L’essenza della tecnica
(titolo di una lezione tenuta da Emanuele Severino al festival della filosofia di Sassuolo il 17.09.2006, ricevuta via mail).
Emanuele Severino: «L’argomento di questa Lezione Magistrale non è stato proposto da me. Io mi sono limitato solo ad accettarlo ma l’ho fatto volentieri. E devo dire che l’argomento propostomi si sposa molto bene (nei miei intenti) con l’argomento del Festival di quest’anno, ovvero: umanità. Infatti quando io parlo di essenza della tecnica intendo parlare dell’umanità della tecnica.
L’umanità della tecnica è la morte dell’uomo. Ora, che la tecnica oggi sia un argomento di estrema attualità ci viene detto esplicitamente da un’affermazione di Ratzinger. Il papa, proprio recentemente, ha affermato che i non Occidentali ammirano la tecnica di cui è in possesso l’Occidente ma temono molto la laicità che impera nello stesso Occidente. Mi piace citare a questo punto lo storico Toynbee. Toynbee disse che quando la tecnica occidentale è giunta nel mondo essa è stata accettata. Anche se in realtà quando la tecnica è arrivata nel mondo c’è stata una grande reazione da parte del Cristianesimo. L’ Islam, dunque, non critica la nostra tecnica, critica il nostro modo di pensare. E riguardo all’ateismo voglio dire subito una cosa. Quando si parla di ateismo ci sono parecchi atteggiamenti ateisti che bisogna considerare. Dall’ateismo “di strada” su su salendo fino a forme sempre più rigorose di ateismo. Oggi, i popoli Occidentali prevalentemente, si stanno allontanando da Dio. E in maniera anche massiccia. Ma questo atteggiamento – facciamo attenzione – può essere altrettanto dogmatico dell’atteggiamento opposto: di tutti coloro che vogliono rimanere fedeli a Dio. Esiste una piramide. Dall’ateismo di strada a salire passando per atteggiamenti e modi di comportamento nei quali viene manifestata una crescente forza di negazione della tradizione, del passato. Ed è certamente diversa la negazione di strada del divino dalla negazione incontrovertibile del divino. Il vertice della piramide per me è costituito dalla filosofia degli ultimi due secoli. Sicché l’autentico nemico dell’Islam non è l’Occidente ma è appunto l’ateismo stesso. E non l’ateismo nella sua forma diffusa (attraverso i vari strati della piramide). Ma quell’atteggiamento che mostra (in sé stesso) l’impossibilità di qualsiasi adesione al passato.
Il nostro tempo, il tempo che stiamo vivendo, non è un tempo fatto di semplice scetticismo. Esso è fondazione dell’impossibilità di un Ordinamento Assoluto quale è appunto quello proposto dal passato. Che è poi l’ordinamento divino. La tecnica si trova perciò in un rapporto essenziale con questa piramide. Ed inoltre la riflessione filosofia sulla tecnica è essenziale nei riguardi della potenza stessa della tecnica. Infatti essa è una riflessione che determina l’efficacia della tecnica cioè la concretezza della tecnica. La tecnica poi procede anche in relazione ai limiti che i tecnici credono di avere davanti. Una delle immagini che mi piace proporre quando affronto questi temi è quella di un teatro. Se io so che un teatro, se so che questo teatro è arredato non mi posso certo muovere con quella libertà che ho quando so che questo teatro non è arredato per nulla. E cioè: se credo che questo teatro è arredato io ho dei limiti. Per cui, se uno crede che quello che egli ha di fronte agli occhi sia l’arredamento dell’Intero Universo, la tecnica si trova ad essere frenata. E lo è rispetto alla situazione, per esempio, in cui si è venuto a trovare uno che crede che o la tecnica non ci sia per nulla o sia essa stessa spostabile. Ma: cosa c’è al vertice della piramide? E cosa c’entra questa piramide con la tecnica? La filosofia degli ultimi duecento anni ha affermato che il mondo non è “arredato”; cioè che non ha limiti. Non esiste alcun limite inviolabile dell’Universo, questo ci ha detto la filosofia degli ultimi due secoli. Ratzinger, adesso, dà per scontata la falsità dell’ateismo. Ma che l’ateismo sia un dogma più o meno rigoroso, questo è indubbio.
Il vertice della piramide consiste perciò nel mostrare l’impossibilità di Dio. Esso è la morte nella fede in Dio. E dunque: l’autentico nemico dell’umanità religiosa è quella potenza straordinaria della tendenzialmente nascosta potenza del pensiero filosofico degli ultimi duecento anni. Al vertice della piramide, detto per inciso, non vi abitano i grandi nomi della filosofia cui tutti siamo abituati. Non ci sono né Heidegger né Wittgenstein. Ma io invece ci metterei i nomi di Nietzsche, Gentile e Leopardi. E’ proprio grazie a Leopardi che noi possiamo dire che il vertice della piramide è anche il vertice dell’errare. Dunque il senso del mio discorso è questo: una volta che sia dato il modo in cui la civiltà ha mosso i suoi primi passi ne segue per necessità l’avvento della civiltà della tecnica. Ma, la validità della distruzione del passato in che cosa consiste? In che cosa consiste la potenza di questa distruzione? La tradizione pone al di sopra della storia e del tempo l’immutabilità di Dio. E di una verità (che è invenzione dei greci) che non può essere in alcun modo smentita. Questa verità è: la radicalità della verità. Col pensiero contemporaneo questa radicalità crolla. E questo è un crollo gigantesco.
