Da Lyndon LaRouche (pervenuto il 06.10.2009)
Il salvataggio della bisca finanziaria mentre l’economia reale sprofonda
Il 3 ottobre, il Bureau of Labor Statistics (BLS) del governo americano è stato costretto ad ammettere che da quando si è insediata la Presidenza Obama, quasi 5 milioni di posti di lavoro sono andati perduti. Il BLS ha infatti riconosciuto che i 100.000 nuovi posti di lavoro al mese calcolati per “aggiustamento stagionale” nelle statistiche dall’insediamento di Obama non sono mai esistiti. Così, d’un colpo ha dovuto cancellare 824 mila occupati. In aggiunta, il mese di settembre ha registrato un aumento di 263.000 disoccupati, mentre gli “economisti” di Wall Street ne aspettavano solo 180.000.
Questa è una prova drammatica che i “programmi di stimolo”, varati dall’amministrazione Obama nel contesto dell’agenda del G20, sono serviti solo a salvare il sistema finanziario in bancarotta. Mentre l’occupazione e l’economia reale continuano a sprofondare, i profitti bancari – finanziati dal denaro dei contribuenti – hanno ripreso a salire e la bolla speculativa è continuata a crescere. Il valore nozionale dei derivati OTC (fuori bilancio) negli Stati Uniti, nella prima metà del 2009, ha raggiunto la cifra di 203 trilioni di dollari, il massimo storico. Dato che solo 6 banche posseggono l’80% di quella bolla, e che basterebbe un buco dell’uno per mille per scatenare una reazione a catena, il quadro del prossimo collasso finanziario è già tratteggiato.
Lyndon LaRouche ha sottolineato la minaccia rappresentata dal settore immobiliare commerciale. L’economia, che stava cercando di assorbire l’effetto del crollo delle ipoteche private (i “subprime”) e delle banche coinvolte, “sta per subire un colpo ancora più forte, dello stesso tipo, ma in un’economia che nel frattempo si è ristretta. Il settore delle ipoteche commerciali potrebbe sferrare il colpo che, da solo, potrebbe in questo stadio abbattere l’intera economia da un giorno all’altro”, ha detto LaRouche in una discussione con lo staff dell’EIR il 3 ottobre.
Con la crisi economica, è sceso il valore degli uffici, dei centri commerciali e delle proprietà residenziali in mano alle imprese. La maggior parte di essi sono gravati da ipoteche e da altri debiti. Secondo la Federal Deposit Insurance Corporation, dei 7,6 trilioni di dollari di impieghi bancari risultanti al 30 giugno, 4,7 sono garantiti da ipoteche. Il settore commerciale, più piccolo di quello abitativo, rappresenta un mercato di 3,5 trilioni di dollari. Mentre i prezzi sono caduti di circa il 40% dai massimi del 2007, i debiti rimangono. Molte proprietà furono acquistate nell’aspettativa di prezzi crescenti, con l’obiettivo di rifinanziare i debiti alla scadenza. Errore di calcolo.
Il “consenso del G20”, dettato dalla City di Londra, ha costretto i governi a rilevare i debiti delle banche, scassando molti bilanci pubblici. A Pittsburgh, i leader del G20 si sono compiaciuti del “successo” ottenuto e hanno rinnovato la cambiale al sistema finanziario. Come parte di questo, la Banca Mondiale ha annunciato il 2 ottobre che diventerà una “Bad Bank” mondiale, acquistando 5,5 miliardi di dollari di “titoli incagliati” delle banche. La Banca Mondiale si copre con la foglia di fico che si tratta di prestiti a paesi poveri, ma naturalmente lo fa per salvare le banche e i possessori di titoli legati a quel debito.
Le istituzioni finanziarie stanno applicando la stessa politica della Reichsbank nel 1923: espansione monetaria. Solo quest’anno, la Federal Reserve ha distribuito 11,8 trilioni di dollari tra iniezioni di liquidità e garanzie bancarie, ma gli esperti stimano che la cifra reale si aggiri sui 15-18 trilioni. La Fed ha acquistato la metà di tutti i buoni del tesoro americano emessi quest’anno e ora possiede più titoli del debito pubblico USA della Cina e del Giappone. Gli aggregati monetari della Fed sono cresciuti del 21%, ma le banche non girano i soldi all’industria. Il credito alle imprese è sceso in tutti i paesi industrializzati. In altre parole, l’economia finanziaria viene sovvenzionata, quella reale viene sacrificata e si profila il pericolo di iperinflazione.
Il fiasco olimpico di Chicago e il conflitto d’interessi di Obama
Nel mezzo di due guerre, della disoccupazione crescente e della peggiore crisi finanziaria della storia moderna, il Presidente Obama è volato a Copenhagen il 2 ottobre per cercare di convincere personalmente il Comitato Olimpico Internazionale a scegliere Chicago come sede delle Olimpiadi del 2016. Il tentativo è clamorosamente fallito, dato che quella di Chicago è stata la prima candidatura bocciata, tra le quattro presentate.
Barack Obama ha subìto una forte umiliazione, come una miriade di editoriali è stata pronta a notare. Ovviamente pensava, rafforzato in ciò dai suoi consiglieri, che il proprio “fascino irresistibile” gli avrebbe garantito il successo. Ancora una volta, il pericoloso narcisismo di Obama ha subito un colpo, stavolta internazionale.
Mentre molti hanno ridicolizzato l’abuso di potere della Casa Bianca, l’EIR ha denunciato il vero scandalo, che copre un gigantesco conflitto d’interessi dei funzionari della Casa Bianca coinvolti nello sforzo di lobby, e in particolare di Valerie Jarrett e David Axelrod.
La candidatura di Chicago è stata gestita ufficialmente da un’organizzazione “non profit” chiamata Chicago 2016. Le figure principali di quest’organizzazione sono stati tra i principali finanziatori della campagna elettorale di Obama, e sono anche coloro che avrebbero colto i maggiori vantaggi da un successo di Chicago.
Il più stretto consigliere di Obama, Valerie Jarrett, è al centro del conflitto d’interessi. Amica personale sia di Barack che di Michelle Obama, Jarrett era vicepresidente di Chicago 2016. Fino a quando non si trasferì alla Casa Bianca, ella era anche amministratore di un’impresa di costruzioni di Chicago, la Habitat Company, che si apprestava a partecipare agli appalti per costruire le 3500 abitazioni del villaggio olimpico. Jarrett è anche proprietaria del Grove Parc Plaza Apartments, un complesso residenziale malridotto, col 90% di appartamenti vuoti, che sarebbe stato demolito per far posto a parte delle infrastrutture olimpiche.
Nonostante questi forti interessi personali, la Casa Bianca ha annunciato il 1 maggio scorso che Valerie Jarrett aveva ricevuto un’esenzione dal codice etico (ethics waiver), per permetterle di rappresentare il Presidente nel lobbying a favore di Chicago.
L’altro beneficiario delle generosità olimpiche 2016 sarebbe stato il direttore politico della Casa Bianca, David Axelrod. La sua ditta, ASK Public Strategies, ha svolto lavoro di relazioni pubbliche per Chicago 2016. La stessa Jarrett ha ammesso candidamente, in un’intervista a Bloomberg News, che il gruppo di Chicago alla Casa Bianca di Obama discuteva della candidatura alle Olimpiadi “ogni giorno che ci vedevamo”.
Altri quattro membri di Chicago 2016 facevano parte del comitato per l’inaugurazione di Obama, compreso Penny Pritzker, i cui hotel Hyatt erano stati designati come siti olimpici prioritari nel piano di Chicago 2016. Lyndon LaRouche ha chiesto una inchiesta approfondita e le dimissioni di tutti i funzionari della Casa Bianca coinvolti.
Ora che l’aura di invulnerabilità di Obama si è assottigliata, la Casa Bianca potrebbe vendicarsi sul fronte della riforma sanitaria. Mentre i ddl alla Camera e al Senato, così come sono, non passerebbero mai a causa del dispositivo che introduce le cosiddette “commissioni della morte”, il piano della Casa Bianca è di scorporare i vari elementi e poi incaricare la conferenza delle commissioni di ricomporli, introducendo i cambiamenti impopolari a porte chiuse.
Lyndon LaRouche ha immediatamente lanciato l’allarme: “Dopo aver appreso di un gigantesco conflitto d’interessi che investe personaggi centrali della Casa Bianca, Valerie Jarrett e David Axelrod, non vogliamo sentire parlare di accordi a porte chiuse. Vogliamo piena trasparenza” nella legge di riforma sanitaria. La popolazione USA, già sulle barricate per la crisi economica, i salvataggi bancari e la disoccupazione, dirà di no.
Dopo il referendum irlandese: avanti con la strategia delle quattro potenze!
Mentre non si possono escludere brogli nel referendum irlandese, il voto massiccio a favore del Trattato di Lisbona (67,1% contro il 32,9%) può essere paragonato al plebiscito che nel 1938 ratificò l’Anschluss dell’Austria. La differenza è che i soldi e i ricatti dell’UE hanno sostituito i carri armati nazisti. Perché il Trattato entri in vigore occorre l’ultima ratifica, quella della Repubblica Ceca (visto che il Presidente polacco ha annunciato la propria firma dopo il “Sì” irlandese).
