Transition town senza petrolio
ecco gli eco-sognatori italiani
Il movimento, di origine britannica, prende piede nel nostro Paese. Monteveglio (Bologna), è la prima realtà riconosciuta dalla rete internazionale. Gruppi di acquisto energetico, cibi a chilometro zero, orti pigri e monete locali
di STEFANIA PARMEGGIANI
ROMA – Chiudete gli occhi e immaginate un mondo senza petrolio, dove l’energia è pulita, gli orti producono tutta la verdura di cui si ha bisogno e i supermercati vendono solo cibi a zero chilometri (cioè, prodotti in zona). Poi riapriteli e guardate meglio: un mondo del genere esiste già, è ancora piccolo e imperfetto, ma sta muovendo i primi passi.
Monteveglio, cinquemila anime in provincia di Bologna, è la prima città italiana di transizione. I suoi abitanti si stanno facendo contagiare da un gruppo di ecosognatori che hanno aderito a “Transition town”, movimento nato in Irlanda nel 2005 e definito dal Guardian “un esperimento sociale su vasta scala”. Oggi in Europa, Giappone, Usa, Canada, Australia, Sud Africa e Nuova Zelanda vivono persone che perseguono lo stesso obiettivo: convertire i centri abitati a un’esistenza ecologica che possa fare a meno del petrolio e dei suoi derivati. Tengono il conto dei barili di greggio estratti, sono certi che la decrescita economica ed energetica sia inevitabile, ma la vedono come un’opportunità. Non alzano la voce e non organizzano azioni dimostrative. Svuotano il mare con un secchiello.
A Monteveglio si praticano quei piccoli accorgimenti che possono migliorare la qualità della vita rispettando l’ambiente: orti in condivisione tra chi ha la terra e chi solo un terrazzo, patate in sacchi di juta per chi non ha spazio, giardini archeologici per specie ormai dimenticate. Chi non ha tempo o voglia di zappare sceglie l’agricoltura sinergica, suda all’inizio e poi guarda crescere, quasi da solo, il suo “orto pigro”.
Sono decine le famiglie che aspirando all’autosufficienza alimentare riescono ad evitare i supermercati almeno per frutta e verdura. Altre si uniscono in gruppi di acquisto energetico e installano pannelli solari o impianti fotovoltaici. La vecchia tazza sbeccata, invece di essere buttata, viene affidata al mercatino del riuso che mette in contatto chi cerca e chi offre. L’euro esiste ancora, ma non sarà il solo denaro a circolare: presto potrebbe arrivare anche una moneta locale.
Cristiano Bottone, rappresentante del movimento, spiega che il contagio ecologista, partendo dal basso ha finito con il bussare in municipio: “Gli amministratori stanno lavorando a un piano di riorganizzazione energetica dell’intero paese. Stanno raccogliendo dati per capire quali sono i giorni, le ore e le strade in cui la dispersione è maggiore. Partiranno da lì per ridurre i consumi”. Tra i contagiati una fattoria biologica: “Il proprietario sta pensando di trasformarla in una realtà libera dai combustibili fossili”. Lentamente, passo dopo passo, in paese si sta diffondendo l’idea che si può vivere in un mondo più pulito. Basta darsi da fare.
Gli eco-sognatori di Monteveglio si sono innamorati di una filosofia nata a Kinsale in Irlanda dove insegnava Rob Hopkins, docente universitario e fondatore del movimento. Da qui l’idea di zone franche, sempre più oil free, è migrata gettando i semi al di là dell’Oceano.
Ad esempio a Sandpoint, cittadina dell’Idaho che ha dato i natali a Sarah Palin, la ex candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti. Mentre lei, in Alaska, faceva infuriare gli animalisti con una foto in cui la si vedeva accanto a un’alce abbattuta, i suoi concittadini coltivavano l’orto in cooperativa e si garantivano un’autosufficienza vegetale e biologica. A Bell, in Australia, i residenti si sono messi in testa di acquistare forni a legna e dicono che a guadagnarci non è solo l’ambiente, ma anche il sapore del pane. A Totnes, cittadina inglese nota negli anni ’60 come meta hippy, abitano ancora oggi diverse comunità alternative che, insieme a cittadini più tradizionalisti ma comunque ecologisti, cercano di vivere senza combustibili fossili. Hanno cominciato con l’installare su ogni tetto dei pannelli solari e sono arrivati a introdurre una moneta, la Totnes Pound, che serve per acquistare prodotti rigorosamente locali.
“Totnes è diventata la mia seconda città – spiega Ellen Bermann, presidente del movimento in Italia -, ma anche da noi la transizione sta prendendo piede. Abbiamo meno di un anno, ma in questi mesi siamo cresciuti: sempre più persone visitano il nostro sito, partecipano agli incontri, s’inventano nuove pratiche oppure promuovono quelle avviate da realtà diverse, ma con i medesimi obiettivi”.
Molti dei transition townies – così si chiamano gli aderenti al movimento – sono iscritti ai Gas, gruppi di acquisto solidale, alle Banche del tempo e ad altre iniziative che considerano in sintonia con il proprio modo di vivere il presente e progettare il futuro. Tra di loro anche Jacopo Fo che, nella sua libera università di Alcatraz, ha ospitato uno dei primi incontri di transizione (VIDEO). D’altronde il padre Nobel si era già immaginato nel libro “L’apocalisse rimandata – ovvero benvenuta catastrofe” una società orfana del petrolio. Lo scambio d’informazioni – sono attivissimi su Internet con un sito wiki, cioè collaborativo – è infatti il primo passo per cambiare le comunità in cui si vive.
Per ora l’unica realtà italiana riconosciuta dalla rete internazionale è Monteveglio, ma gruppi guida sono nati a Granarolo, L’Aquila, Lucca e, ultimo in ordine di fondazione, Carimate in provincia di Bolzano. Altri si stanno organizzando in decine di comuni italiani tra cui Ferrara, Firenze, Mantova, Perugia, Reggio Emilia, Bologna, Bari e anche Palermo, Torino e Roma perché la “Transition town” non è una filosofia adatta solo a piccoli centri. Un esempio? Il quartiere di Brixton a Londra e l’intera città di Bristol.
17.08.2009
—
Pervenuto via mail da clochard, spartacok@alice.it il 17.08.09
Intervista con Khalida Jarrar, compagna del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
[Pubblichiamo un’intervista a Khalida Jarrar, compagna del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, di cui abbiamo curato la traduzione dall’inglese (qui la versione originale), che fa il punto sull’attuale situazione in Palestina e sulle prospettive politiche che potrebbero darsi le forze di sinistra palestinesi nel prossimo futuro.]
Iniziamo con il parere del FPLP in merito alla amministrazione Obama e al nuovo governo israeliano. Pensa che la nuova amministrazione americana porterà alcun cambiamento per il conflitto israelo-palestinese?
Noi non riteniamo che i singoli possono fare molto per la politica di un paese. Credo che Obama non porterà alcun cambiamento sostanziale, almeno per quanto riguarda la politica estera americana. Stiamo parlando di politiche istituzionali, non di quelle dei singoli. Naturalmente, ogni Presidente, ogni partito ha un approccio diverso sul modo di attuare la politica estera, e non ci saranno più folli politiche come quelle fatte da Bush, ma Obama non può cambiare il sistema, e le contraddizioni sono all’interno del sistema stesso: il sistema economico capitalista, l’imperialismo che ha portato all’occupazione militare in Iraq e in Afghanistan. Verso il Medio Oriente e, in particolare, la causa palestinese, stanno ancora parlando di “processo di pace”, che non significa nulla per noi, non è un vero e proprio processo di pace. E credo che la priorità per gli Stati Uniti ora sarà la crisi finanziaria ed i problemi economici all’interno del sistema capitalistico stesso. Pertanto, non siamo ottimisti, Obama, non intende modificare il sistema e, di conseguenza, per i palestinesi, la situazione non cambierà molto.
Che dire del governo israeliano? Sembra non essere ancora impegnato per la soluzione dei due Stati…
Il governo israeliano? Le elezioni dimostrano che il governo israeliano sta andando sempre più verso l’estrema destra. La cosa nuova è che Lieberman è riuscito a ottenere molti consensi e un ruolo nel governo come ministro degli Esteri. Egli stesso rappresenta chiaramente, ora a livello ufficiale, il razzismo, la pulizia etnica delle politiche del governo israeliano nei confronti dei palestinesi. C’è un aumento nel numero di insediamenti, nelle demolizioni di case a Gerusalemme; così, parlare o non parlare con loro? Io appartengo a un partito che ha detto fin dall’inizio che questo processo di pace non porterà a nessuna pace o giustizia per i palestinesi. Noi stiamo chiedendo da tempo di interrompere qualsiasi tipo di negoziazione con i governi israeliani, in particolare con questa. Noi non crediamo in un processo di pace sulla base di colloqui personali, individuali, senza la reale esecuzione delle risoluzioni internazionali relative alla causa palestinese e senza il riconoscimento dei diritti fondamentali dei palestinesi. Io non parlo solo del diritto di creare uno Stato palestinese pienamente indipendente, ma anche il diritto di autodeterminazione e il diritto al Ritorno per i profughi palestinesi. Non vi è alcuna necessità di discutere o di compromesso su tali fondamentali diritti inalienabili, che dovrebbero solo essere attuati attraverso una conferenza internazionale in base al diritto internazionale e alle risoluzioni ONU pertinenti.
Il dialogo del Cairo: pensi che qualsiasi tipo di riconciliazione tra Hamas e Fatah sia realistico?
Sono pessimista sulla possibilità di una riunificazione. Non credo che ci sono delle vere e proprie trattative tra le due parti in materia di riunificazione nazionale, ma colloqui individuali. Ciascuna parte utilizzerà il suo potere per creare meccanismi che diano ancora più potere e legittimità nel settore che già controllano. Pensiamo che ci debba essere una discussione, senza interferenze esterne e precondizioni su come dovrebbe essere formato il nuovo governo. Come partiti politici palestinesi, noi condividiamo la situazione di essere sotto occupazione: per questo noi dovremmo rispettarci a vicenda e utilizzare solo strumenti democratici per risolvere i nostri problemi, invece di controllare le cose attraverso l’uso della forza. Abbiamo bisogno di tenere le elezioni, cambiare la legge elettorale, al fine di dare a tutti i partiti politici la possibilità di partecipare. Dobbiamo porre fine a questo terribile meccanismo in cui il feudo Hamas-Fatah, anche grazie a interferenze esterne, controlla tutto.
Un numero crescente di critici e dissidenti della leadership dell’Autorità Palestinese (AP) sta diventando un obiettivo per l’apparato di sicurezza dell’AP in Cisgiordania. Pensi che la AP stia diventando sempre più autoritaria e le forze di sicurezza militarizzate? Che cosa pensi rispetto al coordinamento tra loro e gli israeliani?
Questo aspetto è parte degli accordi della Road Map. Noi rifiutiamo nel modo più assoluto il coordinamento tra le forze di sicurezza palestinesi e gli israeliani e pensiamo che dovrebbe essere immediatamente interrotto. Tutte le forze di sicurezza dovrebbero aiutare i palestinesi nella loro lotta e attuare e garantire i diritti dei nostri cittadini, invece di collaborare con l’occupante. Questo è uno dei temi ora sul tavolo del dialogo. Siamo contrari a qualsiasi tipo di forze di sicurezza legate ai partiti politici, come è adesso in Cisgiordania e Gaza. Sono molto preoccupata per la violazione dei diritti umani dei palestinesi: sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza ci sono prigionieri politici, assassini, la chiusura delle istituzioni del partito rivale. A Gaza Hamas non permette a Fatah di tenere una normale attività politica, e la stessa cosa accade in Cisgiordania controllata da Fatah. Le prime vittime di queste politiche sono i diritti umani dei palestinesi stessi.