Ed allora chiediamoci: da cosa può essere salvato l’uomo oggi? Io credo che esso può essere salvato solo se viene affermato quel Dio che domina il mondo grazie a strutture immutabili. Ovvero bisogna affermare, di fronte a questo quadro, il divino – l’immutabile che è illuminato dalla verità – che la filosofia pretende di aver portato alla luce. E tutto questo è dato dal fatto che l’Occidente nasce evocando insieme il Dio che salva dall’angoscia, quell’angoscia che è provocata dal divenire delle cose. Questo Dio (in quanto legge) è la legge che dice che l’Occidente è la fede nel futuro come il già nulla e nel passato come l’ancor nulla. Dunque l’esistenza dell’Ordinamento Immutabile trasforma il nulla (del passato e del futuro) in un ascoltatore della legge dell’essere. Se esiste quella verità che i greci chiamavano episteme, allora la nullità del passato e del futuro diventa il loro nuovo essere (del passato e del futuro). Il passato ed il futuro diventano due ascoltatori dell’essere. E se esiste un Dio, esso si identifica col nulla dell’essere. La filosofia del nostro tempo (se adeguatamente sondata) dice alla tecnica: tu puoi, tu non hai limiti.
Oggi la forma vincente di tecnica non è quella che è frenata dai valori del passato. Oggi è vincente quella tecnica che è senza freni. Essa è la potenza più forte che è apparsa fra tutte quelle che si sono presentate durante l’intero corso della storia. Essa dunque gerarchizza le potenze del passato. Ed è impossibile che esista un Ordinamento Assoluto perché un Ordinamento di questo tipo trasformerebbe il nulla in un essente. La tecnica oggi inoltre balza in alto. Tutto questo per me ha un nome: io lo chiamo “destinazione della nostra civiltà alla tecnica”. Ora voglio dirvi questo: in tale destinazione l’uomo muore. Cioè la stessa esistenza dell’uomo provoca una radicale contraddizione. Heidegger diceva che non è tanto la tecnica con le sue trasformazioni ad essere un problema. Oggi secondo lui il problema è invece quello dell’uomo stesso. Che è assolutamente impreparato a questa radicale trasformazione del mondo. E perciò: perché io ho affermato che l’essenza della tecnica è l’umanità della tecnica? Perché – in virtù di questa pluralità di modi di essere della tecnica – l’uomo di fronte alla tecnica si trova come di fronte a qualcosa di disumano. Ma questa pluralità di forze è composta da forze che si trovano in un rapporto conflittuale fra loro. E dicendo la parola “conflitto” noi non stiamo dicendo solo una semplice parola. Esiste anche un conflitto pratico! Le diverse forze che vogliono realizzare l’esser uomo vogliono anche servirsi della tecnica (che è condotta e guidata dalla scienza moderna). Ma nel conflitto è inevitabile che i confliggenti vogliano sempre di più aumentare quella stessa potenza con cui essi vogliono realizzare il loro esser uomo.
Per cui, volendo tornare all’inizio di questa mia Lezione, le grandi forze della tradizione intendono servirsi della tecnica cercando di aumentare la potenza stessa dello strumento che si trovano davanti. Però occorre anche dire che il punto decisivo non è questo. Il punto decisivo è che ognuna di queste forze si serve di una frazione dell’Apparato Tecnologico. Preoccupata (come essa è) di non intralciare il funzionamento ottimale dello strumento che si trova di fronte. Nell’Unione Sovietica, per esempio, ci si accorse ad un certo punto che il marxismo intralciava il funzionamento dell’Apparato Tecnologico. Quando ognuna di tali forze – il marxismo, la Chiesa Cattolica, la democrazia, eccetera – bada soltanto a non intralciare la tecnica: allora la potenza di questa forza diventa il suo scopo. E se una certa forza non funziona come mezzo essa viene buttata via (come è accaduto, per esempio, al marxismo nell’ Unione Sovietica). Se invece una certa forza funziona come mezzo tale forza viene tenuta. Ma l’uomo che originariamente era scopo quando diventa mezzo è diventato altro. E per questo che ho affermato che l’uomo muore. Ora, è certamente vero che esiste una pluralità di modi di intendere l’uomo. Ma al di sotto di ciò (di tale pluralità di modi) esiste però un denominatore comune. E questo denominatore comune è quello per cui noi affermiamo che la tecnica è qualcosa di umano. Che la tecnica è umana. Ma tale denominatore comune è ovunque negli uomini; esso è presente in San Francesco come in Buddha ed in Gesù Cristo come in Aristotele ed in Marx. Esso è la convinzione che l’uomo sia un centro cosciente di forze capace di organizzare tutti i mezzi in vista della produzione di scopi. Ed (evitando le strade di chi si da molto da fare) tutto ciò è l’estrema potenza che viene realizzata; che si realizza. Questo tipo di uomo è il contenuto stesso della tecnica. Ma la tecnica ne possiede uno suo di scopo! Essa vuole da ultimo l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi. Ed ecco allora che noi possiamo parlare di morte dell’uomo ideologico ed allo stesso tempo di inveramento dell’ uomo soggiacente. Perciò ci risulta adesso chiaro che l’essenza della tecnica è la stessa umanità della tecnica. Ovvero l’uomo è morto o è destinato a morire, cioè è destinato a diventare un mezzo per aumentare la potenza della tecnica».—
Emanuele Severino ed io parliamo insieme nel foyer del Teatro «Carani» subito dopo la conclusione della sua Lezione Magistrale.
