La rassegna http://www.caffeeuropa.it/ del 13.05.2010
Le aperture
Il Corriere della Sera: “Case, la lista segreta di Anemone”. “Il costruttore della ‘cricca’ e l’elenco degli interventi. I lavori negli appartamenti di Bertolaso e di Scajola. Applati e ristrutturazioni da Palazzo Chigi ai ministeri e agli ospedali”. L’editoriale di Giovanni Bianconi è titolato “Cautele e dubbi”.
La Repubblica: “Tutti i nomi della lista Anemone. Un elenco di 400 beneficiari di ristrutturazioni: da Lunardi a Bertolaso ad alti dirigenti di Stato. Anche interventi a Palazzo Grazioli e Palazzo Chigi. E Scajola sfida i pm di Perugia: ‘Non depongo, mancano le garanzie’”.
Libero: “Le 350 case de governo. Ministri casalinghi. In media ognuno ha 5-6 immobili. In molti hanno comprato subito dopo l’incarico”.
Il Giornale: “L’elenco che fa paura ai politici. La lista segreta di Anemone: prima puntata. Il dominus della cricca segnava nomi e indirizzi dei lavori svolti: ci sono Scajola e Bertolaso ma anche il vicepresidente del Csm Mancino e l’architetto di Veltroni. E poi il regista Avati, la giornalista Buonamici, due giudici costituzionali…”.
Le altre notizie
In prima sul Corriere la notizia del disastro aereo in Libia: un aereo proveniente dal Sud Africa è esploso all’aeroporto di Tripoli. 103 morti, un bambino è sopravvissuto.
Su Il Sole 24 Ore: “Dal Pil un segnale di crescita. Il primo trimestre meglio del previsto (+0,5%) trainato dall’export. Tiene bene anche la Germania. Marcegaglia: la strada è ancora lunga. Al Cipe opere per 17 miliardi”. L’editoriale, firmato da Guido Tabellini, parla della moneta unica europea (“Euro, la verità che nessuno dice”) e si apre con una domanda: “Esisterà ancora l’euro tra qualche anno?”. In prima pagina anche le notizie sulle decisioni dei Paesi europei sulla crisi, con foto di Zapatero con altre due ministre del suo governo): “Patto di stabilità Ue esteso anche al debito, Zapatero taglia del 5% i salari pubblici”.
La Stampa: “Guerra della Ue al debito. La Spagna costretta alla superstangata. Crescita debole nell’Eurozona, ma il nostro Pil è migliore della media. Misure più dure contro chi sgatrra: nel mirino c’è anche l’Italia”. A centro pagina le notizie sulle inchieste di Perugia e quella del disastro aereo a Tripoli.
Il Foglio: “Stabilità finanzaria, il patto ‘stupido’ diventa robusto (ma velleitario). Barroso presenta i nuovi meccanismi che danno più potere a Bruxelles. I paesi con i conti in ordine si ribellano”. Sempre in prima sul quotidiano di Ferrara le notizie sul dibattito interno al Pdl: “Così il Cav. Si è incagliato tra i colonnelli e la loro vertenza aperta con Fini. Il cofondatore vuole rivedere le quote di potere, ma non può parlarne con chi non ha un mandato per trattare. Verdini fermato sulla soglia”.
La Repubblica si sofferma a centro pagina sulla “nuova rottura” tra Fini e Berlusconi. “No dell’ex leader di An con i mediatori Pdl: ‘Voglio risposte politiche’”. In prima anche le parole del Presidente Usa Obama, che ieri ha proposto una sovrattassa sul petrolio: “Obama ai petrolieri: pagate per la marea nera”. A fondo pagina da segnalare una indagine sulla sanità italiana: “Sanità, le pagelle dell’Italia migliore”.
Secondo Il Giornale “per il Cav è un momento d’oro. Il governo va, nonostante Fini. Che ieri ha inviato un pizzino a Veltroni: fare pace? Per finta!”.
Il Riformista si occupa invece del Pd: “Attacco a Bersani. Il de profundis di De Benedetti fa salire la tensione nel Pd. Impeachment. L’ingegnere lo massacra in un libro. ‘Protesta perché Repubblica parla con Franceschini, è inadeguato’. E i supporter del segretario: ‘Dà troppo spazio alla minoranza’.”. A centro pagina, sul Pdl: “Fini aspetta lo stillicidio giudiziario. Rifiuta l’incontro pacificatore con Verdini mentre anche il ministero di Matteoli finisce nei guai”.
Il Corriere oggi intervista Bianca Beccalli, evocata solo per nome ieri da Marco Pannella, che aveva raccontato come fossero sul punto di sposarsi. “Lo incontrai su un aereo, mi disse ‘avrei voluto essere l’uomo della tua vita’”.
La lista di Anemone
Diego Anemone, scrive il Corriere della Sera, aveva una lista segreta di appalti e ristrutturazioni. Era custodita nel computer che gli è stato sequestrato e riguarda le commesse ottenute tra il 2003 e il 2008. Compaiono la sede della Protezione civile, del ministero del Tesoro, e due locali di Palazzo Chigi. La Repubblica precisa che si tratta della residenza privata di Berlusconi a Palazzo Grazioli, delle abitazioni degli ex ministri Lunardi e Scajola, prime e seconde case, in città e in montagna, nonché due dimore di Guido Bertolaso, oltre agli uffici della Protezione civile. E poi ristrutturazioni per capi di gabinetto, capi di dipartimento nei ministeri, capi di uffici legislativi, del ministero della giustizia, dirigenti Rai, generali della Gdf e dei Carabinieri, agenti dei servizi segreti. Nell’elenco figurano anche i nomi di giornalisti o registi come Pupi Avati (che dice: ‘tutto regolare’). L’elenco è stato sequestrato il 14 ottobre dalla Guardia di finanza di Roma. Repubblica sottolinea soprattutto quanto sia fragile la difesa messa in campo dagli ex ministri Scajola e Lunardi, poiché quest’ultimo ha sempre dichiarato di aver utilizzato le imprese di Anemone per trascurabili lavori nella sua casa di campagna nei pressi di Parma, mentre le carte oggi documenterebbero che gli interventi delle ditte di Anemone a vantaggio dell’ex ministro sarebbero almeno tre. Anche Scajola sostenne di conoscere a malapena Anemone, ma ci sarebbero, oltre ai pagamenti in nero per il suo appartamento al Colosseo, ristrutturazioni in un altro suo appartamento oltre che nel suo ufficio di ministro.
Crisi
Della grande crisi europea si occupano ampiamente tutti i quotidiani. La Stampa spiega che il premier spagnolo Zapatero è costretto alla superstangata: alle Cortes ha snocciolato il suo piano di austerità per tagliare 15 miliardi di Euro dal deficit pubblico tra il 2010 e il 2011. Prevede la riduzione del cinque per cento in media degli stipendi degli impiegati pubblici dal mese prossimo, il congelamento dei salari e delle pensioni non contributive e minime dall’anno prossimo. Lo stesso quotidiano intervista Paul De Grawve, economista belga e tra i consiglieri del presidente della Commissione Barroso, che si dice convinto che la diagnosi sia sbagliata e che la causa del male non stia nei conti pubblici. Per l’economista Spagna e Irlanda sono Paesi che “gestivano bene i loro conti pubblici. L’indebitamento eccessivo si è creato nel settore privato, edilizia o banche”. Per quel che riguarda l’irrigidimento del patto di stabilità, “bisogna innanzitutto inserire nel Patto delle regole di nuovo tipo, per evitare che in ciascun Paese i debiti privati salgano oltre un certo limite”; “insomma, a parte la Grecia, il motivo principale per cui il debito pubblico è aumentato durante la crisi è stato il salvataggio delle banche. Per ogni euro di debito governativo in più, c’è un euro di debito privato che è stato accollato allo Stato, garantito dallo Stato”.
Il Corriere ricorda che sarà cancellato in Spagna anche il bonus bebè da 2500 euro, Il Sole 24 Ore che i parlamentari spagnoli hanno deciso di rinunciare al 15 per cento della busta paga. La Repubblica scrive che è “in bilico lo Stato sociale” e “tramonta il modello-Spagna”.
Sulla crisi il Corriere scrive: “Addio Maastricht, sanzioni più pesanti per gli Stati”. E spiega che il commissario agli affari economici e monetari Olli Rehn ha sottolineato come “per un Paese con un debito intorno al 115 per cento, ma anche inferiore, diventa essenziale non solo avere un deficit al di sotto del 3 per cento del Pil, ma anche una chiara tendenza al ribasso del livello del debito”. Il che significa – spiega il Corriere – che gli Stati che vorranno chiudere una procedura di infrazione già aperta contro di loro da Bruxelles per aver accumulato un deficit eccessivo, non basterà a riportare lo stesso deficit sotto il 3 per cento del Pil, nel caso che abbiano sforato anche con il debito pubblico; dovranno dimostrarsi virtuosi in tutti i campi, e dimostrare da prima la propria serietà, sottoponendo i bilanci ad un controllo preventivo di Bruxelles e degli altri Paesi. “Sanzioni Ue sul debito. Rehn: non sarà più sufficiente portare il disavanzo al di sotto del 3 per cento”, sintetizza il Sole 24 Ore, ricordando che gli Stati recidivi potranno vedersi sospendere i fondi comunitari e che vi sarà un deposito cauzionale per i governi inadempienti.
Pietro Reichlin e Nicola Borri firmano sul Sole 24 Ore una analisi per l’exit strategy dalla crisi: un modello Usa per la Ue. Federalismo di bilancio per gli Stati e debito gestito a livello centrale.
Esteri
Ieri il Presidente afghano Karzai ha incontrato alla Casa Bianca il presidente Obama. Per La Stampa il monito del Presidente americano è stato rivolto soprattutto a Islamabad: toni duri con il Pakistan e guanto di velluto con l’Afghanistan, scrive il corrispondente, ricordando le parole di Obama, che ha detto: “E’ evidente che il Pakistan ha un cancro in seno”; il presidente ha reso noto di aver chiesto a Islamabad di “aumentare il controllo sulle aree di confine con l’Afghanistan”. A Karzai ha ribadito il solenne impegno ad evitare vittime civili: “In ultima istanza il responsabile delle operazioni militari in Afghanistan sono io, e sono io a non volere vittime civili, anche per questo i nostri soldati spesso rischiano la vita per non provocarle”. Da parte sua Karzai ha ribadito l’intenzione di dialogare con i taleban “non collegati ad Al Qaeda o ai suoi alleati”, così come di mantenere un rapporto “aperto e positivo” con l’Iran “al pari di quanto avviene con l’America”.
Il Sole 24 Ore: “Karzai alla Casa Bianca, tensioni archiviate. Vertice alla vigilia dell’offensiva di Kandahar”. Nella sostanza – scrive il corrispondente – Obama ammette che le cose prima di migliorare andranno peggio ed ha voluto preparare il Paese contro il pericolo di nuovi morti in vista dell’offensiva a Kandahar prevista per giugno. I generali americani hanno detto alla Casa Bianca che sarà l’attacco più sanguinoso dall’inizio della guerra. Il quotidiano sottolinea anche che Obama sarebbe pronto a sostenere gli sforzi del governo afghano di aprire ai Talebani che rinuncino alla violenza e taglino i legami con Al Qaeda.
Anche per il Corriere il presidente Usa avrebbe caldeggiato “porte aperte ai talebani pentiti”. Lo stesso quotidiano, in un retroscena, si occupa delle diverse valutazioni dei consiglieri Usa sullo stesso presidente Karzai: Karl W. Eikenberry, generale a tre stelle, che trova Karzai un partner strategico non adeguato, e Stanley McChrystal, generale a quattro stelle, che comanda le truppe della coalizione, per cui Karzai è il leader eletto di uno Stato sovrano ed un grande alleato, “sempre onesto con me, e affidabile”.
Torniamo al Sole 24 Ore per raccontare l’intenzione dello stesso presidente Usa di aumentare di un centesimo al barile l’imposta di produzione sul petrolio: “Obama alza la tassa sul petrolio”, titola il quotidiano di Confindustria, dando conto anche del dibattito ieri in commissione energia alla Camera, al termine di una tempestosa interrogazione parlamentare, dove sono stati messi con le spalle al muro i dirigenti della British Petroleum america e i suoi soci Transocean ed Halliburton. Ci sarebbero state alcune stupefacenti rivelazioni, che fanno capire come il disastro si potesse evitare: poche ore prima dell’esplosione della piattaforma, alcuni test avevano rivelato sbalzi di pressione nella tubatura che avvolgeva la trivella subacquea, segno della presenza di gas metano, probabile responsabile dell’esplosione. Nonostante ciò i dirigenti BP decisero di non sospendere l’attività. E contrariamente alle dichiarazioni della Transocean, proprietaria della piataforma presa in leasing dalla BP, la valvola di sicurezza che avrebbe dovuto chiudere automaticamente la sorgente in caso di incidente aveva una perdita nel sistema idraulico accertata giorni prima dell’esplosione.
Il Corriere della Sera sottolinea che in questo modo il Presidente Usa intende rilanciare il pacchetto ecologia: la Casa Bianca intende cioè approfittare della emergenza per ripresentare la legge sul clima, che punta a ridurre del 17 per cento le emissioni di gas serra entro il 2020 e dell’83 per cento entro il 2050.
Al Presidente brasiliano Lula è dedicata una analisi di Moises Naìm che compare su Il Sole 24 Ore sotto un titolo più che esplicito: “Dr Jekyll e Mr Lula”, “Democratico e innovativo in patria, il presidente brasiliano si è dimostrato morbido e ambiguo con leader autoritari come l’iraniano Ahmadinejad.
Per tornare alle elezioni in Gran Bretagna, va segnalata una intervista a colui che è stato consigliere di Tony Blair per un decennio, Alastair Campbell. Sull’alleanza tra i Tory di Cameron e i LibDem di Clegg dice: “L’impressione che abbiamo ricavato dalle nostre trattative con i liberademocratici è che molti dei loro attivisti e sostenitori non volessero un accordo simile. Sul piano personale David e Nick si intendono bene, vengono entrambi dal privilegio e dalle scuole private, per cui parlano lo stesso linguaggio. Ma le posizioni politiche in ultima analisi sono più importanti della chimica personale. E le posizioni dei loro due partiti sono profondamente diverse”, “il loro è un matrimonio di convenienza; avranno una luna di miele, come capita a tutti i nuovi governi, ma non penso che durerà a lungo”. Campbell si dice certo che i 13 anni laburisti che hanno cambiato in meglio il Paese siano finiti, ma se è finita “l’era del New Labour al governo”, “non è finito il New Labour”.
E poi
L’editoriale di Avvenire, firmato da Riccardo Redaelli, oggi è dedicato all’Iran, chiamato a far parte della Commissione diritti delle donne delle Nazioni Unite, pur essendo un Paese che continua a praticare la pena di morte, e che arresta le donne con l’accusa di essere vestite in modo inappropriato, o di aver ascoltato concerti non autorizzati. Senza contare le violenze contro le studentesse che hanno difeso nelle piazze i loro diritti politici. “E tutto ciò in una realtà, come quella iraniana, che al contrario è fra le più avanzate in tema di partecipazione femminile alla società, nella cultura e nella stessa politica”, scrive Redaelli.
E’ in Iran l’inviata de La Repubblica Vanna Vannuccini, per raccontare il controllo poliziesco sulla società civile.
Su La Repubblica l’anticipazione dell’intervento che il sociologo Alain Touraine pronuncerà in questi giorni in un convegno a Palermo e dedicato al Mediterraneo porta d’Oriente: “L’Europa che verrà. Perché bisogna parlare con l’Islam”, titola nell’inserto R2 Cultura il quotidiano. E la necessità di instaurare migliori rapporti riguarda in primo luogo Turchia e Iran.
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Il deserto messicano: la faccia triste dell’America, 10.05.2010
Un muro, un deserto, città presidiate, poliziotti in assetto antisommossa, esercito mobilitato, vittime quotidiane: non ci troviamo in Medio oriente bensì dall’altra parte del mondo sul confine tra Stati Uniti e Messico. Leggi draconiane in materia di immigrazione, stranieri trattati come clandestini solo per un diverso cognome o accento, proteste delle associazioni per i diritti: non ci troviamo in Francia o in qualche provincia del profondo nord italiano, bensì in Arizona. Tutto il mondo è paese, si potrebbe dire. E in questo caso è tristemente vero, anche se ciò che sta avvenendo intorno al deserto del Messico ci descrive una situazione ormai fuori controllo.
Legati dal Trattato di libero scambio dei paesi del Nord America (NAFTA, siglato nel 1992 e entrato in vigore nel 1994), Messico e Stati Uniti hanno abbattuto ogni barriera doganale per le merci innalzando invece mura sempre più alte per le persone. Paradossalmente proprio dopo la firma del trattato i 3141 km di confine fra i due paesi sono stati sempre più militarizzati. Negli anni novanta emigravano clandestinamente circa 300mila messicani all’anno, tanto che ci sono circa 500mila immigrati irregolari nella sola Arizona che conta 3 milioni di abitanti.
Per questo si pensò di rafforzare il confine con una barriera difensiva più efficace. All’inizio i quattro Stati interessati (California, Arizona, New Mexico e Texas) si mossero ognuno per conto proprio fino a quando nel 2006 il presidente George W. Bush varava solennemente la legge che autorizzava e finanziava la costruzione di mille km di muro di separazione, quello che si chiama The Mexico – United States barrier, cioè il muro messicano.
Nell’agosto 2008 il Dipartimento per la sicurezza interna americano forniva le cifre del progetto: 550km tra barriere contro lo sconfinamento umano e contro il passaggio di autoveicoli; ma la costruzione continua tanto che a gennaio 2010 il confine della California è sigillato, mentre fino a tutto il confine del Texas sono previsti lunghi tratti di un vero e proprio muro di cemento alto più di 6 metri, largo 1 metro e interrato per 3 metri.
Questa linea di demarcazione, costituita da una barriera di legno e di metallo, con aggiunta di filo spinato, telecamere e sensori nonché dalla presenza di guardie di frontiera, attraversa principalmente il deserto ma anche taglia a metà agglomerati urbani che prima formavano quasi un’unica città: quello di S. Diego-Tijuana e El Paso-Cuidad Juarez. Quest’ultima città è tristemente nota per essere la capitale dei potentissimi cartelli della droga, sovente in guerra tra di loro, che ne insanguinano le strade uccidendo soprattutto le donne.
Il governo di Felipe Calderón, presidente del Messico, ha ingaggiato in questi anni una guerra senza quartiere ai trafficanti, guerra che sta andando così male da convincere il presidente Obama a seguire il predecessore per quanto riguarda la costruzione della barriera. Ma Cuidad Juarez è a pochi passi dall’Arizona, Stato verso cui continua il flusso di immigrati, molti dei quali trovano la morte nel deserto (cifre ufficiali parlano di più di 1000 morti tra il 1998 e il 2004).
Arizona finita al centro delle cronache a seguito dell’approvazione della nuova legge sull’immigrazione che autorizza la polizia ad arrestare chiunque sia sospettato di immigrazione clandestina. Un provvedimento che ha scandalizzato e preoccupato la politica l’opinione pubblica americane, dal presidente Obama ai grandi mezzi di comunicazione. Una legge di per sé pericolosa ma che soprattutto mina uno dei pilastri della democrazia degli Stati Uniti, cioè rispetto assoluto della libertà individuale.
Ma la protesta non si limita a cortei e scioperi da parte dei latinos o di lavoratori immigrati illegalmente: sindaci e consigli municipali di metropoli come Boston annunciano un boicottaggio delle aziende e dei prodotti dell’Arizona, scuole e università da tutta l’America minacciano di tagliare le relazioni, i viaggi, i contratti con quelle di uno Stato che calpesta i valori basilari di una società attenta ai diritti umani. Insomma da oltre oceano non vengono solamente notizie negative.
Piergiorgio Cattani
http://www.unimondo.org/Notizie/Il-deserto-messicano-la-faccia-triste-dell-America
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di Laura Balbo
L’Arizona e noi, 12.05.2010
Qualcosa si è saputo anche in Italia della legge emanata il 23 aprile scorso dal governatore dell’ Arizona (si impone alla polizia il controllo dei documenti di chiunque abbia l’aspetto di “immigrato”: se non ha con sé questi documenti, la persona viene arrestata o espulsa). Il 60% della popolazione dello stato, dicono i sondaggi, si dichiara favorevole.
Ho trovato alcuni commenti che ci permettono di collocare meglio la questione – forse possiamo dire di “tradurla”- con riferimento a pratiche adottate, a proposte, o comunque a discorsi che circolano nel nostro contesto.
Nell’ultimo numero del settimanale Newsweek si dice che le gerarchie cattoliche si sono espresse contro il provvedimento in termini molto pesanti, arrivando a definire questa legge come una manifestazione di “incipiente nazismo”. E naturalmente hanno fatto riferimento ai principi cristiani della carità verso chi ha bisogno e della tutela della “dignità della vita”. Alcune figure della gerarchia cattolica, in rapporto con politici del partito democratico, operano attivamente in tema di politiche migratorie, in vista della riforma annunciata dal presidente Obama.
Nell’articolo si aggiungono alcune considerazioni interessanti per cogliere i molteplici elementi che hanno peso nella questione “immigrazione”. Sottolineando come il numero degli ispanici negli Stati Uniti sia passato dai sei milioni del 1960 a circa 50 milioni (e la maggioranza di questi sono cattolici) si commenta così: “dato che i bianchi si allontanano sempre più dalla religione cattolica, la possibilità di rivitalizzare la Chiesa dipende dalla popolazione immigrata”.
Un’altra fonte mette in luce gli aspetti economici della questione.
Ogni giorno entrano dal Messico 65.000 persone che vanno a lavorare, a trovare parenti, a fare acquisti: contribuiscono all’economia dello stato per sette milioni di dollari. Qui un altro dato è stato segnalato: l’intervento del presidente Felipe Calderon che ha invitato i cittadini messicani a non recarsi in Arizona (e si mette in luce che è forse la prima volta che una cosa del genere si verifica). Le possibili ricadute per l’economia degli Stati Uniti, se questa proposta venisse anche solo in parte ascoltata, sarebbero molto pesanti. E si arriva anche a riflessioni che collocano tutto questo in una prospettiva più ampia: come possono pesare, per gli equilibri economici dei paesi “ricchi”, cambiamenti che già sono in corso, o almeno sono prevedibili, nei mercati e nelle politiche dei paesi “emergenti”.
Infine c’è la frase di un addetto ai controlli alle frontiere: “Se pensano che facendo leggi di questo tipo di immigrati non ne verranno più, si sbagliano proprio”.