L’Autorità palestinese continua a ritenere che i negoziati di pace sono il modo migliore per raggiungere la pace e la giustizia per i palestinesi. Pensi che l’AP rappresenta gli interessi dei palestinesi persone?
Sono membra di un partito che si è opposto al cosiddetto “processo di pace” sin dall’inizio. Non siamo d’accordo sul modello dei singoli e continui negoziati e chiediamo che la AP metta fine a questa politica che non porta da nessuna parte. Noi vediamo che Israele usa i negoziati di pace come uno strumento e una copertura per le loro azioni sul terreno, la loro costante aggressione e gli attacchi contro i palestinesi e la loro terra.
C’è la necessità di un’altra forma di rappresentanza per i palestinesi? Anche l’OLP è ormai sorpassato?
Non abbiamo bisogno di creare un’altra istituzione. Noi vediamo l’OLP come una rappresentanza politica dei palestinesi dentro e fuori la Palestina e il simbolo della loro lotta. La AP non rappresenta tutti i palestinesi, la maggior parte dei quali sono profughi all’estero, deve solo essere un ente per aiutare i palestinesi a sopravvivere sotto l’occupazione. Quindi, abbiamo bisogno di una rappresentanza politica: ritengo che si debba salvare l’OLP riformandolo. Prima di tutto è necessaria una politica di revisione: dobbiamo imparare la lezione dal passato e fermare la politica dei futili negoziati di pace e degli accordi. In secondo luogo, vi deve essere una riforma democratica all’interno della stessa OLP. L’elezioni per una Conferenza Nazione palestinese dovrebbe essere tenute in modo da dare a tutto il popolo palestinese la possibilità di essere adeguatamente rappresentato. Da queste elezioni saranno creati un Comitato Centrale e un Comitato Esecutivo. Tutti sanno che un altro aspetto del conflitto tra Hamas e Fatah è la questione della rappresentanza: Fatah non vuole far entrare Hamas nell’OLP, al fine di mantenere l’egemonia su di esso. Al contrario, Hamas vuole avere una forma alternativa di rappresentanza, perché ha vinto le elezioni. Noi vediamo nell’OLP una casa di tutti i palestinesi e uno strumento per la loro rappresentanza nella lotta per l’autodeterminazione.
Affrontiamo la questione della Sinistra Palestinese. Può una Sinistra divisa rappresentare una reale terza forza nello scontro tra Hamas e Fatah?
Le critiche alla frammentazione dei partiti di sinistra è giusta, questa è una grande debolezza. Noi riteniamo che la sinistra dovrebbe essere unita. Non sto parlando di un nuovo partito o di una immediata riunificazione, ma una coalizione di tutti i gruppi di sinistra e progressisti, delle organizzazioni di base e degli individui intorno a un minimo di piattaforma politica. Questo potrebbe essere il primo passo verso un processo che potrebbe condurre verso una sinistra unitaria. In caso contrario, questa situazione in cui Hamas e Fatah controllano ogni cosa ci guiderà per un lungo periodo di tempo. Solo se i partiti palestinesi democratici e di sinistra, insieme ai palestinesi che li sostengono, si uniscono in una coalizione, la Sinistra può rappresentare una terza via. Stiamo lavorando molto su questo. In alcuni consigli studenteschi hanno già affrontato l’elezioni insieme, i movimenti di sinistra delle donne stanno discutendo un documento sulla base del quale unirsi in una coalizione…
Quali sono gli ostacoli concreti contro l’unificazione della sinistra?
I principali ostacoli sono di carattere politico. Per esempio abbiamo opinioni diverse sul processo di pace: alcuni partiti sono d’accordo con gli accordi di Oslo, la Road Map, ecc. Altri no. Tuttavia, come ho detto prima, questo non deve impedirci di accordarci su una agenda politica minima.
Mi sembra che i gruppi di sinistra in generale, e il FPLP, sono di fronte a una crisi di consenso nella società palestinese: Perché? Dove è andata la sinistra? Cosa state facendo per essere più presenti e visibili nella società civile palestinese(ONG, organizzazioni di base, movimenti popolari)?
Questa è la sfida: nessun partito politico di sinistra può fare molto da solo. Ora le sinistre si trovano ad affrontare una situazione difficile: non abbiamo alcun potere, né denaro, né il sostegno internazionale. Anche nel mondo arabo, i gruppi islamici stanno avendo la parte da leone. Ci troviamo di fronte a problemi interni, come quello economico. Siamo parti poveri e se si desidera aumentare i programmi sociali, si ha bisogno di soldi per farlo. Come si può competere contro Hamas, che ha un sacco di infrastrutture e di fondi? La gente non vuole solo discorsi, ma interventi sul piano sociale. Abbiamo anche bisogno di poter contare sui militanti. Qui sorge la domanda: come incoraggiare l’attivismo quando si devono affrontare tanti ostacoli geopolitici? A livello internazionale, soprattutto dopo il crollo dell’Unione Sovietica, abbiamo perso il sostegno, la copertura, e qualsiasi tipo di protezione. Noi ci sentiamo vulnerabili: se si dice che sono un membro del FPLP, si finisce in carcere il giorno stesso. Ma la sua critica è giusta, dobbiamo rivedere la nostra politica, tornare ai movimenti di base, essere più presente …
… Come nel resistenza popolare nonviolenta contro il Muro…
Siamo già parte delle attività in Bil’in, Ni’lin, al-Ma’sara, siamo presenti in questi comitati popolari.
Avete rapporti con i partiti israeliani e i movimenti internazionale anti-occupazione?
Noi pensiamo che la nostra lotta nazionale ha bisogno del sostegno attivo del movimento di solidarietà internazionale. Per quanto riguarda i movimenti in Israele, noi chiediamo loro il pieno riconoscimento dei diritti palestinesi…
Non credi che sia giunto il momento per il FPLP di impiegare maggiori sforzi sui movimenti di base e la lotta popolare, e attribuire meno importanza al confronto militare?
Il FPLP crede in tutti i tipi di resistenza, e, naturalmente, la principale è la resistenza popolare (il boicottaggio delle merci, il boicottaggio accademico e culturale, le manifestazioni pacifiche contro il muro e gli insediamenti). Nessun partito sta sviluppando solo la resistenza militare. La lotta armata può essere condivisa solo da singoli individui, e cambia a seconda della situazione, ma la lotta popolare è la grande parte e può essere portata avanti da un sacco di gente. Non critichiamo in linea di principio, la resistenza armata, perché non stiamo affrontando un’occupazione “buona”, questo è un’occupazione militare. Sono d’accordo che dovremmo aumentare la nostra resistenza popolare contro il muro, gli insediamenti, ecc. Ma c’è un collegamento tra i due tipi di resistenza.
Forse non è il momento giusto per una terza Intifada, anche vedendo la reazione in Cisgiordania durante l’attacco israeliano su Gaza non è stata così forte come ci si potrebbe aspettare …
La reazione non è stata forte a causa del ruolo svolto dalle forze di sicurezza palestinesi, e perché, e questo è il motivo principale, siamo divisi a livello nazionale. Ascolta, l’Intifada ha bisogno di leader, ma non abbiamo leader. E ha bisogno di essere uniti, ma non c’è l’unità di tutti. Penso che il momento per una terza Intifada verrà, la gente non accetterà per sempre che la situazione peggiori, ma ora la priorità è quella di essere uniti come palestinesi.
Il FPLP è un partito laico e marxista, ma avete posizioni politiche molto più vicine a un partito religioso come Hamas rispetto ad altri partiti laici. Come si spiega questo?
Non credo che politicamente siamo così vicini ad Hamas. Ad esempio, critichiamo il suo approccio politico e la sua convinzione su un cessate il fuoco a lungo termine come modo per porre fine all’occupazione. Ci sono delle somiglianze, naturalmente: siamo entrambi contro gli accordi di Oslo, la Road Map, la trappola dei negoziati di pace. E come in altri movimenti rivoluzionari, per esempio quelli in America Latina, ci possono essere, in alcuni momenti storici, dei rapporti tra marxismo e religione. Dobbiamo definire la fase in cui ci troviamo, al fine di stabilire quali sono le priorità: come palestinesi, ci troviamo di fronte a una lotta nazionale e democratica. Devi definire le priorità politiche in base all’occupazione: ora la nostra lotta nazionale unitaria deve essere la priorità, in altre circostanze le questioni sociali e democratiche saranno in cima all’agenda politica. Prima di tutto, penso che dobbiamo lavorare per creare un fronte nazionale unito tra tutte i partiti per porre fine immediatamente all’occupazione.
Enrico Bartolomei, per l’Alternative Information Center
http://www.cpogramigna.org/index.phpoption=com_content&task=view&id=765&Itemid=1
—
19.08.2009
FERNANDA ONDE ROAD SEMPRE!
di Vittoria Oliva
ci lascia tanto senza lasciarci
Fernanda Pivano: giovane fino alla fine, giovane sempre! bella, vitale, eversiva, tenera e forte
Ha fatto conoscere la cultura dell’America contro, questo lo riconoscono tutti: la cultura scomoda, lei ha scoperto i talenti veri dell’America onde road, ed è stata lei che ha aperto nuove prospettive a tanti talenti artistici di un Italia chiusa nel suo provincialismo di parrocchia.
FERNANDA UNA DONNA ONDE ROAD SEMPRE!
Muore, ma non ci lascia, le persone come lei lasciano tanto! non ci lasciano!. Muore in un tempo in cui la strada è negata, è ripulita da quelli che sono considerati i rifiuti umani.
Onde road questo è il significato vero della cultura e della vita per Fernanda e per quelli che lei chiamava i miei eroi: l’eroismo vero è quello di mettersi sulla strada della ricerca continua.
Onde road verso un mondo altro che su la strada trovi, un viaggio senza cartelli stradali, un viaggio di scelta, dove conosci le anime e i corpi, senza PAURA dello sconosciuto che incontri, senza paura se è ubriaco o altro, l’importante è conoscersi e riconoscersi.
Un viaggio che porta all’incontro reciproco, all’accettazione , alla condivisione, e alla ricchezza interiore.
Era nata a Genova in riva al mare che amava tanto e come il mare era profonda nella sua apparente, semplicità, disarmata e disarmante, amante soltanto.
FERNANDA UNA DONNA ONDE ROAD SEMPRE!
che ha avuto la capacità di restare con il piacere della scoperta fino alla fine della sua vita terrena.
un giorno disse, nel settembre 2001.
“Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perche’ ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue.”
No. Fernanda non è stata sconfitta, perdente forse, ma sconfitta mai! e poi sconfitta veramente è questa società che ha paura del viaggio e dei viaggiatori.
Grazie Fernanda per quello che ci lasci per gli autori che ci hai insegnato ad amare, per la fiducia nella vita che ci hai regalato, ragazzi eravamo, ragazzi eravamo fra le macerie di un mondo che ci era ostile, che ci era nemico e ci aveva ferito, e tu venisti con i tuoi libri a ridarci la speranza.