Gli domando: a proposito di Friedrich Nietzsche, Lei nel suo libro Il muro di pietra ha scritto: «L’eterno ritorno di Nietzsche è tanto lontano dalla routine della produzione capitalistico-tecnologica quanto è lontano dalla concezione capitalistico-tecnologico dell’eterno ritorno» (p.102). Ora, se questo pensatore non può essere considerato, dal suo punto di vista, né un figlio degli antichi greci né il padre della Coca Cola o della MacDonald’s, come può essere dunque valutata l’importanza che Nietzsche ha avuto ed ha nella storia del pensiero? Visto che Lei stesso, poco più sotto del passo ricordato, ha scritto che Nietzsche rappresenta comunque uno dei «grandi punti di riferimento del nostro tempo»?
È uno dei grandi distruttori del passato. Uno dei testi da tenere presente in questo senso è il Così parò Zarathustra. E precisamente quel capitolo sulle «Isole beate» in cui Zarathustra dice: che cosa mi rimarrebbe da creare se gli dèi esistessero? Io non potrei creare nulla! Il sottinteso è: ma io sono creatore e cioè il divenire esiste. Dunque gli dèi esistono. Ecco che va letta questa affermazione al rallentatore nel contesto di quel capitolo per capire la potenza di tutto questo discorso che non è per niente il discorso fatto da un letterato o da un esaltato come spesso si dice.
Giacomo Leopardi in genere non viene annoverato tra i filosofi, Lei però ha dichiarato che “si tratta di riconoscere la formidabile presenza della filosofia” nel suo linguaggio. Prof. Severino, Le allora vorrei chiedere: quand’è che ci si accorge di tale “formidabile presenza della filosofia” nel linguaggio di Leopardi?
Nello Zibaldone. Libro che io invito a chiamare non così ma «Pensieri». Perché Leopardi aveva usato anche questo titolo «Pensieri di letteratura e di varia filosofia» e ciò è molto indicativo a mio giudizio. Sono più di 4500 pagine. È come se si chiedesse stando in una pianura sconfinata: dov’è la pianura? Vede, basta aprire quel volume enorme per trovare quello che Lei mi sta chiedendo ora.
In realtà, quasi sempre nei riguardi dei poeti noi riteniamo più saliente l’aspetto sentimentale…
Nel caso di quel volume e di Leopardi no. La sua è vera filosofia in senso anche tecnico. Ed in Leopardi è presente anche la matematica (in senso anche tecnico). Leopardi ha tutte le carte in regola – anche dal punto di vista filosofico scritturale – per essere considerare filosofo a tutti gli effetti… E poi con una precocità assoluta, tipo Schelling.
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Abstract di un’intervista a Carlo Rubbia del 30 marzo 2008, ricevuto via mail.
“Il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di
esaurimento, ma anche l’uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40
anni. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla
base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada.
Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura
mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e
cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra”.
” Quando è stato costruito l’ultimo reattore in America? Nel 1979,
trent’anni fa! Quanto conta il nucleare nella produzione energetica
francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei loro 59
reattori sono stati sostenuti di fatto dallo Stato per mantenere
l’arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare
occorrono 8-10 anni di lavoro che la tecnologia proposta si basa su un
combustibile, l’uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto
il mondo, il problema delle scorie”.
“ Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste
un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente
nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle
centrali.”
” Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più pericolosa per la
salute dell’umanità. Ma non si risolve il problema nascondendo
l’anidride carbonica sotto terra. In realtà nessuno dice quanto tempo
debba restare, eppure la CO2 dura in media fino a 30 mila anni, contro i
22 mila del plutonio. No, il ritorno al carbone sarebbe drammatico,
disastroso”.
“C’è un impianto per la produzione di energia solare, costruito nel
deserto del Nevada su progetto spagnolo. Costa 200 milioni di dollari,
produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono solo 18 mesi. Con 20
impianti di questo genere, si produce un terzo dell’elettricità di una
centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si
potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran
quantità. Basti pensare che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200
chilometri per ogni lato, potrebbe produrre tutta l’energia necessaria
all’intero pianeta. E un’area di queste dimensioni equivale appena allo
0,1 per cento delle zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per
rifornire di elettricità un terzo dell’Italia, un’area equivalente a 15
centrali nucleari da un gigawatt, basterebbe un anello solare grande
come il raccordo di Roma”.
“I nuovi impianti solari termodinamici a concentrazione catturano
l’energia e la trattengono in speciali contenitori fino a quando serve.
Poi, attraverso uno scambiatore di calore, si produce il vapore che
muove le turbine. Né più né meno come una diga che, negli impianti
idroelettrici, ferma l’acqua e al momento opportuno la rilascia per
alimentare la corrente”.
Se è così semplice, perché allora non si fa?
“Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda
questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo
noi, molto presto lo faranno gli americani, com’è accaduto del resto per
il computer vent’anni fa”.
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Da altronovecento n.12 (http://www.altronovecento.quipo.it/)
Piccola storia delle frodi
di Giorgio Nebbia
ricevuta via mail
Le frodi sono una delle attività criminose più antiche dell’umanità e sono saldamente radicate nella vita sociale. Nel momento in cui il denaro è diventato l’indicatore del valore delle merci e in cui il possesso del denaro è diventato l’indicatore del valore delle persone, era abbastanza naturale che i commercianti aumentassero il proprio profitto vendendo a prezzo più elevato merci meno pregiate.
Così l’orefice che preparò la corona per Gerone di Siracusa cercò di ingannare il suo cliente mescolando all’oro metalli meno pregiati e ci volle Archimede per svelare la frode, con un ingegnoso sistema che gli permise di inventare il metodo per la misura del peso specifico dei corpi. Plinio, nella sua “Storia naturale”, spiega bene come i commercianti adulterassero alimenti, droghe, spezie, soprattutto quelli che arrivavano a Roma da paesi lontani, e indica vari metodi per svelare le frodi.