L’affluenza alle urne insolitamente alta, le circostanze caotiche del trasferimento delle schede all’ufficio centrale per il conteggio a Dublino, casi documentati di certificati elettorali inviati a non cittadini e le intimidazioni agli osservatori di seggio sollevano sospetti di brogli.
Certamente però, la massiccia partecipazione dell’UE nella campagna referendaria a favore del “Sì”, i mezzi finanziari messi in campo e l’intimidazione politica esercitata sulla classe politica e sulla popolazione hanno chiaramente avuto effetto. La mossa più spettacolare è stata la decisione della BCE di operare il salvataggio dell’intero debito tossico delle banche irlandesi, promuovendo la creazione di una Bad Bank chiamata NAMA, che acquisterà quasi 60 miliardi di titoli tossici contro cui la BCE emetterà liquidità a favore delle banche. Il fronte del No non ha denunciato con abbastanza forza questo schema, che serve più che altro a salvare la BCE e la bolla immobiliare europea che ha prodotto quel debito.
Commentando il risultato del referendum, il presidente del Movimento Solidarietà tedesco (BueSo) Helga Zepp LaRouche ha affermato che si tratta di un passo verso la “morte dell’Europa”. Il Trattato di Lisbona è la costituzione di un sub-impero Europeo come parte dell’Impero Globale, ma è come attaccare una barca al Titanic che affonda. Le nazioni europee devono sfondare questa prigione muovendosi indipendentemente a favore della strategia delle “Quattro Potenze” tratteggiata da Lyndon LaRouche: una coalizione di stati nazionali sovrani sufficientemente forte da poter instaurare un sistema economico mondiale anti-oligarchico.
Come ha ammonito recentemente il costituzionalista italiano Giuseppe Guarino, l’eliminazione della sovranità statale sugli affari economici e la sua sostituzione con gli automatismi della banca centrale, i cosiddetti parametri di Maastricht, è l’aspetto centrale del declino europeo che il Trattato di Lisbona renderà inamovibile. I membri dell’UE sono “Stati-non Stato. Le loro ali sono state tarpate. Né i singoli Stati membri, né l’Europa nel suo insieme potrebbero mai raggiungere i traguardi che le grandi entità continentali, USA, Cina ed India, si propongono e realizzano”, ha dichiarato Guarino in un intervento ad una conferenza dell’Astrid il 21 settembre a Roma. L’ex ministro italiano ha reiterato il concetto in un’intervista con Euronews trasmessa il 28 e 29 settembre. Incredibilmente, la versione in lingua tedesca dell’intervista ha trasformato le affermazioni di Guarino in una dichiarazione a favore di Maastricht, a riprova che nel sistema UE già si applica una censura degna di Goebbels.
Il tabloid britannico The Sun ha scritto il 2 ottobre che, nel caso di vittoria del “Sì” al referendum irlandese, Tony Blair sarà nominato presidente europeo già in ottobre. Il presidente europeo, una carica prevista dal Trattato di Lisbona, ha un mandato di 2 anni e mezzo, rinnovabile una volta per un totale di 5 anni. La nomina di Blair, però, sarebbe possibile solo dopo l’ultima ratifica del Trattato, quella della Repubblica Ceca. Il Presidente Vaclav Klaus ha già affermato che il voto irlandese non cambia la sua intenzione di firmare la legge di ratifica solo dopo la sentenza della Corte Costituzionale.
Anche se solo un golpe potrebbe materializzare la presidenza Blair entro ottobre, il fatto che l’architetto della guerra all’Iraq possa diventare presidente europeo è un incubo sufficiente a giustificare una rivolta popolare contro la nuova tirannia.
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Il Nobel a chi svelò il mistero dei telomeri 05.10.2009
Premiati i tre scienziati statunitensi che scoprirono i “cappucci” dei cromosomi. I loro studi sono una pietra miliare della biologia e spiegano parte del meccanismo di invecchiamento cellulare
Come fa il Dna a replicarsi perfettamente e a non “rovinarsi” quando una cellula si divide in due? La risposta a questa domanda, fornita nei primi anni Ottanta da Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak, è valsa oggi il Premio Nobel per la Medicina ai tre scienziati.
Durante la divisione cellulare, le molecole di Dna si trovano impacchettate in strutture a forma di bastoncino, i cromosomi; il fatto che si possano “sdoppiare” mantenendosi intatti si deve alle loro parti terminali, chiamate telomeri, a all’enzima che li forma, la telomerasi. Oltre a essere una pietra miliare della biologia, la loro scoperta rende anche conto di alcuni meccanismi dell’invecchiamento cellulare: man mano che la cellula si replica i telomeri si accorciano. Ciò implica che, se l’attività della telomerasi è elevata, la lunghezza dei telomeri è mantenuta più a lungo e la cellula invecchia lentamente (come accade nelle cellule cancerose, che possono essere considerate eterne).
Fin dagli anni Trenta si pensava che i telomeri svolgessero un ruolo protettivo, impedendo che i vari cromosomi si attaccassero gli uni agli altri, ma restava un mistero come ciò avvenisse. Negli anni Cinquanta, quando Watson e Crick resero nota la struttura del Dna e si comprese che i geni vengono copiati durante la divisione cellulare, saltò fuori un altro problema: per il modo in cui avviene fisicamente il processo di replicazione, sembra infatti che la parte terminale di una delle due stringhe del Dna non possa essere “masterizzata”. Di conseguenza i cromosomi dovrebbero accorciarsi a ogni ciclo cellulare, cosa che però non accade.
Il perché si è capito quando i tre ricercatori hanno scoperto la funzione esatta dei telomeri. Elizabeth Blackburn, dell’Università della California (San Francisco), stava studiando la Tetrahymena, un organismo ciliato unicellulare, quando identificò una sequenza di Dna – CCCCAA – ripetuta numerose volte alla fine di un cromosoma. Nello stesso periodo Jack Szostak, allora alla Harvard Medical School, aveva visto che una piccola molecola di Dna (un minicromosoma) veniva rapidamente degradata se introdotta in una cellula di lievito.
Blackburn presentò la sua ricerca durante una conferenza nel 1980 cui assistette anche Szostak e i due cominciarono a collaborare: la ricercatrice isolò una sequenza CCCCAA dalla sua Tetrahymena e Szostak la accoppio ai suoi minicromosomi da inserire nella cellula di lievito. I risultati, pubblicati nel 1982, mostrano che la sequenza protegge i minicromosomi dalla degradazione. Più tardi divenne chiaro che queste sequenze si trovano nella maggior parte degli organismi, dall’ameba all’essere umano, e che hanno in tutti la medesima funzione.
La scoperta dell’enzima responsabile della formazione dei telomeri si deve invece all’allieva di Blackburn, Carol Greider. Nel 1984, la studentessa scoprì che la telomerasi allunga i telomeri creando una sorta di piattaforma che permette la copia completa dell’intera stringa del Dna senza che alcuna informazione vada perduta.
Negli ultimi anni gli scienziati hanno cominciato a indagare il ruolo che i telomeri potrebbero avere nell’invecchiamento cellulare. Il gruppo di ricerca di Szostak ha identificato una mutazione che porta a un graduale accorciamento dei telomeri in alcune cellule di lievito, e che causa un blocco della replicazione e un invecchiamento prematuro della cellula. Il gruppo di Greider ha poi mostrato che la senescenza delle cellule negli esseri umani è ritardata proprio dalla telomerasi. (t.m.)
Elizabeth H. Blackburn è nata in Tasmania nel 1948 e ha la cittadinanza sia australiana sia statunitense. Ha insegnato biologia e fisiologia alla University of California di San Francisco dal 1990.
Carol W. Greider è nata a Sand Diego nel 961. Dal 1887, dopo le ricerche di post-dottorato presso il Cold Spring Harbor Laboratory, è divenbtata docente di biologia molecolare e genetica Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora.
Jack W. Szostak è nato a Londra nel 1952, ma la sua cittadinanza è statunitense e ha studiato presso la Harvard Medical School dal 1979. Attualmente è docente di genetica al Massachusetts General Hospital di Boston e all’ Howard Hughes Medical Institute.
Fonte: NobelPrize.org
http://www.galileonet.it/news/11909/il-nobel-a-chi-svelo-il-mistero-dei-telomeri
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Nuovi dubbi sulla materia oscura 06.10.2009
Una scoperta sulla densità delle galassie rimette in discussione ciò che si ipotizza sulla materia oscura. Lo studio, in parte italiano, su Nature
Si chiama materia oscura, forse esiste e forse no. Nella prima ipotesi rappresenta il 90 per cento dell’Universo, non emette luce visibile né altre radiazioni elettromagnetiche. Però sembra costringere la materia luminosa circostante a un “moto anomalo” altrimenti inspiegabile. Ora un gruppo di astrofisici europei, tra cui Gianfranco Gentile dell’Università di Gent (Belgio) e Paolo Salucci della Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste), ha pubblicato su Nature uno studio che pone nuovi dubbi sulla sua esistenza e anche sulle teorie che riguardano la formazione delle galassie.