Collocare nel nostro contesto queste diverse notazioni – certo frammentate, e non so quanto precise- non mi sembra di scarso interesse. Quando si dice “immigrazione” sono in gioco tanti diversi aspetti: l’economia, le leggi, la cultura, le strategie -individuali, o di istituzioni: in questo caso della Chiesa cattolica.
Troppo spesso le letture che si fanno sono semplificazioni.
http://www.sbilanciamoci.info/Rubriche/L-Arizona-e-noi-4426
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In Israele vige l’anonimato online
Internet deve restare regno dell’anonimato. Soprattutto in Israele. Lo ha stabilito, appunto, la corte suprema di Israele rigettando il ricorso di un esperto di medicina alternativa che chiedeva di[…]
Internet deve restare regno dell’anonimato. Soprattutto in Israele. Lo ha stabilito, appunto, la corte suprema di Israele rigettando il ricorso di un esperto di medicina alternativa che chiedeva di rintracciare l’identita’ di un blogger che, secondo lui, lo aveva diffamato. Il giudice che ha firmato la sentenza sostiene che l’anonimato rende internet cio’ che e’, che non si puo’ abbattere l’illusione dell’anonimato in una realta’ in cui il concetto di privacy e’ un mito, altrimenti si potrebbe prefigurare la presenza di una specie di grande fratello. In pratica, ha negato l’autorizzazione ad indagare dietro ad un’indirizzo IP. E che non deve esistere una procedura civile per attuare questo tipo di accertamenti. In pratica, lo stato di Israele e’ diventato il paradiso per chi tiene alla propria identita’, dato che non permette, per legge, di oltrepassare il velo d’anonimato garantito dall’agire in rete. Pare che i servizi online offerti da imprese israeliane siano destinati ad un incremento dei propri utenti, almeno fino a quando il governo non decidera’ cambiare rotta rispetto all’anonimato…
Prelevato il 13.05.2010
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La città italiane in rivolta contro le banche
Articolo di Giustizia, pubblicato venerdì 7 maggio 2010 in Germania.
[Die Welt]
Milano – Alfredo Robledo è un pubblico ministero esperto. Ha già sostenuto un’accusa contro il premier italiano Silvio Berlusconi. Perciò sa che i processi non si vincono solo in aula, ma anche prima di entrarci. Così questo milanese dai capelli radi fa la sua comparsa in tribunale con qualche minuto di anticipo rispetto all’ora di inizio del più spettacolare processo finanziario in Italia. Sa che ci sono già le telecamere ad aspettare. “Quello che verrà deciso qui influenzerà molti altri processi”, spiega deciso Robledo.
Qui al Tribunale di Milano si apre un processo finanziario degno di nota. Robledo intende dimostrare che Deutsche Bank, Depfa, JP Morgan e UBS hanno truffato la città di Milano. E’ il primo processo penale al mondo a carico di banchieri in relazione alla vendita di derivati alle amministrazioni comunali. Un processo esemplare. Molte amministrazioni, non solo in Italia ma anche a livello internazionale, sono rimaste scottate dai derivati – e molte minacciano di intraprendere azioni legali nei confronti delle banche.
Nella fattispecie si tratta di un’operazione del 2005. Le banche imputate hanno assicurato un’obbligazione di 1,68 miliardi di euro alla città di Milano con dei derivati, generando così tassi di interesse variabili, anziché fissi. Nel contratto, che è stato rinegoziato più volte, le banche avrebbero esposto in maniera insufficiente i costi ad essi collegati. Le banche avrebbero perciò incassato illecitamente interessi per circa 100 milioni di euro. Sul banco degli imputati siedono undici manager, le banche e gli ex collaboratori dell’amministrazione comunale, che respingono tutte le accuse.
Non solo Milano. Molte amministrazioni comunali in Italia si sono messe nei guai con i derivati. In molti casi intendevano intascare, grazie a queste operazioni, anticipi lucrosi. Domenico Siniscalco, ex ministro dell’Economia, già nel 2004 aveva definito questi strumenti finanziari “droghe pesanti”. Tullio Lazzaro, presidente della Corte dei Conti, poche settimane fa ha biasimato gli amministratori locali per aver scaricato i debiti sulle generazioni future. Dalla metà del 2008 alle municipalità è vietato concludere nuovi contratti contenenti derivati.
Secondo le stime, le amministrazioni comunali in Italia hanno assicurato un quarto delle loro obbligazioni con derivati. Oltre la metà dei comuni coinvolti registra delle perdite da questi contratti, secondo un sondaggio della Corte dei Conti. La Banca d’Italia stima queste perdite in 2,5 miliardi di euro – anche se è praticamente impossibile avere cifre precise per via della varietà dei contratti.
Una cosa è certa: in tutto il paese diverse amministrazioni stanno preparando delle cause contro i loro ex partner bancari. Robledo sa bene che non è facile dimostrare la colpevolezza delle banche. Il processo durerà probabilmente un anno, e il primo giorno del procedimento si apre proprio con un rinvio: il giudice è stato sostituito per motivi tecnici. Il dibattimento inizierà il 19 maggio – e probabilmente anche in quel caso Robledo arriverà con un paio di minuti di anticipo.
[Articolo originale “Italiens Städte lehnen sich gegen Banken auf” di Andre Tauber]
http://italiadallestero.info/archives/9468
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I neoborbonici contro Lombroso, 12.05.2010. Al fondo un commento di Rattus.
Se a Berlino ci fosse un Museo dedicato a Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista della superiorità della razza ariana. E se nel Museo Rosenberg fossero esposti i resti dei deportati ebrei nei campi di concentramento. I loro scheletri, i loro crani sezionati per dimostrarne l’inferiorità.
Se a Torino ci fosse, e c’è, un Museo dedicato a Cesare Lombroso, l’ideologo della superiorità settentrionale nei confronti degli abitanti del Sud. E se nel Museo Lombroso fossero esposti, e sono esposti, i resti dei patrioti meridionali chiamati briganti uccisi a decine di migliaia durante l’occupazione piemontese del Regno delle Due Sicilie. I loro scheletri, i loro crani sezionati per dimostrarne l’inferiorità racchiusi in teche a centinaia invece di essere sepolti nella loro terra come richiederebbe almeno l’umana pietà. Un’Italia cialtrona, razzista, inconsapevole della sua Storia celebra i 150 anni. La Regione Piemonte chiuda il Museo o almeno trasferisca i resti dei meridionali nei loro luoghi di origine.
Interviste ai Movimenti Meridionalisti durante la manifestazione contro il Museo Cesare Lombroso a Torino.
Una mobilitazione contro un sedicente scienziato
– “Oggi manifestiamo per chiudere il Museo Cesare Lombroso, museo di un sedicente scienziato veronese che ha sentenziato che noi meridionali siamo una razza inferiore, una teoria che non ha alcun fondamento scientifico, vogliamo che questo museo sia chiuso perché è un’offesa contro il sud Italia, contro le genti meridionali. ”
Blog: “Beh si dice che sia un contributo alla storia?”
– “No, non è nessun contributo né alla storia, né alla scienza, Cesare Lombroso con le sue teorie ha giustificato il colonialismo verso il sud che continua ancora oggi. Vengo da Napoli. ”
Blog: “Perché è venuto qui? ”
– “Vengo perché vengo a chiedere la chiusura del museo del Museo Lombroso. ”
Blog: “Che ha fatto Lombroso? ”
– “A me personalmente niente, i miei antenati li ha un attimo dichiarati inferiori geneticamente e quindi ha considerato tutta la popolazione meridionale come geneticamente protesa alla delinquenza individuando secondo lui nella fossetta occipitale che aveva trovato nel cadavere del Brigante Villella, meridionale anche egli, che resisteva contro l’invasione Savoia del Regno delle Due Sicilie, individuava l’elemento dell’inferiorità, quel quid pluris che avevano i delinquenti a differenza invece degli abitanti del nord della penisola che secondo lui non era delinquenti per destinazione biologica e genetica. Oggi ricordarlo e festeggiarlo come hanno fatto qui a Torino con la riapertura di questo museo che invece era stato fortunatamente chiuso fino a novembre dell’anno scorso, secondo noi è un’ulteriore offesa di tutti quei meridionali che sono morti, ma in particolare di quelle centinaia di cadaveri, ovviamente oggi scheletri e teschi che si trovano nel museo. L’ho visitato al 9 dicembre 2009, ho visto la vergogna… me è una vergogna, è uno studioso che va coperto soltanto di abominio, anche perché poi scientificamente è stato degradato, le sue idee non hanno nessun supporto scientifico. ”
Blog: “Però al tempo era considerato molto autorevole. ”
– “Fece scuola al punto che intanto le sue idee razziste furono utilizzate dalla Germania, dal Terzo Reich per teorizzare l’inferiorità della razza, anzi nel caso tedesco la superiorità della razza ariana, intanto furono utilizzate, anche negli Stati Uniti, tant’è vero che a Ellis Island, l’isola dove sbarcavano gli emigrati si distinguevano gli italiani del nord in bianchi, italiani del sud in white niger. ”
Blog: “Da dove arrivate? ”
– “Io personalmente vengo dalla Sicilia e faccio parte di insorgenza Sicilia. ”
Blog: “Tutta questa strada perché? ”
– “Tutta questa strada casus belli è il Museo Lombroso, ma naturalmente siamo qui per una questione di tipo politico, tutto quello che è successo 150 anni fa, lo rivediamo oggi, naturalmente sotto altre forme e con altri metodi. L’invasione del sud oggi non avviene con le armi, ma avviene con un colonialismo di tipo imprenditoriale che trova il suo alleato nelle mafie che ci sono nel sud e nelle isole. ”
Blog: “Lombroso che c’entra con tutto questo? ”
– “Lombroso c’entra perché Lombroso è l’immagine di uno stato che viene, degrada il territorio, umilia il popolo di questo territorio, ne sottrae le ricchezze e che alla fine deve trovare una giustificazione, la giustificazione banale lombrosiana era quella che il meridionale è un essere inferiore, la giustificazione di oggi è che il meridionale comunque non ha capacità imprenditoriali e non ha la capacità di prevedere un futuro migliore per sé e per i suoi, naturalmente questo per noi, il museo Lombroso è un riflesso del colonialismo così come si esprimeva 150 anni e così come si può esprimere oggi. ”
Blog: “Da dove venite? ”
– “Da Mantova. ”
Blog: “E siete qui a manifestare per cosa? ”
– “A manifestare per il museo Lombroso che in effetti è un sedicente scienziato ma in effetti ha fatto delle cose brutte, ha anticipato di molto quello che hanno fatto i medici nei lager tedeschi in effetti. ”
Blog: “Quindi chiedete la museo di questo museo. ”
– “Chiediamo un attimo un revisionismo, di rendere un po’ più chiaro su questa idea del Lombroso e di quello che ha fatto e di far emergere un po’ quella che è stata la distruzione del sud, anche per merito di persone che non hanno combattuto come Lombroso, però ha dato il via, grazie alle sue ricerche, a quella che poi è stata anche la Legge Pica, quest’ultima che poi in effetti ha definito che i meridionali potevano essere tutti uccisi, massacrati perché avevano una loro cognizione, portati alla cattiveria. ”
Blog: “Anche a lei Lombroso non sta simpatico. ”
– “Lombroso, pover’uomo, faceva il suo lavoro, solo che era un po’ limitato, si era convinto che i meridionali fossero degli esseri inferiori e aveva fatto strane ricerche, è stato un bel razzista, ha anticipato di molto le teorie naziste. ”
Blog: “E gli credevano? ”
– “Sì, ha avuto molto successo, nel 1800 Lombroso, è questo il dramma, ha avuto molto successo. ”
Blog: “E secondo lei non ci deve essere un museo? ”
– “No, il museo fa parte del passato, è un documento quindi come tutto ciò che è passato deve essere rispettato, deve essere studiato, conosciuto, però si deve sapere che in quel museo ci sono dei reperti, moltissimi reperti di crani di uomini e donne del sud, che sono stati portati lì perché ritenevano che fossero esseri inferiori, lei capisce che non si può… questo determinismo psico- fisico, si chiama questa filosofia che era molto di moda nel 1.800, tu hai un pollice grosso? Allora sei un criminale, hai un pollice piccolo? Sei un bravo ragazzo, capisce che sono cose talmente ridicole… ”
Blog: “Ma il suo marcato accento siciliano mi induce a pensare che lei…”
– ” No, vivo a Alessandria in Provincia di Alessandria, sto benissimo qui, sono solo semplicemente disgustata e nauseata che oggi si continui a festeggiare il 150° di questa Unità che è stata un Risorgimento dei Signori Savoia che sono venuti a conquistarci, sono una terronissima impiantata al nord, amo i nordisti, li rispetto, però vorrei che questa Repubblica fosse veramente una Repubblica seria, una Repubblica in cui tutti sono con pari dignità, quindi cose come per esempio i deputati e i senatori del sud, adesso che siedono in Parlamento, sono semplicemente delle brutte persone, quasi tutte, perché non si curano minimamente degli interessi della gente del sud perché si curano solo di obbedire a ciò che decidono le segreterie, quindi si fanno la clientela, le posso dire una cosa? Io i crani dei briganti, i nostri eroi che sono stati chiamati briganti, li sostituirei con i crani dei deputati e dei senatori di questa bella Repubblica!”
– “Sono qui per manifestare contro la teoria lombrosiana e quindi contro questo falso medico, Cesare Lombroso cui sono dedicate vie e piazze di tutta Italia! ”
Blog: “Sembra che qui siete a protestare ma il museo Lombroso sia una scusa per manifestare un altro tipo di malessere. ”
– “Indubbiamente, il malessere del sud che poi è anche il malessere dell’Italia, l’Italia sta morendo, il sistema Italia, non il sistema Italia nazionalistico, ma l’Italia come sistema produttivo sta morendo, su questa dicotomia strutturale quindi una crescita assurda solamente al nord, un abbandono al sud, quindi la ricchezza complessiva non è mai mutata, si è arricchito il nord a sfavore del sud e quindi siamo arrivati alla frutta! ”
Blog: “Lei da dove viene? ”
– “Sono stato deportato a Milano nel 1954. ”
Blog: “Ma è nato? ”
– “Sono nato a Casanova Monterotaro in provincia di Foggia. Per quanto riguarda la questione di Lombroso che è sicuramente una vergogna per tutto il sistema Italia, tenete conto che è un falso medico perché poi fu abiurato dalla comunità scientifica internazionale molto prima della sua morte, sulla base delle sue teorie purtroppo i tedeschi costruirono anche la teoria contro gli ebrei, quindi la fisiognomica, quella che tutti voi conoscete e quindi furono perseguitate delle etnie, razze, merito anche di questo medico. Questo medico disconosciuto anche in tutto il mondo, direi anche dileggiato perché era più uno stregone che un medico, ha fatto la sua fortuna nella campagna militare del 1861 nel sud, facendosi portare una quantità incredibile di cadaveri, di insorgenti, di militari delle Due Sicilie che combattevano per proteggere, per tutelare il loro territorio, la loro patria, ma ferrea fu la conquista del Piemonte camuffato dietro un po’ i garibaldini, ma poi questo era come si è dimostrato. ”
Blog: “Ma siete contro l’Unità d’Italia voi? ”
– “Contro questa Unità d’Italia è certo che siamo contro, è evidente perché i miei figli che vivono a Milano non trovano lavoro, allora vuole dire che il progetto è stato sbagliato, è inutile tenere con la colla, con il mastice insieme il Risorgimento, il Garibaldi, il Cavour, noi sappiamo che la ricchezza dell’Italia è purtroppo una ricchezza rimasta costante, se non ridottasi, con l’emigrazione verso l’estero. ”
Blog: “Come la Lega vorreste due Italie? ”
– “No, veramente noi purtroppo non abbiamo la forza della Lega, la Lega è un avanzamento, personalmente noi di “Per il Sud” la chiamiamo la quarta fase del Risorgimento che è quella del prendi i soldi e scappa! Se voi pensate che al centro nord siamo 18 milioni noi del sud, al sud siamo 20 milioni, quindi siamo la maggioranza della popolazione italiana, esclusi gli emigrati all’estero, ma non riusciamo a rappresentare nessun tipo di governo, questo da 150 anni e naturalmente qui c’è il vulnus del fallimento del sistema Italia. ”
Blog: “Neanche a lei piace il museo Lombroso? ”
– “Assolutamente no. ”
Blog: “Perché? ”
– “Perché è un museo razzista, perché rappresenta l’occupazione piemontese italiana nei confronti del sud, perché è un museo che assolutamente non può rappresentare, sono venuto qui a contestarlo. ”
Blog: “Da dove? ”
– “Da Roma, figlio di meridionali, quindi figlio della diaspora meridionale. ”
Un colonialismo chiamato Risorgimento
Blog: “Secondo lei un museo fa male a qualcuno? Non va studiato un fenomeno come quello Lombroso? ”
– “Va studiato per l’amor del cielo, però le teorie di Lombroso sono servite di base per quel tipo di cultura antimeridionalista e razzista che ha allignato all’epoca nel nord Italia e che continua a allignare ancora oggi, non si dimentichi che fino a pochi anni fa c’erano dei cartelli proprio in questa città, Torino “non si affitta ai meridionali”. ”
Blog: “Perché ce l’avete con Garibaldi? ”
– “Garibaldi è stato quello che ha invaso da mercenario le nostre terre e quindi è stato utilizzato come mercenario per questo atto di aggressione, di colonialismo che viene denominato Risorgimento, Unità d’Italia ”
Blog: “Da dove viene? ”
– “Vengo da Roma e sono originario di Caserta. ”
Blog: “Ma non era contro Lombroso questa manifestazione? ”
– “Lombroso è uno spunto, Lombroso è un simbolo del razzismo contro i meridionali, è un simbolo del colonialismo contro i meridionali. ”
Blog: “Ma è uno slogan da leghista! ”
– “Il tricolore è una bandiera massonica, una bandiera che ci ha occupato, quindi non vedo nessun tipo di problema a gridare degli slogan che tu definisci leghisti! ”
Blog: “Da dove viene? ”
– “Dalla terra di Bari! ”
Blog: “Cosa ha fatto Lombroso. ”
– “Lombroso è stato l’esempio del razzismo, è un positivista e le sue teorie sono state alla base della Legge Pica che ha massacrato e ha represso quel fenomeno epocale che è stato chiamato brigantaggio, ma in realtà era una resistenza dei nostri compatrioti all’invasione piemontese. Sono qui perché forse dopo 150 anni di storia falsata è il caso di ricordare un attimo come sono andate le cose. “<
Blog: “Lombroso che c’entra? ”
– “C’entra perché Lombroso è stato uno strumento al servizio di chi doveva cercare di schiacciare il sud per i propri interessi. ”
Blog: “E lui voleva fare solo lo scienziato. ”
– “Non voleva fare le scienziato perché le sue teorie avevano ben poco di scientifico e è stato abbondantemente provato e era semplicemente un altro modo per spacciare per briganti chi in realtà non lo era per niente, era semplicemente un partigiano che difendeva la propria terra occupata con una guerra non dichiarata! ”
Blog: “Anche lei qui in piazza perché? ”
– “Perché sono il promotore del Comitato Lucio Barone che lanciò l’idea di chiedere la restituzione delle ossa dei briganti o comunque dei meridionali che sono esposte indegnamente in maniera vergognosa in questo che viene chiamato museo ma che ho definito il carcere Lombroso perché non è consentito a nessuno, per nessun motivo, men che mai per motivi pseudo-scientifici, mai avvalorati da nessuna scienza, di esporre resti umani al ludibrio pubblico a pagamento, ho scritto una lettera aperta al Presidente della Regione Piemonte Cota, non ho avuto risposta e in questa lettera oltre che annunciargli, nel caso non l’avesse saputo, che nella sua città capoluogo c’è questo scempio della pietà umana, gli chiedevo in nome dell’ideologia di quei contadini – combattenti che al sud hanno difeso il territorio a costo della propria vita, ideologia che il suo movimento fa momento principale, per questa ideologia chiedevo di incontrare noi per stringerci semplicemente la mano come privato cittadino, non come Presidente del Piemonte. ”
Blog: “Ma secondo lei non è importante conoscere cosa è successo tanti anni fa? Conoscere per capire… ”
– “Sicuramente, è per questo che questo… ”
Blog: “I musei servono a questo! ”
– “I musei servono a questo senza esporre le ossa, quasi fossero dei trofei perché dovete sapere che tempo fa quando l’esercito piemontese sabaudo arrivò, conquistò le terre meridionali, i cecchini dell’esercito piemontese, dopo avere ucciso i briganti, facevano le fotografie, tenendo fermo il brigante da morto per esporlo al pubblico ludibrio, questa stessa mentalità la ritroviamo al museo Lombroso, si è voluto affermare una superiorità basata più sui soldi dei poteri forti dell’epoca che sull’effettivo valore… ”
Blog: “Cosa ha fatto Lombroso? ”
– “Ha parlato male dei meridionali e questo vale già la nostra rabbia, per giunta è stato nominato professore universitario dopo l’Unità d’Italia per motivazioni politiche, al Piemonte, al nord servivano delle giustificazioni di stampo razziale e scientifico per giustificare quello che stavano perpetuando nei nostri confronti, Lombroso ha fornito l’alibi nel 1863 e ha gettato le basi per una rassegnazione indotta dei meridionali nei confronti di questo Stato che oggi dopo 150 anni ci fa affrontare le stesse questioni, le stesse problematiche, emigrazioni, disoccupazione, criminalità organizzata in contatto con la politica, carenza di infrastrutture, drenaggio dei soldi del sud che vanno verso il nord, questa è la questione meridionale e l’insorgenza deve far finire la questione meridionale . ”
Blog: “Però per l’epoca era considerato uno scienziato, un museo per ricordare anche i suoi errori. ”
– “E’ un museo in cui bisogna ricordare i suoi errori, ma soprattutto non è un museo dove per ricordare i suoi errori bisogna esporre i meridionali come se fossero ancora dei criminali atavici, come li definiva lui o cercare di ricordare o almeno smentire che lombroso ha cercato di studiare i meridionali per dimostrarne l’inferiorità genetica. ”
Blog: “Il megafono, le bandiere, ma come mai tutta questa? ”
– “Perché no? Perché non dovremmo farlo? ”
Blog: “Perché siete qua? ”
– “Siamo qui per manifestare contro l’apertura del museo Lombroso, un museo finanziato dallo Stato, un museo che non fa altro che ricordare e celebrare un errore scientifico che è quello secondo il quale i meridionali sono atavicamente delinquenti. ”
Blog: “Chi lo difende parla comunque di un museo dove si spiegano anche gli errori commessi da Lombroso… ”
– “No, non è assolutamente così, il museo in realtà mostra e segue con un percorso immaginario e fantasioso tutta l’opera del Lombroso, non c’è scritto e non c’è accennato che si tratta alla fine di un errore commesso da Lombroso, è semplicemente una manifestazione, una celebrazione di un errore scientifico e storico! ”
– “Manifestare contro il museo Lombroso. ”
Blog: “Che vi ha fatto Cesare Lombroso? ”
– “E’ strano che non lo sappiano tutti, non lo sappia il mondo, cosa ha fatto Hitler contro gli ebrei? Lo domando a lei, la stessa cosa ha fatto Lombroso contro i meridionali. ”
Blog: “Ma Lombroso non li uccideva! ”
– “Lombroso li indicava come criminali innati, dopodiché Cialdini e tanta altra brava gente veniva a ucciderci! ”
Blog: “Secondo lei un museo per ricordare anche gli errori commessi da Lombroso non serve? ”
– “Un museo per ricordare gli errori di Lombroso? Non mi sembra, mi sembra che sia un museo per celebrare il Risorgimento a senso unico! ”
Blog: “Qui ci sono anche bandiere, è la scusa per manifestare un altro tipo di malessere? ”
– “Non è una scusa, è una voglia di manifestare per la verità, una verità che è stata nascosta per tanti anni e che adesso noi civilmente stiamo mettendo in piazza e vorremmo che tutti partecipassero con noi! ”
Blog: “Vengo dalla Provincia di Brescia.”