E però col diffondersi della cultura e del modo di vivere arabi che la lotta alle frodi viene affrontata con metodo scientifico. In questo nuovo mondo, in cui un vivace spirito mercantile
si trova associato ad una viva curiosità per la natura e per l’osservazione scientifica, le pratiche di commercio, le merci e le loro alterazioni, adulterazioni e sofisticazioni diventano oggetto di studio e argomenti di libri e trattati.
La necessità di far rispettare le leggi e i divieti della fede che prescriveva, fra l’altro, l’onestà nel commercio, portò ad un sistema di polizia, di controlli e di tribunali contro le frodi; tale sistema si sviluppò con l’estendersi del mondo islamico. Mentre nei primi tempi il compito di controllo e repressione era svolto dal Califfo in persona, e occasionalmente da altri incaricati, con l’aumentare del numero dei musulmani tale compito, divenuto più gravoso, fu affidato a funzionari regolarmente nominati dai governanti.
Probabilmente verso la fine dell’ 800, quando si svilupparono le varie scuole del Fiqh, fu creato l’ufficio della hisbah, una polizia incaricata di tutelare l’onestà nei commerci e nei mercati, l’igiene pubblica e la pubblica moralità. La hisbah svolgeva anche compiti di anagrafe e di stato civile, oltre a quelli tecnici comprendenti la repressione delle frodi, il controllo dei pesi e misure ed anche un servizio di commissariato militare. Il funzionario addetto alla hisbah, il muhtasib, dipendeva dalla autorità religiosa, girava per i mercati con un assistente che si portava dietro un vero e proprio laboratorio mobile, con i reagenti e gli apparecchi per controllare la genuinità degli alimenti e per scoprire i frodatori, una specie di antesignano degli odierni organi governativi per la repressione delle frodi.
Gli Arabi distinguevano varie forme di frodi; alcune sono indicate col nome di ghushush per intendere, per lo più, quelle realizzate con miscele di sostanze differenti da quella genuina, più o meno corrispondenti al nostro termine di “falsificazione” o “adulterazione”; altre sono indicate col termine tadlis per intendere la vendita di una qualità inferiore di merce al posto e al prezzo di quella di qualità migliore, più o meno come le nostre “sofisticazioni”.
Con la creazione del nuovo ufficio cominciarono ad apparire dei trattati contenenti, fra l’altro, i metodi di analisi per svelare molte frodi sugli alimenti, oltre che su altre merci come droghe, spezie, cere, metalli preziosi, eccetera, veri e propri manuali merceologici che aiutavano il muhtasib nello svolgimento delle sue funzioni. Ci sono, fortunatamente, pervenuti molti di questi manuali che consentono di avere notizie su una attività molto progredita e sulle frodi più comuni. Lo studioso al-Chazini nel 1200 aveva messo a punto uno strumento, la bilancia idrostatica o “bilancia della sapienza”, con cui riusciva a misurare con grande precisione il peso specifico dei corpi, al punto da differenziare l’olio di oliva da quelli di semi e da svelare molte altre frodi. Si può anzi dire che la chimica e la fisica hanno fatto passi da gigante proprio spinte dalla necessità di svelare le frodi alimentari e commerciali.
Il vero cammino trionfale delle frodi alimentari comincia, però, con l’avvento del capitalismo. Dal 1700 in avanti il proletariato poteva essere sfruttato non solo in fabbrica, con bassi salari e condizioni disumane di lavoro, ma anche nella bottega. Agli inizi del 1800 le frodi alimentari erano così diffuse da indurre il chimico Fredrick Accum (1769-1838) a scrivere un celebre libretto sull’adulterazione dei cibi, col sottotitolo: “La morte nella pentola”, con riferimento alla intossicazione alimentare di Eliseo e dei suoi compagni, raccontata nella Bibbia nel quarto capitolo del quarto Libro dei Re. Il libro di Accum, pubblicato nel 1820 a Londra, fu il primo di una lunga serie di scritti di denuncia delle frodi e fece sollevare una vasta protesta popolare. Davanti a tale sollevamento dell’opinione pubblica il Parlamento inglese nominò, nel 1834, la prima commissione d’inchiesta sulle frodi alimentari. Poiché le frodi continuavano, altre due commissioni parlamentari d’inchiesta, nel 1855 e nel 1856, mostrarono quante porcherie arrivavano sulla tavola degli inglesi.
L’indagine fu sostenuta da una violenta campagna di stampa. Il settimanale satirico inglese Punch, durante i lavori della Commissione parlamentare, pubblicò il 4 agosto 1855 una celebre vignetta che mostra una bambina nel negozio del droghiere. “Signore – dice la bambina – la mamma la prega di darmi un etto di te della migliore qualità, per uccidere i topi, e mezzo etto di cioccolata per sterminare gli scarafaggi”.
Nella battaglia contro le frodi ebbe un ruolo rilevante il medico Arthur Hassall (1817-1894) che fu nominato direttore del primo laboratorio governativo di controllo per la repressione delle frodi alimentari e che fu autore anche di varie opere di merceologia. Lo scandalo portò all’approvazione, nel 1860, dell’“Adulteration of Food Act”, la prima legge inglese contro le frodi.