I ricercatori hanno scoperto che la densità superficiale della materia luminosa all’interno di una zona caratteristica della materia oscura è la stessa in tutte le galassie, indipendentemente dalla loro grandezza e morfologia. “Questo ci conduce a due ipotesi conclusive”, ha spiegato Salucci, che ormai da vent’anni indaga sulla distribuzione della materia oscura nell’Universo: “O quello che noi identifichiamo per materia oscura non esiste ed è semplicemente l’effetto di una nuova legge di gravità che agisce sulla materia ordinaria, oppure la materia oscura è veramente formata da una nuova particella elementare, ma c’è un processo fisico nella formazione delle galassie che ci sfugge”.
La fisica non riesce a spiegare alcuni fenomeni cosmologici solo sulla base di ciò che è visibile. Osservando le galassie a spirale, per esempio, le leggi sull’attrazione gravitazionale dicono che le stelle si sarebbero dovute sparpagliare per ogni dove, causa la forza centrifuga, se non le trattenesse la gravità esercitata da una massa maggiore di quella effettivamente calcolata: una massa di materia mancante, oscura appunto. Secondo la “Teoria della materia oscura fredda” quindi, questa giocherebbe un ruolo determinante nella formazione delle galassie e sarebbe responsabile delle strutture che tengono insieme l’Universo. Inoltre, sempre secondo questa teoria, mentre la distribuzione della materia luminosa è molto diversa da galassia a galassia, quella della sua controparte dovrebbe essere uguale in tutte.
Gli scienziati europei però, osservando diversi tipi di galassie con potenti telescopi (dislocati negli Stati Uniti e in Cile) e radiotelescopi (in Olanda e Australia), hanno scoperto che la materia ordinaria e quella oscura avrebbero in realtà rapporti molto più complessi e difficilmente spiegabili dalle leggi della fisica di quanto previsto.Tutto ciò porta a nuove domande sull’evoluzione dell’universo. Alle quali potrebbero rispondere, almeno in parte, gli esperimenti del Cern di Ginevra con Lhc, che dovrebbe ripartire a novembre. (a.d.)
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature08437
http://www.galileonet.it/news/11911/nuovi-dubbi-sulla-materia-oscura
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Conflitto matematico? 30.09.2009
di Michele Emmer
Sulla prima pagina del “Corriere della Sera” del 25 settembre scorso l’annuncio: “La battaglia dei matematici. Odifreddi contro Israel”. Premetto che conosco il primo da trent’anni, il secondo da quindici. Presupponendo che non ci siano state forzature giornalistiche in quanto riportato, la questione è questa: ogni anno viene assegnato il premio Peano che, pur non essendo tra i riconoscimenti letterari di primaria importanza, ha una certa notorietà nel mondo matematico. Il premio riguarda i libri di divulgazione della cultura matematica. Tra l’altro ho fatto parte della giuria, se non ricordo male, della prima o seconda edizione, e mi sono poi dimesso per divergenze sui criteri di giudizio. Dunque, qualche anno fa il premio viene assegnato a Piergiorgio Odifreddi. Quest’anno al libro di Giorgio Israel e Ana Millan Gasca su John Von Neumann (“Il mondo come gioco matematico”, Bollati Boringhieri 2008). Quindi lettera di Odifreddi che restituisce il premio perché non vuole figurare tra i vincitori con Israel, con le motivazioni (cito dal Corriere) “che è un sionista, un fondamentalista, ha diretto una commissione sull’insegnamento della matematica del ministero presieduto dalla signora Gelmini, nel suo libro esalta acriticamente la figura di von Neumann, ha criticato il festival della matematica (diretto da Odifreddi, n.d.a.), è un ex comunista”. Colpa che purtroppo ho anche io.
Conosco bene Israel e so che negli ultimi anni scrive su giornali che io non leggo di solito, ha delle opinioni su Israele e i palestinesi che non condivido affatto. Il che non mi impedisce di parlare con lui, di invitarlo ai convegni che organizzo, dato che lo considero un ottimo storico della matematica ,e non sono il solo in questo giudizio. Non so se il suo libro su von Neumann sia fazioso perché non l’ho letto. Dunque, in base alle sue opinioni, dovrei escludere Israel dalle mie frequentazioni, dato che è un ex comunista che ha cambiato opinione. Non la penso così. A proposito delle opinioni religiose dei matematici, la sera prima di aver letto l’articolo sul “Corriere della sera”, cercando un telegiornale, ho visto casualmente una trasmissione Rai che non guardo da anni (da quando scoppiò il caso Di Bella e le televisioni furono in grado di creare nell’opinione pubblica e nei malati oncologici una aspettativa del tutto immotivata di guarigione). È apparso Odifreddi che contrastava gli altri ospiti a proposito dei miracoli di Padre Pio. Ognuno ha diritto di avere le sue opinioni e di andare alle trasmissioni che vuole, e ognuno ha il diritto di non guardarle ovviamente.
Di matematici e religione si parla in un piccolo libro (“La matematica e l’esistenza di Dio”, Lindau 2009) scritto da Antonio Ambrosetti, uno dei matematici più noti nella comunità scientifica: l’equazione che un matematico essendo un logico che usa la ragione deve necessariamente essere ateo è del tutto priva di senso. Ci sono matematici che credono che la matematica sia nella mente di Dio (così credeva Ennio De Giorgi, il più importante matematico italiano degli ultimi cinquanta anni) e chi crede che Dio, qualsiasi Dio, non esista. Quello che unisce i matematici è fare matematica. Israel sta preparando un saggio su matematica e religione parlando di quel fenomeno molto interessante che è stato nella Russia presovietica e poi sovietica il prete ortodosso Pavel Florenskji.
Sempre secondo il Corsera, il matematico Pastrone avrebbe dichiarato (ma ha smentito) che il premio era stato dato a Israel come seconda scelta perché si voleva assegnare alla scrittrice giapponese Yoko Ogawa per “La formula del professore” (Il Saggiatore, 2008), bellissimo romanzo che parla di matematica, certo non un libro di divulgazione. Vi erano state perplessità nella giuria (smentite anche queste) perché Israel aveva presieduto una commissione del ministero, ergo per la sua “vicinanza al governo”. A questo proposito: Israel non era venuto a un mio convegno a parlare di Florenskji perché lo stesso giorno aveva presieduto quella commissione. Non ho problemi a inserire il suo saggio negli atti che usciranno a marzo prossimo, dopo il giudizio di esperti sull’articolo. Diceva De Giorgi: “Il segreto della forza della matematica è la libertà e la convivialità, la disponibilità e la necessità del dialogo.” Parole sante, è il caso di dire.
http://www.galileonet.it/recensioni/11888/conflitto-matematico
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Austalia fuori dal mondo 06.10.2009
La decisione dell’Australia è molto coraggiosa,corretta per drenare liquidità dal sistema, ma mi lascia perplesso.
Se tale operazione dovesse essere fatta anche dai paesi del resto del mondo assisteremo ad un repentino crollo dei mercati a mio modo di vedere. Vero il fatto, che l’Australia vive di un’economia fuori dal mondo, ma è un segnale che ci deve tenere allertati.
Infatti i mercati salgono solo perchè c’è tanta liquidità e non ci sono alternative all’azionario, ma se dovessero decidere di alzare i tassi, la situazione sarebbe diversa…..
La banca centrale australiana ha reagito alla ripresa dell’economia nazionale rialzando il tasso ufficiale di interesse di un quarto di punto.
Lo ha portato cosi’ al 3,25%, dopo 5 mesi al 3%, il minimo in 49 anni. L’Australia diventa cosi’ il secondo paese, dopo Israele, a ricominciare a stringere la politica monetaria. Il governatore della Reserve Bank, Glenn Stevens, aveva ripetutamente descritto il tasso del 3% come ”livello di emergenza”.
Dott Fabio Troglia
fabio.troglia@gmail.com
www.lamiaeconomia.blogspot.com
http://lamiaeconomia.blogspot.com/2009/10/austalia-fuori-dal-mondo.html
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RICE ART IN ITALIA 24.09.2009
Roma, Italia — Abbiamo portato la “rice art” anche in Italia. Un enorme disegno di circa 800 metri quadri è comparso in una risaia biologica nella provincia di Milano. Gli attivisti hanno lavorato diverse ore per tracciare la sagoma dello stivale italiano che calcia via gli OGM.
L’obiettivo è proteggere il riso e l’agricoltura italiana dalla minaccia dell’ingegneria genetica nel settore agro-alimentare. A livello europeo, infatti, presto si dovrà votare per l’autorizzazione all’importazione del riso Ogm della Bayer (LL62), modificato per resistere a un erbicida tossico, il glufosinato. Il glufosinato è considerato così pericoloso per gli esseri umani e per l’ambiente che presto sarà vietato in Europa.
L’Italia è il principale produttore di riso e di biologico a livello europeo, che senso ha rischiare col riso transgenico? Anche la Bayer ha ammesso che questo riso potrebbe accidentalmente germinare, col rischio di contaminare la produzione nazionale. Tutto ciò mentre permangono i dubbi sulla sicurezza per il consumo animale e umano degli OGM. Vogliamo mandare un messaggio forte al governo italiano e alle autorità europee per impedire l’importazione del riso transgenico.