Blog: ” Ha origini meridionali? ”
– “Sono napoletano sì. ”
Blog: “Come mai qui? ”
– “Sono qui per partecipare alla manifestazione contro il museo Lombroso. ”
Blog: “Che vi ha fatto? ”
– “Quel museo andrebbe prima di tutto cambiato il nome… ”
Blog: “Lombroso cosa ha fatto a voi, perché ce l’avete con lui? ”
– “Si è inventato questa teoria che i meridionali a causa della forma del loro cranio e di fossette nella base cranica erano tutti predisposti alla violenza e erano anche intellettualmente inferiori agli altri popoli italici. ”
Blog: “Quindi secondo voi il museo va chiuso? ”
– “Il museo non va chiuso, però è giusto che le persone che visitano il museo, sappiano che prima di tutto quegli studi erano fondati su teorie bislacche, probabilmente più che dedicarlo a Lombroso, dedicarlo magari alle vittime dei suoi studi, perché poi i suoi studi hanno portato anche una marea di uccisioni semplicemente perché il meridionale era per forza un brigante e quindi un malvivente, quindi meritava di essere ammazzato, molto spesso anche senza un processo. ”
– “Manifesto perché secondo me nei nostri confronti è stata fatta un’ingiustizia tanto tempo fa e quindi cerco di dare un ordine alla mia storia, me ne sto per andare, mi mancava questo anello sugli studi risorgimentali, adesso negli ultimi anni che ho un po’ di tempo in più ho ricercato questa cosa e sto trovando l’inferno, il nostro inferno viene da lì, da quel 1860. Vengo da Castelbuono, provincia di Palermo.
http://www.beppegrillo.it/2010/05/i_neoborbonici_contro_lombroso/index.html?s=n2010-05-12
Un commento di Rattus del 13.05.2010 per la lista neurogreen@liste.comodino.org
Scusa se te lo dico, magius. Ma è la solita retorica.
Il museo lombrosiano è un documento storico, nel senso che non è “dedicato” a Cesare Lombroso (come scrive Grillo) ma è stato realizzato “da” Lombroso. Se permetti è altra questione.
Peraltro il paragone con i nazisti è assai forzato.Lombroso è stato al comune di Torino con i socialisti, se non ricordo male.
Capire gli errori di Lombroso è utile solo se si evita una retoricaingenua. Il punto importante è che era del tutto in buona fede. Se non si capisce questo, non si capisce nulla né di Lombroso né degli errori scientifici che ha commesso. (Né del perché a sinistra ci sono così tanti imbecilli)-
Il museo che ha lasciato, come del resto le sue stesse spoglie ivi conservate, testimoniano la sua fiducia cieca nella “scienza”. Questo mi sembra un ottimo motivo per tenerlo aperto al pubblico.
Un caro saluto
Rattus
—
Ricevo da una mia amica il 12.05.2010:
Lettera aperta a Belusconi della scrittrice albanese Elvira Dones *
*la scrittrice albanese Elvira Dones ha scritto questa lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle “belle ragazze albanesi”.
In visita a Tirana, durante l’incontro con Berisha, il premier ha attaccato gli scafisti e ha chiesto più vigilanza all’Albania. Poi ha aggiunto:
“Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze”.
NATA FEMMINA
“Egregio Signor Presidente del Consiglio, le scrivo su un giornale che lei
non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo
disinvolto senso dello humor ha toccato persone a me molto care: “le belle
ragazze albanesi”. Mentre il premier del mio paese d’origine, Sali Berisha,
confermava l’impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha
puntualizzato che “per chi porta belle ragazze possiamo fare un’eccezione.”
Io quelle “belle ragazze” le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di
notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da
Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro
vite violate, strozzate, devastate. A “Stella” i suoi padroni avevano inciso
sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto:
rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul
marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia
albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del
Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. E’ solo allora –
tre anni più tardi – che le incisero la sua professione sulla pancia: così,
per gioco o per sfizio.
Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società,
non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana
sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia
nell’uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l’utero.
Sulle “belle ragazze” scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo
Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera:
andai in cerca di un’altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi
aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti
altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate,
appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un
padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di
Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre,
affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua
a sperare, sogna il miracolo. E’ una storia lunga, Presidente… Ma se
sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio
libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con
lei. Ma l’avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.
In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche
righe gliele dovevo. In questi vent’anni di difficile transizione l’Albania
s’è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel
popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a
spalle dritte e testa alta. L’Albania non ha più pazienza né comprensione
per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i
drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe
che da guadagnarci.
Questa “battuta” mi sembra sia passata sottotono in questi giorni in cui
infuria la polemica Bertolaso , ma si lega profondamente al pensiero e alle
azioni di uomini come Berlusconi e company, pensieri e azioni in cui il
rispetto per le donne é messo sotto i piedi ogni giorno, azioni che non sono
meno criminali di quelli che sfruttano le ragazze albanesi, sono solo
camuffate sotto gesti galanti o regali costosi mi vergogno profondamente e
chiedo scusa anch’io a tutte le donne albanesi
Merid Elvira Dones
“PS.: Tutte le persone che ricevono la presente comunicazione spero sentano
l’obbligo civile e morale di trasmetterla ad altre persone.
*grazie Elvira *
—
“Peppino Impastato ha vinto”, 13.05.2010
La casa del boss Tano Badalamenti consegnata all’associazione dedicata a Peppino. Il racconto dei quattro giorni del forum antimafia.
Domenica 9 maggio a Cinisi, Palermo, è avvenuto un fatto storico, si è scritta una pagina importante della storia del movimento antimafia: la casa di Tano Badalamenti, l’ultimo boss della “cupola” di Cosa Nostra prima dell’ascesa dei Corleonesi e mandante dell’omicidio di Peppino Impastato, è stata consegnata all’Associazione “Peppino Impastato” di Cinisi, composta dai compagni e dalla famiglia Impastato. La consegna della casa di Badalamenti, a cento passi da quella di Impastato, è avvenuta al termine della manifestazione che ogni anno si svolge il 9 maggio, anniversario dell’omicidio di Peppino. Il corteo è partito come di consuetudine da quella che fu la sede di Radio Aut, dalla quale Peppino conduceva la nota trasmissione satirica “Onda pazza”, fino alla Casa della famiglia Impastato. Quest’anno è andato più in là, si è spinto avanti di cento passi, il fratello di Peppino, Giovanni, la cognata Felicia e compagni di Peppino dell’Associazione sono saliti sul balcone che fu di Badalamenti ed hanno annunciato l’avvenuta consegna. È stato un momento emozionante, pugni chiusi si sono alzati, per la gioia di avere ottenuto un grande successo, per salutare Peppino. Non si è nascosta la commozione.
Il corteo è stato molto partecipato, cinque, forse seimila persone hanno sfilato per due ore lanciando slogan in ricordo di Peppino, ma anche contro politici di oggi e non sono mancati slogan in solidarietà con i lavoratori, pensionati e giovani greci in lotta. Numerose le anime che lo hanno composto: oltre alla famiglia Impastato e all’Associazione Impastato, c’erano l’associazione Radio Aut, il Prc che ha partecipato con uno spezzone consistente, soprattutto con molti giovani. Presenti anche altri partiti come l’IdV e il PdCI, non mancavano i movimenti, il popolo delle agende rosse di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, l’antiberlusconiano “Popolo viola”, l’Associazione No ponte, varie associazioni antimafia come Libera, Rita Atria e tante altre provenienti da tutte le province siciliane, e altre sigle, ma è impossibile citarle tutte.
Come ogni anno dal 2002 il ricordo dell’omicidio di Peppino non avviene solo con la manifestazione ma con forum che si articola in più giornate, quest’anno sono state quattro. Gli organizzatori non vogliono ricordare Peppino con un rituale vuoto, con cerimonie retoriche, ma con discussioni su tematiche politiche e sociali rivolte all’attualità, come se continuassero la lotta del loro compagno.
Si è iniziato giovedì 6 maggio con un forum sugli spazi sociali nel quale sono intervenuti esponenti del centro sociale di Palermo “Laboratorio Zeta”, sgomberato lo scorso febbraio e rioccupato dopo quattro giorni, e di altri centri sociali dalla Sicilia a Bologna.
Nella giornata successiva si sono affrontate tematiche ambientali partendo dal problema dei rifiuti in Campania e Sicilia; si è parlato dell’annoso ponte sullo stretto di Messina e si è tenuta la presentazione del libro di Antonio Mazzeo “I padrini del Ponte”. Il forum è proseguito con la discussione dei referendum in campo contro la privatizzazione e per la ripubblicizzazione dell’acqua. Anche in questo forum, come in tutti, sono intervenuti esponenti di realtà diverse dell’Italia, ognuno ha parlato della propria esperienza sul territorio ed ha arricchito il dibattito con un’analisi del fenomeno in discussione.
Sabato 8 si è parlato di immigrazione, lavoro precario e resistenze operaie, un dibattito ricco di interventi; ha fatto seguito, nel tardo pomeriggio, un affollato forum dal titolo “La deriva democratica e il neofascismo berlusconiano” cui ha preso parte, tra i vari relatori, il magistrato Ingroia della procura di Palermo, il quale ha sottolineato come in questa fase politica gli attacchi alla magistratura sono finalizzati a controllare l’ultimo baluardo istituzionale contrario alla revisione della Costituzione in senso autoritario, vero obiettivo della classe dirigente. Domenica mattina, prima del corteo si è parlato di Peppino con un forum sulla sua esperienza politica e rivoluzionaria: “dall’antimafia alla politica di movimento”. Oltre ai suoi compagni hanno preso la parola varie realtà nazionali e noti esponenti come Salvatore Borsellino.
Infine il corteo, con la conclusione che si è detto, con la grande conquista non solo materiale perché l’Associazione potrà disporre di un bene, probabilmente unitamente al Comune di Cinisi, per attività sociali, per mettere in piedi una biblioteca e un centro antimafia; è stata anche una grande conquista simbolica, un segnale forte contro la mafia che può essere sconfitta sul proprio territorio. E, allo stesso tempo, un segnale forte per la gente di Cinisi ancora distratta se non ostile verso questa manifestazione annuale e verso lo stesso Peppino. Don Tano è stato espropriato nel suo feudo. Il re è nudo. “Oggi Peppino ha vinto”, si è detto, forse senza retorica perché la sensazione è stata proprio questa.
http://www.sabatoseraonline.it/home_ssol.php?site=1&n=articles&category_id=15&article_id=129981&l=it
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Dell Children’s Medical Center: l’ospedale pediatrico realizzato con materiali riciclati, 12.05.2010
Nella città di Austin, in Texas, è possibile ammirare un esempio incredibile di riqualificazione architettonica. Un gigantesco modello di eco-design e architettura sostenibile che sorge su 32 acri un tempo destinati all’aeroporto Robert Mueller Municipal. È il Dell Children’s Medical Center, l’ospedale pediatrico insignito della medaglia di platino LEED Rating System, certificazione nata per incoraggiare lo sviluppo sostenibile, assegnata dal Green Building Council statunitense.
Progettato dagli architetti Karlsberger, l’edificio si è distinto per l’elevata percentuale di materiale riciclato, ben il 92% del totale, impiegato nella costruzione dello stabile. Basti pensare che 47.000 tonnellate di ex pista dell’aeroporto Mueller, sono state usate per costruire i parcheggi e i garages della clinica.
Non solo, circa il 40% della cenere volatile è stata usata al posto del cemento nella miscela per il calcestruzzo, con una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente all’anidride carbonica prodotta da 450 automobili su strada. Materiali da costruzione sostenibili e a Km 0, come il calcare bianco del Texas, vetro riciclato e sughero, sono stati impiegati nella creazione della facciata esterna dell’ospedale, del parquet e dei muri.
Le finestre, di forme, colori e dimensioni diverse sono tantissime e forniscono l’80% della luce giornaliera necessaria all’intera struttura. Sensori di movimento e luce naturale coabitano perfettamente per garantire il giusto risparmio di energia elettrica.
Elettricità prodotta da una turbina a gas naturale da 4.3 Megawatt presente sul posto, connessa alla rete elettrica municipale e a un generatore d’emergenza nel caso in cui dovesse servire energia di riserva. Un impianto in grado di produrre la totalità dell’energia necessaria ai macchinari, riscaldamento e raffreddamento compresi.
Pareti isolanti, superfici riflettenti e un’uniforme distribuzione dell’aria nel pavimento, garantiscono un sistema di ventilazione naturale, mentre le piante e gli alberi collocati lungo i parcheggi riducono l’effetto “isola di calore” presente in molte città.
Ogni dettaglio non è stato lasciato al caso, come le tubazioni a ridotto flusso idrico che diminuiscono sensibilmente lo spreco di acqua e le vernici speciali a basse emissioni di composti organici volatili, i VOCs, che contribuiscono alla sostenibilità dell’intero complesso.
Sostenibilità che pervade ogni angolo del Dell Children’s Medical Center e che ne fa un eminente esempio di rinnovamento e sviluppo cittadino dove l’elemento principe in fatto di design è dato dalla creazione di un ambiente all’avanguardia dove l’ecologia si sposa con il concetto di guarigione e terapia.
Il Dell Medical Center è uno spazio giocoso e naturale, dove i bambini si rilassano e affrontano con maggiore serenità cure e terapie. Per loro, gli architetti dello studio Karlsberger, hanno progettato un bellissimo giardino multilivello, la punta di diamante dell’intero complesso. Articolato in spazi attivi e passivi, quest’area verde include la piazza multimediale, il labirinto, la meridiana, il giardino delle farfalle, la suggestiva fontana e lo stagno riflettente.
Un’oasi naturale che riflette la biodiversità di Central Texas incorporando sei eco-regioni, ognuna corrispondente a un’area distinta dell’ospedale, e 46 contee. “Un ambiente familiare, molto simile a quello in cui sono cresciuti bambini e genitori, per permettere loro di entrare in maggior sintonia” ha dichiarato Brian Ott, coordinatore dei lavori per il design del paesaggio.
Non solo, a tutto questo si aggiunge una bellissima cascata su un muro di granito che finisce in un fiume a forma di serpente, per poi terminare il suo corso in una meravigliosa piscina. L’acqua della cascata viene riutilizzata per l’irrigazione di paesaggi acquatici che mantengono l’aria pulita e ricca di ossigeno.
Scelte strutturali che ascoltano il Pianeta sposandosi con l’innovativa tecnologia medica del Dell, per creare un ambiente curativo di coesione e benessere.
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La lezione inglese, 13.05.2010
Dopo giorni di trattative convulse David Cameron e Nick Clegg trovano un accordo. Nasce in Inghilterra il primo governo di coalizione dopo sessantacinque anni e vacilla il mito del bipartitismo inglese. Che però nel nostro paese continua a vantare numerosi estimatori.
di Emilio Carnevali
In Inghilterra il primo governo di coalizione dopo sessantacinque anni – bisogna risalire alla seconda guerra mondiale per ritrovare qualcosa di simile – ha visto la luce ieri con un divertente siparietto di fronte alla stampa dei due giovani leader Cameron e Clegg (“davvero hai detto questo di me, David?”, ha domandato, fingendosi offeso, Nick Clegg al leader conservatore quando i giornalisti gli hanno ricordato un po’ di epiteti usati nei suoi confronti durante la campagna elettorale. “Lo devo ammettere, Nick”, ha risposto questi fra le risate generali).
Difficile però che il clima di allegria e leggerezza possa durare anche nei prossimi mesi. Una bozza di 7 pagine articolata in 11 punti ha sancito l’accordo politico più innaturale dal punto di vista dei contenuti: i liberaldemocratici sono una formazione di centrosinistra molto più simile ai laburisti che ai conservatori; anzi, negli ultimi anni hanno spesso “scavalcato a sinistra” gli stessi laburisti – non era difficile farlo nell’era di Tony Blair – su materie come la guerra o il welfare (di qui l’endorsement per Clegg di due storiche testate vicine al Labour come il Guardian e l’Observer).
Innaturale dal punto di vista dei contenuti, l’accordo Cameron-Clegg, ma obbligato visti i numeri usciti dalle urne lo scorso 6 maggio: nessuno ha raggiunto i 326 seggi necessari per conquistare la maggioranza del Parlamento. Solo l’unione fra i tories e i liberaldemocratici poteva garantire il superamento dell’asticella dal momento che un’eventuale coalizione lil-lab (315 seggi in due) avrebbe dovuto affrontare la difficile “caccia grossa” fra i vari partitini autonomisti, anche senza voler considerare il problema dell’ormai usurata leadership di Gordon Brown.
Clegg non ha ottenuto il successo che in molti si aspettavano durante la sua brillante campagna elettorale, ma ora ha la possibilità di rifarsi con quella agognata riforma del sistema elettorale che può porre fine alla macroscopica ingiustizia legata all’uninominale maggioritario inglese, in virtù del quale il suo partito, che ha raccolto il 23% dei consensi, ha dovuto accontentarsi di 57 deputati (contro i 258 dei laburisti con il 29% dei voti e i 306 dei Tory con il 36%).
Per questo il leader liberaldemocratico, che sarà vice-premier, ha chiesto e ottenuto anche la delega sulle riforme istituzionali, comprendenti appunto la riforma elettorale attraverso un referendum popolare sul cosiddetto “voto alternativo”. Quest’ultimo, denominato sinteticamente Av+, è il sistema in vigore in Australia e prevede l’indicazione di più candidati in ordine di preferenza – con una correzione proporzionale per una quota di parlamentari intorno al 15%-20%. Non è il proporzionale puro che è tanto caro alla base lib-dem (e che dovrebbe essere caro ad ogni sincero democratico, come ci ha insegnato Hans Kelsen), ma sarebbe già un risultato storico capace di correggere le più evidenti deformazioni della rappresentanza presenti nell’assetto attuale.
All’obiettivo della riforma elettorale i lib-dem hanno dovuto sacrificare molto nel programma di governo siglato insieme agli alleati conservatori, in primo luogo le istanze filo-europeiste che da sempre caratterizzano il profilo politico del loro partito. Ma i rapporti di forza sono chiaramente sbilanciati a favore dei tories e difficilmente Clegg avrebbe potuto portare a casa un bottino più sostanzioso. Vedremo ora quanto durerà questo inedito esperimento di coabitazione a Downing Street. Non è da escludere, tuttavia, un ritorno alle urne ben prima della scadenza naturale della legislatura.
Se al di là della Manica rischia di tramontare il tanto celebrato mito del bipartitismo inglese, qui da noi sembrano rialzare la testa i tanti pasdaran dell’uninominale maggioritario. Tanto più agguerriti quanto più, come ha giustamente osservato Michele Prospero sul manifesto, il mito del bipolarismo appare ormai come l’unica e l’ultima bandiera mobilitante per ampi settori del Partito democratico: “Un partito”, ha scritto Prospero, “che ha confuso i fini (identità, progetto), che ha smarrito i soggetti sociali di riferimento (l’impresa, nella narrazione veltroniana, era divenuta l’immagine estrema del disagio odierno, per via dell’inquieto padrone che non dorme la notte per il mutuo da pagare)”, e che dunque “combatte fino all’ultimo sangue la guerra sui mezzi tecnici (formule elettorali, procedure per la contendibilità della leadership)”.
Una animosità che stride fortemente con il contesto nel quale la discussione prende forma: mentre l’Europa danza sull’orlo del baratro della crisi economica e finanziaria, nel principale partito dell’opposizione rischiano di scannarsi attorno all’articolo 18 del proprio Statuto: strano esercizio di “onanismo masochista” difficilmente comprensibile anche senza pregiudizi verso le forme più fantasiose di perversione.
“Voglio parlare del lavoro e dei suoi problemi e non di cazzate”, aveva detto Bersani davanti ai lavoratori della Vinyls a Porto Torres qualche giorno fa. Temiamo che sarà costretto a occuparsi ancora per un po’ di cazzate.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-lezione-inglese/
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La tassonomia ai tempi della Rete, 06.05.2010
Su PLoS One il primo articolo ad accesso libero che pubblica i nomi di nuove specie direttamente online, violando il Codice Internazionale della Nomenclatura Botanica
Anche la tassonomia, la scienza della classificazione delle specie, si evolve ed entra nell’Era digitale. In uno studio apparso sulla rivista ad accesso libero PLoS One, un gruppo di studiosi del National History Museum di Londra ha infatti pubblicato nomi e descrizioni di quattro nuove specie di piante tropicali. La notizia di per sé sarebbe importante ma non sconvolgente, se non fosse che la rivista scientifica è solo online, mentre il Codice Internazionale della Nomenclatura Botanica (ICBN) prevede, per le nuove specie, la pubblicazione cartacea. Un fatto, questo, che potrebbe preludere a “rivoluzione digitale” delle regole tassonomiche.
Siamo di fronte, quindi, al primo articolo che presenta nuove specie solo online, pur attenendosi strettamente ai precetti del codice botanico. Le piante descritte appartengono alla famiglia delle Solanaceae (la stessa di patate e pomodori) e al genere Solano, che comprende circa 1.500 specie arbustive e rampicanti originarie dell’America Centrale e Meridionale. Le quattro sono state individuate in Colombia e in Ecuador (S. aspersum), in Venezuela (S. luculentum), in Perù (S. sanchez-vegae) e Messico (S. sousae). Si tratta di specie rare ma ancora non in pericolo di estinzione.