Di questa battaglia parla Carlo Marx nell’ottavo capitolo del primo libro del “Capitale”, pubblicato, come è ben noto, nel 1867, pochi anni dopo questi eventi. “L’incredibile adulterazione del pane, specialmente a Londra, venne rivelata per la prima volta dal Comitato della Camera bassa sull’adulterazione dei cibi (1855-56) e dallo scritto del dott. Hassall: ‘Adulteration detected’. Conseguenza di queste rivelazioni fu la legge del 6 agosto 1860 ‘for preventing the adulteration of articles of food and drink’; legge inefficace, poiché naturalmente mostra la massima delicatezza verso ogni freetrader che intraprende ‘to turn an honest penny’ – di guadagnarsi qualche meritato soldo – attraverso la compravendita di merci sofisticate. Il Comitato stesso aveva formulato, in maniera più o meno ingenua, la convinzione che il libero commercio significa in sostanza commercio di materiali adulterati o, come dice spiritosamente l’inglese,’materiali sofisticati’. E infatti questa specie di ‘sofistica’ sa far nero del bianco e bianco del nero, meglio di Protagora e sa dimostrare ad oculos che ogni realtà è pura apparenza, meglio degli Eleati”.
La corsa veloce e gloriosa dell’industrializzazione paleocapitalistica è costellata di “progressi” tecnici accompagnati da un peggioramento della qualità, da frodi, da contaminazioni e pericoli per la salute. In Inghilterra sarebbe stato necessario attendere il 1875 per avere la prima legge organica contro le frodi, il “Sale of food and drug Act”.
Il libro “Il ventre di Parigi”, pubblicato da Emile Zola nel 1873, espone un quadro desolante del commercio all’ingrosso degli alimenti nella capitale francese. In quegli anni fu istituito in Francia il servizio di igiene pubblica degli alimenti – il Conseil d’Hygiene publique et de la Salubrite – la cui direzione fu affidata, nel 1877, niente meno che a Louis Pasteur (1822-1895).
Un movimento di contestazione si era intanto sviluppato anche negli Stati Uniti dove vennero pubblicate varie riviste che denunciavano le frodi alimentari e dove emerse la figura, fra gli altri, di Harvey Washington Wiley (1844-1930). Altre riviste sulle frodi furono pubblicate in altri paesi. Nel 1898, durante la guerra di Cuba, l’America fu scossa dallo scandalo delle scatolette di carne avariata distribuite al corpo di spedizione statunitense.
Ci sarebbe voluta l’inchiesta dello scrittore Upton Sinclair per fare luce sulla grande industria americana dei macelli e della carne in scatola e sulle sue frodi e imbrogli, nonché sulle condizioni disumane e anti-igieniche di lavoro Il libro “La giungla” che Upton Sinclair (1878-1968) pubblicò nel 1905 (Mondadori ha pubblicato di recente una ristampa della traduzione italiana, la cui lettura raccomando vivamente) sollevò l’indignazione pubblica e portò all’approvazione delle due leggi americane, il “Pure Food and Drug Act” e il “Beef Inspection Act” che misero qualche ordine in un settore fino allora abbandonato all’arbitrio di industriali spregiudicati. Dopo tali leggi fu anzi creato uno speciale laboratorio anti-frodi nel Dipartimento dell’Agricoltura. Piu’ tardi fu creata, nel Dipartimento della Sanità, la Food and Drug Administration.
Le cose non vanno bene neanche oggi e un quadro di aspra contestazione della politica troppo permissiva della FDA e’ contenuto in un libro di Ralph Nader, l’“avvocato dei consumatori”, intitolato “Il cibo che uccide” e tradotto in italiano alcuni anni fa e pubblicato da Bompiani.
La storia delle frodi alimentari in Italia è ancora in gran parte da scrivere. Le prime leggi sulla genuinità degli alimenti risalgono al 1888 e al relativo regolamento del 1890, al 1901, al 1904, al testo unico delle leggi sanitarie del 1907 e al relativo regolamento del 1908. Alcuni autori hanno ricostruito le modificazioni delle normative sull’olio di oliva e di semi, sul pane e sulle paste alimentari, sui coloranti e sugli additivi e su vari altri alimenti e hanno messo in evidenza che i grandi interessi e le potenti forze economiche hanno, a varie riprese, chiesto e ottenuto leggi su misura, protezioni, vantaggi. Il consumatore è sempre stato proprio come se non esistesse.
La vasta riforma delle leggi merceologiche si ebbe sotto il fascismo negli anni dal 1928 al 1935. Ancora una volta le nuove leggi non furono scritte per assicurare merci migliori al minimo prezzo ai cittadini e ai lavoratori, ma per difendere, a volta a volta, gli interessi, corporativi, appunto, degli agricoltori o degli industriali. Addirittura con cambiamenti di rotta lungo il cammino.
Un esempio illuminante è offerto dalla normativa sull’olio di oliva: fino al 1935 le leggi sull’olio di oliva proteggevano gli interessi degli agricoltori; gli oli vergini di pressione, più pregiati e costosi e con un elevato “contenuto” di lavoro e cura agricola – e di profitti per gli agrari – potevano essere commerciati con denominazioni ben chiare che permettevano di riconoscerne l’origine. Le denominazioni delle miscele di oli di pressione con oli raffinati, ottenuti industrialmente dagli oli acidi o dagli oli di sansa, permettevano chiaramente di riconoscere che si trattava di oli meno pregiati. La transizione, che risale proprio agli anni intorno al 1935, dal fascismo agrario al fascismo protettore degli industriali fu segnata da un cambiamento delle denominazioni dell’olio, per cui qualsiasi miscela di oli raffinati e di pressione poteva essere sempre venduta come “olio di oliva”, anche quando il contenuto di olio di pressione era magari di appena il 5 per cento.