Dormono sulle colline leggemmo e capimmo che la vita non doveva essere sonno.
vittoria
L’avamposto degli Incompatibili
http://roma.indymedia.org/node/11884
—
Appello internazionale, importante per il futuro e la libertà della rete
Mar, 18/08/2009 – 22:22
autore:
uno
Contro il colpo di mano all’Icann
Chi può, chi conosce chi possa, si attivi perché la questione è della massima importanza per il futuro della rete. Datevi da fare.
L’Icann, Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN) è l”ente non-governativo senza fini di lucro che sovrintende e organizza l’architettura di Internet, assegnando gli IP e svolgendo altre attività fondamentali alla gestione globale della rete. Fin dagli esordi l’operato dell’Icann è stato al centro dell’attenzione degli utenti di Internet e delle maggiori organizzazioni internazionali che si preoccupano di rendere aperta ed accessibile la rete. Da anni il board dell’Icann persegue una politica tendente a limitare la partecipazione di soggetti non-commerciali e non-governativi alle decisioni e ai dibattiti su queste importantissime questioni. Con la revisione dello statuto dell’Icann del 30 giugno scorso tale partecipazione è stata quasi del tutto cancellata attraverso la ristrutturazione del Generic Names Supporting Organization (GNSO), secondo linee che ignorano completamente le osservazioni largamente condivise dalla NCUC, la Costituente degli Utenti Non-Commerciali, che rappresenta la controparte non-governativa e non-commerciale portatrice delle istanze e degli interessi della comunità degli utenti.
L’appello che segue è rivolto alle associazioni senza fine di lucro di ogni tipo, in particolare a quelle che si occupano della tutela dei diritti degli utenti, gruppi d’interesse e accademie che non fanno parte della Costituente affinché sostengano le richieste che seguono per una revisione urgente, entro un anno, dello statuto appena deliberato.
> From: Milton L Mueller > Date: August 17, 2009 11:44:21 PM EDT > To: “MADCoList” >
Subject: [MADCoList] Appeal for support from ICANN civil society >
> Dear colleagues >
Many of you have already heard of the controversies surrounding the ICANN Board’s mistreatment of noncommercial participants. At issue is whether global governance of critical Internet resources will continue to be “tilted” toward governmental and commercial interests, and whether ICANN’s unaccountable staff will be allowed to punish or handicap independent and oppositional voices. Despite the setbacks we have succeeded in gaining the support of some Board members and in creating some pressure to review and amend the decisions. We are now pushing for a meeting with the Board in the Seoul meeting, and a few other requests. We are sending the attached letter, which has the unanimous support of the Noncommercial Users Constituency (NCUC), to the Board as soon as possible, and we’d like for this letter to include signatures from public interest groups who are not already members of NCUC. Please help us fight for an open and bottom up policy making process for the global Internet, and indicate your support for a more democratic approach to Internet governance.
Thanks!
–MM TO: The ICANN Board of Directors and Mr. Rod Beckstrom, ICANN President and CEO RE: Call to the ICANN Board to Correct Problems with the NCSG Charter, and to Address Continuing Misperceptions about Noncommercial Involvement in ICANN This letter comes from nearly 150 individual and organizational members of ICANN’s Non-Commercial Users Constituency (NCUC). It is also endorsed by public interest groups outside of NCUC. We are all deeply concerned about the July 30, 2009 ICANN Board decisions regarding the restructuring of the Generic Names Supporting Organization (GNSO).
We believe that the Noncommercial Stakeholder Group (NCSG) chartering process has been seriously flawed on both procedural and substantive grounds. We appeal to you to address these problems before permanent damage is done to ICANN’s reputation, to the GNSO reform process, and to the interests of noncommercial users of the Internet. This letter is, first and foremost, an urgent plea to the ICANN Board to grant three specific requests:
1)First, because you have never had the opportunity to get the full story, we are asking for a direct meeting between the full Board and NCUC representatives at the Seoul ICANN meeting in October.
2) Second, because of important flaws and the complete lack of community support for the Structural Improvements Committee (SIC) and ICANN staff-revised transitional NCSG charter[1], we ask that you make a public commitment to completely review the transitional NCSG charter within one year (i.e., by July 30, 2010) in a way that explicitly guarantees that the charter originally proposed by the NCUC[2] and overwhelmingly supported by the noncommercial community will be considered as an alternative. As part of this review, we commit ourselves to finding opportunities to reconcile the differences between the two models in a way that can gain consensus from the noncommercial community.
3)Third, because of the danger of locking in a suboptimal structure, we ask you not to approve any new Constituencies under the SIC and ICANN staff-imposed transitional NCSG charter until the ongoing debates over the status of Constituencies and their role in the NCSG is resolved next year. It is necessary to first determine the framework of the stakeholder group in which Constituencies will take their place. We emphasize that this letter does not ask the Board to repeal its decision of 30 July. Although many NCUC members initially favored rejecting the SIC/staff imposed charter in its entirety, we decided to work within the confines of the imposed transitional NCSG charter provided that the Board agrees to work with the noncommercial community to create a final NCSG charter that meets the needs of both the Board and noncommercial users.
NCUC did this to demonstrate our support for moving forward with the GNSO restructuring process, including implementing the new SG structure and seating the new, bicameral Council at the October Seoul meeting. Thus, even though we believe it constitutes a grievous mistake, NCUC is willing to work within the confines of the imposed transitional NCSG charter including the Board’s appointment of three transitional new NCSG Councilors. Subject to certain conditions, we pledge to work within those parameters for the next year if our requests are granted. We recognize the time constraints you are operating under and, in a spirit of cooperation we are proposing a practical way for you to minimize the damage that will be caused by the mistaken July 30 decision. Nonetheless, you still need to understand that the Board’s adoption of the SIC/ICANN staff NCSG charter has resulted in significant harm to ICANN’s credibility among civil society and non-commercial Internet users, who increasingly perceive ICANN’s decision-making process to be far from the “bottom-up, consensus-based”[3] platform it is supposed to be. We hope you are able to respond promptly, publicly and directly to the grounds we set out herein in support of our three requests. This letter is also an open call to the entire ICANN community to recognize that noncommercial representation in ICANN is in fact robust, stronger, more diverse and more representative of noncommercial users of the Internet than recent public statements by the Board, staff, and other GNSO constituencies have alleged. We address the rationale for each of these requests in the next three sections. I. A Meeting with the Board in Seoul in October It is obvious to anyone who has followed this controversy that there has been a serious breakdown in communication between the Board, ICANN’s management and the noncommercial community. It is not important to assign blame for this breakdown; it is most important to recognize that it exists and to address it. We are therefore asking for a direct meeting with the full Board to help overcome this problem. The Board can no longer rely on the intermediation of staff and a few Board members with entrenched positions. We need to have a direct exchange on the fundamental issue of ICANN’s governance structure. The SIC’s abrupt substitution of its own charter for the community-developed one, the Board’s July 30 vote ratifying that decision, the ICANN Staff’s dismissal of the outpouring of civil society and individual support for the NCUC and its proposals, and the persistent misconception of what the NCUC is and stands for all reveal basic and critical misunderstandings of why and how individuals, non- profit groups and public interest organizations participate in ICANN and other international groupings. This gap can only begin to be bridged through a direct meeting. We note that the Board and CEO have on numerous occasions in the past met for breakfasts or other focused meetings with other Constituency groupings, notably business interests. We think it is time for the same access to be afforded noncommercial stakeholders. II. One Year Review While we have many procedural issues to raise (and these will be addressed in a separate Ombudsman complaint), the Board needs to understand that our most fundamental and important concerns with the SIC charter are substantive. They relate to an important debate over the best way to encourage and organize the participation of noncommercial groups in the GNSO. For more than a year, we have advocated a single layer of Stakeholder Group (SG) organization in which noncommercial organizations and individuals join NCSG directly and vote directly for their representatives on the GNSO Council (subject to geographic diversity requirements). This SG model allows for noncommercial organizations and individuals to be the basic unit of membership in the NCSG. The staff and the SIC, in contrast, have favored Constituencies as the basic unit of organization and would have representatives of Constituencies negotiate over the apportionment of Council seats. Under the staff model, forming a new Constituency becomes a very complex, uncertain, and difficult process, involving numerous reviews, criteria and ultimately complicating the process of Board approval. The debate over those two options was unfairly and unwisely cut short in May 2009, when staff cancelled its planned June meeting with civil society to negotiate a resolution of the differences over the charter. And then in June, together with SIC, staff disregarded public comment and threw out civil society’s charter proposal, offering their own alternative without making any concessions or modifications in line with the views of those questioning staff’s Constituency-based model. Noncommercial users believe that the Constituency-based model imposed on us by the SIC is based on false premises and will not work well. We are convinced that it will cause wasteful, energy-sapping political infighting and competition; that it will raise the barriers to participation by new groups; that it discourages consensus building; and that it will lend itself to capture at the Executive Committee level. We note that the At Large Advisory Committee (ALAC) agreed with the NCUC charter proposal on a critical point. In its only formally discussed and agreed-upon statement on the NCSG charter, the ALAC statement said that “the de-linking of Council seats from Constituencies is a very good move in the right direction.”[4] Additionally, we note that the Board-approved SG Charters for the Registries and Registrars also agree with the NCUC-proposed model. The RySG and RrSG do not require any Constituencies at all. Instead, self-forming “Interest Groups” are permitted to organize within each SG. This is almost exactly the structure that the NCUC proposed for the new NCSG! Indeed, it is evident that the registries and registrars adopted this concept from our proposal. Was the Board aware of this? On what basis did it discriminate between what it considers the best structure for noncommercial users and for business- supplier interests? While in the short term it may be argued that the members of contracting-party SGs might have more interests and issues in common than commercial or noncommercial users, this will not universally be the case. As the number of registries expands with new gTLDs and they become more geographically and economically diverse, there may be major differences among them. With over 600 registrars and often bitter differences of opinion among them with regard to policy, the Registrar SG is already quite diverse; there is no feasible case for making a qualitative distinction between registrars and the non-contracting parties. We have already prepared detailed analyses supporting our critique of the Constituency-based model and are happy to prepare additional argumentation going forward. At this juncture our point is a simple one. Given the lack of support for a Constituency-based model by three of the four Stakeholder Groups, and the adoption of a different model by two of them, the Board must recognize that the relationship between Constituencies and Stakeholder Groups is an open question. We are, therefore, asking you to revisit that question with noncommercial users over the next year. We ask that the Board firmly and explicitly commit itself to a review and revision of the SIC/staff-imposed NCSG charter within the year, and that it explicitly make the role and status of Constituencies a primary issue to consider. In that review, we ask that the NCUC-proposed model not be arbitrarily thrown out of consideration by the staff, but be placed alongside the SIC model for open comparison and debate. In a fair and open debate over these alternatives, we think it is very likely that some compromise between the SIC’s purported desire to encourage