Sin dai primi del Novecento, l’ICBN riconosce solo i nomi apparsi sulle prime pubblicazioni cartacee. Queste chiare regole per la pubblicazione servono a mantenere ordine nell’assegnazione dei nomi. “Senza questo codice ci sarebbe il caos: potrebbero esistere nomi diversi per una stessa specie e differenti specie potrebbero portare lo stesso nome, con ripercussioni su tutte le branche delle scienze naturali”, riconosce Sandra Knapp, botanica al Natural History Museum di Londra e autrice dello studio.
Tuttavia l’articolo della ricercatrice inglese infrange in parte queste regole anche per il fatto che la rivista è ad accesso libero: l’intera comunità di internauti può scaricare l’articolo, stamparlo e addirittura distribuirlo a musei e istituzioni il giorno stesso della pubblicazione. In questo modo, la Knapp dimostra che la flessibilità di autori ed editori può assecondare i cambiamenti senza pregiudicare una corretta classificazione dei nomi. “Il Codice si evolverà e si adatterà alle mutevoli esigenze degli scienziati, e gli editori hanno un ruolo importante nell’assicurare che le modifiche siano attuate correttamente”, ha dichiarato la scienziata. Il codice (che viene aggiornato ogni sei anni), infatti, sarà discusso l’anno prossimo a Melbourne durante il Congresso Botanico Internazionale, la cui Sezione Nomenclatura sarà presieduta proprio da Sandra Knapp. (a.o.)
Riferimenti: PLoS One DOI: 10.1371/journal.pone.0010502
http://www.galileonet.it/news/12695/la-tassonomia-ai-tempi-della-rete
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Sei dollari e Google, un’idea per trovare lavoro, 14.05.2010
Di Gaia Berruto
Hai 30 anni e hai bisogno di un lavoro come pubblicitario. Mandi curricula a tutte le aziende di New York, ma nessuno ti risponde. Come fare ad arrivare direttamente al direttore creativo, saltando le risorse umane, per dimostrare di essere la persona giusta per loro?
Alec Brownstein ha risolto il problema con un investimento di sei dollari. Ha comprato i Top Spot, ossia il primo risultato di ricerca su Google, dei nomi dei più importanti direttori creativi di New York e ci ha messo questa frase:
Hey, googolarti è divertente. Anche assumermi è divertente.
Il messaggio mandava ovviamente al suo sito. In pratica, ha fatto affidamento al classico narcisismo: chi non ha mai messo il proprio nome su Google per vedere cosa appare? E infatti, dopo poco ha ricevuto le chiamate che si aspettava: quattro manager su cinque lo hanno invitato per un colloquio. E due gli hanno offerto un lavoro.
Per la cronaca, ora Alec lavora alla Y&R New York, a Manhattan. Tutto con sei dollari di pubblicità. Per prendere spunto, ecco il video del Google Job Experiment di Alec Brownstein:
http://www.wired.it/news/archivio/2010-05/14/sei-dollari-e-google,-un%27idea-per-trovare-lavoro.aspx
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In memoria di Mariarca Terracciano
Gianni Rossi, 16.05.2010
Morire per il lavoro, i soldi che non ci sono più nell’indifferenza dei media. Solo una piccola Tv locale l’aveva ripresa settimane fa. Della sua solitaria battaglia abbiamo saputo solo quando è morta e tutti i TG, radio, stampa si sono gettati sul caso
Gli occhi profondi e lucidi non risplendono più. Le sue pupille scure non abbagliano più lo sguardo di chi ha potuto vederla e sentirla per pochi istanti, distesa su una lettiga mentre il sangue rosso cupo scivolava via dal braccio verso la sacca trasparente. La sua voce calma e sicura che scandiva con saggezza le parole della sua protesta solitaria, dignitosa e con l’incedere antico, musicale, delle donne del Sud, si è spenta per sempre. Mariarca Terracciano, 45 anni, infermiera, sposa e madre di due figli fa “scandalo” più da morta che da viva. Scandalo in senso cristiano, ovvero testimonianza scomoda di un mondo che non sa più rispondere alle domande semplici e dirette della gente comune, di chi lavora duramente per sostenere una famiglia e di chi un lavoro l”ha perso o non lo ha mai avuto davvero.
Mariarca, ovvero la “Maria signora”, la “Maria che domina” come l’etimologia del nome induce a percepire, ha raggiunto la lunga folla di migliaia e migliaia di altre anime che in Paradiso ogni anno si aggiungono alla schiera dei morti sul lavoro. Quel lavoro che nella nostra società fatta ancora di sfruttamento, nonostante le tante conquiste ottenute nel secolo scorso a costo di sacrifici, lotte e sangue versato da milioni e milioni di lavoratori, oggi più che mai distrugge speranze, certezze, voglia di vivere e di realizzarsi. Mentre tutte le televisioni, le radio, i taccuini e i registratori dei giornalisti erano distratti dagli effetti spettacolari della crisi delle borse, del crollo dell’euro, della caduta degli stati europei spazzati via dalla speculazione mondiale; mentre gli occhi dell’opinione pubblica venivano inondati dalle macerie del regime berlusconiano, dell’ultimo “Califfo” di Occidente e della sua “corte dei miracolati”, ecco che il simulacro esile e gentile di una donna del nostro Meridione svillaneggiato dal leghismo egoista ed imperante ci lanciava un messaggio di onestà e di fierezza.
Mariarca per alcuni giorni si è tolta il sangue vero per onorare il suo lavoro, aveva fatto lo sciopero della fame, perché oltraggiata nell’intimo del suo senso di responsabilità: ogni lavoratore vale in quanto viene pagato, in quanto il suo valore è riconosciuto mensilmente dal danaro, appunto il “controvalore” della fatica.Se, a fronte del lavoro responsabile, diligente, viene meno il controvalore dello stipendio, ecco che si inceppa il meccanismo vitale che sta alla base della nostra società capitalistica: si ritorna indietro nel tempo, alla barbarie dell’epoca pre-industriale, al lavoratore-schiavo, alle sopraffazioni, alla cancellazione dei diritti umani. In piena crisi economica e finanziaria, i governi europei, le nazioni più industrializzate rispolverano ricette antiche, liberiste, che suonano ancora e sempre come “lacrime e sangue” per le masse popolari, per chi lavora, chi sta in pensione, chi è in cerca di un’occupazione stabile, per chi è malato e chi è indigente. “I soldi non ci sono più. Bisogna fare tutti dei sacrifici!”. Tutti, tranne le “cricche” del potere, chi specula nella finanza internazionale chi evade utlizzando gli “scudi” fiscali!
Un ritornello monocorde che suona stridulo proprio per chi è invece orgoglioso del proprio lavoro, anche se scarsamente retribuito, per chi crede in valori semplici e basilari: la responsabilità verso gli altri, la famiglia, i figli, la casa, la solidarietà, la speranza di essere felici. A Mariarca tutto questo è stato tolto di colpo nelle settimane scorse. E il mondo le è caduto addosso. Certo, non si è data per vinta, ha resistito e lottato. Era da esempio per gli altri suoi colleghi di lavoro. Con il pudore di chi è semplice e di chi non ama le ribalte né i palcoscenici mediatici, Mariarca ha comunicato la sua battaglia ad una piccola televisione locale ed ha fatto il giro del mondo su Youtube. Eppure nessun Telegiornale delle grandi TV pubbliche e private si è interessato del suo caso.
La sordità e la cecità del giornalismo TV (che poi è quello che informa l’80% della popolazione) sono fattori preoccupanti proprio in questo periodo di crisi che da economica e finanziaria sta diventando sempre più una crisi sociale, che potrebbe sfociare anche in tensioni e violenze. Ben altro spirito di servizio e di responsabilità professionale ci si aspetterebbe dal mondo giornalistico per documentare la realtà drammatica del paese in cui viviamo! Ancora una volta, seppure in modo diverso, il corpo di una donna è stato violato dalla brutalità della società egoista e mercantile.
Mariarca non è morta per una violenza sul suo corpo di donna bella e gentile. Mariarca è stata uccisa dal cortocircuito del sistema sociale, che lei stessa ha cercato di “bucare”, offrendole in pasto proprio il suo corpo, ultimo baluardo della sua dignità di persona e di donna. Mariarca oggi è diventata un “titolo” da TG, un’apertura di prima pagina per i giornali nazionali. Fra pochissimi giorni, anche Mariarca, purtroppo, scomparirà nel tritacarne dell’informazione consumistica, come i suoi tanti compagni di strada morti prima di lei sul lavoro e per il lavoro.
Eppure, ci sentiamo di rivolgere un appello a chi scrive, a chi si occupa di televisione e di radio: raccontateci ogni giorno questo mondo che sta soffrendo, che cerca di sopravvivere, che sa mostrare la dignità e l’onestà di milioni e milioni di cittadini, impegnati a far vivere una società ormai in declino, senza ricercare scorciatoie truffaldine per “fregare” gli altri. Allora sì che Mariarca non sarà morta invano. Allora sì che Mariarca resterà un esempio di vita e non solo una martire del lavoro: una donna del Sud con il coraggio da leonessa e l’umiltà della discrezione di un’anima gentile.
http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=14902
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Vendola lancia un appello a Obama: “La Puglia può ripulire la marea nera nel Golfo del Messico”
pubblicato: venerdì 14 maggio 2010 da Marina
Nichi Vendola, governatore della Puglia, scrive al Presidente Obama per spiegargli che la sua regione ha il macchinario giusto (Ecoblog lo presentò lo scorso anno) per ripulire il Golfo del Messico dalla marea nera.
L’invito a contattare i pugliesi per disinquinare il golfo è contenuto in una nota inviata ieri da Vendola a Franco Frattini, Ministro degli affari esteri e Vittorio Dainore, Giulio Maria Busulini , Alberto Devoto responsabili presso l’Ambasciata italiana a Washington e all’ambasciatore Usa in Italia David Thorne. Spiega Vendola che un azienda di Sanseverino di Puglia, la Fluidotecnica ha brevettato un macchinario l “Oilsep Cc Ecology” in grado di separare il petrolio dall’acqua.
Intanto per arginare la fuoriuscita di greggio pari a circa 5000 barili (balle!) al giorni in Usa le stanno tentando un po’ tutte. Dopo la proposta di bruciare il petrolio, il fallimento della collocazione di una campana che a oltre 1500 metri di profondità avrebbe dovuto bloccare il flusso di petrolio, si proverà a collocare un tubo di 15 centimetri di diametro che dovrebbe fungere da collettore per consentire il passaggio del fluido verso una pipeline che lo porti in superficie per essere sversato in una nave cisterna.
Il testo della nota firmata da Nichi Vendola.
La calamità che sta minacciando in questi giorni l’ecosistema mondiale, seriamente compromesso dalla dispersione al largo delle coste statunitensi dell’equivalente di migliaia di barili di petrolio che si riversano nell’oceano Atlantico dalla piattaforma della British Petroleum dinanzi alle coste della Louisiana, è oggetto di apprensione e, al contempo, di solidarietà da parte della comunità pugliese. Avvertiamo con chiarezza quanto la situazione sia di estrema gravità e necessiti di interventi rapidi e idonei. La Regione Puglia da sempre sensibile alle tematiche ambientali e riconvertitasi all’economia verde, negli ultimi anni ha visto nascere floridi distretti produttivi regionali, che sostengono le imprese operanti nello stesso settore nella costruzione di reti di relazioni. Da uno di questi distretti, quello della Meccanica, arriva la proposta di una possibile soluzione radicale al problema del versamento di petrolio in mare. La società Fluidotecnica Sanseverino, con sede a Bari, ha brevettato un macchinario – l’Oilsep Cc Ecology – in grado di compiere una separazione netta tra l’acqua e tutti i fluidi inquinanti che galleggiano. L’ Oilsep Cc Ecology ha la funzione di assorbire ed eliminare le chiazze di olio che troppo spesso si depositano sulla superficie del mare e che derivano dalle attività di navi cisterna, piattaforme petrolifere e industrie, senza utilizzo di alcun additivo chimico. L’apparecchiatura è stata già testata dalla Bosh ed è oggetto di interesse nelle zone di estrazione di idrocarburi fossili, come l’Oman e la Nigeria. L’intero distretto della Meccanica intende mettersi a disposizione per realizzare il numero di macchinari necessari a ripulire interamente la chiazza di petrolio riversatasi in mare. Riteniamo che la proposta possa costituire una valida alternativa all’utilizzo dei solventi chimici, pericolosi per il delicato equilibrio marino e comunque non risolutivi. L’attività dell’azienda e il macchinario in questione sono visionabili all’indirizzo:http://www.fluidotecnicasanseverino.com/. Il distretto della meccanica e il sistema della ricerca scientifica pugliese sarebbero lieti di entrare in contatto con analoghi interlocutori, accademici e produttivi, di quelle comunità che in questo momento sono impegnate a dotare i propri territori, colpiti dal disastro ambientale, di soluzioni innovative da adattare e sperimentare alle specificità del contesto.In un recente incontro con l’Ambasciatore Davide Thorne si è fatto cenno anche alle collaborazioni in campo scientifico e tecnologico che possono vedere coinvolti gli Stati Uniti d’America e le realtà accademiche e produttive dei territori italiani.
Certo che saprete dar voce a questo desiderio di fattiva solidarietà, rimango in attesa di un vostro cortese riscontro. L’occasione mi è gradita per porgervi i miei più sinceri e cordiali saluti.
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Sotto indagine l’operazione in ospedale che ha portato al blocco cardiaco
Sanguineti, indagini per omicidio colposo 18-19.05.2010
Il pm Petruzziello ha fatto sequestrare la cartella clinica del poeta. La moglie: «due ore in pronto soccorso»
Sotto indagine l’operazione in ospedale che ha portato al blocco cardiaco
Sanguineti, indagini per omicidio colposo
Il pm Petruzziello ha fatto sequestrare la cartella clinica del poeta. La moglie: «due ore in pronto soccorso»
GENOVA – Il pm Patrizia Petruzziello ha aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti in seguito alla morte, avvenuta in sala operatoria, dell’intellettuale genovese Edoardo Sanguineti. Sanguineti era stato ricoverato per un aneurisma ed era stato sottoposto ad un intervento chirurgico presso l’ospedale Villa Scassi di Genova Sampierdarena.
AUTOPSIA – L’operazione, inizialmente condotta senza complicazioni, era improvvisamente precipitata, con un blocco cardiaco che aveva determinato la morte del paziente. Il sostituto procuratore Petruzziello ha fatto sequestrare la cartella clinica di Sanguineti ed è intenzionata a sottoporre la salma dell’intellettuale genovese ad autopsia.
LA MOGLIE: «DUE OREIN PRONTO SOCCORSO» – «E’ successo tutto stamani, l’ho accompagnato al pronto soccorso – ha raccontato al’Ansa la moglie Luciana. Eravamo soli, lui ed io. Abbiamo aspettato due ore, si sa come va nei pronto soccorso. Prima gli hanno fatto una Tac, hanno visto che c’era un aneurisma aperto ed hanno detto che dovevano operare subito. Per fortuna c’era un professore che l’aveva già operato per un by-pass alla gamba un anno e mezzo fa. Ero tranquilla perché è un ottimo medico, ma purtroppo è capitato quello che è capitato. La questione è che non bisogna mai andare in ospedale. Dicevo ai medici del pronto soccorso, non schiacciategli la pancia che ha un aneurisma che si vede dall’esterno, niente, quelli dicevano che dovevano visitarlo».
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Sanguineti, uno stile blob 19.05.2010
GIAN LUIGI BECCARIA
Le prime poesie Sanguineti le aveva scritte nel ’51. Studente prodigio, cominciava giovanissimo a «sabotare» la letteratura con testi provocatori che volevano mettere in crisi le lettere come istituzione storica e come specificità di forme e significati tradizionali: i soliti temi, i generi fissati da tempo con tutto l’insieme di un «immaginario» prevedibile, scontato.
Nel ’56 uscirà Laborintus, seguiranno altri testi di dirompente novità, che gettavano reti dottissime su un profondo disagio esistenziale. Palus putredinis, sezione di Laborintus, alludeva a una palude mefitica come metafora del caos, della palude in cui s’era andato a infognare, a suo parere, l’universo poetico nostrano, tutto ordinato da uno stile troppo sublime. Dirompenti le novità sul piano della forma: sintassi totalmente disarticolata, frasi sospese, interrotte ossessivamente da parentesi, una punteggiatura esorbitante, e tanti incisi, uno scarto violento dall’ordine discorsivo.
Sanguineti era poi passato ad applicarsi ai piccoli fatti veri, «freschi di giornata», come ribadiva nelle Postkarten (1978), minicronache in versi di un reale visto teneramente a frammenti, per discontinuità, dati scrupolosamente nominati e definiti, un catalogo ilare di ciò che ci attornia, un «intorno» che pare privo di profondità e spessore, ma nella sostanza si muove vivo e parlante, in passi di danza. Con un inconfondibile stile blob sapeva tenere a braccetto il basso, il tecnico e l’alto lessico evocativo. Montava straordinarie messe in scena di linguaggi finti, frasi fatte, il tutto costruito come se il linguaggio della comunicazione media non esistesse, o esistesse solo per essere messo in rima, o alla berlina.
La «morale» però c’era (come dice nel Novissimum testamentum). Bisogna cavarla. Ed è restata, nei riguardi della società e nei confronti della storia, sempre lucida, rigorosa, implacabile, ostinatamente immutata.
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Montenegro, il business dell’energia
le mire italiane sul nuovo Eldorado 19.05.2010
L’asse Berlusconi-Djukanovic per privatizzare il Paese. Centrali, ferrovie ed elettrodotti: appalti per 5 milioni di euro in cambio dell’ingresso nella Ue
dal nostro inviato PAOLO BERIZZI
Montenegro, il business dell’energia le mire italiane sul nuovo Eldorado
PODGORICA -Un fiume di denaro pubblico italiano finito – come minimo in perfetto conflitto d’interessi – sui conti della banca di Milo Djukanovic. Lui, il pluri-inquisito ma inscalfibile premier montenegrino – pericoloso contrabbandiere internazionale e favoreggiatore di latitanti secondo le procure di Bari e Napoli, “amico” e “partner affidabilissimo” se si sta a Berlusconi e ai nostri ministri – , che per garantirsi il sostegno di Roma all’ingresso del Montenegro nell’Unione europea e nella Nato svende l’argenteria di casa. Come? Concedendo allettanti (e opache) privatizzazioni. Soprattutto nel settore dell’energia, la vera manna delle nostre imprese oltre Adriatico. Si sono date tutte allo shopping, qui, nell’ex Tortuga delle sigarette e dei loschi traffici divenuta oggi, grazie a una partnership in parte ancora da decriptare, e complice l’imposta su redditi più bassa d’Europa (9%), un nuovo Eldorado. Una specie di terra promessa per gli italiani, ora impegnati a colonizzarla come non riuscì all’ammiraglio Vittorio Mollo nel 1918 e al generale mussoliniano Pirzio Birolli nel 1941.
Altre epoche. Girata la ruota, cambiati i protagonisti. Oggi si chiamano Claudio Scajola (non più ministro dello Sviluppo economico), Valentino Valentini (fidato consigliere di Berlusconi per i rapporti internazionali), Maria Vittoria Brambilla (ministro per il Turismo). È anche un po’ merito loro, in missione per conto del presidente del Consiglio, che pure l’anno scorso è venuto a trovare Djukanovic in visita ufficiale, se la giovane Repubblica autonoma montenegrina – giovane come il suo discusso primo ministro (48 anni, a 29 già aveva in mano il paese e non l’ha più mollato, tra pochi giorni affronterà la prova delle amministrative cercando di scacciare le ombre che lo inseguono), è ora talmente lanciata da essere al centro di un mosaico affaristico-imprenditorial-politico. Assimilabile, per alcuni aspetti, alla stretta attualità italiana. Non vi sono, ad ora, risvolti penali, negli interscambi tra i due Paesi. Ma anche qui si parla di accomodanti relazioni politiche, di centinaia di milioni di euro, di grossi appalti, di operazioni bancarie più o meno filo-dirette. E, soprattutto, di energia. La stessa (in questo caso eolica) per la quale, in Italia, si è molto adoperato il coordinatore del Pdl Denis Verdini.
Per scattare una fotografia del Montenegro visto dai palazzi romani si può partire da una telefonata. È il 18 gennaio del 2009. Denis Verdini, indagato per corruzione dalle procure di Roma e Firenze, chiama il suo amico Riccardo Fusi, costruttore fiorentino patron di Bpt (Baldassini-Tognozzi-Pontello), la società finita al centro dell’inchiesta sui Grandi Appalti e ritenuta dagli investigatori la “copertura” del consorzio Stabile Novus infiltrato dalla mafia. Non è un evento, la telefonata: “Ci sentivamo anche dieci volte al giorno”, dice Fusi, contattato da Repubblica. Il tema di quella conversazione catturata, tra migliaia, dai Ros dei carabinieri, e ricordata dallo stesso Fusi, è il Montenegro. “Domani Valentini va a Podgorica con un gruppo di imprenditori, vuoi andare anche tu?”, è l’invito di Verdini. Al suo amico, il coordinatore del Pdl fa presente che in Montenegro c’è la possibilità di guadagnare parecchio. “Purtroppo non sono riuscito ad andare per impegni già presi”, si dispiace Fusi.
Il volo di Stato per Podgorica è organizzato da Valentino Valentini tramite Simest (società del governo che sostiene gli investimenti italiani all’estero). Con il ministro Brambilla e il sottosegretario al commercio estero, Adolfo Urso, ci sono una sessantina di imprenditori (A2A, Enel, Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini). È il primo passo nell’intesa commerciale tra Berlusconi e Djukanovic.
Ce ne saranno altri due. Decisivi. Uno il 17 marzo 2009: la visita di Berlusconi. Il premier, accolto come un eroe, incontra Milo, come lo chiamano gli elettori. Promette che avrebbe fatto diventare grande il Montenegro. Il 16 giugno spedisce qui un altro suo fedelissimo, il ministro Scajola, che mette la firma su due contratti: energia e infrastrutture. Investimenti per 5 miliardi di euro. Col primo scendono in campo A2A – la multiutility quotata in Borsa nata dalla fusione delle municipalizzate di Milano e Brescia – e Terna. A2A acquisisce il 43% della società energetica pubblica Elektroprivreda. Dei 450 milioni italiani per la privatizzazione, una parte, almeno 300, sono stati versati sui conti della Prva Banka, il colosso bancario controllato dal fratello del premier, Aco Djuknovic, e del quale possiedono azioni lo stesso Milo e la sorella Ana. Lo conferma il direttore della Prva, Predag Drecun. L’opposizione al governo parla di operazione “affrettata e poco trasparente”, sponsorizzata da Berlusconi e messa in piedi per favorire il potente clan Djukanovic. In effetti è come se Berlusconi privatizzasse una società pubblica e facesse versare i soldi sui conti della Mediolanum. Ma tant’è, tutto è possibile nel Montenegro delle (sin) energie. Grazie al “prego si accomodino” deciso da Milo, Terna costruirà un elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat per portare l’energia balcanica nello stivale. A2A, ancora lei, realizzerà quattro centrali idroelettriche, Enel un impianto a carbone in collaborazione con Duferco che, a sua volta, tirerà su un termovalorizzatore. E per finire il progetto di Italfer (Ferrovie dello Stato): una ferrovia Bar-Belgrado (1 milione già stanziato da Scajola).