Per il comodo degli industriali le paste alimentari potevano essere vendute come paste di grano duro e come paste “comuni”, se erano fatte impiegando anche farina di grano tenero; ma la farina di grano tenero poteva rappresentare il 95% della miscela e il consumatore, comprando la pasta comune, non sapeva certo se il prezzo pagato corrispondeva al suo valore commerciale e alimentare.
I periodi di guerra sono sempre stati periodi d’oro per i frodatori e gli speculatori; tempi di borsa nera e di frodi alimentari in cui affondano le radici molte fortune finanziarie anche odierne. Comunque le leggi fasciste sugli alimenti sono rimaste in vigore fino alla fine degli anni cinquanta del Novecento. Per quindici anni, dopo la Liberazione, la tecnologia dell’industria agroalimentare ha fatto grandi progressi, nel bene e nel male, ma le leggi hanno fatto finta di non accorgersene.
Sotto le denominazioni, le definizioni, i caratteri stabiliti per gli alimenti da leggi di venti e più anni prima, è stato possibile ai più spregiudicati frodatori assicurarsi guadagni illeciti alle spalle degli italiani. Al settimanale L’Espresso va il merito di alcune inchieste giornalistiche che, negli anni 1957 e 1958, hanno denunciato la scandalosa rete di silenzi, acquiescenze, complicità che consentivano le principali frodi. Nel gennaio e nel settembre 1957 alcuni articoli avevano descritto le frodi nel vino che, metanolo a parte, non erano molto diverse da quelle della primavera 1986!
In quegli anni qualcuno aveva scoperto che l’olio di semi di te è l’unico olio vegetale (a parte il troppo costoso, allora, olio di mandorle) che presenta caratteristiche merceologiche e analitiche uguali a quelle dell’olio di oliva. Fu così organizzato un “commercio triangolare”; veniva acquistato a basso prezzo olio di te in Cina; questo arrivava in qualche porto dell’Africa settentrionale dove, senza nessuno spostamento, con un abile cambiamento dei documenti di trasporto, veniva fatto figurare che la nave aveva scaricato olio di te e imbarcato olio di oliva. L’olio di te entrava così in Italia come regolare olio di oliva.
Un’altra “elegante” frode nel campo dell’olio di oliva derivava dal fatto che la tecnologia alimentare industriale aveva messo a punto dei processi per ottenere oli facendo combinare insieme, per sintesi, i due principali costituenti di tutti i grassi, la glicerina e gli acidi grassi. Una scoperta “provvidenziale”; infatti molti oli di oliva di pressione sono acidi per loro natura, cioè contengono acidi grassi liberi in quantità tale da non farli considerare commestibili: la loro raffinazione comportava e comporta la perdita di una parte apprezzabile dell’olio. Qualcuno si chiese allora: se la natura trasforma, dentro il frutto dell’olivo, gli acidi grassi in olio combinandoli con la glicerina, perché non imitare la natura con un processo industriale? Furono così messi a punto dei processi di ricostruzione, per sintesi, per “esterificazione”, degli oli di oliva combinando con glicerina gli acidi grassi separati, mediante distillazione, dagli oli di oliva acidi.
Ma ci fu chi fece un ulteriore passo avanti scoprendo che si poteva ottenere un falso olio di oliva, indistinguibile dall’olio di oliva genuino, combinando la glicerina con certi acidi grassi, i “grassetti”, ricavati da grassi animali di basso costo, come l’olio di piedi di cavallo o di asino, che l’Italia importava per usi industriali e che avevano composizione simile a quella degli acidi grassi dell’olio di oliva. La frode era nota da tempo, tanto che nel 1953 un decreto aveva imposto agli importatori di addizionare ai “grassetti” un denaturante, il nitrobenzolo, che però poteva essere facilmente eliminato.
Un primo articolo apparso su L’Espresso del 22 giugno 1958 col titolo: “L’asino nella bottiglia”, raccontò questa poco edificante storia del miracolo italiano. Negli articoli successivi l’opinione pubblica imparò che si poteva ottenere burro impiegando grasso di balena e pasta alimentare con farina di grano tenero e addensanti ottenuti dal sangue dei macelli.
Poiché la pasta di grano duro aveva un valore (e un prezzo) maggiore della pasta “comune”, i pastai spregiudicati fabbricavano pasta con la farina di grano tenero e la vendevano come pasta di semola di grano duro. La pasta fatta con la farina di grano tenero tiene poco la cottura, rilascia dell’amido nell’acqua di cottura; l’aggiunta di un addensante a base di albumina, ricavata appunto dal sangue dei macelli, permetteva di migliorare la resistenza alla cottura, di correggere il basso contenuto di proteine e consentiva con poca spesa il maggior guadagno assicurato dalla vendita di pastaccia col nome prestigioso del grano duro.
Le violente denunce dell’ Espresso sollevarono una ondata di indignazione, la prima grande protesta e contestazione civile contro le speculazioni e contro uno stato troppo distratto o compiacente nei confronti degli imbroglioni. Del problema delle frodi si occuparono giornali e pubblica amministrazione e studiosi, si tennero numerose conferenze e dibattiti – proprio come sarebbe successo, dieci anni dopo, ai tempi della prima contestazione ecologica. Si moltiplicarono così le scoperte di molte altre cose strane.
Dal 1924 al 1957 la legge aveva ammesso l’addizione agli alimenti di sostanze coloranti solubili nei grassi, denominate Sudan o, più patriotticamente, Somalia, che erano noti cancerogeni. Per anni, quindi, gli italiani hanno ingerito coloranti dannosi con la benedizione della legge; quante vittime, sconosciute, ci sono state per questa leggerezza? Quante altre sostanze dannose sono finite, per decenni, nel nostro piatto?