new constituencies and the NCUC-proposed charter could be found within a year. III. Resolve the Charter Issue Before Approving New NCSG Constituencies The July 30 decision noted that the new Constituency petitions for entry into the NCSG were not ready for approval, and called for further negotiations between their advocates and the staff. We believe that it would be unwise to approve any new Constituencies until the NCSG charter is no longer an “interim” charter, particularly given the open question over the nature of the final NCSG charter. Therefore we are asking you to defer this issue until the charter issue is resolved a year from now. We wish to emphasize, however, that we remain committed to working with ICANN to continue our outreach to bring in new and diverse noncommercial participants in the GNSO policy development forum over the next year. There can be no such thing as an “interim” Constituency. Once a Constituency is recognized by the Board, it is incorporated into the bylaws and it gains specific rights and privileges under the charter and bylaws. Moreover, the organizers of the Constituency and its prospective members have to spend a lot of time and effort recruiting people and setting up their own organizational structures. To recognize new Constituencies before finalizing a permanent NCSG charter, therefore, would be to place the organizers of these Constituencies in a difficult and nonviable position. They will not know exactly how they fit into the GNSO organization. Or, worse, the recognition of these new Constituencies under the interim charter would create pressures to make the “interim” charter a permanent one. In this case, the Board’s decisions about the final NCSG charter would not be driven by getting the organizational issues right, but by prior, uncoordinated decisions regarding Constituencies. We believe it is important to get the foundational organizational issues right. We wish to make it clear that we strongly support the formation of new Constituencies in the NCSG and the Board’s discretion in approving them. Our original charter proposal was designed to make it very easy to form new Constituencies, in contrast to the staff/SIC model, which makes new Constituencies top-heavy, organizationally burdensome and expensive to maintain. Given the known problems with the current petitions to form new Constituencies in the NCSG we ask that the Board defer formal approval of any new NCSG Constituencies for a year. We also believe it is important for the Board to understand that NCUC’s members will “spin-out” into various Constituencies of self-forming interest groups with competing agendas; it does not make logical sense to have a “Noncommercial Users Constituency” and a “Noncommercial Stakeholders Group” as the terms are synonymous. IV. Misunderstanding Over Non-Commercial Representation and Participation in ICANN Finally, we’d like to address, prior to our meeting in Seoul, one of the core problems that seems to hamper resolution of these issues. The following public statement from ICANN seems to have been the basis for the Board’s adoption of a transitional NCSG Charter that inexplicably removes the ability of noncommercial users to democratically elect all of its Councilors to the new Non-Contracting Party House: “the current non-commercial community participation in the GNSO is not yet sufficiently diverse or robust[5] to select all six of the NCSG’s allocated Council seats.”[6] (emphasis added) This view has been repeated publicly several times by a number of Board members, as well as by other ICANN, and GNSO community participants. But these statements are patently inaccurate, and NCUC has provided facts to contradict it numerous times. We reproduce them below: First, NCUC has been, and still is, currently the most geographically diverse Constituency. According to the 2006 London School of Economics (LSE) GNSO Review[7] — which is the only systematic and independent study of the GNSO ever conducted — diversity of membership in NCUC then was already “relatively strong” and “shows quite a close fit to the distribution of global Internet users across at least four out of five [ICANN geographic] regions”. Since then, NCUC has continued to engage in active outreach (without ICANN financial or staff support), resulting in a current NCUC membership today of 141 members including 73 organizations and 68 individuals from 48 countries. Please note that this is a growth of over 215% since the Board Governance Committee (BGC) Working Group (WG) report on GNSO Improvements was released in February 2008. NCUC members come from developed and developing countries, and from outside North America and Europe (from countries and continents such as Africa, Korea, Cambodia, Bangladesh, Australia and China). Unlike the Commercial Constituency, whose website indicates 58% of its members reside in a single country (the USA), or the Commercial Stakeholder Group, whose first 3 GNSO Councilors (50%) will represent the USA, NCUC’s membership is, in fact, truly diverse. Secondly, NCUC is also diverse in terms of representation of those individuals and groups that we have repeatedly been told have been “under-represented” at ICANN, such as consumers, researchers and libraries. Numerous groups that champion consumer causes are NCUC members (e.g. ICT Consumer Association of Kenya, International Parents, Media Access Project, Read Write Web France, Uganda ICT Consumer Protection Association, FreePress, and the Association for Progressive Communications (APC) just to name a few); as are individual bloggers, academics, professors, researchers, schools and libraries (e.g. telecommunications, law and technology researchers/ educators, Global Voices, Yale Law School Information Society Project, Diplo Foundation, several chapters of the Internet Society, EDUCAUSE, the American Library Association, and Egypt’s Library of Alexandria) [8]. In addition, all three of NCUC’s current GNSO Councilors are academics and researchers affiliated with universities, thinnk-tanks and research centers. Thirdly, NCUC leaders have distributed the powers, duties and responsibilities of managing the Constituency much more widely than the commercial Constituencies and ICANN staff have alleged. The 2006 LSE Report documented that NCUC has had the highest number of different people serving on the GNSO Council of any Constituency, while the commercial Constituencies have rotated the same 5 people for a decade. The current NCUC Chair and all 3 of NCUC’s GNSO Councilors are serving their first term in office. More than a dozen new leaders from the noncommercial community have found their way to ICANN in recent months and are eager and ready to contribute to policy development. These noncommercial leaders were willing to stand for election for the GNSO Council, had the board allowed democratic representation to noncommercial users. In view of the above, NCUC calls on the Board and the ICANN community to recognize that NCUC has not just met, but exceeded, the BGC’s 2008 call for “the new non-commercial Stakeholders Group [to] go far beyond the membership of the current Non-Commercial Users Constituency [and] must consider educational, research, and philanthropic organizations, foundations, think tanks, members of academia, individual registrant groups and other non- commercial organizations, as well as individual registrants”[9]. We fully anticipate that the new NCSG will continue to expand and diversify and we are committed to working with the Board to bring new and diverse noncommercial participants into the GNSO policy development process.
Conclusion To conclude, we believe that our three requests are reasonable and not at all burdensome for the Board to grant. We look forward to your response.
Signed, Members of the Noncommercial Users Constituency (NCUC) Organizational Members of NCUC: Bibliotecha Alexandrino (Egypt’s Library of Alexandria) Electronic Frontiers Finland FreePress Diplo Foundation AGEIA DENSI (Argentina) Deep Dish Network Global Voices Freedom House Centre for Internet and Society Aktion Freiheit statt Angst e.V. ICT Consumers Association of Kenya Uganda ICT Consumer Protection Association Free and Open Source Software Foundation for Africa (FOSSFA) APWKomitel (Association of Community Internet Center) Yale Law School Information Society Project FreePress.net Internet Society – New York Alfa-Redi (NGO) Bangladesh NGO’s Network for Radio & Communication (BNNRC) Read Write Web France Privacy Activism The Thing Information Network for the Third Sector – RITS Audience Act for Good TV Programs Boulder Community Network Estonian Educational and Research Network (EENet) Fundacion Escuela Latinoamericana de Redes GLOCOM IPLeft (Intellectual Property Left) Internet Association of Korea (IAK) Jamaica Sustainable Development Network Ltd. Korean Progressive Network Jinbonet Labor News Production Media Access Project Open Institute of Cambodia PeaceNet Korea Philippine Network Foundation, Inc. (PHNET) Stichting A.G. van Hamel voor keltische Studies Internet Governance Project SDNP Bangladesh Virtueller Ortsverein der SPD (VOV) Phillipine Sustainable Development Network GIP Renater American Civil Liberties Union (ACLU) Electronic Privacy Information Center (EPIC) Korea Advanced Institute of Science and Technology Information and Communications University EDUCAUSE Internews International American Library Association Computer Professionals for Social Responsibility IP Justice Association for Progressive Communications (APC) Advisory Network for African Information Society Internet Society Chapter of Mauritius AfriDNS Africa Leadership Forum Jenne Redean Sans Frontieres – Tunisia Comitê para Democratização da Informática de Pernambuco Multilingual Internet Names Consortium CP80 Foundation Electronic Frontiers Australia Africa Leadership Forum FGV Centro de Tecnologia e Sociedade (CTS) Loyola Law School Pierce Law School Canadian Internet Policy and Public Interest Clinic (CIPPIC) Strathclyde Law School Church of Reality Free Software Foundation Europe Netwerk Freies Wissen NIC Senegal International Parents China Organization Name Administration Center (CONAC) Individual Members of NCUC: YJ Park William Drake Yang Yu David Olson Charles Knutson Jon Garon Lamees El Baghdady Ralph Clifford Lehrstuhl Weber David Bailey Nancy Kim Divina Frau-Meigs Rafik Dammak Carlo N. Cosmatos Ian Peter Schome Boudouin Edward Nunes Ron Wickersham Timothy McGinnis Graciela Selaimen Fouad Bajwa Kathy Kleiman Rudi Vasnick Marco Toledo Michael Haffely Gita Bamezai Tapani Tarvainen Ángel Sánchez Seoane Hala Essalmawi Lisa Horner Robert Bodle Andrew Adams Virgina Paque Wolfgang Kleinwächter Alan Levin Claude Almansi David Farrer Jeanette Hofmann Dan Krimm Isaac Mao Robert Pollard Saleem Khan Oscar Howell Poomjit Sirawongprasert Nathaniel James Willie Currie Glenn Harris Amira Al Hussain Nancy Handshaw Clark James Tay E. Christopher Carolan Jack Lerner Jorge Amodio Margaret Osburne Carl Smith Seth Johnson Hojatollah Modirian Cedric Laurant Eduardo Suarez Oksana Prykhodko Avri Doria Desiree Miloshevic Charles Mok Rossella Mattioli Jean-Robert Bisaillon Patrick Reilly Drew Jensen cc. ________ CIVIL SOCIETY SUPPORTERS OF THE NCUC [1] http://gnso.icann.org/en/improvements/ncsg-proposed-pe… [2] http://gnso.icann.org/en/improvements/ncsg-petition-ch… [3] See, e.g. ICANN’s GNSO Council Position Notification, 4 August 2009: http://www.icann.org/en/committees/improvements/soi-no… . [4] http://forum.icann.org/lists/sg-petitions-charters/msg… [5] In this letter, we address primarily the question of diversity, as it has never been made clear to us what being sufficiently “robust” means or entails, given that NCUC has been a long-recognized ICANN Constituency and has continued to grow and attract new members. [6] Background & Explanation to the Call for Applications for Non- Commercial GNSO Council Seats, 5 August 2009: http://www.icann.org/en/announcements/announcement-05a… . [7] See http://www.icann.org/en/announcements/gnso-review-repo… . [8] The current NCUC membership roster can be viewed at http://ncdnhc.org/page/membership-roster . [9] Extract from the Board Governance Committee Working Group Report on GNSO Improvements: http://www.icann.org/en/topics/gnso-improvements/gnso-… . # distributed via : no commercial use without permission # is a moderated mailing list for net criticism, # collaborative text filtering and cultural politics of the nets # more info: http://mail.kein.org/mailman/listinfo/nettime-l # archive: http://www.nettime.org contact: nettime@kein.org
http://roma.indymedia.org/node/11881
—
19/8/2009 – AFGHANISTAN – LA DIPLOMAZIA ITALIANA
Frattini: “No alle exit strategy”
Il ministro degli Esteri: «Kabul è una priorità, ma si deciderà dopo le elezioni se far restare le truppe di rinforzo»
EMANUELE NOVAZIO
ROMA
Ministro Frattini, alla vigilia del voto Kabul è nel caos e Obama conferma che la guerra non sarà rapida. I nostri rinforzi resteranno anche dopo le elezioni?
«Dipenderà dall’assestamento post-elettorale. Per ora è previsto che restino per le elezioni, compreso un eventuale secondo turno. La cosa importante, oggi, è che le elezioni siano credibili: i nostri soldati hanno fatto un ottimo lavoro in questa fase critica».
Berlusconi avrebbe promesso a Obama di mantenerli come nostro contributo al «surge».
«Con Berlusconi e La Russa non si è parlato per ora di un prolungamento della loro presenza. Alla luce dei risultati elettorali si potranno fare nuove valutazioni. Di certo l’Afghanistan è la priorità numero uno della nostra politica estera. E siamo già il 4° contributore Nato: ieri ci è stata affidata la responsabilità per la formazione della polizia afghana nel quadro Nato, cosa che mi riempie di soddisfazione».