Il disegno è stato realizzato in un campo di riso della varietà “volano” in un’azienda convertita al biologico da ormai 20 anni, e compresa nel territorio del Parco del Ticino. L’attività di Greenpeace si è svolta con l’appoggio del Parco.
Da anni facciamo campagna per un’agricoltura e una produzione di alimenti NON-OGM, basati su principi di sostenibilità, protezione della biodiversità e in grado di fornire a tutte le persone l’accesso a cibi sicuri e nutrienti. L’ingegneria genetica è una tecnologia non necessaria e non voluta che contamina l’ambiente, minaccia la biodiversità e pone rischi inaccettabili per la salute.
Sul nostro sito è possibile partecipare alla petizione online per chiedere ai governi e autorità europee di proteggere i consumatori, gli agricoltori e le coltivazioni rifiutando il riso Ogm della Bayer e bloccando tutte le sperimentazioni in ambiente di riso Ogm.
http://www.greenpeace.org/italy/news/riso-ogm-italia#
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Minacce di morte al giornalista di Annozero Sandro Ruotolo 06.10.2009
Sandro Ruotolo, storico collaboratore di Michele Santoro e suo “vice” nella trasmissione Annozero, e la sua famiglia, sono stati minacciati di morte in una lettera pervenuta al giornalista sulla quale sta indagando la Digos.
Secondo i primi accertamenti delle forze dell’ordine la missiva non sembrerebbe opera di un mitomane perché conterrebbe particolari dai quali si desume che il giornalista è stato pedinato e sorvegliato. Nella stessa missiva, inoltre, si farebbe riferimento ad una lista di “obiettivi” in cui Ruotolo sarebbe il secondo. Il giornalista negli ultimi giorni è stato impegnato a Palermo per un’inchiesta sulla mafia che dovrebbe andare in onda nel programma di Raidue.
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Rna senza intermediari 28.09.2009
Un nuovo sistema permette per la prima volta il sequenziamento diretto dell’Rna, senza doverlo prima riconvertire in Dna, perdendo informazioni
Una nuova tecnica veloce ed economica per sequenziare direttamente l’Rna senza doverlo prima trasformare in Dna, senza cioè perde informazioni importanti e inquinare i campioni. L’hanno messa a punto i ricercatori della Helicos BioSciences Corporation di Cambridge guidati da Patrice Milos, e promette di essere così rivoluzione nel campo delle analisi genetiche da essersi meritata un posto tra le pagine di Nature.
Nelle cellule, il Dna viene normalmente convertito in Rna nel processo che porta alla formazione delle proteine. Mentre, però, il contenuto del Dna (il genoma) è lo stesso in ogni cellula, l’informazione codificata nell’Rna (il trascrittoma) dipende da quali geni sono è attivati (cioè espressi) in un determinato momento in una determinata cellula, oltre che dalle condizioni ambientali. Conoscere il trascrittoma è quindi fondamentale per sapere il “profilo di espressione” delle cellule, utilizzato ormai quasi in ogni campo della ricerca biotecnologica, nella ricerca oncologica, delle malattie genetiche e nella microbiologia.
Le tecniche di analisi dell’Rna attualmente disponibili, però, non permettono un sequenziamento diretto: prima si deve trasformare nuovamente l’Rna in Dna (chiamato c-Dna), poi intervengono molteplici manipolazioni, che possono introdurre errori e artefatti.
Il nuovo studio presentato su Nature propone invece un accurato sequenziamento e una quantificazione di una molecola di Rna ottenuta direttamente da un campione biologico del lievito Saccharomyces cerevisiae, senza passare per il c-Dna. La metodologia, fanno sapere dalla Helicos (che intende espandere il suo mercato sulla base di questa scoperta), non solo è la prima che consente il sequenziamento diretto, ma è anche a basso costo; inoltre sembra permettere un più dettagliato livello di analisi del trascrittoma e l’identificazione dei diversi tipi di Rna. (t.m.)
Fonte: Helicos BioScience Corporation; DOI: 10.1038/nature08390
http://www.galileonet.it/news/11877/rna-senza-intermediari
Commento di Manzelli
L’ informazione codificata nel RNA (il trascrittoma) e essenziale per individuare il rapporto tra geni e metaboliti e sviluppare strategie di personalizzazione delle diete alimentari appropriate per la alimentazione dei vari gruppi etnici nel mondo. Questo argomento ed altri come la introduzione di sequenze di teleomeri nelle cellule cancerogene , verra sviluppato nell’ ambito di NUTRA SCIENZA un network di Ricerca ed Impresa che si costituisce oggi (06/OTT/2009) a Firenze .
Indicazioni di base per la Costituzione di una Rete di tra Ricerca ed Impresa : “NUTRA -SCIENZA” un network che si occupa di “ medicina rigenerativa “del corpo e della mente come fu in origine nella medicina Ippocratica.
Negli ultimi decenni la “speranza di vita” e’ cresciuta persino in Africa dove, pur nella elevata mortalita’che caratterizza i paesi in via di sviluppo, si riscontra comunque sia della natalita che della probabilita di vita un notevole incemento. Tale favorevole crescita progressiva della popolazione e del suo invecchiamento, pone d’ altro canto, nuovi e spesso insostenibili problemi economici e sociali, sia nei paesi industrializzati che in Africa. Infatti un problema comune ,pur da punti di vista e soluzioni differenti e’ quello della “malnutrizione” che putroppo provoca comunque ed ovunque un collaterale aumento delle patologie croniche e degenerative causate in sostanza da una errata concezione nutrizionale.
Tutte le soluzioni del problema relativo alle varie tipologie di “malnutrizione” nel mondo passano attrarverso la necessita di elaborare e sperimentare un profondo cambiamento cognitivo sulla base del quale il cibo diviene considerato come una “ medicina rigenerativa “del corpo e della mente come fu in origine nella medicina Ippocratica. Oggigiono tale antico principio viene riletto dalla moderna “Bio-medicina” , principalmente in termini di ricerca Nutrigenomica, cioe delle relazioni tra metaboliti e DNA, nonche’ delle produzione di integatori Nutraceutici capaci di stimolare la rigenerazione ed il rafforzamento delle cellule dei vari organi di un sistema vivente.
Nell’ ambito di questa visione innovativa dello sviluppo dell KBBE ( Knowledge based Bio-Economy) si apre con la proposta di costituzione del network NUTRA -SCIENZA tesa ad agire come gruppo trans-discilinare e multi attoriale, orientato a favorire lo sviluppo di una nuova impostazione cognitiva della qualita del cibo e della sue relazioni con la salute , non piu relativa alla sua misurazione energetica in termini quantittivi di “calorie” , e quindi di proporre una della definizione innovativa delle diete, basata sui recenti studi di Nutrizione Personalizzata , relativamente agli studi sulla informazione molecolare, ed infine della importanza della produzione Nutraceutica nel favorire un superamento della malnutrizione a vari livelli di eta ed in relaziona alle differenti etnie che popolano un mondo ormai multietnico e con diverse culture alimentari.
Due iniziative recenti intraprese da EGOCREANET e collaboratori sulla base di questi “ Profilo di Intesa” sono :
a ) Progetto COST ACTION 2009 denominato Nutrition KIC ( Knowledge Innovation Community)
Vedi Fase Preliminare in : http://www.edscuola.it/archivio/lre/N-KIC.pdf
b) Proposa Progettuale : “Food for Brain & Brain For Food” per il 7PQ – CALL for Africa :
Vedi proposta iniziale in : http://www.edscuola.it/archivio/lre/FtoB_BtoF .
c) Realizzazione dell’ Incontro tra Impresa e Ricerca al Festival della Creativita a Firenze (16/OTT/09) La cui organizzazione e’ uno per punti di discusione del presente ODG.
VEDI :PP in http://www.edscuola.it/lre.html
Mi auguro che il dibattito odierno tenga conto di queste linee sintetiche che propongo come introduzione molto schematica, ma sostanziale di idee innovative, su cui basare la realizzazione della Rete Nazionale tra Impresa e Ricerca denominata NUTRA-SCIENZA
Paolo Manzelli, pmanzelli@gmail.com Riunione del 05/OTT/2009 FIRENZE c/o TINNOVA
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Quando i salari sono senza dignità
LUCIANO GALLIANO
La Repubblica 07.10.2009
La Confederazione sindacale internazionale, che conta nel mondo 150 milioni di aderenti (compresi gli iscritti a Cgil, Cisl e Uil), ha dichiarato che oggi è la giornata mondiale del Lavoro Dignitoso. Sarà celebrata con numerose iniziative in un centinaio di paesi.
Il nome che è stato dato alla giornata non è un’etichetta di maniera. Un lavoro merita di venir definito dignitoso quando assicura a chi lo presta alcune specifiche sicurezze, da un salario il cui importo sia sufficiente per un’esistenza civile alle tutele sindacali, dalla possibilità di sviluppo professionale ad una pensione accettabile. La crisi in atto ha minato nel nostro come in altri paesi sviluppati anzitutto la sicurezza del salario (nel doppio senso di stabilità e importo) per milioni di persone che ne godevano, mentre nei paesi in via di sviluppo masse di lavoratori la vedono sempre più lontana.