A partire dal 1960 si sono finalmente messe in moto varie iniziative parlamentari e, fra il 1960 e il 1965, sono state finalmente riscritte tutte le leggi sulla produzione e sul commercio degli alimenti.
Nel caso dell’olio di oliva la miscelazione degli oli di pressione con oli esterificati è stata sgominata soltanto vietando del tutto il processo di esterificazione che, fra l’altro, impiegava dei catalizzatori metallici e faceva finire nell’olio esterificato residui di metalli dannosi. Uno dei tanti esempi della necessità di dire “no” a certi presunti “progressi tecnici” che sono nocivi alla salute o agli interessi dei cittadini.
Finalmente, dopo quindici anni di democrazia, veniva riconosciuto il diritto dei cittadini ad avere alimenti non sofisticati e non pericolosi; naturalmente gli interessi economici stavano ancora dietro la stesura delle nuove leggi. Ad esempio fu stabilito che la pasta alimentare poteva essere fabbricata soltanto con semola di grano duro, anche in questo caso per difendere gli agricoltori che negli anni precedenti avevano accumulato delle scorte di grano duro invenduto. Da allora per decenni si sono susseguite – e forse durano ancora adesso – frodi consistenti nella produzione di pasta dichiarata di grano duro, ma fatta ancora in parte con sfarinati di grano tenero.
Apparvero in quegli anni le traduzioni italiane di libri come “L’assassino è al nostro desco” di Robert Courtine, del 1967, e “Il cibo che uccide” (Bompiani, 1974) di Ralph Nader, l’“avvocato dei consumatori” americani, pubblicato nel 1974. Apparvero anche i risultati di inchieste giornalistiche italiane come quella, intitolata “Il consumatore nel caos” (Mondadori, 1974), di Felice Campanello.
Sfortunatamente, dopo l’ondata di indignazione e di protesta della fine degli anni cinquanta, l’attenzione dell’opinione pubblica si e’ allentata anche se negli anni 60 e settanta del Novecento le frodi, naturalmente, sono continuate. Per molti anni è stato messo in commercio olio di colza, importato a basso prezzo dalla Francia, contenente un acido grasso, l’acido erucico, che si è rivelato nocivo per la salute; sono stati necessari anni di controversie e vari processi per vietare l’uso dell’olio di colza, fino a che gli agricoltori non hanno scoperto che è possibile produrre dell’olio di colza privo o povero di acido erucico, come è quello attualmente in commercio.
Vi sono state dure lotte, con mobilitazione dell’opinione pubblica, per eliminare sostanze coloranti per alimenti considerate dannose, o altri coloranti impiegati nelle tinture per capelli, anch’essi dannosi alla salute.
Ogni volta ci sono stati processi, i sofisticatori hanno trovato volonterosi difensori pronti a contestare la pericolosità delle merci incriminate … fino a quando la protesta è riuscita ad averla vinta, quasi sempre.
Le carni e gli insaccati conservano il colore rosso di “carne fresca” perché sono addizionati con nitrati e nitriti che impediscono l’ossidazione dell’emoglobina, il colorante rosso del sangue. Ma questi stessi nitriti reagiscono con le proteine e le sostanze amminiche presenti nella carne formando sostanze cancerogene, le nitrosammine; purtroppo la contestazione non
è ancora riuscita a far vietare l’uso di questi nitriti nelle carni.
Sempre nelle carni si trovano residui di ormoni impiegati per accelerare la crescita del peso degli animali di allevamento, specialmente i vitelli; opportunamente vietati in Italia, l’uso degli ormoni e’ stato ammesso fino alla fine del 1987 negli altri paesi della Comunità e del resto c’è stato un commercio clandestino e un uso fraudolento di ormoni anche da parte di allevatori italiani.
Le cose non sono andate bene neanche nel campo dell’informazione dei consumatori; molte leggi prescrivono che i dettagli siano chiariti entro un anno da opportuni regolamenti, ma è buona abitudine della burocrazia ministeriale non emanare mai tali regolamenti; dopo mezzo secolo non è stato ancora emanato il regolamento di esecuzione della legge sulle paste alimentari.
Ci sono voluti diciotto anni e una mobilitazione popolare, con raccolte di firme e proteste varie, per ottenere l’emanazione del regolamento che stabilisce le informazioni che devono essere presenti nelle etichette dei prodotti alimentari. La storia delle nostre leggi contro le frodi degli alimenti, dagli anni settanta in avanti, coincide con quella delle leggi della Comunità Europea, comunque recepite con ritardi, ostacoli, modificazioni.
La “scoperta” della frode del metanolo nel vino, nell’aprile 1986, mostra chiaramente che le frodi sono ancora fra noi e che occorre una forte mobilitazione per sradicarle.
Ma occorre anche una diffusione delle conoscenze merceologiche, una crescita della capacità critica dei cittadini, una disintossicazione dai messaggi pubblicitari che disabituano a interrogarsi sulle cose che contano: che cosa significa questo nome? Che cosa c’è dentro questo barattolo? Come è stato fabbricato questo alimento o questa merce? Dovrebbe essere lo stato a difendere la salute e la tasca dei cittadini, ma si è visto che le leggi sono fatte o non fatte o ritardate con maggiore attenzione ai potenti interessi settoriali, produttivi ed economici che nel nome del bene pubblico. Da qui l’importanza di vigilare, di saperne di più e anche di arrabbiarsi.