Non le sembra che sul terreno la Nato si trovi al punto in cui le truppe sovietiche erano 25 anni fa? I talebani non possono sconfiggerla ma non può vincere.
«La Nato è alla prova maggiore della sua credibilità dalla fine della guerra fredda: abbiamo preso un impegno e non possiamo lasciarlo incompiuto. Ma vi sono differenze notevoli rispetto a 25 anni fa: c’è un grande problema di sicurezza ma sono stati ottenuti grandi risultati, dall’adozione di una Costituzione al cambiamento di molte regole giuridiche all’avvio della riforma del sistema giudiziario: fatti che tolgono acqua all’estremismo talebano. E’ stato deciso inoltre di sostituire la policy della distruzione delle colture di droga con l’impianto di colture alternative. Fra i punti deboli, la difficoltà di distingere fra le organizzazioni talebane che rispondono a gruppi tribali e quelle legate ad Al Qaeda. Quando ci riusciremo potremo offrire ai gruppi tribali una strada per uscire dall’illegalità. Resta molto da fare: ecco perchè è sbagliato parlare di exit strategy domani. Sarebbe fare come i russi, che se ne andarono lasciando spazio ai talebani».
Non pensa che decisiva per il successo del voto sarà l’affluenza? Se sarà bassa i veri vincitori saranno i talebani.
«Il nostro obiettivo è l’omogeneità dell’affluenza: aree in cui fosse molto bassa indicherebbero che lì i talebani possono dettare legge. E oltre all’affluenza va considerata la conferma di molte sezioni in più rispetto al 2005».
Karzai è la scelta migliore?
«Non avevamo una leadership alternativa, dopo un investimento così forte su di lui la comunità internazionale non si è sentita di abbandonarlo. Ma non ha un assegno in bianco. Vogliamo che chiunque sia eletto fermi le preoccupanti espressioni di intolleranza, come la legge che prevede la sottomissione totale della donna, che stava per essere approvata ed è stata bloccata dopo l’intervento mio e di Hillary Clinton insieme al ministro norvegese. Non abbiamo sposato un candidato: vogliamo il presidente voluto dagli afghani.».
E il fattore brogli?
«Lo seguiamo da vicino. Abbiamo apprezzato la costituzione di una commissione elettorale indipendente, e oltre 1800 osservatori internazionali sono sul campo».
Resta coperta la carta iraniana.
«Sono convinto che la dovremo giocare in fretta. Avevo sostenuto con forza la necessità della collaborazione iraniana per la lotta al traffico di droga: oggi a Teheran opera un centro dell’Ufficio Onu contro la droga con la piena collaborazione iraniana. Teheran ha capito che è nel suo interesse lavorare sull’Afghanistan».
Gli Stati Uniti sembrano intenzionati a rivedere l’apertura all’Iran, in settembre. L’italia è pronta a sostenere nuove e più dure sanzioni e a chiedere alle nostre imprese di rallentare il loro impegno nel Paese?
«Sono stato io, in quanto presidente del G8 Esteri, a proporre che il 24 settembre si riunisca all’Onu un G8 dedicato all’Iran. Se la comunità internazionale volesse adottare una linea diversa e più rigorosa saremo leali. Sentiremo le proposte, senza immaginarcele ora che non ci sono ancora ».
L’inchiesta della Stampa ha mostrato riserve americane sulla nostra adesione al gasdotto South Stream. Le avevate previste?
«Non ci sono e non ci saranno malumori dell’amministrazione americana sulla politica energetica italiana: l’Italia ha una dipendenza energetica dalla Russia molto inferiore a quella di altri Paesi. Siamo al 30%, il resto arriva da Libia, Algeria e Paesi del Golfo: siamo fra i Paesi più diversificati d’Europa, molto più della Germania e della Polonia. E non siamo contrari al Nabucco: abbiamo partecipato a South Stream e al gasdotto che dalla Turchia arriva in Italia attraverso la Grecia perché hanno il gas o lo avranno nell’immediato futuro. Il Nabucco per essere alimentato deve avere il gas azero, che non c’è ancora, o il gas iraniano, al quale oggi è problematico pensare. Abbiamo aderito a due progetti nell’interesse dell’Italia e di molti altri Paesi europei. L’America sa che siamo e saremo un partner assolutamente leale, anche se negli anni governi di centro destra e centro sinistra hanno coltivato un’alleanza strategica con Mosca».
Neanche gli inglesi hanno apprezzato.
«Londra critica, ma ha deciso di pompare gas dal North Stream, progetto russo tedesco criticato perché bypassa Polonia e Baltici, come il South Stream bypassa l’Ucraina».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200908articoli/46511girata.asp
—
19.08.2009
Escalation dentro l’urna
LUCIA ANNUNZIATA
In questa vigilia elettorale, si contano in Afghanistan 63.000 soldati Usa e 40.500 Nato. Il numero più alto dall’inizio delle operazioni contro i talebani, nel 2001.
Cosa dovremmo scrivere, oggi, se dovessimo valutare solo queste cifre, le dichiarazioni politiche, e i bollettini militari provenienti da Washington? La risposta è molto semplice. Se il Presidente degli Stati Uniti non si chiamasse Barack Obama, e se su di lui non fossero appuntate speranze di rigenerazione politica di tutto il mondo, la mobilitazione di uomini e di armi con cui gli Usa arrivano a questo decisivo appuntamento nel paese dei talebani si definirebbe con il più tradizionale dei termini: una marcata escalation militare.
Da febbraio, in effetti, Washing-ton ha irrobustito il ruolo delle sue forze in Afghanistan. Due decisioni in particolare sono state rilevanti: l’aumento delle truppe, 17 mila uomini più 4000 addestratori delle forze locali, annunciato personalmente dal Presidente; e il cambio ai vertici delle operazioni Usa nel Paese dei talebani. Di entrambe queste mosse misuriamo in questi giorni gli effetti.
L’invio di altre truppe ha inserito un importante nuovo elemento dentro le relazioni fra Usa e Nato: come si è visto anche nei rapporto con gli italiani, Obama ha tradotto l’impegno statunitense in un metro di misura valido anche per le alleanze europee
L’avvicendamento nella conduzione della guerra ha nel frattempo mutato il profilo del conflitto. Il generale David McKiernan, veterano dell’invasione dell’Iraq, cambiato solo dopo 11 mesi di incarico, è stato sostituito a maggio dal generale McChrystal, un berretto verde che ha passato la maggior parte della carriera nelle forze speciali e nel cui medagliere c’è l’uccisione del braccio destro di Osama Bin Laden, Abu Musab al-Zarqawi. La scelta di quest’uomo, segno di un ripensamento della strategia americana secondo le parole dello stesso Segretario alla Difesa Gates, è stata fatta per eliminare gli indiscriminati bombardamenti dei civili e indirizzare il conflitto verso azioni più mirate, nelle mani di militari più addestrati (fino all’arrivo di McChrystal non c’era nemmeno uno specifico addestramento per l’Afganistan). Il risultato di questo migliore approccio è stato – almeno per il momento – un allargamento e approfondimento del fronte di guerra. Lo hanno constatato anche le truppe italiane negli ultimi mesi.
La storia della guerra in Afghanistan tuttavia non si ferma qui. Le elezioni non sono viste come risolutrici da Washington. Tant’è che è già pronta una nuova piattaforma di richieste per Obama. Il mese scorso, il 21 luglio, sul tavolo del Presidente è arrivata una lettera delle due più influenti commissioni del Congresso firmata da due nomi eccellenti. Il senatore Joseph Lieberman, presidente della commissione Sicurezza interna, e Carl Levin, presidente della commissione Forze Armate, hanno chiesto a Obama di raddoppiare il numero delle truppe afghane, portandole dal livello attuale di 175 mila a 400 mila. Si sa che il generale McChrystal e Gates sono d’accordo con questa opzione. Che è poi la stessa avanzata in una lettera del 19 maggio a Obama da 17 democratici e repubblicani, fra cui Lieberman e McCain. Il costo di tale operazione sarebbe enorme, soprattutto nell’attuale contingenza economica. E richiederebbe un’ulteriore crescita di personale militare. Ma, dicono i senatori, un approccio «massiccio» oggi è l’unico modo per rimettere al più presto l’Afghanistan sui propri piedi. L’alternativa è la strategia del «passo dopo passo» che porterebbe al rischio di rimanere invischiati in un conflitto sempre più difficile e lungo.
A queste nuove richieste Obama non ha dato risposte. Aspetta anche le elezioni, ovviamente. Ma già il fatto che questi scenari vengano avanzati è un elemento interessante in sé per capire le dinamiche in corso a Washington. Si riconosce infatti in molte di queste tesi l’eco nemmeno così distante di altre discussioni fatte intorno alla guerra in casa democratica: la paura delle sabbie mobili di un approccio troppo timido (Vietnam), l’uso massiccio di addestratori (Centro America), diritti umani (Jugoslavia).
I democratici, insomma, insieme al messaggio diplomatico di apertura e di dialogo hanno ripreso a lavorare alacremente anche a una revisione e a un rafforzamento dell’uso della forza nei rapporti internazionali. Questo lavoro è un obbligo, una forma di saggezza per una classe dirigente che deve misurarsi con l’intero mondo (in questa discussione, ad esempio, il caso Iran lampeggia in fondo al tunnel come un avvertimento). I democratici americani infatti non si sono mai tirati indietro rispetto alla guerra.
Ma questa regola vale anche ora, dopo l’elezione di Obama? Per una di quelle rare, ma non uniche, interconnessioni tipiche della realtà, i seggi di uno dei più deboli Paesi della Terra, l’Afghanistan, ci forniranno indirettamente una risposta anche sulla natura del potere mondiale. Nei prossimi mesi sapremo se Obama diverrà l’ennesimo «riluttante guerriero» della storia moderna americana. O se a un certo punto farà un nuovo strappo, per affermare la sua diversità.
19.08.2009
Iraq, attentati in serie a Baghdad
Circa 50 morti e centinaia di feriti
Due autobombe e diversi colpi di mortaio sono esplosi nel giorno in cui ricorre l’attacco alla sede dell’Onu avvenuto nel 2003
BAGHDAD
Almeno 45 persone sono morte e altre 300 circa sono rimaste ferite questa mattina a Baghdad in seguito ad una serie di esplosioni nel centro della città, nei pressi dei ministeri delle finanze e degli esteri. Secondo le prime informazioni, alcune fonti parlano dell’esplosione di almeno due autobombe e di diversi colpi di mortaio, che avrebbero colpito anche la superfortificata Zona Verde, dove hanno sede le massime istituzioni irachene e le ambasciate di numerosi Paesi occidentali.
La seconda deflagrazione, seguita dopo pochi minuti, è stata provocata da un missile caduto vicino a uno dei varchi della Green Zone, nei pressi dell’Hotel Al-Rasheed, che si trova di fronte al Palazzo dei Congressi, sede temporanea del Parlamento iracheno. Questa esplosione ha mandato in frantumi le finestre ferendo alcuni giornalisti che si trovavano nell’ufficio stampa dell’edificio, hanno detto i testimoni.