Dietro la campagna montenegrina – è il timore del deputato Pd Alessandro Maran – si nasconde “la nostra illusione di fare nei Balcani tutto quello che non si può fare in Italia, trasferendolo dall’altro lato del confine”. No, “è semplicemente una partnership costruttiva e interessante per tutti e due i paesi – ragiona l’ambasciatore italiano Sergio Barbanti – questo è uno Stato che vuole e può crescere”. Ma l’assalto all’oro montenegrino è visto da qualcuno come un azzardo. Anche per lo stesso ex regno delle sigarette. Avverte un imprenditore locale: “È vero che sfruttiamo solo il 17 per cento del nostro potenziale, ma questa è una terra da salvaguardare”. Buona parte del territorio montenegrino è sotto il patrimonio dell’Unesco. Anche volendo fare la tara a quello che scrivono i giornali vicini all’opposizione, come il “Dan” – titoli forti tipo “è arrivata la mafia dell’energia” – ; anche volendo prendere con le pinze le parole del leader del Movimento per il cambiamento Nebojsa Modojevic (“c’è il rischio che la mafia italiana bruci nei termovalorizzatori qualsiasi porcheria e il rapido accordo con A2A è frutto solo degli interessi personali di Berlusconi e Djukanovic”), è un fatto che il filo che corre tra Italia e Montenegro si regge su un equilibrio ancora ballerino.
La Procura di Bari, che come quella di Napoli aveva chiesto l’arresto di Djukanovic poiché ritenuto a capo di una cupola mafioso-finanziaria dedita al traffico internazionale di sigarette (mille tonnellate al mese), droga, armi e coperture per 15 criminali, l’anno scorso ha archiviato il fascicolo. Non si può procedere perché Milo è un capo di governo straniero protetto dall’immunità. Ma le preoccupazioni per Djukanovic arrivano anche dal suo paese. La suprema corte di Podgorica ha acceso i riflettori su nove omicidi di testimoni “scomodi” legati al contrabbando (nel 2004 in città fu ucciso anche il giovane direttore del quotidiano Dan). Un’indagine che sta facendo tremare i palazzi del potere.
Il 23 maggio in Montenegro si vota per le amministrative in 14 comuni. L’opposizione fa blocco per provare a scardinare Milo e, al prossimo suffragio, per mandarlo a casa dopo 18 anni. Lui si sente forte, anche grazie al partner italiano. Messe in cascina le garanzie di Berlusconi, Djukanovic promette l’Europa al suo popolo (che già usa l’euro, caso unico tra i paesi non Ue). Chissà, forse è tutta questione di energia.
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Lula a Teheran. La giocata del global player brasiliano 18.05.2010
America latina, Brasile, Guerre infinite, Politica internazionale, Primavera latinoamericana, Primo piano, Problemi globali
Il Brasile di Lula, inserendosi a Teheran nel ginepraio mediorientale, gioca da attore globale. C’entra poco l’insistere sui diritti umani verso il pur repellente regime di Ahmedinejad e perfino il merito del nucleare iraniano. In ballo vi è un presunto diritto occidentale ad isolare stati canaglia veri o presunti rispetto all’agire persiano da potenza regionale dal Libano all’Oceano indiano.
È uno strumento, quello dell’isolamento, particolarmente inadeguato nella nostra epoca post-unipolare dove molteplici attori, l’Iran stesso, ovviamente Cina, India e Russia, ma anche Turchia e per quel che ci interessa il Brasile, si aggregano, fanno diplomazia e affari senza chiedere permesso a Washington o Londra o Bruxelles.
È la fine della pretesa occidentale di considerare il resto del mondo una propria periferia. Per anni la [non] soluzione al problema iraniano era considerata esclusiva del circolo del G6, ovvero gli occidentali [meno l’Italia] più Russia e Cina. Invece la soluzione potrebbe essere venuta dall’azione congiunta di Turchia e Brasile. “È il multilateralismo, bellezza”, direbbe Bill Clinton ai commentatori mainstream che in queste ore si esercitano tra lo scetticismo e il minimizzare l’accordo raggiunto da Lula e che da oggi molti attori si impegneranno a boicottare.
La costanza con la quale le classi dirigenti brasiliane hanno costruito lo status di attore globale (dire “grande potenza” è riduttivo e non calzante per un paese pacifico come il Brasile) è un fatto storico dall’epoca di Getulio Vargas. Non è un caso che il dirigente nazionalista brasiliano, vicino per epoche e indirizzi a Lázaro Cárdenas, Juan Domingo Perón e l’egiziano Nasser, fu rovesciato quasi contemporaneamente al persiano Mohamed Mossadeq nei primi anni ’50 vittima dell’intervento degli Stati Uniti e delle “sette sorelle”. Tuttavia anche successivamente, i governi conservatori brasiliani mantennero una diplomazia non allineata: ignorando spesso l’embargo contro Cuba, appoggiando l’autodeterminazione di Timor Est, Palestina e soprattutto Angola. In questo caso svolsero in diplomazia un ruolo coincidente a quello svolto militarmente dai cubani, guadagnandosi l’inimicizia eterna di Henry Kissinger.
È però con la presidenza di Lula da Silva, in questo secolo, che il ruolo autonomo e globale del Brasile si afferma definitivamente. Lo scontro con George Bush nel 2005 nel vertice di Mar del Plata, mise in soffitta la pretesa statunitense dell’ALCA, l’Area di Libero Commercio delle Americhe. Questa voleva trasformare l’intera America latina in una grande area di produzione neoliberale che permettesse agli Stati Uniti di usare forza lavoro a basso costo, quella latinoamericana, per sostenere la propria competizione globale con la Cina. Come corollario gli USA avrebbero impedito qualunque prospettiva di integrazione regionale latinoamericana frustrando l’influenza come potenza regionale del Brasile stesso.
Nonostante il ruolo dei movimenti sociali e della sinistra continentale fosse fondamentale, il NO all’ALCA fu soprattutto figlio della visione di lungo periodo delle classi dirigenti brasiliane tuttora impegnate in un “nation building” che le vede (almeno su questi terreni) alleate del governo del PT e delle sinistre.
Dopo di allora il Brasile ha agito sempre da potenza regionale, difendendo con successo il Venezuela dai tentativi di destabilizzare Hugo Chávez, associandosi in forma sempre più stretta alla Rivoluzione cubana, capitanando una missione militare ad Haiti che ha causato critiche ma ha ribadito il ruolo del paese. Quindi ha blindato la tenuta democratica della Bolivia di Evo Morales, nella quale gli Stati Uniti appoggiavano il separatismo delle regioni ricche, ha osteggiato il golpe in Honduras e impedito la regionalizzazione del conflitto colombiano voluta da Álvaro Uribe, dall’interventismo militare nordamericano e dagli interessi enormi legati al narcotraffico.
Il Brasile è stato quindi un motore fondamentale del rapido processo d’integrazione latinoamericana di questo decennio. L’interscambio economico in aree come il Mercosur, che va dalla Terra del Fuoco ai Caraibi, si è moltiplicato per quattro come per quattro si è moltiplicato l’interscambio Sud-Sud con l’Africa, l’Asia, il Medio Oriente. Proprio l’integrazione regionale, descritta dal Nord come un’utopia populista, ha ridotto gli effetti sull’America latina della crisi globale, in una regione la dipendenza della quale l’aveva resa esposta per decenni ad ogni stormire d’effetti tequila. Tutto ciò è avvenuto in un contesto nel quale milioni di brasiliani sono usciti dalla povertà.
La sguaiatezza di reazioni come quella di Henry Kissinger al ruolo svolto dal Brasile di Lula a Teheran o le demonizzazioni della propaganda (si veda per tutti il pessimo Moisés Naím, Miracolo messicano, “L’Espresso”, 13 maggio 2010, che per attaccare il Brasile inventa addirittura un miracolo nella tragedia messicana) testimoniano quello che al Nord costa ammettere: il Brasile di Lula oggi non è più periferia di nessun Occidente, ma è un attore globale padrone del proprio destino e destinato ad avere un ruolo di perequazione tra Nord e Sud del mondo.
http://www.gennarocarotenuto.it/13042-lula-a-teheran-la-giocata-del-global-player-brasiliano/
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comunicazione, digitale, tv di Enrico Grazzini
Scandalo digitale, va in onda il regalo alle tv 15.05.2010
Le frequenze liberate grazie al passaggio al digitale sono un bene pubblico prezioso. In tutto il mondo i governi le mettono all’asta per le tecnologie del futuro, il nostro le dà gratis alle tv del passato. Indovinate perché
Mentre il governo italiano dimezza le agevolazioni alla stampa e blocca i finanziamenti per la banda larga Internet, si appresta invece a fare un regalo favoloso alle televisioni donando loro praticamente senza contropartite un bene pubblico preziosissimo che vale miliardi di euro: le frequenze. Nel paese caratterizzato dal più clamoroso conflitto di interessi del mondo occidentale sta accadendo che – a differenza di quello che avviene in Europa – il governo darà gratis alle televisioni le frequenze pubbliche liberate con il passaggio dalla Tv analogica a quella digitale, il cosiddetto dividendo digitale. Un caso da manuale di privatizzazione (gratuita) di un bene pubblico (1). All’estero invece buona parte del dividendo digitale viene messo all’asta, genera preziosissimi soldi per le casse dello stato a favore dei cittadini contribuenti, e viene utilizzato per colmare il gravissimo divario digitale tra chi ha accesso a Internet ad alta velocità e chi no. Lo stato tedesco prevede di incassare circa 4-8 miliardi di euro dall’asta che è iniziata ad aprile. Il Tesoro americano (e quindi i contribuenti statunitensi) ha già incassato 19 miliardi dall’asta per le frequenze liberate dalla vecchia tv analogica; e la Federal Communications Commission, l’autorità di controllo del settore, vorrebbe ricavare ancora l’astronomica cifra di 50 miliardi dalle prossime aste per assegnare il dividendo digitale agli operatori mobili e diffondere la banda larga wireless (senza cavi) in tutte le aree urbane e rurali. Il governo francese prevede nella sua finanziaria di incassare solo per quest’anno 1,4 miliardi dall’asta sulle frequenze. In Gran Bretagna l’Ofcom, l’autorità che governa il comparto, programma di ricavare parecchi miliardi dalle aste.
Sono soldi molto importanti e molto preziosi in tempo di crisi e di pesanti deficit pubblici. Da soli fanno “una manovrina”. Ma in Italia invece tutte le frequenze più pregiate andranno alle televisioni, prevedibilmente a basso costo o gratis. Grazie a questa concessione il governo potrà vantare indubbi titoli di merito presso le televisioni nazionali e locali che sono indispensabili per vincere le elezioni. L’Autorità delle comunicazioni presieduta da Corrado Calabrò sta infatti procedendo a formulare il nuovo piano nazionale delle frequenze e prevede di assegnare con gara le 5 frequenze (o multiplex) liberate grazie al passaggio alla tv digitale. Ma il governo e l’Autorità – quest’ultima per la verità non senza contrasti e solo a maggioranza – hanno già stabilito che le gare saranno aperte solo ai broadcaster. Le frequenze verranno utilizzate solo per trasmettere i programmi televisivi e non per la più importante e utile comunicazione Internet a banda larga. Inoltre le gare italiane saranno “beauty contest” ovvero “gare di bellezza”, e non aste. In pratica vinceranno le televisioni che avranno i migliori requisiti stabiliti dall’Autorità. Ma, senza asta aperta ai ricchi operatori mobili, i multiplex/frequenze verranno ceduti praticamente gratis ai broadcaster. In Europa e negli Usa invece, come abbiamo visto, i governi mettono all’asta il dividendo digitale e gli operatori mobili pagano miliardi per offrire, grazie alle frequenze ex-tv, la banda larga mobile, ovvero Internet ultraveloce, un servizio unanimemente considerato socialmente più utile ed economicamente più remunerativo di quello televisivo.
Il valore delle frequenze
Ma perché le frequenze tv sono così preziose? Cerchiamo di entrare un po’ più nel merito della questione che è solo apparentemente tecnica ma che in realtà è squisitamente economica e politica. E’ molto diffusa l’opinione che la tv digitale terrestre – che costa ai consumatori l’acquisto dei nuovi decoder – serva solo a moltiplicare i programmi tv e a migliorare la qualità di trasmissione. Ma gli esperti e gli operatori sanno che non è proprio così: l’obiettivo di gran lunga principale della tv digitale è invece il risparmio delle frequenze. In Europa ci sono già circa 7000 canali tv, e in Italia 11 tv nazionali e circa 550 tv locali terrestri (senza contare altri centinaia di canali satellitari): la moltiplicazione dei canali tv non è quindi certamente l’esigenza più sentita dai cittadini e dai consumatori, e neppure dagli operatori tv. Il vantaggio sostanziale consiste invece nel fatto che la digitalizzazione delle televisioni terrestri fa risparmiare molte frequenze, in un rapporto di almeno 5 a 1: dove c’è un canale di tv analogica ce ne stanno 5 digitali. Da qui il cosiddetto “dividendo digitale”. Soprattutto le basse frequenze tv (sotto 1 Ghz) sono particolarmente pregiate, rappresentano la parte di gran lunga migliore dell’etere. Infatti garantiscono il massimo raggio di trasmissione e permettono anche la migliore ricezione anche dentro le case – a differenza delle alte frequenze utilizzate attualmente per i servizi mobili. Le basse frequenze tivù richiedono poche antenne di trasmissione e consentono di ricevere i segnali dentro la casa (dove infatti la tivù si vede benissimo). Invece le alte frequenze usate attualmente dagli operatori mobili richiedono molte antenne di trasmissione, quindi comportano costi elevati, e inoltre non garantiscono buona copertura dentro gli edifici (dove i telefonini funzionano male). In conclusione gli esperti assicurano che utilizzando le basse frequenze della ex tv analogica una nuova rete mobile a banda ultralarga costerebbe solo circa il 20% (un quinto) rispetto alle reti mobili attuali. Per questo motivo le frequenze liberate dalla vecchia televisione analogica valgono miliardi. Queste “frequenze d’oro” rappresentano la soluzione ottimale per fornire il servizio universale di banda larga a basso costo. Non a caso la Commissione UE propone a tutti i paesi europei di anticipare lo spegnimento delle tv analogiche al 2011 e di destinare una quota rilevante di frequenze ex tv (790- 862 Mhz) alla banda larga wireless per abbattere il digital divide e armonizzare le tecnologie in tutto il continente.
In Italia invece l’attenzione è spostata esclusivamente sulla rete fissa di nuova generazione in fibra ottica. Ma il dibattito sulla nuova rete in fibra ottica è fuorviante. Questa rete infatti è costosissima, soprattutto perché occorre scavare. Gli scavi per posare la fibra a domicilio pesano infatti per circa il 70-80% dei costi complessivi di un network fisso. Una nuova rete ottica potrebbe coprire solo le aree metropolitane (che sono già quelle più servite). La rete wireless potrebbe invece arrivare ovunque a basso costo, anche nelle zone montagnose o poco popolate e portare Internet ad alta velocità. Telecom Italia sta già sperimentando servizi wireless ultraveloci di quarta generazione (LTE, Long Term Evolution) che permettono velocità fino a 140 milioni di bit al secondo.
Ma il governo e le autorità italiane intendono invece assegnare queste frequenze alle televisioni fino al 2015. Il problema è che l’etere televisivo italiano è il più affollato d’Europa, con 11 emittenti nazionali e circa 550 televisioni locali. E – a differenza che nei paesi esteri dove i broadcaster e gli operatori di rete sono soggetti diversi – in Italia ogni emittente nazionale o locale controlla la sua reti di ripetitori e reclama le “sue” frequenze. Rai e Mediaset fanno ovviamente la parte del leone nel campo delle frequenze e delle reti di trasmissione. Invece di affrontare e risolvere il “problema dell’affollamento”, il governo, afflitto da un esplicito conflitto di interessi, regala alle televisioni frequenze che valgono miliardi di euro. Anche sotto il profilo politico e culturale il governo privilegia le televisioni rispetto alla stampa – a cui sono state tolte molte agevolazioni – e a Internet: infatti con le televisioni si vincono le elezioni, mentre con Internet, dove c’è molta più libertà di espressione e di critica, è facile perderle.
(1) si veda anche l’Espresso, “Alle tv un regalo da due miliardi”
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Scandalo-digitale-va-in-onda-il-regalo-alle-tv-4457
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19/05/2010 – LA FUSIONE TRA BIOLOGIA E COMPUTER. «CON I MICROCHIP NEL CERVELLO SUPERERO’ I LIMITI DELLA NATURA E DEI CINQUE SENSI»
“Faccio cose che voi umani…”
Il primo cyborg è inglese: addio parole, si comunica con il pensiero
NICLA PANCIERA
Se una mucca si intromettesse ora nella nostra conversazione con il muggito degno di un baritono, difficilmente riuscirei a capire quanto sta tentando di dirci. Del tutto analoga sarà la percezione che nel futuro avremo di quel vecchio, stupido e antiquanto modo di comunicare chiamato discorso».
Parola di Kevin Warwick, docente di cibernetica all’Università di Reading, in Gran Bretagna, e primo uomo bionico. «Non è più fantascienza e non è una questione di tecnologia. Essere uomini e donne bionici non significherà solo un potenziamento delle prestazioni del nostro cervello, ma la possibilità di essere dotati di nuove facoltà oggi impensabili, come comunicare con il pensiero con i nostri simili, pensare in quattro o cinque dimensioni, non limitarci ai cinque sensi».
Anche i più assuefatti alla tecnologia e ai suoi gadgets non possono che restare stupefatti di fronte alle promesse – e agli esperimenti pioneristici condotti sul suo stesso corpo – dell’unico uomo che ha collegato il proprio sistema nervoso a un computer e l’ha messo in Rete, riuscendo a comunicare «telegraficamente» con la moglie, a spostare oggetti lontani migliaia di chilometri da sé e a sperimentare percezioni tecnicamente extrasensoriali. «Se oggi usiamo già supporti esterni per potenziare le nostre capacità di calcolo e memoria, perché non integrarli nel nostro corpo? Perché non permettere che la nostra memoria diventi la memoria delle macchine?», si chiede, nemmeno troppo provocatoriamente, lo scienziato inglese, che ricorda come l’high tech renda possibile integrare una serie di oggetti nell’organismo, come nel caso degli arti artificiali in fibre di carbonio, che possono diventare migliori degli originali umani, oppure degli impianti cocleari che ridanno l’udito e delle retine artificiali.
Per Warwick, che nel 1998 si è fatto impiantare un microchip a radiofrequenza nel braccio sinistro e nel 2002 innestare un centinaio di microelettrodi nelle terminazioni nervose dello stesso arto, il prossimo passo – spiega – «sarà un impianto cerebrale per realizzare la comunicazione direttamente da cervello a cervello. Tra sette, al massimo 10 anni».
«Se fossimo cyborg – racconta – avremmo una visione del tutto diversa del mondo davanti a noi: cambierebbero radicalmente i sistemi educativo e sanitario, non solo la comunicazione interpersonale. Dobbiamo continuare a indagare il funzionamento cerebrale, ma intanto siamo in grado di creare un cervello biologico partendo dai neuroni dei ratti. Adeguatamente stimolati, formano delle reti neuronali che vengono poi impiantate nei robot, dove le connessioni si rafforzano con l’esperienza. Si tratta di apprendimento vero e proprio».
«Che cosa significa essere pipistrello?», si chiedeva 40 anni fa nelle sue «Questioni Mortali» il filosofo Thomas Nagel, in uno dei più importanti interventi di filosofia della mente. «Ora ho la risposta! – dice Warwick -. Ho sperimentato la percezione degli ultrasuoni. Nonostante la benda sugli occhi, ero in grado di muovermi e sapere esattamente la distanza degli oggetti grazie agli impulsi elettrici che stimolavano il mio cervello tanto più intensamente quanto più mi avvicinavo a loro». Eppure – aggiunge – si dice sorpreso di quanto lentamente si avanzi in questo campo. «Dopo il successo del primo test, pensavo che in molti mi avrebbero seguito. Non è stato così: la maggior parte degli scienziati sono estremamente conservatori».
Nonostante riceva fondi sia statali sia privati, il professore è spesso bersaglio di un fuoco di emozioni che vanno dalla benevolenza, come quella espressa dal vescovo di Coventry, «che ha appoggiato il mio lavoro per le possibili ricadute sulla sorte degli uomini», all’ostilità, anche se Warwick assicura che «sono pochi i colleghi che dissentono apertamente», fino alla curiosità carica di aspettative, come dimostrano i «molti volontari che mi contattano per partecipare agli esperimenti. Alcuni sono affetti da gravi disturbi neurali, mentre altri sono giornalisti, professori o avvocati, consapevoli delle potenzialità del mio lavoro».
Warwick promette una rivoluzione. «Temo che, oggi, l’aumento sempre più evidente delle differenze sociali sia una conseguenza della tecnologia – afferma -. Ci sono infatti diseguaglianze enormi tra le stesse società. Dopotutto, noi voliamo da un continente all’altro, anche se una larga fetta della popolazione mondiale non se lo può permettere». Lo scenario, però, potrebbe cambiare radicalmente. L’uomo bionico – sottolinea – apre prospettive allettanti, come l’affrancamento dai lavori più monotoni e usuranti, e una trasformazione del concetto di tempo libero, uno «spazio» da dedicare ad attività davvero stimolanti, enfatizzate dalle facoltà cognitive e sensoriali generate dalla simbiosi biologia&macchine. E non basta. «I miei test, come quelli per far “crescere” un cervello, permettono di gettare luce sul suo funzionamento, rispondendo a questioni mediche essenziali, come il trattamento e la cura di pazienti colpiti da ictus, Alzheimer o Parkinson». E progressi in questi campi – sottolinea – stanno a cuore a chiunque, anche a chi si dichiara contrario alle sconvolgenti ibridazioni da cyborg.
Tutto bene, dunque? Non proprio. I rischi per l’essere bionico – come per qualunque creatura – sono in agguato. «I segnali inviati del computer – conclude Warwick – potrebbero “colonizzare” sia il cervello sia l’organismo, alterandoli, tanto da diventare veri e propri virus». Il mondo biologico e quello tecnologico devono ancora imparare a conoscersi.