Tra la sicurezza del salario che viene meno per chi l’aveva, e l’insicurezza di coloro che non l’hanno mai conosciuta, esiste una relazione diretta che non è dovuta alla crisi. Quest’ultima l’ha soltanto messa in maggior evidenza. I nostri salari sono bassi perché nei maggiori paesi emergenti, in primo piano Cina eIndia, sono da cinque a dieci volte più bassi. Questo squilibrio produce da vari lustri una serie di conseguenze negative per i lavoratori. Le imprese che producono merci e servizi trasferiscono quote crescenti della produzione, o dei posti di lavoro, o di tutt’e due, nei paesi dove i salari sono più bassi. A volte minacciano soltanto di farlo, ma il risultato è analogo: una pressione crescente sui salari e sulle condizioni di lavoro nei nostri paesi al fine di rendere gli uni e le altre più “competitivi”.
Al tempo stesso fiumi di merci a basso costo, prodotti per circa due terzi da imprese Ue e Usa delocalizzate, ovvero da decine di migliaia di sussidiarie da loro controllate nei paesi emergenti, inondano i nostri mercati e ne cacciano le produzioni locali. Il consumatore che alberga in ciascuno di noi è ben contento di poter acquistare una camicia a 10 euro, un giocattolo per 5 e un elettrodomestico per meno di 50; mentre nel lavoratore che sta in noi, o nella nostra famiglia, o nel vicinato, cresce la preoccupazione per il salario che rischia di scomparire.
Intanto che la persona morale, la quale sta pure in noi, da parte sua sonnecchia, poiché quei prezzi così ridotti sono resi possibili da paghe che nei paesi asiatici sono inferiori a un euro l’ora, e da condizioni di lavoro sovente indecenti.
In questo conflitto creato di proposito dalle corporation occidentali tra i nostri salari e quelli asiatici è insita anche una notevole insensatezza economica, che la crisi attuale ha posto in severa luce. Essa si compendia nel fatto che i lavoratori a basso salario dei paesi sviluppati consumano meno, pagano meno tasse, versano contributi minori per la previdenza e la sanità, siano pubblici o privati, fanno studiare i figli per meno anni. Ciò significa che i bassi salari sono un danno sia per loro, sia per l’intera economia. In Usa, una delle cause principali della crisi partita dai mutui facili sta in un solo dato: il 90% dei lavoratori americani aveva nel 2006 un reddito reale inferiore a quello del 1973, meno di 30.000 dollari in luogo di 31.000. E si veda quel che accade in Italia: comuni in difficoltà per fornire servizi essenziali, mentre mancano 800.000 posti negli asili e nelle scuole materne; ferrovie al limite della decenza per la maggior parte degli utenti; scuole in cui sono i genitori a portare i gessetti; dipartimenti scientifici che frugano nei bilanci non per acquistare l’ultimo supercomputer ma la carta per la stampante, e non da ultimo migliaia di chilometri quadrati di terreni di montagna e collina pronti a crollare e uccidere. Per nessuna di queste urgenze, affermano le autorità, ci sono abbastanza soldi. Ma qualcosa in più sicuramente ci sarebbe se i salari reali non fossero quasi fermi da oltre dieci anni, grazie alle strettoie della cosiddetta competitività.
Nei paesi asiatici, ovviamente, i lavoratori stanno assai peggio, perché ai salari cinque o dieci volte più bassi si accompagna la scomparsa o la drastica riduzione della protezione sociale. Assistenza sanitaria, pensioni, istruzione: se uno vuole qualcosa più del minimo, che spesso è prossimo al niente, deve pagarselo. Ma non guadagnano abbastanza, e l’intera domanda interna ristagna. Pertanto, lasciando da parte i richiami alla morale, ai quali il comportamento economico razionale è per definizione scarsamente sensibile, un modo efficace per difendere il salario presente e futuro dei lavoratori italiani ed europei consisterebbe nell’aumentare il salario dei lavoratori asiatici.
Da questo punto di vista, tra le iniziative collegate alla giornata mondiale del Lavoro Dignitoso merita attenzione la campagna volta a offrire un salario minimo vivibile ai lavoratori asiatici, lanciata dai sindacati internazionali dell’abbigliamento. Il 60% dei capi di abbigliamento venduti nel mondo viene prodotto da 100 milioni di lavoratori residenti in sette paesi asiatici, di cui i più popolosi sono Cina, India e Indonesia; i più poveri, Bangladesh e Cambogia. I sindacati hanno individuato in 475 dollari mensili (poco più di 300 euro), tenuto conto del potere di acquisto interno di ciascun paese, l’importo del salario minimo vivibile o dignitoso per mantenere una famiglia di quattro persone. Tale somma rappresenta solo il doppio dell’attuale salario minimo in India, e poco più di quello cinese, ma sarebbe quattro volte superiore a quello attuale della Cambogia, e sette volte a quello del Bangladesh. I sindacati dell’abbigliamento non si fanno quindi molte illusioni circa la possibilità di portare rapidamente il salario minimo di quei paesi al livello indicato. Ma confidano che sia nei paesi in via di sviluppo, sia in paesi come il nostro, si facciano strada politiche industriali, e politiche del mercato del lavoro, fondate sulla consapevolezza che il livello dei nostri salari e la qualità della nostra economia dipende non poco dall’aumento dei salari dei lavoratori asiatici. A cominciare da quelli occupati direttamente o indirettamente da corporation Usa e Ue.
http://www.dirittiglobali.it/articolo.php?id_news=15263
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LAVORO- DOMANI GIORNATA MONDIALE DEL LAVORO DIGNITOSO- APPELLO DELLA CES: ” L’OCCASIONE DI UNIRVI PER IL CAMBIAMENTO”
06.10.2009
La crisi economica minaccia l’ occupazione ed il futuro di moltissime persone. Decenni di deregolamentazione e sfruttamento da parte di una piccola minoranza hanno fatto piombare il mondo nella crisi economico-finanziaria più grave dal 1930.
Il lavoro dignitoso deve puntare, dunque, al cuore delle azioni governative per rilanciare la crescita economica e costruire una nuova economia mondiale che dia la precedenza alle persone. La Confederazione sindacale internazionale (Ces) lancia così, in occasione della giornata mondiale per il lavoro dignitoso, il 7 ottobre 2009, una campagna per la riforma economica e chiede alle sue organizzazioni di aderire all’appello: “Avete l’occasione di unirvi a milioni di partecipanti nel mondo ad una mobilitazione comune per il cambiamento”.
Secondo la CES Sforzi senza sosta dovranno essere compiuti per far fronte alla disoccupazione galoppante ed alle sue conseguenze sociali. La Ces ricorda al nuovo Presidente della Commissione europea le rivendicazioni contenute nella dichiarazione di Parigi, adottate dai leader sindacali europei in giugno scorso. I sindacati europei richiedono che la Commissione si impegni per garantire: posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità tramite investimenti in un vasto piano europeo di rilancio; sistemi di protezione sociale più forti per garantire più sicurezza ed evitare l’esclusione sociale; migliori salari attraverso il rafforzamento dei negoziati collettivi; la solidarietà europea per contrastare gli eccessi del capitalismo finanziario.
Al consiglio europeo straordinario tenutosi a Bruxelles, i sindacati europei hanno chiesto di riequilibrare l’enorme sostegno di cui hanno beneficiato i sistemi bancari (tre miliardi di euro in capitale e in garanzie bancarie, liquidità massiccia a un tasso d’interesse quasi 0). Il credito agli investimenti produttivi resta invece negato mentre riappaiono comportamenti speculativi, profitti bancari e bonus per banchieri e brokers. (06/10/2009-ITL/ITNET)
http://www.italiannetwork.it/news.aspx?ln=it&id=13497
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Trapianti: cuore nuovo a malato HIV 05.10.2009
E’ stato eseguito all’ISMETT di Palermo per la prima volta in Italia un trapianto di cuore su un paziente HIV positivo.
In tutto il mondo sono stati realizzati solo una decina di questo tipo di interventi. Il trapianto è stato effettuato nelle scorse settimane, nell’ambito del programma portato avanti dal 2002 dalla Commissione Nazionale Aids e dal Centro Nazionale Trapianti, ma solo ora l’ISMETT ne ha dato notizia.
Il cuore nuovo è stato ricevuto da un adulto, proveniente da una regione del Nord Italia e affetto da insufficienza cardiaca a eziologia ischemica associata a un’infezione da HIV.
Il paziente era stato valutato dall’equipe multidisciplinare dell’ISMETT un paio di anni fa e solo nel giugno scorso, dopo essere stato sottoposto a una terapia medica ed a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute, era stato iscritto nella lista d’attesa per il trapianto.
L’operazione è stata eseguita perchè, dalle esperienze di trapianto condotte all’estero e in Italia su soggetti con infezione da Hiv, è stato evidenziato un tasso di sopravvivenza sostanzialmente sovrapponibile a quello dei soggetti senza infezione da HIV.