Secondo l’emittente Tv al Iraqiya, le esplosioni sono state almeno cinque, nelle zone di Saliya, Hafid al Kaadi, Bab al Muhadan, Baija e Karrada. L’agenzia Nina cita anche la zona Adamiya. Oggi ricorre peraltro l’anniversario del devastante attentato che il 19 agosto 2003 investì la sede delle Nazioni Unite a Baghdad, causando la morte di 22 persone, tra cui l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu Sergio Vieira de Mello.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200908articoli/46524girata.asp
—
Questo articolo mi da veramente il voltastomaco. Dipinge la maggioranza degli italiani come deficienti decerebrati.
Capire l’Italia
Articolo di Società cultura e religione, pubblicato domenica 16 agosto 2009 in Svezia.
[Svenska Dagbladet]
Il documentario Videocracy di Erik Gandini è riuscito a far parlare di sé ancora prima che qualcuno l’abbia visto. E già il giorno dopo la sua première al festival di Venezia si sa che 30 cinema italiani lo mostreranno a partire dal 4 settembre. E la lista di altri paesi che lo faranno è lunga. Erik Gandini non ha mai vissuto un momento così positivo come regista.
In Italia generalmente i documentari non si vedono in TV o nei cinema. Nel migliore dei casi si possono comprare insieme ad un libro in librerie ben fornite.
– È davvero grandioso che il film venga fatto vedere al cinema. A distribuire il film è la stessa casa di produzione di Gomorra. In effetti io non mi ero neanche sognato di arrivare al pubblico italiano, ma adesso la cosa si è ribaltata, vogliono vedere il mio film a tutti i costi!
Incontriamo Erik Gandini presso la casa di produzione Atmo in Götgatan a Stoccolma. Si presenta in jeans e camicia bianca stropicciata, fresco come una rosa nonostante la sera prima abbia festeggiato i 40 anni della moglie Johanna Westman.
– Credo che l’interesse dipenda dal fatto che il film non è aggressivo. Gli italiani sono così stanchi di tutti gli attacchi a Berlusconi come persona. Oltretutto lui vince sempre tutti i dibattiti perché utilizza argomenti emozionali e fa la vittima. Il mio film lo presenta in un modo diverso.
Chi ha visto la televisione italiana non può evitare di sbalordirsi di fronte ad un fenomeno ricorrente. Che si tratti di sport, politica o intrattenimento, seduti a discutere gli svariati temi ci sono sempre anziani e corpulenti uomini in giacca e cravatta, circondati da donne giovani, slanciate e seminude, che ballano e sorridono senza dire niente. Le cosiddette veline, una specie di donne di servizio.
Nel film di Erik Gandini, Videocracy, una società in cui lo schermo ha il potere, otteniamo finalmente una spiegazione del fenomeno.
Erik Gandini è tanto italiano quanto svedese. Parla svedese con una leggera intonazione italiana, ma non posso stabilire se il suo italiano suoni svedese. È il risultato di un padre italiano e di una madre svedese che vivono ancora a Bergamo, dove Erik è nato.
– È una storia carina, ride Erik Gandini quasi imbarazzato.
– Mia madre Kerstin era scout quando aveva 10 anni, così come lo era la sorella di mio padre, e divennero amiche di penna. La famiglia di mio padre era talmente povera dopo la guerra che persino comprare i francobolli per la Svezia era un sacrificio, ma dato che a mia zia sembrava così divertente avere un’amica di penna in Svezia le veniva concesso il denaro.
Quando mia madre compì 20 anni, andò a Perugia a studiare italiano e cercò la vecchia amica di penna. Così incontrò mio padre Nino, se ne innamorò, si sposò e si trasferì a Bergamo, o qualcosa del genere. Si può aggiungere che la moglie di Erik Gandini, Johanna Westman, presentatrice e scrittrice di libri di cucina, è anche lei appassionata dell’Italia con origini italiane.
– Parla italiano perfettamente, dice orgoglioso Erik Gandini, così fanno del resto anche i loro tre bambini.
Da bambini, Erik Gandini e le sue due sorelle maggiori andavano in Svezia ogni estate. Per il padre di Erik la Svezia era un paradiso, la terra promessa, in comparazione con la corrotta Italia. Dopo il diploma, tutti e tre avrebbero dovuto passare un anno in Svezia. Erik Gandini ci è rimasto, e in seguito è entrato nel programma Media e Comunicazione dell’università di Biskops-Arnö. Grazie alle lezioni di conferenzieri come Stefan Jarl e Peter Watkins, sentì di aver trovato la professione giusta – documentarista.
– Fu allora che scoprii che cosa potevano essere i documentari, dice gesticolando con entusiasmo.
– Ricordo come una rivelazione quando nell’autunno dell’86 la televisione svedese trasmise Shoa di Claude Lansmann due sere di fila. Scoprii un modo completamente nuovo di relazionarsi alla realtà. Che con la macchina da presa si potesse davvero creare la piena sensazione di essere altrove. Io avevo visto come la televisione banale era esplosa in Italia, in un modo che già allora era preoccupante. Infatti è stato proprio durante gli anni ’80 che Berlusconi ha costruito Mediaset dal nulla.
Torniamo adesso agli eleganti signori e alle ragazze seminude della televisione italiana.
Ciò che vediamo è insomma, secondo Erik Gandini, il risultato del gusto personale di Silvio Berlusconi. La TV deve intrattenere, e che cosa può intrattenere meglio di ragazze giovani e belle? Che lui la pensi così d’altronde non è un segreto. ”Divertirsi” è il suo mantra. Ma tutto il popolo italiano dovrebbe pensarla allo stesso modo?
Secondo il film di Erik Gandini, tutto cominciò una sera del 1976 quando una stazione televisiva locale trasmise un gioco a quiz in cui gli spettatori potevano chiamare e rispondere alle domande. Alcune casalinghe erano state convinte a lasciare cadere indumento dopo indumento in diretta, ad ogni risposta esatta. Il gioco a quiz ottenne un successo tale da far fermare le fabbriche.
Allora nessuno poteva sospettare che quello show in bianco e nero sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione televisiva guidata da Silvio Berlusconi, che oggi possiede l’azienda Mediaset, composta da tre canali TV nazionali che hanno circa la metà degli spettatori del paese. Oggi, per l’80 per cento degli italiani la televisione rappresenta la fonte primaria di informazione e di ispirazione nella loro vita.
Il contenuto dei canali di Berlusconi è stato gestito con molta consapevolezza, con l’intenzione di creare celebrità prendendole tra la gente comune. Il risultato è stato che la giovane generazione di italiani ha l’obiettivo di apparire in TV. È anche il grande obiettivo del tornitore Ricky. Videocracy lo segue mentre lui con ogni mezzo cerca di entrare in uno show della TV, che secondo lui sarà l’inizio di una nuova vita da celebrità. Ma per le ragazzine è più facile far carriera. Vengono scelte tra chi si fa avanti ai concorsi per veline che continuamente si organizzano nei centri commerciali in giro per l’Italia.
– Allora ridevamo di quei programmi, ma oggi non più. Se qualcuno ci avesse detto che quello era l’inizio di una nuova era, non gli avremmo mai creduto.
Il più visto della TV italiana è ancora il Grande Fratello e le celebrità che questo programma crea mantengono un’enorme industria di cronaca rosa, posseduta da Berlusconi. Tra i protagonisti che Erik Gandini ha seguito in Videocracy c’è il superpaparazzo Corona, che si è fatto strada fino a diventare una celebrità, a volte pubblicando e a volte ricattando le persone con le sue foto. Dopo essere stato in prigione, adesso ha lanciato la sua marca di mutande, ha pubblicato un disco e scritto un libro. Forse sarà il successore di Berlusconi.
Erik Gandini ha anche incontrato il superagente Lele Mora, vicino di Berlusconi in Sardegna e suo procacciatore di ragazze. Mora si è arricchito prendendo il 30 per cento degli introiti delle sue celebrità. Erik Gandini lo paragona ad un ecosistema al cui vertice c’è Berlusconi.
Come sei entrato nella vita di queste persone?
– Sono incredibilmente egocentriche e vogliono farsi vedere. Non sanno neanche cosa sia un documentario. È bastato che dicessi che facevo un film per la televisione svedese. Suona bene ed è esotico. Ho potuto essere un osservatore che nessuno notava. Si tratta di un mondo che non è così inaccessibile come si crede, dato che nessuno lo mette in questione. Tutti lo trovano normalissimo tranne me!
Alla Atmo, la casa di produzione di Erik Gandini, lavora anche Tarik Saleh, anche lui presente a Venezia con il suo film Metropia. Gandini e Saleh si sono conosciuti nel programma TV Elbyl, uniti dall’interesse comune nel nostro tempo ma anche da quello di trovare nuovi modi di descrivere cose che sono già state descritte tante volte. Insieme hanno fatto i documentari Sacrificio: chi ha tradito Che Guevara e Gitmo, sulla base di Guantanamo a Cuba.
L’Italia però Erik Gandini l’aveva evitata a lungo. Videocracy è il suo primo film su questo paese.
– Quando andavo in Italia rimanevo deluso soprattutto perché il mio modo di esprimermi là non funzionava. Quando dicevo che facevo documentari replicavano: ah, fai film sulla natura.
Ma da qualche parte cominciava a punzecchiarlo l’idea di riprendersi il suo paese. Racconta dei cosiddetti film Mondo, fatti dagli italiani che viaggiavano in giro per il mondo e filmavano luoghi esotici, tra cui la Svezia in Svezia inferno o paradiso.
– Cominciavo a pensare che fosse venuta l’ora di saldare i conti, ridacchia Erik Gandini. – Di raccontare qualcosa dell’Italia che loro stessi non vedevano. Che il mondo venisse in Italia e di far vedere fino a che punto si è arrivati. È questo genere di cose che dà il la al mio lavoro. Rovesciare le prospettive. Non è necessario essere un regista aggressivo, può essere sufficiente lasciare che le persone raccontino. Io non cerco immagini diffamatorie.
– Ero sconvolto sul serio vedendo gli effetti di questo mondo. I miei amici italiani parlano tutti della TV come di un mostro. Io ho dato la mia versione di questo mostro. Ciò che mi spinge è la volontà di riconquistare la realtà. È così facile rivivere tutto attraverso le immagini degli altri. La realtà però ti sfugge dalle mani. Io invece le cose le voglio vivere di persona. Berlusconi ha creato un mostro che nemmeno lui riesce più a controllare. Il risultato è che l’Italia si trova nella parte bassa della classifica mondiale della parità tra i sessi e della libertà di espressione.
Adesso spera che nasca un dibattito vero sulla televisione in Italia e che il suo film mostri la realtà dietro le promesse di felicità e godimento.
Perché l’Italia di Berlusconi non è qualcosa di cui ridere, si dovrebbe piangere piuttosto – ”non c’è niente da ridere, solo da piangere”, dice.
[Articolo originale “Insikter om Italien” di Jeanette Gentele]
http://italiadallestero.info/archives/7118
—
02.08.2009
Autismo,Thimerosal, e Danni al Cervello
di Luciano Gianazza – www.medicinenon.it
Accertata scientificamente la causa della sintomatologia etichettata come “Autismo”.
Le fiale e i flaconi dei vaccini usati per vaccinare i bambini con dosi polivalenti o singole contengono thimerosal come conservante o altri composti chimici tossici.
Un recente studio ha rivelato che alcune patologie del cervello sono attribuibili alla “piccola” quantità di timerosal trovata nei vaccini.
Non sono affatto stupito, non ho bisogno che me lo dica uno studio scientifico per sapere questo, ho visto bambini sani e gioiosi e li ho rivisti purtroppo menomati e tristi dopo la vaccinazione.
