per fini precauzionali sulla salute pubblica.
A tutte le Associazioni degli agricoltori chiediamo una azione informativa e divulgativa contraria alla introduzione degli OGM e favorevole ad una cultura ecologica e di rispetto per la natura. In caso di necessità, chiediamo la promozione e il sostegno ad iniziative volontarie degli agricoltori per la creazione di distretti ogm-free, in collaborazione con le autorità locali.
A tutte le Associazioni degli agricoltori biologici chiediamo una costante e tenace azione anti ogm a tutti i livelli, non solo perché ne va della tutela delle produzioni biologiche e convenzionali, ma anche per la difesa di una vita di qualità per le generazioni prossime e future.
Proponiamo che le associazioni si facciano promotrici di azioni incisive contro la coltivazione e il commercio di piante e prodotti GM, senza escludere, per il futuro, il boicottaggio delle leggi ingiuste e anche il boicottaggio del marchio bio della UE, se necessario. Oggi la contraddizione principale non è più fra il biologico e il chimico, ma fra ogm e non ogm.
A tutti gli agricoltori, biologici e convenzionali, chiediamo una netta opposizione alla coltivazione di piante geneticamente modificate.
A tutti i negozi, sia specializzati in prodotti biologici che in prodotti convenzionali, o a vendita mista, proponiamo che incomincino ad esporre cartelli con scritto “Accettiamo e vendiamo solo prodotti garantiti senza tracce di OGM”. Consigliamo inoltre l’esposizione del logo “Cibo OGM? NO grazie!”, analogo al logo “Energia nucleare? No grazie”, scaricabile a questo link http://www.ciboogmnograzie.it/marchio.shtml.
Ai consumatori associati, infine, proponiamo di far sentire la loro voce anti manipolazione genetica e di fare grande attenzione ai prodotti che mettono nella loro borsa della spesa, soprattutto se trattasi di prodotti animali.
UNA NUOVA CONCEZIONE DEL POTERE. In sintesi affermiamo e proponiamo la tolleranza zero, non solo verso le coltivazioni e i prodotti GM, ma anche verso tutti quei funzionari, politici e istituzioni, europee e non solo, che si fanno ricattare dalle istituzioni del commercio internazionale, non elette da nessuno ai compiti che si arrogano, e che cercano di far prevalere interessi particolari egoistici di pochi sugli interessi generali. E’ ora di non tollerare più che poche persone, sottoponibili e sottoposte ad azioni di lobby e di corruzione, possano decidere quello che noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli potranno portare sulla propria tavola. Occorre sviluppare e affermare una concezione e una prassi in cui il potere decisionale stia in basso e in cui ciò che viene delegato in alto non sia un potere ma un servizio, alla volontà popolare liberamente espressa.
Perché non facciamo un referendum su chi è favorevole e chi è contrario agli OGM? Nonostante tutta l’accurata, mirata e costante propaganda sui mass media, nonostante tutti i mezzi finanziari a disposizione, nonostante la corruzione indotta su funzionari e pseudo-ricercatori accondiscendenti, il risultato sarebbe sicuramente nettamente contrario agli OGM.
E’ contro ogni principio di vera legalità che la Commissione europea imponga agli stati e alle regioni, di stabilire obbligatoriamente delle norme sulla coesistenza. Le regioni devono poter avere la piena libertà di proibire la coltivazione e il consumo di organismi che ritengono dannosi in vari modi all’interesse dei cittadini del proprio territorio.
Occorre stabilire una democrazia vera al posto della dittatura dei pochi sui molti. Non deve essere l’Unione Europea che delegittima le giuste decisioni delle Regioni, ma le Regioni che delegittimano l’Unione Europea e le prassi verticistiche ed autoritarie su cui si basa. In generale noi siamo pienamente per l’ Unione Europea, ma siamo anche contro questa Unione Europea verticistica. Occorre una nuova Carta costituzionale che ristabilisca settore per settore le competenze e le responsabilità. Tutto ciò che può essere ben gestito a livello regionale, sia gestito sotto la responsabilità delle regioni. Solo ciò che, per essere ben gestito, deve essere affrontato a livelli territoriali più alti, sia delegato verso l’alto, verso gli stati e l’unione, ma sotto il controllo dei deleganti e non viceversa. Le strutture di livello superiore devono essere di servizio e non di arbitrario potere. Il potere deve stare in basso ed essere delegato dal basso in alto e non viceversa.
Il problema degli OGM è sostanzialmente un problema di libertà e di mancanza di vera democrazia, che a sua volta è un problema di concentrazione di denaro e potere in poche mani. Se solo si risolvesse questo problema, della concentrazione di denaro e ricchezza in poche mani, si risolverebbero automaticamente la gran parte dei problemi sociali.
La Commissione europea vorrebbe togliere agli stati e alle regioni la libertà di decidere il proprio modello produttivo, la libertà di determinare la qualità delle proprie produzioni agricole e alimentari, la libertà di mettere in atto le precauzioni sulla salute dei propri cittadini. L’imposizione dall’alto della coesistenza fra colture tradizionali e OGM, lede l’autonomia e la sovranità regionale nella maggior parte dei campi di propria specifica competenza.
In Italia è stata approvata di recente una legge sul “federalismo”, che ha ancora bisogno di varie altre norme per divenire operativa. Ma a tal proposito noi domandiamo: di quale stupido ed inutile federalismo si sta parlando, finché la Commissione europea lede totalmente l’autonomia regionale nella maggior parte dei campi di competenza basilare delle regioni?!
La nostra regione (come altre) ha promulgato già nel 2005 una legge che vieta la coltivazione e il commercio di prodotti OGM ed ha anche speso notevoli risorse nel definire e registrare un marchio Qualità Marche, caratterizzato anche dalla assenza di OGM, ma la Comunità Europea vorrebbe arbitrariamente vanificare tutto questo dall’alto. Ci domandiamo se questa prassi debba essere accettata o se piuttosto non vada strenuamente combattuta e boicottata per l’interesse collettivo!
Cooperativa agricola “La Terra e il Cielo”
agricoltura biologica senza OGM dal 1980
e, possibilmente, fino al 4017 e oltre!
Per contatti e considerazioni sul testo: info@laterraeilcielo.it
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