A intervenire, alla fine di agosto dall’equipe del dottor Michele Pilato, responsabile del programma di trapianto di cuore di ISMETT. Il malato è stato dimesso da ISMETTnei giorni scorsi, dopo aver passato un lungo periodo di convalescenza presso l’Istituto.
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Un velo politico sul Cairo 07.10.2009
IGOR MAN
H. Abukir: dall’alto di queste Piramidi…» (Lesseps) – son parole di tutti i giorni, in Egitto; una sorta di mantra dedicato al popolino del più grande e problematico dei Paesi arabi. L’esortazione ad arrangiarsi è antica. Ma va detto, per onestà di cronista, che il Nilo non è soltanto turismo.
Grazie al quale, tuttavia, il regime sistema ogni anno i conti d’un Paese dove nasce un bambino ogni trenta secondi. Per annosa deficienza strutturale, l’Egitto vive da sempre la stagione della speranza: che finiscano le ruberie dei bajumi, costruttori di falansteri eretti con annacquato cemento. Nell’attesa d’una svolta culturale che vorrebbe cancellare anni lunghi in precario equilibrio sul filo dell’abisso, il Presidente Mubarak, sollecitato e sorretto da una moglie che ai cenoni dei nuovi ricchi preferisce cibo da caserma, il raiss duramente contestato, ha sciolto un nodo invero «storico». Il grande imam dei sunniti, Sheik Mohammad Tantawi ha parlato chiaro e semplice affinché potessero capirlo i fellah che spesso vanno a letto, la sera, saltando il pasto solitario d’una giornata miserabile. Lo Sceicco ha testualmente detto: «Il nikab, il velo che copre il volto delle donne (con l’eccezione di quelle occidentalizzate), è una tradizione del tutto estranea all’islam (…). Emanerò una direttiva che proibisce l’uso del velo in tutte le scuole gestite da Al Azhar (la celeberrima “cattedrale islamica”)».
«Finalmente il Rettore di Al Azhar, suprema autorità della Sunna (in contrasto secolare con gli sciiti), ha chiarito che le donne mussulmane hanno diritto alla loro identità.
«Il velo è del tutto estraneo alla tradizione islamica», dice una radiosa Saltamartini, responsabile delle Pari Opportunità del Pdl. A Montecitorio è in corso l’esame delle proposte di legge per vietare il velo. (Sbaglierò ma è piuttosto difficile che passi – E poi?).
Le dichiarazioni dello Sceicco han fatto sortire bandierine di carta e stenti lumini nei quartieri più poveri di Cairo. Il lettore si chiederà il perché di questa euforia, proveremo a spiegarlo, anzi a tentar di spiegarcelo. Al tempo di Nasser, raiss laico ma credente, la preoccupazione della gente era quella del pane che scarseggiava. Nasser col suo sogno della diga di Assuan trascurò per forza di cose quello che chiamava «il mio villaggio». La parentesi di Sadat aspetta ancora un critico schietto, la libertà di nikab, voluta dal raiss in carica ha due facce. Vediamo. Non è un mistero che l’Egitto stia passando momenti difficili: l’economia è in (timida) ripresa ma a crucciare gli effendi è uno stato d’allarme permanente: l’immenso groviglio di posti di frontiera non basta ad assicurare una vita decente. Sharm el Sheik è sempre gremita di turisti a prezzi stracciati ma s’è fatto il calcolo che per proteggerli si spendono cifre paradossali.
Qui è da fare una domanda. Sheik Tantawi era contrario alla «condanna» del velo. Come mai e perché. Risposta: «I changed my mind, ho cambiato idea». Troppo poco, in un Paese dove comanda uno solo: lui, Mubarak. Mentre in Iran (altro immenso spazio religioso, però sciita) i pasdaran, le forze di polizia, sono autonomi (gli ordini li danno, non li prendono), in Egitto gli ulema li prendono: sono ufficialmente alla greppia governativa. Mubarak, scaltro, tenace, coraggioso, se ne serve e, finora, al momento giusto. Gli egiziani son «brava gente», lasciamoli seminar ottimismo, poi si vedrà, si sarà detto, una volta ancora, Mubarak. In un Paese obbligatoriamente mite, la sua «mobilitazione» dei credenti è una gran mossa. Forse solo psicologica. Dice un vecchio aforisma beduino: «Puoi picchiare la tua giumenta tutta la vita ma non stupirti se un giorno ti morderà».
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Cin cin alla ricerca! 07.10.2009
Quando si dice Asti si pensa a un calice pieno di spumante, poiché il vino è parte integrante della cultura astigiana. Ed è proprio in questa provincia che sorgono le colline di Albugnano, un piccolissimo comune nel quale è collocata l’Azienda sperimentale di Vezzolano che, senza tradire il folclore piemontese, svolge attività di ricerca e sperimentazione nel settore vitivinicolo. Di proprietà dell’Accademia di Agricoltura di Torino, l’Azienda Sperimentale è stata concessa nel 2002 in comodato d’uso gratuito alla Comunità Collinare ‘Alto Astigiano’, che a sua volta, l’anno successivo, ha affidato, in sub-comodato, la gestione dell’Azienda all’Istituto per le macchine agricole e movimento terra (Imamoter) del Cnr. Lo scopo principale, oltre alla gestione, era ed è tuttora quello di effettuare validi studi nel settore agricolo-meccanico e di sviluppare e sperimentare nuovi macchinari e tecniche agricolo-collinari.
La convergenza di tanti e tali enti rende i 27 dell’Azienda sperimentale di Vezzolano un tracciato in cui convergono attività e analisi in continuo movimento evolutivo. “Grazie all’attuale convenzione tra l’Accademia, la Comunità e il Cnr, si è potuto passare alla progettazione di nuove attività che riguardano l’impianto di nuovi vigneti, frutteti e noccioleti sperimentali, il reimpianto di un campo sperimentale sulle piante officinali e la predisposizione di un giardino botanico”, afferma Renato Delmastro, ricercatore dell’Imamoter-Cnr di Torino. “Intanto proseguiranno anche le attuali attività di ricerca in corso, come la meccanizzazione del settore viticolo-enologico, l’utilizzo di reflui in sub-irrigazione, il compattamento e l’inerbimento del vigneto e l’utilizzo del compost come concimazione”. Nell’Azienda Sperimentale di Vezzolano si svolgono anche incontri, giornate di formazione, convegni e workshop, organizzati con la collaborazione di Regione Piemonte, Coldiretti, Unacoma, Arproma, Enama e moltissime importanti aziende private. In tutto ciò non viene dimenticata la divulgazione informativa nei confronti dei giovani, come dimostrano le cospicue presenze di studenti di ogni età (circa 1.000 ragazzi ogni anno) che periodicamente visitano l’Azienda, e che s’intensificano nel periodo della vendemmia. A tal proposito, dal 2006 l’Azienda ha dato vita a un evento il cui titolo ha il nostalgico sapore di ieri. “La manifestazione, denominata ‘La vendemmia del tempo che fù’, ha proprio l’intento di approfondire i temi legati alla vendemmia, al territorio, alle macchine agricole nuove e antiche, facendo risaltare interessanti aspetti folcloristici. Anche quest’anno la manifestazione ha avuto luogo con la sua esposizione di macchine antiche, le sue visite guidate all’Azienda e le occasioni di degustazioni enogastronomiche per deliziare i desideri di palato e sapere.
Nell’Azienda Sperimentale di Vezzolano, dunque, la tecnica del futuro si lega all’esperienza e alla saggezza del passato, in nome di una passione tutta piemontese a cui non resta che brindare.
Giorgia Martino
Fonte: Renato Delmastro, Istituto per le macchine agricole e movimento terra del Cnr, Torino, tel. 011/9920669, e-mail: r.delmastro@asv.imamoter.cnr.it
http://www.almanacco.cnr.it/articoli.asp?ID_rubrica=1&nome_file=02_15_2009
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Presidente della Banca europea: lo yuan deve essere riapprezzato 06.10.2009
Per Trichet le valute dei Paesi emergenti vanno apprezzate in modo progressivo ma costante, nei confronti di euro e dollaro. Ma la Cina non intende farlo, anche per non deprimere le esportazioni e aumentare la disoccupazione. Esperti: sempre più si profila uno scontro tra Paesi sviluppati ed emergenti.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet sollecita Pechino a riapprezzare lo yuan e portarlo all’effettivo valore. Cresce la richiesta mondiale perché la Cina lasci fluttuare lo yuan secondo le leggi di mercato, ma Pechino continua a rifiutare una scelta che vorrebbe dire accollarsi buona parte del prezzo per il miglioramento dell’economia mondiale.
Nel corso dell’annuale incontro del Fondo monetario internazionale, la scorsa settimana a Istanbul, economisti di tutto il mondo hanno discusso se la ristrutturazione dell’economia mondiale implichi un minor peso del dollaro e un rinforzamento dell’euro. L’euro ha guadagnato circa il 16% contro il dollaro dal marzo 2009.
Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale ed ex Segretario di Stato Usa, ha rilevato che il dollaro è sempre meno valuta di riferimento e ha indicato quali valide alternative l’euro e lo yuan.