Ovviamente questa non è una prova che sarebbe ritenuta valida in una causa per la richiesta di danni da vaccino o per fermare il rito stregonesco della vaccinazione. Un avvocato delle case farmaceutiche ha già pronto il suo pesante fascicolo che contiene tutti gli studi scientifici fatti che portano a un nulla di fatto per quanto riguarda l’imputabilità ai vaccini di tali patologie. Tali ricerche infatti sono state commissionate dalle case farmaceutiche a ricercatori compiacenti con l’intento di allontanare anche il minimo sospetto che i vaccini possano aver creato tali danni.
Una domanda che viene spesso fatta è: ”Se i vaccini causano l’autismo, allora perché non tutti i bambini vaccinati sono autistici?” E’ semplice non esiste un essere umano che abbia la stessa condizione fisiologica, alcuni sono più sensibili ai veleni di altri, e sintomi differenti possono rimanere latenti per mesi o anni e quando compaiono nessuno più li attribuisce alle vaccinazioni.
Per questo motivo il risultato di tali ricerche è il monotono “….non è stato dimostrato pienamente che tali danni siano causati dai vaccini”.
Se fate una interrogazione parlamentare al ministro della salute, risponderà allo stesso modo: “….non è stato dimostrato pienamente che tali danni siano causati dai vaccini”. Ha lo stesso manuale delle istruzioni.
In alcuni casi comunque sono stati inequivocabilmente trovati colpevoli e per questo in America il governo ha pagato segretamente tre milioni e mezzo di dollari a persone danneggiate dai vaccini.
E’ necessario comprendere che le case farmaceutiche escono impunite dopo aver perpetrato i loro misfatti. I danni vengono pagati dallo Stato che viene considerato responsabile avendo promosso e obbligato la vaccinazione. Quindi alla fine sono i cittadini che pagano, il danneggiato paga i danni a sé stesso. Questo rende le case farmaceutiche strafottenti e prive di ritegno nello spargere i loro veleni.
Lo studio a cui mi riferisco ha rivelato che i bambini a seguito delle vaccinazioni possono produrre dei sintomi precisi che sono identici a quelli dell’autismo.
Occorre precisare che l’autismo non è una malattia mentale. I sintomi sono prodotti dai veleni contenuti nei vaccini, si tratta di un avvelenamento fisiologico, che rende difficile ai bambini esprimersi come gli altri che non hanno subito tali danni. E’ facile scambiare una persona soggetta ad avvelenamento per una che abbia turbe mentali. E dato che tali veleni rimangono permanentemente depositati in giro per il corpo fino a quando non vengono rimossi con specifici protocolli, può sembrare che la persona abbia turbe mentali e che debba essere curata con degli psicofarmaci.
La psichiatria ha raccolto in un elenco tali sintomi di avvelenamento da metalli pesanti e li ha inseriti nel DSM, la bibbia degli psichiatri, come AUTISMO. Ma di fatto rimane un avvelenamento e la “cura” con psicofarmaci (altri veleni) non può che far peggiorare la situazione.
Lo Studio sul Thimerosal
Questo studio, dal titolo lungo ma preciso: “Disfunzione Mitocondriale, Diminuita Riduzione dell’Attività Ossidativa, Degenerazione e Morte nelle Cellule Fetali e Neuronali Umane Indotta da un Basso Livello di Esposizione al Thimerosal e altri Composti Metallici”, di Paul King, David Geier, e Marc Geier è stato pubblicato nell’edizione del giugno 2009 di Chimica Tossicologica e Ambientale. (Toxicological & Environmental Chemistry)
Vaccinando cellule neurali con una infinitesimale quantità di thimerosal (metilmercurio) e altri composti di metalli (alluminio solfato, acetato di piombo, idrossido di metilmercurio, cloruro di mercurio) paragonabile alla quantità che un neonato o un bambino riceverebbe durante una vaccinazione, è stato accertato che il thimerosal è di gran lunga il più tossico.
Le cellule hanno subito danni al mitocondrio, ridotta attività ossidativa, degenerazione cellulare e morte. I tipi di danni sono come quelli riscontrati nello studio sulle cellule dei cosiddetti bambini autistici.
L’avvelenamento da mercurio è strettamente correlato con l’autismo.
Le prove ora ci sono, sta ai genitori non disinformati di bambini autistici, alle loro associazioni (non quelle che sostengono che l’autismo è una malattia mentale che va curata con gli psicofarmaci, sono finanziate da Big Pharma), ai politici non collusi con il cartello farmaceutico, far si che i bambini non vengano più vaccinati e conseguentemente rovinati, alcuni per tutta la vita. E anche a tutti noi, fosse solo farne parola. I bambini sono il nostro futuro.
Sostenere che l’autismo è una malattia mentale che va curata con degli psicofarmaci e negare che sia il risultato dell’avvelenamento da metalli pesanti contenuti nei vaccini o provenienti da altre fonti significa rendere epidemico “l’autismo”.
Se l’argomento rimane controverso è solo perché ci sono molti interessi che vogliono mantenere in esistenza il concetto di autismo, quando è semplicemente un avvelenamento curabile con un’appropriata disintossicazione, o quando comunque dei miglioramenti sono ancora possibili anche se il cervello ha subito lesioni irreparabili a causa del thimerosal.
La psichiatria vive sulla vendita di psicofarmaci per “trattare” sindromi inventate come l’autismo e l’ADHD e moltissime altre che sono state via via aggiunte nel DSM.
Un estratto dello studio con il contenuto non strettamente tecnico tradotto da Walter Rizzoli, e l’intero documento originale in inglese, possono essere scaricati da qui
http://www.medicinenon.it/modules.phpname=News&file=article&sid=127
—
17.08.2009
Arriva l’assicurazione-cooperativa
di Daniele Bella
Obama assicura che la riforma sanitaria andrà in porto, ma fa dietrofront sul servizio pubblico
Avanti tutta. Anzi no: la riforma sanitaria degli Usa si farà, ma non sarà una vera sanità pubblica. È arrivata a un punto di svolta la lotta di Barack Obama per riformare il sistema sanitario nazionale degli Stati Uniti d’America e riuscire quindi dove tutti i suoi predecessori degli ultimi decenni hanno fallito, ovvero arginare la spesa pubblica per la Sanità (il 18% del Pil, che con lo status quo diverrà il 34% nel 2040) e la discriminazione in atto (il 16% della popolazione, ovvero 46 milioni di statunitensi, non può permettersi un’assicurazione medica privata).
Il fatto è che, nella sola giornata di ieri, le ‘svolte’ sono state almeno due. E in controtendenza fra loro: la prima, più emotiva e plateale, è quella che ha compiuto in prima persona lo stesso presidente Usa, prendendo carta e penna per scrivere al New York Times (un editoriale pubblicato oggi anche in Italia, da Repubblica). Un testo in cui attacca direttamente le compagnie assicurative e prende le difese di chi è senza assistenza sanitaria e dei “14mila americani che ogni giorno la perdono” per vari motivi. La seconda, invece, è quella che ha visto protagonista Kathleen Sebellius, il ministro della Sanità del governo Obama, che per la prima volta parla di non volere arrivare con la riforma a una vera e propria ‘sanità pubblica’, ma di puntare a far nascere istituti assicurativi privati gestiti però da cooperative non profit, più accessibili economicamente. Un cambiamento di rotta improvviso, che già in molti bollano come dietrofront, ma che potrebbe permettere al presidente afroamericano di uscire indenne dall’impasse di queste settimane, messo a dura prova dagli attacchi mediatici delle potenti lobby del mondo assicurativo.
E pensare che l’editoriale di Obama sembrava a senso unico: “Basta con un sistema sanitario in cui le uniche ad avvantaggiarsi sono le compagnie assicurative, che si arricchiscono sulla pelle dei malati americani”, scrive nelle prime righe del testo, che ha la forma di un j’accuse ma che in realtà mira a calmare le acque, dopo che “negli ultimi tempi gran parte dell’attenzione dei media si è concentrata sulle voci di coloro che gridavano più forte (i lobbisti, appunto, ndr)”. Ancora: “Da un indagine, tra il 2004 e il 2007 risulta che le società assicuratrici avevano discriminato più di 12 milioni di americani che avevano malattie o disturbi già in atto, rifiutandosi di stabilire loro una polizza o facendo pagare loro un premio più elevato. Noi metteremo fine a questa pratica”, ribadisce il presidente statunitense che, nell’ormai consueto ‘stile Obama’, ispira il suo discorso “dalle persone incontrate in questi mesi, che mi hanno raccontato i loro problemi”: da “Lori Hitchock, del New Hampshire, che per un’epatite C non trova un’assicurazione che le stipuli una polizza necessaria ad avviare un lavoro commerciale autonomo”, all’uomo che “ha perso l’assicurazione mentre era in un ciclo di chemioterapia perché la società assicuratrice ha scoperto che aveva i calcoli biliari. Poiché la cura è stata sospesa, l’uomo è morto”.
Sono quattro i modi che, scrive Obama, la riforma sanitaria darà “più stabilità e sicurezza ad ogni americano”: primo, “se non avete un’assicurazione sanitaria, potrete avere una copertura di qualità a un costo accessibile, per voi e le vostre famiglie”. Secondo, “la riforma metterà sotto controllo una spesa sanitaria che è alle stelle, il che significa un risparmio reale per le famiglie e per il governo”. Terzo, “renderemo più efficiente Medicare (il sistema di assistenza pubblica gratuita ora in vigore per over 65 e poveri famiglie povere con figli, ndr), che verrà destinato più a favore dell’assistenza agli anziani che ad arricchire le assicurazioni”. Ultimo, “garantiremo strumenti di tutela del consumatore che metteranno le assicurazioni nella condizione di rispondere del loro operato”.
“Nessuno in America deve rovinarsi in caso di malattia […] Alcuni sono favorevoli alla riforma, altri preoccupati. Ma tutti si rendono conto che bisogna fare qualcosa. Sono convinto che possiamo farlo, e lo faremo”: queste le parole con cui Obama chiude il suo editoriale. Uscito, però, in concomitanza con le dichiarazioni del suo ministro della Sanità, che reputa “non essenziale la creazione di un sistema assicurativo pubblico. L’importante è che ci sia qualche forma di competizione con le società assicurative”, ovvero pensando a una sorta di ‘cooperative assicurative’ private ma senza fini di lucro. E più che l’intervento sul new York Times di Obama, sono state queste ultime dichiarazioni a scatenare immediate reazioni: da sinistra, nel suo partito, è arrivata la delusione di chi vede nel cambiamento di rotta un “cedimento totale, visto che queste cooperative ci sono già e si comportano come gli altri privati”. Chi canta vittoria per “lo stop all’invasione statalista”, invece, sono i due fronti anti-riforma: il partito repubblicano, che nelle scorse settimane aveva lanciato una campagna di boicottaggio sulle discussioni pubbliche in merito alla riforma tramite l’invio di propri ‘disturbatori’, e il mondo delle lobby sanitarie, che da parecchi giorni sta occupando gran parte degli spazi pubblicitari televisivi di varie emittenti locali e nazionali con spot contrari alla riforma Obama.
http://beta.vita.it/news/view/94562/
—
Washington potrà accedere a informazioni su 10mila conti correnti
Segreto bancario, l’Ubs agli Usa
«Vi daremo i nomi di 4.500 clienti»
Ufficializzato l’accordo sul contrasto a evasione fiscale e frode. Il colosso elvetico: «I primi dossier a settembre»
NEW YORK – Il colosso bancario elvetico Ubs fornirà al governo statunitense i nominativi di 4.450 correntisti americani, sospettati di aver sottratto ricchezza alla tassazione negli Usa, nel quadro dell’accordo extra-giudiziale sul contrasto all’evasione fiscale e alla frode raggiunto a metà agosto. La notizia, rivelata dal Wall Street Journal, è stata poi confermata dal governo di Berna, che, in un comunicato, ha annunciato che l’accordo, ufficializzato mercoledì mattina a Washington, «è entrato in vigore». La banca svizzera ha precisato che invierà una comunicazione ai clienti che rientreranno nell’accordo raggiunto con il governo americano. Sui 4.450 conti correnti detenuti da cittadini americani presso il colosso elvetico, spiega l’Agenzia delle Entrate americana, erano depositati fondi per oltre 18 miliardi di dollari, anche se molti conti sono stati chiusi dopo che è scoppiato il caso tra Svizzera e Usa. In una nota il colosso svizzero ha spiegato che nell’accordo raggiunto con il fisco Usa non è prevista «nessuna richiesta di pagamento da parte della banca». L’intesa prevede tra le altre cose gli Stati Uniti abbiano accesso a termine a una banca dati relativa a 10mila conti intestati a cittadini americani contro i 52mila richiesti dall’Irs, l’Agenzia delle Entrate americana.