Chi è KevinWarwick Cibernetico
RUOLO: E’ PROFESSORE DI CIBERNETICA ALLA UNIVERSITY OF READING (GRAN BRETAGNA)
RICERCHE: INTELLIGENZA ARTIFICIALE E BIOINGEGNERIA
IL SITO: WWW.KEVINWARWICK.COM/
http://www3.lastampa.it/scienza/sezioni/news/articolo/lstp/220702/
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La prova di forza di Berlino 20.05.2010
MARIO DEAGLIO
Tutti si aspettavano che sulle vicende dell’euro l’Europa, prima o poi, avrebbe battuto un colpo. Il colpo invece l’ha battuto la Germania da sola, dopo mesi di indecisione, evitando così di rinchiudersi in se stessa e rivendicando chiaramente la leadership in campo monetario e finanziario.
Il colpo battuto dai tedeschi ha assunto la forma di un secco divieto alla vendita allo scoperto, «nuda», di titoli di Stato della zona euro, ossia la forma più aggressiva di speculazione che ha perseguitato e sta ancora perseguitando i Paesi europei e soprattutto i loro debiti pubblici; lo stesso divieto si applica alle azioni di alcune tra le principali banche e istituzioni finanziarie tedesche. Al di là della sostanza, sulla cui efficacia di lungo termine qualche dubbio è lecito, impressiona la forma: la Germania ha agito da sola, seguendo una falsariga approssimativamente concordata nei giorni scorsi con gli altri Paesi della zona euro, ma senza informarli preventivamente e si prepara ad accompagnare questa misura concreta con la proposta di altri otto «punti» che venerdì il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble sottoporrà al Consiglio dei ministri economici e finanziari.
Si tratta di una serie di misure punitive per gli Stati con i deficit o i debiti troppo elevati, analoghe a quelle che si applicano alle imprese in stato fallimentare, che comprendono la sospensione del diritto di voto in vari organi dell’Unione Europea.
Per conseguenza il quadro istituzionale dell’Unione Europea potrebbe rapidamente cambiare e soprattutto l’intesa di fondo tra Germania e Francia, finora asse portante della costruzione economica e politica europea, potrebbe subire importanti modificazioni. I francesi, in particolare il ministro delle Finanze Christine Lagarde, non hanno nascosto la loro irritazione per non essere stati consultati; né i mercati la loro costernazione per essere stati «bacchettati». Le Borse europee sono scese di 2-3 punti percentuali e quelle americane hanno mostrato ribassi di dimensioni più ridotte ma il cambio dell’euro si è stabilizzato recuperando in maniera abbastanza sensibile. Può darsi che i tedeschi abbiano agito «per disperazione», come ha scritto qualche commentatore, ma l’importante è che la gravità della situazione abbia indotto qualcuno ad agire (e non poteva che essere la Germania, date le sue dimensioni economico-finanziarie) e che sia stata interrotta la serie degli inconcludenti balletti di Bruxelles e dei comunicati fatti di buone parole senza vera sostanza. L’allegro mondo della speculazione senza rete ha trovato un limite istituzionale che potrebbe essere il primo di una serie di «paletti» destinati a trasformare radicalmente i giochi mondiali della finanza e a reintrodurre, o comunque rafforzare, il controllo pubblico.
Le misure di contenimento dei deficit pubblici, che pressoché tutti i governi stanno mettendo a punto in gran fretta per fronteggiare la situazione, assumono così una diversa prospettiva: non si tratta più di fatti nazionali ma di un insieme di misure di emergenza che lentamente si compongono in un disegno europeo, il che dovrebbe renderle più accettabili a un’opinione pubblica che sicuramente non li ama, come dimostrano le resistenze politico-sociali manifestatesi in questi giorni nei Paesi per i quali la cura è particolarmente drastica, come la Grecia e la Spagna. Non si tratta tanto di difendere un determinato cambio dell’euro (l’attuale diminuzione fa balenare un pericolo inflazionistico non trascurabile ma introduce anche uno stimolo produttivo in quanto rende le merci europee più competitive nei confronti di quelle asiatiche o americane) ma piuttosto di evitarne la volatilità e di impedire che diventi una sorta di giocattolo in mani altrui.
In questo quadro, la «cura italiana» delineata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non appare particolarmente drastica (del resto la situazione debitoria italiana, pur grave, non è allarmante) ed appare rivolta alle aree grigie, o addirittura nere, dell’economia e della società. Tremonti intende incidere su forme di evasione legate a consumi vistosi, e su sprechi pubblici che suonano insultanti per il normale cittadino, dal costo della politica ai falsi invalidi. Appare ingeneroso uno scetticismo preconcetto anche perché nella lotta all’evasione in questi due anni il ministro dell’Economia qualche risultato significativo l’ha portato a casa. Certo incontrerà difficoltà parlamentari, in quanto gli interessi delle aree grigie e nere sono trasversali e non sono estranei ad alcun partito, compreso il suo. E il presidente del Consiglio, che fino a non molto tempo fa negava l’esistenza della crisi o ne minimizzava la portata, si trova in condizioni sensibilmente migliori dei suoi colleghi greco e spagnolo: pur non potendo ridurre le imposte, come gli sarebbe piaciuto, non è costretto ad alzarle. Ma di certo appare del tutto tramontata, dall’Europa oltre che dall’Italia, quell’atmosfera di consumismo ottimista e sorridente che è stato a lungo il sottofondo di gran parte dell’azione di governo e uno degli aspetti più evidenti del berlusconismo.
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Nel 2009 boom di brevetti concessi in Italia
Malgrado la crisi internazionale, nel 2009 i brevetti e marchi italiani crescono notevolmente rispetto all’anno precedente. Secondo l’Ufficio italiano marchi e brevetti, le invenzioni certificate sono state più di 22.000 (18.219 brevetti, 2.361 modelli di utilità e 1.519 disegni).
I dati sono stati presentati nel corso della Giornata Mondiale della Proprietà Intellettuale che ogni anno viene organizzata per:
ricordare l’entrata in vigore della convenzione che ha istituito l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (www.wipo.int)
incoraggiare l’attività creativa e la promozione della tutela della proprietà intellettuale nel mondo puntando sull’innovazione.
Tra i brevetti concessi per invenzioni lo scorso anno, le “tecniche industriali e trasporti” hanno rappresentato il 30,3% del totale mentre le “necessità umane” (attrezzi che aiutano le attività manuali) il 22,5%.
Per quanto riguarda invece i disegni, i settori tradizionali del “made in Italy” hanno avuto il peso percentuale più rilevante:
oggetti d’ornamento 18%
arredamento 18%
articoli di abbigliamento e merceria 11%
apparecchi d’illuminazione 4,5%.
Deposito delle domande
Mentre si moltiplicano i brevetti concessi, anche il deposito delle domande fa segnare un trend positivo nel 2009:
+4,5% per i modelli di utilità, con Lombardia capolista (550), seguita da Piemonte (258), Lazio (246), Veneto (231) ed Emilia Romagna
+2,1% marchi e brevetti
+2% sul fronte delle invenzioni, ancora la Lombardia in testa (2942), seguita da Emilia Romagna (1518), Piemonte (1116), Veneto (1289) e Lazio (745).
A giudicare da questi dati, la fusione in un unico Dipartimento del Ministero dello Sviluppo Economico di “lotta alla contraffazione” e “ufficio marchi e brevetti” sta iniziando a dare buoni risultati:
da un lato il restyling organizzativo ha consentito di intensificare l’esame delle domande
dall’altro la lotta alla contraffazione ha portato al sequestro di 112 milioni di prodotti (+19% su base annua).
Il 10 marzo 2010 è inoltre entrato in vigore il Regolamento di attuazione del Codice della Proprietà Industriale che semplifica e razionalizza gli adempimenti amministrativi.
International property rights index 2010
L’International property rights index è uno studio internazionale comparativo condotto in 125 Paesi che rappresentano il 97% del Pil mondiale. Per definire l’indice IPRI vengono presi in considerazione tre parametri:
ambiente legale e politico
proprietà fisica
proprietà intellettuale.
Nella classifica 2010 dei primi 10 classificati i Paesi Scandinavi sono protagonisti incontrastati:
Finlandia 8,6 (10 votazione massima)
Danimarca 8,5
Svezia 8,5
Olanda 8,4
Norvegia 8,3
Svizzera 8,3
Nuova Zelanda 8,3
Singapore 8,2
Australia 8,2
Austria 8,2.
Il valore medio IPRI è pari a 5,2. L’Italia, con un indice pari a 6, è al 44° posto (nel 2007 il suo indice era pari a 5,7). Nella valutazione dell’Italia pesa la mediocre percezione del parametro “sistema legale e politico” (5,3).
Enrico Forzato
http://www.newsmercati.com/Article?ida=4904&idl=2857&idi=1&idu=49647
Prelevato il 20.05.2010
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La rassegna di http://www.caffeeuropa.it/ del 21.05.2010
Le aperture
Craig Venter e Hamilton Smith, gli scienziati americani che hanno mappato il genoma umano, ieri hanno annunciato la creazione di un batterio che possiede un genoma artificiale. “Più vicini alla vita artificiale”, titola il Corriere della Sera. “Annuncio dagli Usa: la prima cellula con il Dna sintetico. La scoperta di Craig Venter fa discutere gli scienziati. Le implicazioni filosofiche e morali”. Sul tema il quotidiano offre tre commenti: Matteo Persivale (“Quando ci inquieatavamo per A come Andromeda”), Gian Guido Vecchi che dà la parola al teologo e arcivescovo di Chieti Bruno Forte (“Chiediamoci se è giusto eticamente”), ed Edoardo Boncinelli (“Dal computer all’uomo su misura”).
Spiega Boncinelli che la novità di questa scoperta è che il Dna non viene estratto da nessuna parte, ma viene “sintetizzato chimicamente, nucleotide per nucleotide, a partire da una sequenza immagazzinata in un computer e lunga più di un milione di nucleotidi”. Alla domanda se questa sia “vita”, o “nuova vita”, risponde che “per quanto concerne la specificità e l’identità, sì: si passa da una sequenza digitalizzata in un computer alla cellula direttamente. E’ certamente vita programmata e realizzata. Quello che manca adesso è solo costruire artificialmente anche la cellula che ospita il Dna”.
La stessa notizia su La Stampa: “Creata una cellula in laboratorio. ‘E’ vita artificiale’. L’annuncio dello scopritore del Dna. Si apre una nuova era per la ricerca scientifica”.
La Repubblica: “Creata la vita artificiale, per la scienza una nuova era”. Il commento è di Luca e Francesco Cavalli Sforza: “Giocare a essere Dio”. Su La Repubblica anche una breve intervista a Venter. “Una specie figlia del computer che presto sarà utile all’uomo”.
Il Giornale: “Annuncio Choc. Creata la vita artificiale. Svolta epocale nella ricerca scientifica: costruita la prima cellula in laboratorio. E’ controllata da un dna sintetico ed è in grado di dividersi e moltiplicarsi”.
Il Riformista, con commento di Anna Meldolesi: “E’ cominciata la vita sintetica”.
Le altre notizie
“Caccia alle case fantasma, e poi una sanatoria”, scrive il Corriere della Sera dando conto delle intenzioni del governo sulla manovra anticrisi. “Tremonti accelera e poi va da Napolitano”, per illustrare al Presidente il provvedimento.
La Repubblica: “Manovra, Tremonti minaccia: ‘Subito i tagli o mi dimetto’. Scontro con gli altri ministri sui 24 miliardi da risparmiare. Borse, un’altra giornata nera”.
Il Sole 24 Ore: “Manovra verso i 28 miliardi. Tremonti definisce con Berlusconi e Bossi i tagli e li presenta a Napolitano. Maxi sforbiciata sugli enti. Il governo accelera per le tensioni sui mercati: forse martedì il sì”.
Sul Riformista il titolo di apertura è per il Pdl: “Berlusconi condanna Verdini e Scajola, ma poi deve correggersi. Il premier tenta la linea dura: ‘Casi personali’. E offre un ramoscello d’ulivo ai giornalisti sulle intercettazioni. A che gioco gioca?”. Le dichiarazioni del premier sono state rilasciate a Bruno Vespa, che le ha prontamente diffuse in vista dell’uscita del suo prossimo libro. Ne parla anche Libero: “Il dilemma del Cav: o li molla o lo tirano giù. Secondo i sondaggi regge ancora l’immagine del capo slegata da quella dei suoi uomini inguaiati. Ma presto Silvio sarà costretto a smarcarsi di più”. E nelle pagine successive: “Non mi fido più”. “Premier perplesso sui guai dei suoi. Dopo il ministro, il capo del governo prende le distanze da Verdini (‘I corrotti? Casi personali’). Il coordinatore minaccia le dimissioni e Silvio smentisce. ‘Mai fatto i loro nomi'”.
Intercettazioni
In prima pagina ovviamente anche il ddl sulle intercettazioni, al via libera in Commissione giustizia al Senato. La Repubblica dedica a questa notizia il grande titolo di apertura: “Rivolta contro la legge bavaglio, il governo frena sul carcere. Sky annuncia il ricorso alla Ue. Oltre 140 mila firme all’appello. Oggi il sit-in di protesta a Montecitorio”. Il commento alla notizia è firmato da Adriano Sofri: “La legge concepita dal governo sulle intercettazioni è inconcepibile” perché “limita fortemente i mezzi delle indagini”, “imbavaglia l’informazione e la conoscenza”, “ricatta gli editori e li induce, o li autorizza, a ricattare a loro volta i giornalisti”. Ma, aggiunge Sofri, la legge in questione affronta “un vero problema con la più falsa e sofrontata delle soluzioni”. Il “vero problema” è ‘invasione dello Stato e della pubblicità nelle vite private”, perché “tutti sanno che la loro vita sarebbe rovinata se se ne pubblicassero le telefonate”, perchè “pubblicare le cose penalmente irrilevanti è un’infamia”, e “pubblicare le cose penalmente rilevanti è una necessità senza di che, oltretutto, lo stesso arbitrio possibile dei magistrati non avrebbe più limiti, e i tribunali diventerebbero anch’essi speciali”. Se la cultura di questo Paese fosse capace di mettere insieme legalità e rispetto per le libertà personali basterebbe una settimana ad approvare una legge ragionevole che tenga conto di questi principi, perché “il dilemma è cruciale per la democrazia, che è messa a repentaglio dai poteri sottratti un controllo che vuole espropriare le persone della propria stanza da letto o da bagno e dalla propria panchina”.
Secondo Paolo Flores d’Arcais, che firma l’editoriale de Il Fatto, la legge in discussione “non è una ‘stretta’ (comunque di regime!) come pudicamente vanno omertando testate cerchiobottiste della sera coi loro editorialisti alla don Abbondio. Si tratta invece di un primo tassello di vero e proprio FASCISMO, perché solo il fascismo, nell’arco dell’intera storia unitaria italiana, ha considerato e punito come crimine penale un resoconto di cronaca”.
Su La Stampa il commento è affidato a Carlo Federico Grosso, che si sofferma sul fatto che a parare gli abusi della stampa, con la pubblicazione di notizie coperte dalla privacy, con quella indiscriminata di intercettazioni che non c’entrano con le indagini, con la demolizione mediatica di colpevoli e innocenti, bastava “una rigorosa applicazione della legge vigente sulla privacy”. Invece il governo vuole “indebolire la magistratura, rendere meno incisive le indagini, evitare che politici e potenti finiscano in prima pagina in ragione delle loro malefatte”.
Il Corriere della Sera dà la notizia che contro il ddl scende in campo anche Sky: “Un piccolo passo indietro, forse due”, scrive il quotidano, nel senso che sarebbero attenuate le pene per i giornalisti. Nelle pagine interne il quotidiano spiega che l’emittente satellitare ha intenzione di fare ricorsi in tutte le sedi europee fino alla Corte dei diritti dell’uomo perchè giudica “una anomalia nella Ue” la norma italiana. Ancora sul Corriere la “Nota” di Massimo Franco parla delle perplessità che avrebbe il Quirinale, visto che fino ad oggi Napolitano “ha seguito la vicenda come uno spettatore interessato e preoccupato, ma, appunto, a distanza”. Napolitano ha preferito “evitare l’opera di persuasione svolta in passato”, ma la sensazione è che non firmerebbe una legge che “per correggere uno squilibrio, ne crea altri perfino più allarmanti”.
Esteri
Pyongyang si dice pronta alla guerra contro Seul, dopo le accuse per l’attacco alla corvetta sudcoreana Chenan, una nave affondata nel marzo scorso da un siluro che secondo Seul è stato lanciato da un sottomarno della Corea del Nord. “La comunità internazionale condanna l’aggressione, tra le Cina che invita alla moderazione”. Il regime di Kim Jong Il ha deifnito “provocatorie e farsesche” le ricostruzioni sulla vicenda, anche se il governo sudcoreano ha atteso con prudenza quasi due mesi prima di presentare quelle che ritiene “prove inconfutabili di un attacco deliberato”.
Il Foglio: “Arriva un siluro coreano contro il patto Clinton-Cina sull’Iran. Il regime di PyongYang ha affondato una corvetta di Seul. Pechino è in credito e chiede una reazione misurata”.
Su Il Corriere della Sera ne parla Guido Olimpio (“Un siluro nordcoreano accende nuove tensioni in Asia”).
Sullo steso quotidiano, dello stesso autore, anche un articolo dagli Usa: “Terrorismo, Obama licenzia lo ‘zar’ dell’intelligence”. “Via Dennis Blair dop gli attentati falliti per un soffio. Aveva il compito di coordinare le 16 agenzie di spionaggio”. Secondo il quotidiano l’Ammiraglio Blair non era mai riuscito a stabilire un buon rapporto con gli altri apparati della sicurezza Usa.
E poi
Sul Corriere un incontro di Stefano Jesurum con Denise Epstein, figlia di Irène Némirovsky, braccata dalla polizia di Vichy tra il 1942 e il 1944, appena dodicenne, sopravvissuta all’arresto della madre e alla deportazione del padre. ‘E’ un uscita per Adelphi il suo “Sopravvivere e vivere”. “Non riesco a perdonare la Francia”, che le ha proposto la Legion D’Onore.
Sulle pagine delle lettere Sergio Romano risponde ad un lettore sulla Turchia, “nuova potenza regionale”, tra Europa che in parte la respinge e oriente, con i rapporti con la Siria di Assad, con l’Iran, con le repubbliche dell’Asia centrale.
Su Il Foglio un ritratto – ripreso da Foreign Policy – delle storie di dissidenza globale, tra l’Uzbekistan e la Cina, tra la Russia e il Pakistan. “Non solo Panahi. Ecco la galassia dei dissdenti nel mondo. Lottano per la libertà, la democrazia e i diritti umani nei più sanguinari regimi della terra”, scrive il quotidiano.
Su Il Riformista si parla di Kiana Firouz, “bella, attrice e lesbica che a Teheran rischia la vita”. E’ la protagonista del film “cul de sac”, e teme una condanna a morte se tornasse nel suo Paese. Oggi vive a Londra.
E’ in scita il nuovo libro di Renzo Guolo, “Identità e paura: gli italiani e l’immigrazione”. Alle pagine R2 Cultura de La Repubblica una anticipazione.
U Libero le polemiche tra Washington e lo Stato dell’Arizona sulla legge anticlandestini. “L’immigrazione calndestina si fa strada tra le question più calde della politica americana, grazie alla legge votata di recente dal Parlamento dello Stato dell’Arizona. Secondo la nuova norma, la polizia locale può chiedere ai sospetti clandesini il visto ufficiale per la residenza nel Paese”.
Su La Stampa la storia di una coppia gay condannata in Malawi – in base ad una norma redatta dagli inglesi e mai cancellata – per atti osceni e innaturali. La folla ha applaudito la sentenza ai lavori forzati. I due si erano fidanzati e progettavano le nozze in un Paese ancora intriso di omofobia, scrive Matteo Fagotto.
Su La Stampa si parla del caso di dieci predoni somali abbandonati in mare dopo aver tentato di assaltare una petroliera russa. “Orrore per la scelta della Marina di Mosca, ma il vuoto normativo è paralizzante”. “Non avevamo l’ordine di ucciderli ma solo di lasciarli andare”, si è giustificato il comandante.
Dal Fatto: “Lupin torna a Parigi. Rubati cinque capolavori, da Picasso a Modigliani”. “Un furto che ha dell’incredibile è avvenuto all’laba di ieri al Museo di Arte Moderna” di Parigi. Colpo da centinaia di milioni di euro.
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Una legge che ferisce la Costituzione 21.05.2010
CARLO FEDERICO GROSSO
La commissione Giustizia del Senato ha approvato a maggioranza gli emendamenti del governo al disegno di legge sulle intercettazioni. Sono previste limitazioni inaccettabili ai poteri dell’autorità giudiziaria, una cappa plumbea di silenzio nei confronti delle indagini penali in corso.
Inoltre, sanzioni severe per i giornalisti che contravvengono al nuovo regime e, soprattutto, per gli editori che consentono le pubblicazioni illegittime. Una disciplina che lascia stupefatti e che, se dovesse diventare davvero legge dello Stato, cambierebbe il volto delle indagini penali e di parte dell’informazione nel Paese.
Nonostante le critiche, le osservazioni e le proteste di una porzione consistente dell’opinione pubblica, l’azione non si è fermata. Non sono serviti i problemi economici urgenti, gli scandali della «cricca», il crollo di credibilità della classe politica, la necessità di affrontare finalmente il nodo della corruzione. In altre parole, le vere urgenze. La priorità, per il governo, era, ed è rimasta, tagliare le unghie alla magistratura che indaga e togliere voce e penna ai giornalisti che informano. Ne prendiamo atto con sconcerto, cercando di fare un bilancio di ciò che il Parlamento sta predisponendo.
In materia di indagini è risaputo che le intercettazioni costituiscono mezzo insostituibile di accertamento di molti gravi reati. Circoscrivere i casi nei quali esse possono essere disposte e stabilire che esse non possono durare più di un periodo prestabilito fisso di settantacinque giorni, e poi automaticamente cessare anche se stanno emergendo elementi utili ad individuare i responsabili, significa rinunciare ad uno strumento fondamentale nella lotta al crimine. Uno strano regalo alla criminalità, da parte di chi di tale lotta, dell’ordine pubblico e della difesa dei cittadini fa, almeno a parole, la sua bandiera. Un regalo, addirittura, alla criminalità organizzata, se è vero, che, come hanno spiegato gli esperti della materia, le restrizioni peseranno anche nelle indagini contro mafia, ’ndrangheta e camorra.