A sua volta Trichet, in un’intervista trasmessa ieri dalla televisione turca, ha indicato che le valute di diversi Paesi emergenti sono molto sottostimante e che “un numero di valute deve apprezzarsi, in modo progressivo e ordinario, sia nei confronti del dollaro che dell’euro”. Anche se Trichet non ha specificato meglio, le nazioni sviluppate da tempo sollecitano la Cina a riapprezzare lo yuan, che ritengono tenuto basso in modo artificiale.
Pechino è molto criticata perché non ha consentito alcun apprezzamento dello yuan dall’estate 2008 quando è esplosa la crisi finanziaria globale. Un suo allineamento ai valori effettivi consentirebbe agli Stati Uniti e agli altri Paesi sviluppati di diminuire il disavanzo negli scambi commerciali e causerebbe un aumento del prezzo delle merci cinesi, cosa che porterebbe i Paesi occidentali a diminuire il consumo e a favorire la scelta di prodotti locali.
L’Istituto Peterson, negli Usa, ritiene che il renminbi sia sottostimato di circa il 40% rispetto al valore reale.
Seppure tutti concordano sulla necessità di riformare le istituzioni economiche internazionali e riconoscere loro un maggior ruolo di controllo, sempre più si delinea un confronto tra Paesi sviluppati e Paesi emergenti su quanto ognuno dovrà fare per favorire il superamento della crisi globale.
Peraltro l’economia cinese è ancora fondata in gran parte sull’esportazione e conta proprio in una sua ripresa per diminuire la disoccupazione e riprendere la produzione. Né può consentirsi elevati tassi di disoccupazione che potrebbero causare diffusi disordini sociali, anche considerate la mancanza di ammortizzatori sociali e la situazione di povertà di parte della popolazione. Per tutto questo Pechino non intende consentire uno yuan più forte, che colpirebbe le esportazioni, come da Istanbul ha ribadito Yi Gang, vicegovernatore della centrale Banca di Cina.
Esperti osservano che Pechino non intende fare alcuna concessione senza prima avere ottenuto adeguate contropartite, anzitutto in ordine alla sua importanza negli organismi finanziari internazionali e alla posizione dello yuan tra le valute mondiali. In questa battaglia è spalleggiata da altri Paesi emergenti, come India e Brasile.
Questa politica richiede però tempi non brevi, anche perché Pechino deve prima riorientare il suo modello di sviluppo e renderlo meno dipendente dalle esportazioni. Invece gli Stati occidentali vogliono ottenere risultati in tempi rapidi, anche per le esigenze delle loro industrie e del mondo del lavoro. Ora il confronto si sposterà alla prossima riunione dei G20, che i leader mondiali hanno deciso che sarà la sede principale per discutere di politica economica, perché vi sono rappresentati la Cina e altri Stati emergenti assenti invece dal G7.
http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=16513&size=A
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Genova 2001
G8 di Genova, assolti De Gennaro e Mortola: ”Non indussero a mentire” 07.10.2009
Genova, 7 ott. – (Adnkronos/Ign) – Sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto per l’ex capo della Polizia e l’ex dirigente della Digos genovese, accusati di avere indotto a falsa testimonianza l’ex questore Francesco Colucci in relazione ai fatti del G8 del 2001 (VIDEO). Il difensore del prefetto: “Decisione che restituisce piena dignità“. Corte Europea dei Diritti: Carlo Giuliani ucciso per legittima difesa
Genova, 7 ott. – (Adnkronos/Ign) – Assolti per non aver commesso il fatto. E’ questa la decisione del Tribunale di Genova nei confronti dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e dell’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola, accusati di avere indotto a falsa testimonianza l’ex questore Francesco Colucci in relazione ai fatti del G8 di Genova del 2001. De Gennaro e Mortola sono stati giudicati con rito abbreviato. ”Siamo molto, molto soddisfatti di questa sentenza, che è la degna conclusione di un processo condotto con grande serenità dal giudice e dalle parti”, ha detto l’avvocato Carlo Biondi che, insieme al professor Franco Coppi, ha assistito l’ex capo della Polizia.
Lo scorso luglio, i pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini avevano chiesto due anni di carcere per De Gennaro (attualmente direttore del Dis, dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) e un anno e 4 mesi per Mortola, oggi numero due della questura di Torino.
”E’ una sentenza – spiega Biondi – che restituisce piena dignità al prefetto. Il comportamento descritto dall’accusa era estraneo alla sua carriera e al suo stile di vita professionale, del resto De Gennaro non aveva nessun interesse, né personale né verso terzi, nella vicenda. Ci auguriamo che la procura non intenda ricorrere, in ogni caso siamo certi che qualsiasi giudice non potrà che confermare questa sentenza”. Colucci, che ha scelto il rito ordinario, sarà rinviato a giudizio.
Soddisfazione anche da parte del governo. Per il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, “la sentenza non è solo un atto di giustizia che rende merito al diretto interessato. E’ l’ennesima smentita del teorema del complotto, costruito da qualche pm: singoli appartenenti alle forze di polizia possono sbagliare, e se sbagliano è ovvio che paghino. Ma il sistema è sano, a cominciare dai suoi vertici. La sentenza di Genova è un’ulteriore certificazione in questa direzione”.
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Riporto un’intervista fatta a Mario Placanica (accusato e assolto per l’omicidio di Carlo Giuliani) sul quotidiano CalabriaOra il 06.12.2006, giusto per mettere in evidenza comportamenti degni di encomio.
Per la prima volta, il carabiniere catanzarese che era sulla jeep defender in piazza Alimonda, nel corso dei drammatici giorni del G8 genovese del 2001, afferma esplicitamente di essere “un capro espiatorio usato per coprire qualcuno” e di non avere ucciso lui Carlo Giuliani. Alcuni particolari sono raccapriccianti, come le reazioni entusiaste dei colleghi di Placanica dopo la morte di Carlo. E poi Placanica si pone queste domande: “Perché alcuni militari hanno ‘lavorato’ sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?”. E poi, sempre per la prima volta, ricostruisce l’incidente automobilistico che ha avuto qualche anno fa. “Lo sterzo è come se si fosse bloccato, non riuscivo più a sterzare”, afferma. In questi anni, Placanica, dopo essere stato assolto dall’accusa di omicidio [secondo i giudici, aveva sparato “per legittima difesa”] è stato congedato per problemi comportamentali dall’Arma, ha cercato di candidarsi alle amministrative con Alleanza nazionale [che era il partito a cui era iscritto: poi si è candidato con una lista civica]. Le rivelazioni di Placanica confermano la necessità di fare chiarezza su ciò che è avvenuto a Genova nel luglio 2001: sulla catena di comando delle forze dell’ordine, sulle responsabilità dei politici che stavano nella sala operativa, sugli abusi commessi sulle centinaia di migliaia di cittadini che manifestavano liberamente. E sulla morte di Carlo Giuliani, un ragazzo. Mario Placanica rompe il silenzio e racconta la sua verità. Il G8 visto da un’altra “inquadratura”. Anche questa purtroppo incompleta. Solo un tassello in più nel quadro a tinte fosche di quel luglio genovese. Sono passati cinque anni e quattro mesi dal 20 luglio del 2001, dalla morte di Carlo Giuliani. Mario Placanica, il carabiniere che sparò a piazza Alimonda, si è sposato, è diventato padre e non è più carabiniere. L’Arma lo ha ritenuto non idoneo, congedato per “disturbo dell’adattamento con ansia ed atipie del pensiero”. Lui però non ci sta. Si è sottoposto ad altre visite che lo hanno dichiarato sano, ha fatto ricorso al Tar e ora ha deciso di non tacere più. Dice di non aver più paura della verità. Non ha una versione alternativa su quei terribili momenti, ma di una cosa appare certo: non è stato lui a uccidere il giovane manifestante.
Quando sei arrivato a Genova?
Siamo arrivati il 17 luglio.
A quale reparto eri stato assegnato?
Ero con il dodicesimo battaglione Sicilia.
Da quanto tempo eri nel battaglione?
Da dicembre del 2000.
Avevi già svolto compiti di controllo dell’ordine pubblico?
Sì, un banale servizio d’ordine allo stadio di Palermo.
Arrivato a Genova che clima hai trovato?
Eravamo stanchi. Le operazioni di sistemazione sono state lunghe e snervanti.
Tra i colleghi vi confrontavate?
C’era una tensione indescrivibile.
Gli ufficiali tentavano di tranquillizzarvi?
I superiori gridavano sempre.
Che ordini vi sono stati impartiti per le giornate del G8?
Ci dicevano che le situazioni sarebbero state un po’ particolari, non come semplice ordine pubblico ma qualcosa di più.
In che senso?
Ci dicevano di stare attenti, ci raccontavano che ci avrebbero tirato le sacche di sangue infetto. Ci dicevano di attacchi terroristici. La sensazione era come se dovessimo andare in guerra.
Si è detto che per tenersi carichi alcuni fecero uso di droga.
Che io sappia no. Certo che c’era un’agitazione fuori dalla norma. Può darsi anche questo. Io non ne ho mai fatto uso.
Quella mattina del 20 luglio dove sei stato dislocato?