«I PRIMI DATI A SETTEMBRE» – Ubs, ha spiegato il ministro delle Finanze svizzero Hans-Rudolf Merz, inizierà a consegnare i primi dossier al fisco americano in settembre. Nonostante l’accordo «la legge svizzera e il segreto bancario restano intatti» ha voluto aggiungere il titolare elvetico delle Finanze. Spiegando i dettagli dell’intesa raggiunta, Merz ha voluto anche invitare le banche a concentrarsi sui «valori tradizionali».
«PERSEGUIREMO EVASORI IN TUTTO IL MONDO» – L’accordo fra gli Stati Uniti e Ubs è «senza precedenti» e segna «un passo fondamentale» nella lotta all’evasione fiscale., ha detto il commissario dell’Internal Revenue Servic (Irs), Dough Shulman, ricordando che la banca svizzera non sarà però soggetta ad alcuna pagamento di penali. Per Shulman inoltre l’accordo invia «un messaggio: l’Irs continuerà a perseguire in futuro in tutto il mondo senza esitazioni» chi vuole evadere il fisco. L’accordo fornisce al fisco Usa «un livello di informazioni senza precedenti sui cittadini americani titolari di conti correnti» presso Ubs. Il commissario dell’Irs ha anche ricordato che ai correntisti sospettati di evasione fiscale e frode resta aperta la possibilità dell’autodenuncia entro il 23 settembre.
INFORMAZIONI SU ALTRE BANCHE – Attraverso l’accordo, il governo svizzero ha concordato con le autorità Usa di esaminare altre richieste di informazioni da parte degli Stati Uniti su banche elvetiche, oltre a Ubs, che potrebbero avere evasori fiscali statunitensi tra i propri correntisti. La richiesta di informazioni sarà possibile in futuro «nella misura in cui si basa su un modello di eventi e circostanze equivalenti a quelle constatate nel caso di Ubs».
SINDACATI IN PRESSING – Plaude all’intesa Ubs-Usa la Società svizzera degli impiegati del commercio (il sindacato SIC), che ora esorta il colosso elvetico a ritornare sulla sua decisione di tagliare migliaia di posti di lavoro.
STOP AL CONTENZIOSO – Con l’aqccordo ufficializzato mercoledì, gli Stati Uniti rinunciano alla causa civile intentata contro Ubs, con la quale aveva chiesto accesso a 52mila conti di cittadini Usa sospettati di evasione fiscale e frode per un totale di circa 15 miliardi di dollari. La Svizzera da parte sua si è impegnata a concludere l’elaborazione dei dati sui 4.450 correntisti entro un anno e inizierà a trasmettere i primi dati in settembre. Già in giornata un avvocato della divisione fiscale del ministero della Giustizia Usa assieme ai legali di Ubs ha presentato un’istanza di abbandono della causa civile intentata presso una corte federali di Miami (Florida) contro Ubs. La chiusura della procedura avverrà fra 370 giorni per evitare la prescrizione dei reati fiscali. Il Fisco americano, per tramite del commissario Irs, Doug Shulman, ha annunciato che grazie all’accordo avrà accesso «sostanzialmente a tutte le informazioni» di cui aveva bisogno.
19.08.2009
—
SVIZZERA / STATI UNITI
“E’ caduta la maschera ipocrita dell’Alpenidyll”
Sul caso UBS il sociologo svizzero Jean Ziegler ha parlato di fine di epoca della doppiezza morale
BERNA – “Assistiamo a una svolta epocale. L’offensiva ai paradisi fiscali che ha portato all’accordo di ieri chiude l’era della doppiezza morale, finalmente cede la maschera ipocrita dell’Alpenidyll”. Lo afferma il sociologo Jean Ziegler, intervistato dal ‘Corriere della Sera.
Le due Svizzere – Ziegler spiega che “esistono due Svizzere, da un lato quella delle oligarchie bancarie, della ricchezza arrogante, della xenofobia e della corruzione. Dall’altra quella dei cittadini che non sopportano più il peso di un benessere fondato sulla saldatura tra business e crimine mondiale, sul riciclaggio del denaro dei dittatori, finanzieri e politici senza scrupoli”.
UBS colpevole – “Nel braccio di ferro con l’America il governo svizzero aveva sempre difeso Ubs – continua Ziegler – pilastro della ricchezza del Paese; il fatto che ora la stessa banca abbia ammesso di essere coinvolta nel reato di evasione fiscale è in sè una rivoluzione”.
“Seminare il terrore tra gli evasori” – Il rischio di una caccia alle streghe non preoccupa Ziegler: “La rabbia può essere una potenza benefica, motore della lotta per la giustizia sociale. Prima l’esistenza di un tesoro segreto nel cuore dell’Europa era tollerata: ora la crisi obbliga i governi a chiedere sacrifici ai cittadini; più debito pubblico, più tasse e meno lavoro. L’unico modo per evitare la rivolta delle masse è individuare e punire i responsabili. Obama l’ha capito prima degli altri e la strategia nella quale s’inserisce l’accordo con Ubs mira proprio a seminare terrore tra gli evasori, che negli Stati Uniti hanno già cominciato ad autodenunciarsi, oltre che a rassicurare la società sulla fine dell’impunità. Questione di opportunità politica, ma anche un’occasione di rigenerazione etica”.
Ora tocca alle altre banche svizzere fare i nomi – E ora, conclude Ziegler, “ai primi cinquemila nomi ne seguiranno altri; sarà quindi la volta delle altre banche svizzere complicì, almeno venti. Da settembre all’azione dell’Irs, l’Ufficio fiscale Usa, si aggiungerà quella dell’unione Europea, che sta progettando un Eurofisco contro l’evasione. È l’inizio della fine”.
—
Fisica e materiali | STRUTTURE ATOMICHE – 04.08.2009
Datemi una microleva
Create in laboratorio strutture in grado di spostare minuscole porzioni di materia e modificarne le proprietà fisiche. Una sperimentazione dell’Infm-Cnr di Genova
“Microbraccia” della grandezza di dieci micron in grado di piegare minuscole parti di materia sono state create dai ricercatori dell’Infm-Cnr di Genova. Nella dimensione infinitesimale piegare la materia significa cambiare i rapporti di distanza tra gli atomi; si vanno così a modificare quelle proprietà fisiche – elettriche, magnetiche e ottiche – dei materiali che dipendono proprio dall’interazione tra gli atomi e quindi dalla loro vicinanza reciproca.
Le microleve sono state create sovrapponendo numerosi strati di materiale. L’ultimo è quello definito “funzionale”, dotato delle proprietà che si vogliono modificare. Gli strati inferiori vengono scolpiti con sostanze acide in modo da formare microscopici puntelli. Applicando una tensione elettrica è possibile piegare a piacimento queste microleve e flettere lo strato funzionale. L’utilità del piccolo dispositivo è più chiara se si pensa che, in seguito a deformazione, molti materiali si modificano diventando per esempio da opachi a trasparenti o da isolanti a conduttori. Le microleve sono fatte di materiale cristallino il che promette un’efficienza superiore a quanto oggi possibile con altre tecniche.
“In seguito al perfezionamento di questi microscopici dispositivi sarà possibile cambiare a basso costo le proprietà fisiche dei materiali”, ha spiegato Luca Pellegrino ricercatore del laboratorio Lamia dell’Infm e coautore dello studio apparso su Advanced Materials. Le applicazioni sono innumerevoli e quasi fantascientifiche: dalla messa a punto di antenne innovative, schermi Lcd o sensori chimici come i nasi elettronici, alla creazione di sistemi che trasformano in energia le vibrazioni acustiche del rumore ambientale. (s.s.)
Riferimenti: Advanced Materials doi:10.1002/adma.200990089
http://www.galileonet.it/news/11775/datemi-una-microleva
—
Svelato il mistero del Sole
Di Riccardo Meggiato, 18.08.2009
Senza bisogno di ricorrere ad Area 51, invasioni extraterrestri e omini eternamente verdi e con la testa grande, lo spazio offre una moltitudine di misteri da tenerci impegnati per i prossimi secoli. Per esempio la temperatura della “corona solare”, quindi l’atmosfera più esterna del Sole, è molto più elevata di quella vicina alla superficie della stella e nessuno, fino ad oggi, ha saputo spiegare il perché di questo fenomeno.
Fino ad oggi, appunto, perché ora, grazie alle osservazioni del satellite giapponese Hinode, il mistero è stato svelato. E la soluzione è piccola piccola, anzi… nana. Tutto si spiega, infatti, grazie alle “nanoflare”, che potremmo sommariamente tradurre in “nano eruzioni”. Si tratta di piccoli spruzzi di calore ed energia, che formano delle correnti. Le quali, unite, originano un tubo magnetico detto “coronal loop”. In precedenza, qualche scienziato aveva spiegato il fenomeno pensando a una corrente di calore, che stagnava nella corona esterna del Sole, ma questa avrebbe dovuto avere una densità di molto inferiore.
La scoperta di Hinode, invece, mette tutti d’accordo, e dimostra l’efficacia del telescopio a raggi X (XRT) e dell’Extreme-ultraviolet Imaging Spectrometer (EIS) che si trovano a bordo. Sono stati questi due strumenti, infatti, a rivelare che alcune regioni del Sole rilasciano spruzzi di plasma a temperatura elevatissima, che sono all’origine del fenomeno. E quando si parla di temperatura elevatissima, non è certo un modo di dire: l’EIS è arrivato a rilevare fino a 5 milioni di gradi Kelvin per alcuni spruzzi, mentre XRT anche fino a 10 milioni. “Queste temperature possono essere prodotte solo da impulsivi spruzzi d’energia”, ha affermato James Klimchuk, un astrofisico del Goddard Space Flight Center che ha spiegato la scoperta alla recente International Astronomical Union General Assembly di Rio de Janeiro. In parole (molto) povere, quindi, queste eruzioni spruzzano energia a una grande altitudine rispetto alla superficie solare, creando un anello ad elevata temperatura. Il mistero, dunque, è stato svelato: ma quanti altri ce ne sono ancora da spiegare? La caccia è aperta.
http://www.wired.it/news/archivio/2009-08/18/svelato-il-mistero-del-sole.aspx
—
Rispondi