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SOCIALISMO ECOLOGICO E TERZO MILLENNIO
Mike Davis
Professore di sociologia urbana al Southern California Institute of Architecture, Los Angeles, Usa
1. La notte dei morti viventi
Marx può essere considerato il primo dei Caotici moderni. I suoi studi
storici ed economici hanno anticipato le successive ricerche di Poincaré sul
ruolo costitutivo delle turbolenze e dei cambiamenti catastrofici dello
stato della natura. L’esempio più ovvio è l’analisi, ne Il Capitale, dei
cicli economici e del perché è impossibile nell’economia capitalista,
realizzare un equilibrio dinamico stabile tra valore e prezzi, tra offerta e
domanda. Marx ha svelato le leggi tempestose del caos che regnano nella
cosiddetta utopia newtoniana del mercato. Ma egli era affascinato anche da
altri tipi di fenomeni caotici: la frequenza imprevedibile con la quale le
isterie di massa, le manie monetariste e le allucinazioni populiste usurpano
la scena storica mondiale per brevi ma decisivi momenti. Il diciotto Brumaio
è l’analisi classica di una tale congiuntura non-lineare, nella quale
l’impossibilità strutturale di una coscienza classista tra i contadini
francesi ha fatto risorgere il Bonapartismo come soluzione ‘fantasiosa’ al
blocco ‘reale’ delle forze sociali.
Qui: http://www.ecologiapolitica.it/web/1-2/articoli/davis.htm
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Il fungo del marciume: un aiuto per i biocarburanti.
Postia placenta è il fungo agente del marciume bruno delle piante, conosciuto per la sua capacità di degradare efficacemente la cellulosa, un componente strutturale delle pareti cellulari vegetali. Un team internazionale di scienziati ha fornito informazioni importantissime sulla genetica fondamentale del fungo e pubblicato i risultati sul periodico scientifico statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). La ricerca è stata condotta all’interno del progetto Biorenew (“Biotecnologia bianca per prodotti a valore aggiunto a partire da polimeri delle piante: Creazione di biocatalizzatori su misura e di nuovi bioprocessi industriali “), finanziato con 9,5 Mio EUR nell’ambito del Sesto programma quadro (6° PQ) dell’UE.
Qui: http://www.scienzaegoverno.org/n/055/055_01.htm
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Energia dalle onde del mare, promo impianto in costruzione in Portogallo
pubblicato: venerdì 31 marzo 2006 da eugenio in: Energia Tecnologia Informazione Europa Rinnovabili <!– –>
Solo ieri ecoblog scriveva della produzione di energia dal mare nello stretto di Messina, grazie a Kobold che sfrutta le correnti marine.
Luca M. (grazie) nei commenti ci ha segnalato un altro bel gingillo, che trae sempre energia dal mare ma che invece di sfruttare le correnti utilizza come fonte energetica il moto ondoso.
Trattasi di grandi “serpentoni” galleggianti formati da diversi tronconi rigidi collegati tra loro da snodi meccanici. Il moto ondoso fa… ondeggiare i tronconi variando continuamente l’ancolo di apertura degli snodi, e il movimento di questi ultimi viene utilizzato da generatori per convertire l’energia cinetica in elettricità. Meglio di qualisiasi parola questa animazione (in flash). Qui:
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Una patata contro il diabete (2003)
A cura di:
Istituto di ingegneria biomedica ISIB (http://www.cnr.it/istituti/DatiGenerali.html?cds=045)
L’Istituto di Ingegneria Biomedica, ISIB-CNR, Sezione di Bioingegneria di Padova (resp. Dr. Giovanni Pacini)ha coordinato con la Clinica Medica III dell’Universitá di Vienna (Prof. Bernhard Ludvik) uno studio sugli effetti benefici in soggetti diabetici di tipo 2 (non insulino dipendenti) di un estratto dalla buccia di una patata coltivata in Giappone. Questo studio fa parte di un piú vasto progetto di ricerca mirante ad individuare tramite sofisticate tecniche matematico/statistiche gli effetti di farmaci e di altre sostanze sul Diabete mellito di tipo 2 (T2DM). Nel 2010, ci saranno nel mondo 215 milioni di T2DM (prevalenza in Italia: 4-5%) con elevatissimi costi sociali (98 miliardi di dollari in USA nel 1997 per spese mediche, di disabilitá e mortalitá).
Qui: http://www.cnr.it/istituti/FocusByN.html?cds=045&nfocus=4
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La cannella contribuisce ad abbssare i livelli di glucosio nel sangue.
Studiosi svedesi della Malmo University Hospital, coordinati dalla dottoressa Joanna Hlebowicz, hanno scoperto che aggiungendo un cucchiaino di cannella al dessert si abbassano i livelli di glucosio nel sangue.
La ricerca è stata condotta su un gruppo di 14 volontari non diabetici.
I risultati, pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition confermano studi precedenti sulle proprietà della cannella di abbassare i livelli glicemici.
Il gruppo in osservazione è stato sottoposto nell’arco di due ore a diverse analisi che hanno evidenziato l’abbassamento dei livelli della glicemia dopo il consumo di cannella.
La spezia sembra entrare in azione nel transito dallo stomaco all’intestino.
Per il momento lo studio sui diabetici non è stato approfondito: dalle prime osservazioni è emerso che nei diabetici di tipo 2, assumere cannella per 40 giorni tenderebbe ad abbassare i livelli di colesterolo e di zucchero nel sangue ma nei diabetici di tipo 1 non sarebbe stato osservato alcun beneficio.
I ricercatori proseguiranno le ricerche approfondendo gli effetti della cannella sui soggetti diabetici.
Da American Journal of Clinical Nutrition, June 2007
22 giugno 2007
http://www.portalediabete.org/notizie/2007/giugno/cannella_ipoglicemizzate.html
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