In materia d’informazione dovremo abituarci a non conoscere più nulla sulle indagini disposte dall’autorità giudiziaria. Se un ministro si fa pagare una casa a sua insaputa, non lo sapremo, perché i giornalisti non potranno più pubblicarlo. Come non sapremo più se un parlamentare, un presidente o un sindaco hanno peculato, rubato, si sono fatti corrompere o comprare e sono per questo indagati. A ciò conduce, inesorabilmente, l’avere previsto che non sarà più consentito pubblicare nulla, neppure «il contenuto» non più coperto da segreto, delle investigazioni giudiziarie in corso.
Le sanzioni previste per i contravventori sono, d’altronde, molto elevate. Chi dall’interno degli uffici rivela il contenuto di atti coperti da segreto investigativo sarà punito con la reclusione fino a sei anni, e in tale pena incapperà pure il giornalista che pubblicherà la notizia. Chi pubblica atti di un’indagine penale non più coperti da segreto, ma di cui è comunque vietata la pubblicazione, rischierà l’arresto fino a 30 giorni o il pagamento di un’ammenda da 1000 a 5000 euro, che sarà raddoppiata nel caso si tratti di un’intercettazione. Per l’editore del giornale che pubblicherà la notizia vietata è prevista una sanzione pecuniaria che potrà arrivare a 464.000 euro.
A quanto si è appreso, il varo definitivo in commissione del disegno di legge è stato sospeso fino a lunedì prossimo. In materia di sanzioni la novità più devastante è la pesantissima sanzione pecuniaria prevista per gli editori, che rischierà di alterare la relazione d’indipendenza che ha caratterizzato, fino ad oggi, il rapporto fra proprietà e direzione dei giornali. Pensate a che cosa accadrà quando, se si verificherà un’infrazione prevista dalla nuova legge, l’editore saprà di rischiare ben 464.000 euro. Credete davvero che, di fronte al pericolo di fallire e di chiudere l’azienda, si farà scrupolo d’imbavagliare, lui stesso, i direttori e i giornalisti? A quest’ulteriore scempio, a quanto pare, nessuno, nel palazzo, pensa di rimediare. La libertà di stampa è l’ultima delle preoccupazioni.
L’importante è creare un clima d’intimidazione complessiva in grado di bloccare ad ogni costo le notizie.
Si obietterà, a mali estremi, estremi rimedi. Gli abusi della stampa, con la pubblicazione di notizie coperte dalla privacy, con quella, indiscriminata, d’intercettazioni che non c’entrano con le indagini, con la demolizione mediatica di colpevoli ed innocenti, esigeva una reazione adeguata. L’obiezione è del tutto inconferente: a parare gli abusi sarebbe più che sufficiente la rigorosa applicazione della legge vigente sulla privacy, l’originaria previsione del divieto di rendere pubblici gli atti irrilevanti per le indagini e la predisposizione di un archivio riservato nel quale depositare provvisoriamente tali atti in attesa di una loro distruzione.
La realtà è che, con un colpo solo, governo e maggioranza (con l’avallo, magari, anche di qualche oppositore) vogliono indebolire la magistratura, rendere meno incisive le indagini, evitare che politici e potenti finiscano in prima pagina in ragione delle loro malefatte. Un’indebita limitazione del controllo di legalità e del diritto d’informare che, se dovesse passare, cambierebbe inevitabilmente la costituzione materiale. Speriamo che, nel frattempo, qualcuno che ha potere si accorga che è, anche, violazione della Costituzione formale.
Ddl intercettazioni, ora il Pdl frena “Pene meno gravi per i giornalisti”
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Minuscoli schiavi dell’uomo 21.05.2010
PIERO BIANUCCI
Dopo aver completato nel 2001 la mappa genetica dell’uomo, raggiungendo il gruppo di Dulbecco partito dieci anni prima, Craig Venter si imbarcò sul suo yacht.
Sì, ama la nautica, Venter, ma quella non fu soltanto una vacanza. Lungo la rotta che lo portò dal Pacifico all’Atlantico, dai mari tropicali a quelli polari, lo scienziato-imprenditore pescò una grande quantità di organismi marini, animali e vegetali, con una preferenza per i più elementari. Aveva in mente un chiodo fisso: stabilire quali siano le condizioni minime perché un organismo unicellulare possa svolgere le funzioni essenziali della vita: nutrirsi e riprodursi. Fatto questo, avrebbe potuto costruire il primo organismo artificiale, il più semplice, un organismo di grado zero. Innestando su di esso pochi altri geni ben precisi, avrebbe ottenuto batteri su misura al servizio dell’uomo. Minuscoli schiavi, invisibili e fedeli.
Funzioni fondamentali come mangiare e riprodursi, ragionava Venter, presuppongono un numero di geni limitato. Individuati questi geni, avrebbe potuto sintetizzarli. In fondo si trattava «soltanto» di combinare sequenze di quattro molecole – adenina, guanina, citosina e timina – infilandole nella doppia elica del Dna. Il campionario di minuscole creature rubate agli oceani gli avrebbe fornito i tasselli del bricolage genetico.
E’ ciò che Venter ha fatto tornando nella sua azienda, la Celera Genomics, con il bottino sottratto all’oceano. Da ieri sappiamo che è possibile prendere una cellula, privarla del suo patrimonio genetico estremamente complesso e mettere al suo posto un genoma ridotto ai minimi termini costruito in laboratorio sotto la guida di un computer. Ora incomincia la nuova sfida, quella che Venter definisce l’era postgenomica. Che cosa si potrà fare partendo dalla sua cellula artificiale?
Quasi non c’è limite all’immaginazione. Batteri che producono biocarburanti in sostituzione dei combustibili fossili in via di esaurimento. Batteri che generano energia partendo dai fotoni della luce solare imitando con più efficienza il meccanismo della fotosintesi. Batteri che divorano rifiuti. Batteri minatori che estraggono materie prime dal terreno. Batteri buoni che combattono batteri cattivi. Batteri da usare come cavalli di Troia infiltrandoli in tessuti malati, magari per aggredire il cancro. Batteri che ci liberano da gas a effetto serra come l’anidride carbonica e il metano, salvandoci così dal riscaldamento globale. E poi innumerevoli specie di tecno-batteri ognuna specializzata nel disgregare una particolare sostanza inquinante, a cominciare dal petrolio che sta soffocando la vita nel Golfo del Messico (per la verità batteri mangiapetrolio ottenuti con l’ingegneria genetica esistono già, ma si potrà fare di meglio).
Non sono cose che vedremo domani mattina. Però dal punto di vista concettuale non si vedono ostacoli. I biologi conoscono decine di migliaia di geni, di molti sanno esattamente che cosa fanno, quali proteine sintetizzano. Noi stessi siamo fatti con gli stessi geni di batteri, lieviti, moscerini, vermi. E’ come disporre di un gioco del Lego con decine di migliaia di pezzi: basta mettere il pezzo giusto nell’organismo artificiale ultra-semplificato, verificare che la nuova micro-macchina biologica funzioni secondo le attese e lasciarla moltiplicare. Ci vorranno anni, ma ci si arriverà. Nell’attesa però sarà bene ragionare su ciò che stiamo facendo. Questo non è un gioco a rischio zero. Venter, uomo d’affari spregiudicato, non ha mai dimostrato una spiccata sensibilità etica. La cellula artificiale è una grande conquista dell’intelligenza, stiamo attenti che non diventi una sconfitta per la Ragione.
Annuncio choc ”Abbiamo creato la vita artificiale” MAURIZIO MOLINARI
Ma figli di un dio minore VITTORIO SABADIN
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L’indicibile Alleanza
Paola Di Fraia, 24.05.2010
Una notizia è che Israele possedeva la bomba atomica già nel 1975, quando cercò di venderla al regime di apartheid del Sudafrica. L’altra notizia è che questa storia è collegata all’ambigua carriera del giudice Richard Goldston, ossia il capo della commissione delle Nazioni Unite che ha condannato tanto Hamas quanto Israele per crimini contro l’umanità durante la guerra di Gaza
Insomma una sorta di retroscena nel retroscena che da un lato punta il dito contro Israele per i suoi rapporti con il Sudafrica in piena segregazione e dall’altro però mira a screditare l’immagine del giudice Goldston, ex giudice sudafricano che si sarebbe sempre definito un fiero sionista. L’intera vicenda viene ricostruita dal settimanale progressista americano The Nation, mentre la vendita di armi nucleari da parte di Israele viene rilanciata oggi dal quotidiano britannico Guardian.
Tutto nasce da un libro scritto da un senior editor di Foreign Affairs, Sasha Polakow-Suransky, dal titolo: “The Unspoken Alliance: Israel’s Secret Relationship with Apartheid South Africa.”
L’autore avrebbe speso sette anni nelle ricerche per questo libro che esce proprio in questi giorni negli Stati Uniti, spulciando tutti i documenti negli archivi del Sudafrica dell’Apartheid, documenti e articoli di grande imbarazzo per il ministro degli esteri israeliano. L’alleanza segreta riguarda, infatti, il ruolo di Shimon Peres nelle relazioni tra il governo di Tel- Aviv con un regime che apertamente condannava, fin dal 1974.
Al termine di un viaggio segreto a Pretoria, Peres avrebbe assicurato alla controparte sudafricana l’alleanza del suo paese sulla base di interessi comuni e della lotta all’ingiustizia contro i comuni nemici. Tutto questo avrebbe portato, un anno dopo, nel 1975, alla stipula di un accordo con il ministro della difesa sudafricano P.W. Botha che si realizzava con lo scambio di 200 milioni di dollari in armi.
Shimon Peres e l’allora prima ministro Ytzahk Rabin accolsero, nel 1976, in visita ufficiale il primo ministro Sudafricano B.J. Vorster, accompagnandolo al Muro del Pianto di Gerusalemme e al memoriale dell’olocausto di Yad Vashem, nonostante il suo passato ambiguo di simpatizzante del nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale. In una cronaca dell’epoca il Jerusalem Post aveva definito la visita come “una delle visite diplomatiche più riuscite nei 10 anni di mandato del capo del governo Sudafricano”. I rapporti tra i due paesi si sarebbero intensificati con l’ascesa al potere della destra israeliana del Likud guidato da Menachem Begin, nel 1977.
Il libro di Polakow-Suransky documenta di come, a partire dagli anni ’80, Israele e il Sudafrica fossero legati dalla comune lotta contro il comunismo ben al di là di quanto si potesse immaginare: i leader dei due paesi descrivevano la loro alleanza in termini di guerra santa.
La stessa posizione di Rabin, nella metà degli anni ’80, contraria alle sanzioni per il Sudafrica, viene ricollegata a questa relazione speciale tra i due paesi, ereditata dal governo di destra; e infine, si documenta come un anno dopo l’adozione delle sanzioni anche da parte di Israele, nel 1987, l’ammontare in bilancio per la vendita di armi al regime sudafricano ammontasse a 5,1 miliardi di dollari.
Ci sarebbe anche un’apparizione speciale, nel libro di Polakow-Suransky, dell’attuale premier israeliano Bibi Netanyahu, come astro nascente del Likud: egli avrebbe avuto un ruolo importante all’Assemblea Generale dell’Onu per confutare le accuse che il governo di Israele stesse aiutando il regime di Apartheid in Sudafrica. E Netanyahu sarebbe il mandante della stessa campagna volta a screditare il giudice Goldston per il suo rapporto sulla guerra di Gaza, specialmente per quello che riguarda le accuse ad Israele di tenere i palestinesi ‘segregati’ nei territori occupati, così come avveniva durante il regime di Apartheid.
Un portavoce di Shimon Peres ha detto oggi che le accuse dell’autore del libro sono prive di fondamento. Ma la questione della vendita di armi nucleari da parte di Israele al regime di Apartheid arriva oggi in uno scenario geopolitico estremamente delicato, ossia mentre gli Stati Uniti stanno cercando di far votare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite delle sanzioni contro il programma nucleare iraniano, proprio mentre l’Iran di Ahmadinejad ha inviato all’Aiea (l’agenzia per l’energia atomica dell’Onu) copia dell’accordo sul suo programma di arricchimento dell’uranio per scopi medici e civili all’estero, mediato da Brasile e Turchia.
Per non parlare dei riverberi che questa questione potrebbe avere sul negoziato indiretto tra israeliani e palestinesi, iniziato all’inizio di maggio dopo 18 mesi di stallo nel processo di pace e che hanno già provocato lo spostamento del Summit dei paesi del Mediterraneo da giugno a novembre, senza che passi in avanti significativi siano stati fatti da entrambe le parti. Anche in questa vicenda, un ruolo sempre più importante sarà assunto dalla Turchia di Erdogan.
http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=14969
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I suicidi nella fabbrica cinese più grande del mondo 26.05.2010
Dov’è la fabbrica più grande del mondo? Io non lo sapevo. In realtà si trova in Cina. Si tratta della Foxconn: dodici chilometri di periplo all’interno dei quali si susseguono senza soluzione di continuità stabilimenti, catene di montaggio, magazzini, ribalte, piazzali gremiti di camion, mense e dormitori. E dove lavorano circa 300.000 persone, per lo più giovanissime: il 90% dei dipendenti di Foxconn, infatti, ha meno di 25 anni. La Foxconn è a capitale taiwanese produce componentistica per l’industria elettronica globale: non c’è televisore Sony, telecamera Samsung, computer Dell, telefonino Nokia, iPod (e ora anche iPad) targati Apple, che al suo interno non contenga almeno un pezzettino sfornato dalla città-fabbrica situata a Longhua, una cittadina satellite di Shenzhen.
La Foxconn di Longhua, cittadina satellite di Shenzhen, nel Guangdong, è il braccio operativo di Hon Hai Precision, gruppo quotato a Taipei (ma ancora controllato da Terry Gou), con 50 miliardi di dollari di fatturato annuo e 500.000 dipendenti in tutta la Cina. Ha stabilimenti in Brasile, Messico, Ungheria, Repubblica Ceca, India e Vietnam. Produce componenti per l’industria elettronica: Sony, Samsung, Dell, Nokia e Apple
Il fondatore Terry Gou, 58 anni, taiwanese di nazionalità ma cinese d’origine, ha puntato a partire dagli anni ’70 sull’elettronica, un settore che rappresenta circa un terzo delle vendite del made in China all’estero. Secondo la classifica pubblicata da Forbes, Gou è oggi al 160° posto tra gli uomini più ricchi del pianeta.
Lo stabilimento di Longhua è una sorta di città-fabbrica, la più grande del mondo con 300.000 operai che lavorano e vivono al suo interno
Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 la crisi economica aveva portato a licenziare – ma i tagli non sono mai stati confermati dal gruppo – almeno 40.000 persone
Della fabbrica più grande del mondo ne riferisce Luca Vinciguerra, in un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”, perchè negli ultimi mesi ben nove dipendenti di questa gigantesca azienda si sono suicidati. Scrive Vinciguerra:
“… L’ultimo suicidio è di venerdì. Un operaio di 21 anni è salito su una tettoia e si è gettato nel vuoto. Le ragioni del drammatico gesto sono sconosciute. Così come sono sconosciute le ragioni che dall’inizio dell’anno a oggi hanno spinto altri otto giovani dipendenti di Foxconn a togliersi la vita tra le mura della più grande fabbrica del mondo…
Com’è la vita là dentro? «È una vita normale, uguale a quella che conducono gli operai nelle altre fabbriche della zona: si lavora, si mangia e si dorme. Niente di più», hanno raccontato al Sole-24 Ore alcuni lavoratori fuori dai cancelli (l’ingresso alla fabbrica moloch è tassativamente vietato ai giornalisti). E i ritmi di lavoro? «Normali anche quelli, scanditi in turni in terza con straordinario nei periodi di maggior pressione produttiva». Insomma, il ‘tasso di alienazione’ degli operai di Foxconn non sembra discostarsi da quello di decine di migliaia di altre fabbriche del delta del Fiume delle Perle, dove ogni giorno eserciti di emigranti sbarcano il lunario facendo lavori ossessivi e ripetitivi che alla lunga logorano il corpo e la psiche.
E allora cosa ha spinto quei ragazzi in camice blu a suicidarsi? Nessuno oggi è in grado di fornire una risposta, né dentro né fuori le mura di Foxconn. «I nostri operai lavorano in condizioni decisamente migliori e percepiscono salari più alti rispetto alla media dell’industria manifatturiera cinese», spiega un portavoce di Foxconn, ammettendo che nel 2010 il numero dei suicidi in fabbrica è drammaticamente aumentato: nel 2009 erano stati tre.
«La nostra non è una fabbrica dove gli operai gettano lacrime e sangue», ha detto ieri Terry Gou, l’azionista di controllo di Foxconn, uscendo finalmente dal suo silenzio per prendere posizione sulla vicenda. Il padre-padrone del colosso manifatturiero di Longhua ha fama di imprenditore duro e spietato. Cinquantotto anni, taiwanese di nazionalità ma cinese d’origine (suo padre era un soldato dell’Armata nazionalista, che nel 1949 dopo la sconfitta contro l’esercito maoista, riparò a Formosa), Gou è il tipico cinese venuto dal nulla che si è fatto tutto da sé. Grazie alla sua grinta e alla sua determinazione, nel giro di trent’anni è riuscito a trasformare un negozio di elettrodomestici nella maggiore azienda di componentistica del pianeta. E a diventare uno dei duecento uomini più ricchi del mondo.
La formidabile parabola imprenditoriale di Gou, però, presenta anche delle inquietanti zone d’ombra. Nel 2006, mentre l’economia mondiale e i consumi americani tiravano fortissimo, alcuni magazine cinesi scrissero che, per garantire i picchi di produzione, gli operai del colosso elettronico di Longhua erano costretti a sobbarcarsi fino a 80 ore di straordinario, cioè più del doppio del massimo consentito per legge. Insomma, sfruttamento della persona in piena regola.
La Apple, il committente straniero all’epoca più investito dallo scandalo, avviò un’indagine conoscitiva. Il management del gruppo cinese respinse le accuse giudicandole infamanti e prive di fondamento, e citò in giudizio i giornalisti autori dell’inchiesta, chiedendo un risarcimento da record. Tutto si risolse poi in una bolla di sapone.
Da allora, tuttavia, Foxconn non è più riuscita a sbarazzarsi della fama di fabbrica-lager. Un lager dove ora, di fronte all’emergenza suicidi, i manager stanno cercando disperatamente di correre ai ripari: per sostenere i lavoratori depressi, l’azienda ha costituito un centro di assistenza psicologica e ha assunto un centinaio di monaci buddisti”.
Le caratteristiche della Foxconn, ciò che è avvenuto in passato e ciò che si è verificato negli ultimi mesi sono l’ulteriore dimostrazione dell’esistenza di alcuni tratti fortemente negativi che hanno contraddistinto e contraddistinguono lo sviluppo economico cinese.
Dubito che sia sufficiente comunque la presenza dei monaci buddisti, con tutto il rispetto che si può avere nei loro confronti, ad interrompere la catena dei suicidi.
Le autorità di governo cinesi dovrebbero riflettere di più su quale tipo di sviluppo economico hanno promosso. Certo le condizioni economiche di centinaia di migliaia di cinesi sono migliorate, ma i costi, di varia natura, determinati da quello sviluppo non sono stati esigui, tutt’altro.
http://paoloborrello.ilcannocchiale.it/2010/05/26/i_suicidi_nella_fabbrica_cines.html
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crisi, Istat, manovra di Roberta Carlini
L’Italia è malata, bastoniamola 26.05.2010
Tremonti si accoda nel vento europeo con la sua manovra di emergenza. Nelle stesse ore, l’Istat diffonde i numeri del paese, che mostrano i guasti già fatti da una recessione che con i nuovi tagli potrà solo approfondirsi, in una spirale pericolosa. La contro-manovra di Sbilanciamoci
Il debito pubblico italiano è troppo alto in rapporto al Pil? Certo che sì. Serve a qualcosa, la manovra da 24 miliardi sobriamente definita da Tremonti “un tornante della storia”? Certo che no. Da tempo gli economisti (solo alcuni per la verità) cercano di spiegare quello che i bambini di solito studiano in quarta elementare, cioè le frazioni: se scende il numeratore, ma contemporaneamente scende anche il denominatore, non è detto che il valore del rapporto si riduca. Anzi può persino aumentare: dipende (nell’aritmetica) dall’entità delle rispettive riduzioni, e (nell’economia politica) dalla strada che si prende per la discesa. In parole povere: se scende il debito, ma scende anche il Pil, il rapporto può persino peggiorare. Il Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del paese, diffuso per coincidenza nello stesso giorno della manovra ci aiuta a capire che proprio questa è la dinamica in cui ci siamo infilati; mentre un documento come la “contromanovra” di Sbilanciamoci! ci aiuta a pensare a strade alternative per una discesa sostenibile.
Le cifre dell’Istat. La quantità di informazioni è sterminata, e ciascuno se ne può fare un’idea direttamente (prima che il Gasparri di turno dica che a lui risultano altri numeri, o che si decida di chiudere anche l’Istat dopo l’Isae e l’Isfol). Semplificando al massimo, l’Istat quest’anno ci dice due cose: 1) che la crisi economica in Italia è peggiore che in altri paesi europei: nel biennio 2008-2009 la flessione del Pil è stata del 6,3%; 2) che l’hanno pagata, finora, soprattutto i giovani, protagonisti della fascia del mercato del lavoro sterminata dal taglio dei contratti atipici, e le donne, che vanno ad aumentare la fascia degli inattivi per “scoraggiamento”. Di tutto il capitolo 3 (Gli effetti della crisi su individui e famiglie) andrebbe data pubblica lettura nelle sedi in cui si discuterà e voterà la manovra; basti citare due dati: nel 2009 il reddito disponibile delle famiglie è sceso del 2,9% e il potere d’acquisto procapite è sceso sotto il livello del 2000. Ma, restando ai conti pubblici, concentriamoci sulla prima parte della storia: l’avvitamento tra crisi, deficit e debito. I governi dei paesi europei hanno speso di più, mentre le entrate rallentavano e il Pil scendeva. Così per l’insieme dall’area dell’euro il rapporto tra debito e Pil è passato da 69,4 a 78,7%, mentre l’indebitamento netto (il deficit annuale) è salito dal 2 al 6,3%. In questo quadro, l’Italia occupa una posizione particolare: mentre gli altri hanno speso molto di più per sostenere le banche, la nostra spesa pubblica è cresciuta di meno e soprattutto in relazione all’aumento della cassa integrazione; inoltre, anche la riduzione delle entrate è stata meno forte di quella degli altri (per effetto dello scudo fiscale). Però, “in ragione della forte caduta del Pil e del livello elevato del debito”, i conti alla fine sono peggiori di quelli degli altri: il rapporto debito/Pil sale da 106,1 a 115,8 e l’indebitamento da -2,7 a -5,3. Siamo partiti da un debito più alto (numeratore), siamo scesi con una caduta più rapida del Pil (denominatore).
Emergenza pubblica. Di fronte a queste cifre, chi vuole può continuare a pensare che l’emergenza sia nei numeri del debito pubblico – che è troppo alto sì, ma da qualche decennio – e non in quelli della disoccupazione, inoccupazione, spreco di risorse. Può dimenticarsi l’opportunistica riscoperta keynesiana di qualche mese fa, buona per tamponare le falle finanziarie, e tornare a una visione smemorina dell’economia e della politica economica, quella che dice che affamando lo stato (e i suoi impiegati, nel caso specifico) si risolleva l’umanità. Deve comunque poi spiegare come fa a togliere risorse all’economia senza deprimere l’economia; a tagliare gli stipendi agli insegnanti convincendoli però ad andare a fare shopping e vacanze nel tempo libero; a bloccare le assunzioni e i nuovi contratti chiedendo nel contempo ai ragazzi di uscire di casa e magari comprarsela anche, una casa; a continuare a dare cassa integrazione in deroga senza far niente perché le deroghe cessino di essere la norma. E’ vero che in questa trappola – il rigore in recessione, bastonate sul malato – è caduta tutta l’Europa, ma è anche vero che ci sono malati e malati, bastonate e bastonate (nonché medici e medici: la lotta all’evasione fiscale fatta subito dopo il regalo ai capitali evasi all’estero e in contemporanea col condono edilizio è uno spettacolo inedito persino per il paese che costruisce ad Agrigento nella Valle dei Templi).
Si può fare qualcosa di diverso, per raddrizzare i conti e re-indirizzarli? Qualcuno pensa di sì, e ci prova. Il documento della campagna Sbilanciamoci!, che si può leggere nell’allegato, mostra in successione una serie di mosse possibili. Sulla base delle quali vorremmo far partire su questo sito una riflessione: criticatele, smontatele, integratele, proponetene altre. Discutiamone.
In allegato pdf, le controproposte della Campagna Sbilanciamoci!
NOTE RAPIDE 4- contromanovra.pdf 237,69 kB
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/L-Italia-e-malata-bastoniamola-4532
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Il suicidio dell’Europa
Sergio Cesaratto – 28.05.2010
La situazione europea è gravissima. Nel bel mezzo della maggiore crisi economica degli ultimi 80 anni i governi europei si apprestano a tagliare i bilanci pubblici nella vana speranza di riequilibrarne i saldi. E’ di questi giorni la notizia che il Fondo Monetario Internazionale chiede ulteriori misure “greche” alla Spagna, mentre la stessa Germania è pronta a dare il buon esempio. In Italia il PD si limita a dire “noi l’avevamo detto” (cosa? che si doveva tagliare prima?) e a invocare un po’ di giustizia distributiva senza cogliere il cuore del problema. Questo consiste nel fatto che i tagli avviteranno le economie europee in una spirale verso il basso che metterà ancor più in crisi i conti pubblici e privati. Vigliaccamente, inoltre, la presunta necessità dei tagli viene utilizzata per infliggere un ulteriore colpo ai sistemi di welfare con la giustificazione che gli europei avrebbero vissuto “al di sopra dei propri mezzi”. Ma l’argomento è falso. L’Europa nel suo insieme ha vissuto sempre coi propri mezzi, non ha infatti un debito estero (anzi l’opposto). La Spagna, il principale paese, fra quelli più esposti, aveva i conti pubblici “in ordine” sino a un anno fa. Lo stato sociale non c’entra nulla.
Certo, all’interno dell’Europa vi sono paurose relazioni debitorie-creditorie fra paesi. Ma di chi è la colpa di questi squilibri? Solo oggi comprendiamo pienamente quanto avevamo solo intuito: che la creazione dell’Euro era un esperimento da apprendisti stregoni. Sta ora diventando senso comune – sebbene non di tutti – che l’euro abbia dato l’illusione alle banche tedesche e francesi che si potessero allegramente alimentare bolle edilizie (in Spagna e Irlanda) e favorire governi clientelari (in particolare quello greco di centro-destra). Questi meccanismi stimolavano le esportazioni, soprattutto tedesche, per giunta avvantaggiate anche dalla più moderata dinamica di prezzi e salari rispetto ai paesi periferici oggetto di una crescita “dopata”. Ma i nodi sono poi venuti al pettine. Ora le banche tedesche – già gonfie di mutui subprime americani – sono inguaiate quanto il governo greco e le famiglie spagnole trascinate nel boom edilizio. Sicché anche il pacchetto di aiuti europeo di 750 miliardi di euro varato lo scorso 9 maggio ha una dubbia affidabilità. Chi davvero aiuterà chi, visto che il paese che dovrebbe aiutare gli altri, la Germania, è pieno di crediti inesigibili? La questione è di tale portata che Wolfgang Munchau (sul Financial Times del 23 maggio) suggerisce provocatoriamente che potrebbe essere la Grecia a dover aiutare la Germania. Come noi avevamo fatto notare pochi giorni fa sul Goodwin-box, anche Munchau ora ci dice che l’unica valida misura adottata è l’intervento della BCE a sostegno diretto dei titoli pubblici europei. Meno giustificata è la fiducia nella ripresa delle esportazioni extra-europee in seguito alla caduta dell’euro. Al limite queste avvantaggerebbero soprattutto della Germania. Ma soprattutto è da escludere che Cina e USA resterebbero con le mani in mano se tale calo perdurasse.
Esperimento da apprendisti stregoni, si è detto. Ma attenzione, si tratta di un esperimento consapevolmente perseguito dai governi dell’Europa periferica, in particolare dall’Italia, che pensava così di importare la “disciplina tedesca” su salari e mercato del lavoro. Lo stesso tentativo fu effettuato nel 1979 col Sistema Monetario Europeo, e si sa come andò a finire. Qui però rischia di finire peggio visto non c’è più la liretta da svalutare.
Il problema è che siamo in assenza di una analisi politica seria a livello europeo di ciò che sta accadendo. Il PD e la CGIL farebbero bene, se ne sono capaci, a uscire da una strategia economico-politica in cui giocano di rimessa su temi in fondo secondari. La questione non verte su una finestra pensionistica in più o in meno. Il punto è che bisognerebbe mettere in discussione lo scenario da “suicidio collettivo europeo” entro cui le misure restrittive dei governi si collocano. E’ l’esistenza stessa di queste manovre congiunte a livello europeo che va respinta con fermezza. Si passi dunque a discutere di come questo paese possa porre il problema in sede comunitaria, o alternativamente si possa tirar fuori da un simile disastro.
http://www.economiaepolitica.it/index.php/europa-e-mondo/il-suicidio-delleuropa/
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Frattini, indispensabile un’inchiesta
Israele attacca la flottiglia delle Ong, almeno 19 vittime
Il ministro israeliano del Commercio ha espresso rammarico. Hamas: l’arrembaggio e’ terrorismo di Stato, intervenga la Lega Araba. Il presidente palestinese Abu Mazen ha condannato il ‘massacro’. La Turchia, la Grecia, la Svezia, la Danimarca, la Francia, il Belgio, l’Egitto e la Spagna hanno convocato l’ambasciatore di Israele. La Ue ha chiesto a Israele di aprire un’inchiesta, oggi pomeriggio a Bruxelles riunione straordinaria degli ambasciatori europei. L’Anp chiede una riunione del Consiglio di sicurezza Onu. Il Presidente iraniano Ahmadinejad: Israele e’ disumano. Onu: siamo scioccati.
Gaza, 31-05-2010
Nell’arrembaggio della flottiglia di organizzazioni filopalestinesi da parte della marina israeliana sono morti 19 attivisti e ne sono rimasti feriti altri 26, uno dei quali sarebbe in fin di vita. Lo ha riferito la Tv privata israeliana Canale 10 precisando che sono rimasti feriti anche dieci soldati israeliani, due dei quali in modo grave.
Il comandante della marina militare israeliana, ammiraglio Eliezer Marom, ha affermato che gli scontri mortali nel corso dell’arrembaggio della flottiglia di attivisti filo-palestinesi si sono verificati solo su una delle sei navi, la Marmara, battente bandiera turca con a bordo circa 600 attivisti.
Su tutte le altre navi, ha detto, la presa di controllo si e’ svolta senza incontrare resistenza violenta da parte dei passeggeri e percio’ senza vittime. L’ufficiale si e’ cosi’ espresso nel corso di una conferenza stampa a Tel Aviv assieme al ministro della difesa Ehud Barak e al capo di stato maggiore generale Gaby Ashkenazi.
Intanto, la prima delle sei imbarcazioni della flottiglia ha raggiunto il porto di Ashdod, sotto scorta di unita’ navali israeliane. La radio pubblica ha riferito che quattro militari israeliani sono stati feriti.
Risultano esserci almeno nove cittadini turchi fra le vittime dell’assalto. A bordo c’erano anche cittadini italiani, secondo quanto ha confermato la Farnesina, ma non risulterebbero feriti.
L’esercito israeliano rende noto che i soldati partecipanti al commando che ha assaltato la flotta umanitaria diretta a Gaza sono finiti sotto il fuoco dei
militanti filo-palestinesi a bordo dove sarebbero state trovate alcune armi.
“La Marina ha preso il controllo di sei navi che tentavano di violare il blocco navale (della Striscia di Gaza). Durante il raid, i soldati si sono trovati di fronte a una forte reazione da parte dei manifestanti, che li hanno attaccati con colpi d’arma da fuoco”. Lo riferisce un comunicato di Tsahal.
Le navi, sei, cariche di aiuti umanitari erano partite nel pomeriggio di ieri da Cipro alla volta di Gaza per spezzare l’embargo imposto da Tel Aviv. Le autorità israeliane avevano già annunciato che non avrebbero consentito alla flotta di militante di diverse Ong di violare il blocco navale e che avrebbero anche tentato di dirottare il convolgio in un porto israeliano per tutti i controlli necessari.
Adesso, secondo le ultime frammentari informazioni, le navi della flottiglia sono state
dirottate dalla marina israeliana nel porto di Haifa e non di Ashdod dove si sono raccolti gli inviati di media di tutto il mondo, secondo fonti stampa israeliane.
Ban Ki-moon: scioccato
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si e’ detto sconvolto per l’assalto alla flotta umanitaria in rotta verso Gaza e ha chiesto a Israele di condurre un’inchiesta completa sull’accaduto. “Sono sconvolto” e “condanno questa violenza”, ha detto Ban Ki-moon in una conferenza stampa nella capitale ugandese dopo l’apertura della
conferenza sulla Corte Penale Internazionale. In precedenza la responsabile dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay si era detta “sconvolta” per
l’assalto israeliano e profondamente preoccupata per le restrizioni militari di Israele su Gaza. “Nella Striscia di Gaza, il blocco continua a minare ogni giorno i diritti dei
cittadini. Ci sono stati pochi passi avanti nella quantita’ dei prodotti che si possono introdurre. La situazione attuale e’ ben lontana dal permettere ai cittadini una vita normale e degna”.
Hamas: terrorismo di stato
Hamas ha denunciato a Gaza l’arrembaggio della flottiglia di aiuti umanitari e di
attivisti filopalestinesi da parte della marina israeliana, affermando che si tratta di “terrorismo organizzato di stato”. La stampa israeliana ha riferito che un ferito e’ stato trasportato in elicottero in un ospedale di Haifa. Le sue condizioni, a quanto
si e’ appreso, sono di media gravita’.
La condanna di Abu Mazen
Il presidente dell’Autorita’ palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) ha condannato stamane il “massacro” degli attivisti filopalestinesi nel corso dell’abbordaggio delle loro navi da parte della marina militare israeliana e ha decretato tre giorni di lutto nei territori palestinesi. L’ Autorita’ nazionale palestinese (Anp) vuole l’urgente riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu. In Israele intanto forze armate e polizia sono state poste in stato di massima allerta.
Ankara, Atene, Madrid, Stoccolma, Parigi, Il Cairo e Copenhagen convocano gli ambasciatori
La radio israeliana ha riferito che ad Ankara il governo turco e’ stato convocato in seduta di emergenza e che l’ambasciatore di Israele e’ stato convocato al ministero degli esteri per una protesta. Anche Stoccolma, Atene e Madrid hanno convocato gli ambasciatori israeliani per chiedere spiegazioni su quanto è accaduto.
Il ministero degli Esteri turco ha espresso la propria vibrata protesta all’ambasciatore israeliano in Turchia per il grave attacco – definito “inaccettabile” – condotto dalla marina israeliana contro la flottiglia di attivisti filo-palestinesi che portavano aiuti umanitari alla Striscia di Gaza. Lo ha riferito l’emittente provata Ntv citando fonti del ministero.
Alcune navi della flottiglia infatti battono bandiera turca e una ONG turca sarebbe uno dei principali organizzatori dell’intera operazione di invio di una flottiglia di aiuti a Gaza sotto assedio.
Frattini deplora l’uccisione di civili
Il ministro degli esteri, Franco Frattini, ha “deplorato” oggi “in modo assoluto l’uccisione di civili” nell’assalto della marina militare israeliana alla flottiglia di Ong diretta a Gaza. “E’ un fatto assolutamente grave”, ha detto ai giornalisti alla Farnesina. Il ministro ha aggiunto che è indispensabile un’inchiesta per accertare i fatti.
La Grecia annulla le manovre aeree con Israele
La Grecia ha annunciato di avere annullato un’esercitazione congiunta dell’aviazione con Israele, in seguito all’assalto alla ‘Flottiglia per Gaza’. Lo ha detto un portavoce del ministero della Difesa, il quale ha precisato che le manovre ‘Minoan 2010′ erano iniziate il 25 maggio e dovevano terminare il 3 giugno.
E’ stata rinviata anche una prevista visita ad Atene del capo di stato maggiore israeliano, hanno indicato fonti governative.
L’ambasciatore israeliano si e’ recato oggi al ministero degli Esteri, dove era stato convocato per fornire informazioni e spiegazioni su quanto accaduto.
Hamas ha poi invocato oggi “una intifada (rivolta) dinanzi alle ambasciate israeliane nel mondo” per protestare contro l’arrembaggio. A parlarne e’ stato Ahmad Yusef, uno degli esponenti della fazione islamico radicale palestinese a Gaza.
Altri portavoce del movimento hanno definito l’accaduto “un crimine internazionale”, invitando l’Onu e la comunita’ mondiale a reagire e ad avviare una inchiesta affinché‚ “i colpevoli siano puniti”.
La condanna della Lega araba
Il leader della Lega Araba, Amr Moussa, ha definito oggi l’attacco israeliano un “crimine contro una missione umanitaria”. “Condanniamo questo crimine, commesso contro una missione umanitaria e contro delle persone. Tentiamo di aiutare la gente. Questa non era una missione militare, tutti dovrebbero condannare” questo assalto israeliano, ha dichiarato Moussa. “E’ inutile proseguire sulla strada dei negoziati di pace.
Israele non e’ pronto alla pace”, ha detto Mussa a Doha dove sta partecipando ad una riunione del forum economico mondiale.
Il segretario generale della Lega Araba ha aggiunto che Israele si sente al di sopra della legge e del diritto internazionale, ragione per cui vuole sfidare il mondo intero.
L’Ue chiede un’inchiesta
L’Unione Europea ha sollecitato un’inchiesta accurata sul sanguinoso attacco alla flotta umanitaria che era diretta verso Gaza e ha esortato Israele a consentire il libero fluire degli aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza. Nel pomeriggio riunione straordinaria degli ambasciatori a Bruxelles.
Proteste a Gaza City
A Gaza City, intanto, la gente si sta radunando in strada per una dimostrazione di protesta convocata sia da Hamas sia da altri gruppi radicali come la Jihad Islamica. Fonti locali non escludono un’immediata recrudescenza di attacchi o lanci di razzi verso Israele.
Ahmadinejad, Israele disumana
Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha detto oggi che l’operazione israeliana contro la flottiglia di aiuti per la Striscia di Gaza e’ “disumana” e contribuira’ a portare alla sua scomparsa.
La condanna del Libano
Il primo ministro libanese Saad Hariri e il movimento sciita Hezbollah hanno condannato l’attacco che “rappresenta una tappa pericolosa e folle che inasprirà le tensioni nella regione”, ha dichiarato Hariri in un comunicato.
“Il Libano denuncia fermamente questo attacco e invita la comunità internazionale, in particolare le grandi potenze ad adottare misure in modo da porre fine a queste violazioni continue dei diritti dell’uomo e a questa minaccia alla pace internazionale”, ha aggiunto.
“Si tratta di un crimine premeditato” che “mostra al mondo la barbarie di Israele e il modo in cui tratta i civili non armati”, ha detto da parte sua il deputato di Hezbollah Hassan Fadlallah.
Israele, che nega che a Gaza sia in atto una crisi umanitaria, aveva ripetutamente avvertito che avrebbe impedito alla flottiglia di arrivare a Gaza ma si era offerto di far
pervenire a destinazione gli aiuti, dopo ispezione, tramite un valico terrestre. Per Israele, percio’, l’intera operazione e’ una “provocazione” studiata con l’intento di diffamare la sua immagine agli occhi del mondo.
Elevato lo stato di allerta in Israele
Intanto la polizia israeliana ha elevato lo stato di allerta nelle zona del Wadi Ara (60 chilometri a nord di Tel Aviv), dopo che nella citta’ di Um el-Fahem si e’ sparsa la voce – finora non confermata – che nell’attacco della marina israeliana alla flotta di attivisti filo-palestinesi diretti a Gaza sia stato ferito dai militari lo sceicco Raed Sallah, leader del Movimento islamico nel Nord di Israele, che vive a Um el-Fahem.
La radio militare aggiunge che i vertici della polizia israeliana hanno condotto stamane una seduta di emergenza e che continuano a seguire da vicino l’evolversi della situazione nella popolazione araba.
Ben Eliezer: rammarico. Tsahl: vittime
“Le immagini non sono simpatiche, non posso che esprimere il mio rincrescimento per tutti i morti”, ha dichiarato Ben Eliezer, che si trova in Qatar per una riunione del Forum economico mondiale.
“Attendevano i nostri soldati con asce e coltelli e quando più di uno cerca di togliere le vostre armi, in questi casi si perde il controllo della situazione e non si sa come può andare a finire”, ha detto il ministro. “So che la vicenda diventerà un caso” internazionale “spero che gli arabi israeliani reagiranno in modo ragionevole”, ha aggiunto il ministro.
Intanto l’esercito di Israele, Tsahal conferma che si sono state “un certo numero di morti” nell’assalto al convoglio umanitario.
http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=141476
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Colombia, altro che pareggio! Stravince Santos e Antanas Mockus resta indietro 31.05.2010
Juan Manuel Santos (destra) 46.5%, Antanas Mockus (verdi) 21.5% e un ballottaggio per il 20 giugno ampiamente segnato sono il risultato del primo turno presidenziale in Colombia. Anche se pochi analisti metteranno in prima pagina il fatto che ben più della metà dei colombiani non sia andato a votare, la verità è che in Colombia è andato in scena un altro film rispetto a quello che il paese civile e l’America latina avevano sperato e perfino tutti i sondaggi, che parlavano di pareggio, avevano previsto.
Così l’immagine dell’uomo forte, Álvaro Uribe ieri, Juan Manuel Santos oggi, vince ancora su quella dell’uomo civile. La paura vince sulla speranza, la corruzione sulla legalità, il SUV con i vetri polarizzati sulla bicicletta, l’indifferenza e l’ignoranza sull’impegno, il paramilitarismo sullo stato di diritto, la disinformazione del monoscopio informativo controllato dal berluschino Santos e dal Grupo Prisa spagnolo (quello di “El País”) sull’informazione, la destra, tutto quello che è destra, risulta meglio spendibile rispetto a tutto quello che destra non è.
Adesso diranno degli errori ed omissioni di Mockus, e del fatto che rappresentasse un cambio possibile solo per i giovani delle città che giocano con Twitter e ben poco per chi soffre la guerra e le violazioni di diritti umani. Diranno dello spin doctor venezuelano Juan José Rendón, specialista in campagne elettorali sporche, assunto da Santos nelle ultime settimane quando il pericolo Antanas si era profilato. Ma quello che è sicuro è che l’onda verde colombiana non c’è stata e anzi quel 37% di voti di tutti i sondaggi si è ridistribuito su tutti i candidati di un voto più frammentato delle attese.
E’ andato anche a favore di candidati della sinistra più tradizionale, apparentemente oscurati da Mockus, come Gustavo Petro che ha sfiorato invece il 10% ma si è visto superato anche dal candidato dell’ultra-destra, Germán Vargas. Non perdete tempo a far conti, al 46.5% di Santos i voti di Vargas si sommano automaticamente così come quelli della destrissima Noemí Sanín, incondizionale di Uribe. Tutti e tre insieme superano il 60% e poco vale raccontare che rappresentino ben meno di un terzo degli aventi diritto.
E’ difficile vedere anche un’altra faccia della medaglia elettorale colombiana. Nel 2002 e nel 2006 Álvaro Uribe aveva stravinto al primo turno. In condizioni simili di diserzione elettorale nel 2002 aveva preso il 53% dei voti contro il liberale Horacio Serpa fermo al 32%. Nel 2006 aveva sfiorato il 63% con 7.4 milioni di voti rispetto al candidato delle sinistre Carlos Gaviria fermo al 22%. Oggi Santos va al ballottaggio in condizione di maggior frammentazione ma con un bottino di voti analogo a quello di Uribe, 6.8 milioni (su 28 di aventi diritto) e Antanas Mockus non supera il risultato di Gaviria.
Rispetto ai sondaggi che parlavano di pareggio e all’entusiasmo di alcuni nostri referenti bogotani per Mockus avevamo scritto che la differenza l’avrebbe continuata a fare la Colombia profonda, quella della dittatura paramilitare dove il voto diventa bulgaro e magicamente (per i media internazionali) contadini senza terra, rifugiati, vittime di violazioni dei diritti umani votano per i loro stessi carnefici e se non lo fanno vengono ammazzati sul posto e poi fatti passare per terroristi. E così anche a Bogotà è andata come doveva andare nei desideri di “El País” di Madrid che infatti oggi trasuda entusiasmo e del “Wall Street Journal” e altri agit-prop della destra bushiana che non ha mai dismesso la bandiera della guerra preventiva.
Mentre la tensione tra Stati Uniti e Brasile (che si avvia a sostituire il Venezuela nel ruolo mediatico di “stato canaglia” regionale) sale, la Colombia di Santos continuerà ad essere quello che è stata con Uribe: un fucile puntato contro l’ordine e il progresso latinoamericano.
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