Ci hanno posizionato vicino la “Fiera” insieme ad alcuni poliziotti. Ci sono state delle cariche sul lungomare, ma solo di alleggerimento. Abbiamo partecipato alle cariche in cui venne dato alle fiamme il blindato dei carabinieri. In quella situazione mi è stato affidato il compito di sparare i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Però dopo un po’ il maggiore Cappello mi ha preso il lanciagranate perché diceva che non ero capace. Io stavo sparando a “parabola”, così come mi è stato insegnato, e invece lui ha iniziato a sparare ad altezza d’uomo, colpendo in faccia le persone. Cose allucinanti.
Quando hai iniziato a sentirti male?
Io dovevo togliere il nastro ai lacrimogeni e passarli al maggiore Cappello.
Quando si toglie il nastro fuoriesce un po’ di gas e quindi ho iniziato a sentirmi male. Così sono stato accompagnato in una via che conduce a piazza Alimonda. Sulla strada ho visto di tutto, ho visto picchiare a sangue dal colonnello Truglio e dal maggiore Cappello alcune persone con la macchina fotografica. Ho iniziato a vomitare e mi hanno fatto salire sulla camionetta.
Chi eravate sul Defender?
C’eravamo io, Cavataio, carabiniere in ferma biennale e, Raffone, un ausiliario seduto dietro insieme a me.
Nessuno che avesse esperienza?
Sì, eravamo solo noi.
Accanto avevate un’altra camionetta?
Si, c’era un altro defender con a bordo il colonnello Truglio. Il responsabile del nostro mezzo era il maggiore Cappello.
C’erano altri colleghi?
C’era il plotone dei carabinieri davanti a noi che ci faceva da scudo.
Dalle immagini si vede partire la carica dei manifestanti, tu cosa hai visto?
I carabinieri sono scappati, ci hanno superato, noi abbiamo fatto retromarcia e siamo rimasti incastrati contro un cassonetto della spazzatura.
Cosa ti ricordi di quei momenti?
Solo un rumore infernale.
Quando vi siete incagliati cosa hai pensato?
Ci hanno lasciato soli, ci hanno abbandonato. Potevano intervenire perché c’erano i carabinieri e anche gli agenti della polizia. Potevano fare una carica per disperdere i manifestanti e invece non hanno fatto niente. Quel momento è durato una vita.
Quando hai estratto la pistola?
Quando mi sono visto il sangue sulle mani. Ero stato colpito alla testa. Ho tolto la pistola e ho caricato.
Cosa vedevi davanti a te?
Non vedevo praticamente nulla, ero quasi steso, solo Raffone era un po’ più alzato. Mi è arrivato l’estintore sullo stinco, scalciando con i piedi l’ho ributtato giù. Loro continuavano con questo lancio di oggetti, io ho gridato che avrei sparato. Poi ho sparato in aria.
Sei convinto di aver sparato in aria?
Sono convinto di aver sparato in aria, non ho preso mira, è la verità.
Quanti colpi hai sparato?
Due colpi, tutti e due in aria.
Eri seduto?
Ero steso, con il braccio alzato verso l’alto, all’interno del defender. La mano era sopra la ruota di scorta del Defender.
Hai sentito solo i tuoi due colpi?
Sì. Dopo i due spari sul defender è salito un altro carabiniere che si chiama Rando di Messina e ha messo lo scudo sul vetro che avevano rotto.
Davanti è salito un maresciallo dei Tuscania di cui non ricordo il nome. E siamo partiti. Eravamo diretti all’ospedale ma abbiamo dovuto allungare il percorso perché sulla strada c’erano i manifestanti, quelli di Agnoletto, che non volevano farci passare. Al pronto soccorso mi hanno ricoverato perché avevo perso molto sangue.
Non vi siete accorti di quello che era successo a piazza Alimonda?
No. Ho saputo della morte di Carlo Giuliani alle 23 quando sono venuti in ospedale i carabinieri con un maggiore. Però non mi hanno comunicato la notizia in ospedale. Mi hanno fatto dimettere, mi hanno fatto firmare la cartella e mi hanno portato in caserma. Lì mi hanno detto che avevo ucciso un manifestante.
Come ti sei sentito in quel momento?
Mi è caduto il mondo addosso. Io sapevo di aver sparato però ero convinto anche di aver sparato in aria. Mi hanno fatto l’interrogatorio, mi hanno messo sotto pressione e io ho risposto quello che potevo rispondere. Hanno cercato di farmi dire qualcosa in più, ma io l’ho detto che non avevo sparato direttamente.
Quanto è durato l’interrogatorio?
Un’ora circa, intorno a mezzanotte.
E dopo cosa è successo?
Mi hanno riportato alla fiera di Genova. Mi hanno fatto dare sette giorni di prognosi.
Che ambiente hai trovato quando sei rientrato in caserma?
Mi chiamavano il killer. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato un basco dei Tuscania, “benvenuto tra gli assassini” mi hanno detto.
I colleghi erano contenti di quello che era capitato?
Si, erano contenti. Dicevano morte sua vita mia, cantavano canzoni. Hanno fatto una canzone su Carlo Giuliani.
Tu come ti sentivi?
Io ero assente, non volevo stare con nessuno, mi sentivo troppo male.
Dopo tre giorni ti hanno mandato a Palermo.
Ero felice di lasciare quel posto. Però appena arrivato in Sicilia sceso dall’autobus il colonnello mi ha preso a schiaffi.
Perché?
Forse per scrollarmi un po’, ma non lo so.
A Palermo come ti hanno accolto i colleghi?
Tutti mi chiedevano, si informavano. Non ti dico che pressione psicologica.
Ma a casa quando sei tornato?
Dopo una settimana che ero a Palermo mi hanno dato trenta giorni di convalescenza. Però mi hanno mandato nella caserma di Sellia e i miei genitori non potevano entrare. Mio padre tra l’altro era ricoverato in ospedale a Catanzaro. Io uscivo di nascosto, ma a Catanzaro non sono riuscito a salire.
Che idea ti sei fatto, era per proteggerti o perché non volevano che parlassi all’esterno?
Non lo so se mi proteggevano o avevano paura di qualcosa. Anche perché subito in quei giorni mi hanno messo gli psicologi per farmi controllare. Ma io che malattia avevo?
Certo che accettare di aver ucciso un ragazzo…
Ma io non ero sicuro di averlo ucciso. Mi venivano i dubbi perché se io ho sparato in aria come fanno a dire che l’ho colpito in faccia, che sono un cecchino.
Avevi sparato prima di quel giorno?
Tre volte al poligono e non ti dico i risultati, non ne ho preso uno. Non ero buono con la pistola anche per questo mi hanno mandato al battaglione.
Alle stazioni mandano quelli più bravi, gli altri vanno nei battaglioni.
Dopo Sellia ritorni in Sicilia.
Lì sono iniziati i problemi. Perché tutte quelle domande erano uno stress incredibile. Insomma ho iniziato a marcare visita. Mi hanno trasferito a Catanzaro al reparto comando, poi sono andato a un corso integrativo in Sardegna. Ma anche lì continuavano le domande e non ho neanche finito il corso. Sono tornato in Calabria e per due anni ho iniziato a lavorare a singhiozzo.
In questo periodo ti capita un altro episodio che ha fatto discutere. Ti salvi quasi miracolosamente da un incidente stradale.
Ho perso improvvisamente il controllo del veicolo. Lo sterzo è come se si fosse bloccato, non riuscivo più a sterzare.
Dopo questo periodo difficile però inizi a sentirti meglio e il 22 novembre 2004 ti sottoponi a una visita psichiatrica all’ospedale militare per tornare in servizio.
Era parecchio che non lavoravo, mi sentivo di voler riprendere, ero più sereno, mi ero appena fidanzato. Il dottore Pagnotta dell’ospedale militare dopo avermi esaminato mi dice che ero idoneo. Porto il certificato in commissione medica e invece i tre ufficiali della commissione non ne tengono conto e mi dicono che mi fanno fare un’altra visita.
Perché un’altra visita?
Non me lo hanno detto. Mi hanno mandato dalla dottoressa Vittorina Palazzo.
Secondo me avevano già deciso di congedarmi. Con la dottoressa ci eravamo già visti a Villa Bianca. Io ero andato perché prendevo delle gocce per dormire. Lei invece, senza visitarmi, mi ha fatto prendere l’Aldol. Dormivo venti ore al giorno, mi ha rovinato, non me lo doveva dare.
Fai quest’altra visita il 13 dicembre del 2004 e cosa succede?
La dottoressa mi ha dichiarato non idoneo. Mi è caduto il mondo addosso.
Potevi però chiedere di essere destinato agli uffici?
Me lo hanno consigliato loro di fare domanda e io l’ho fatto. Non l’hanno accolta perché non ero inquadrato nella forza dell’Arma, perché ero ancora in ferma volontaria. I quattro anni però erano già scaduti, ma non ne hanno tenuto conto.
Hai presentato ricorso al Tar?
Ma dicono che è inammissibile il mio rientro, hanno prodotto la mia domanda per i ruoli civili sostenendo che io ero già consapevole di voler andare in ufficio, quando invece sono stati loro a consigliarmi di farla. E non hanno tenuto conto della mia causa di servizio, a me spetta il ruolo civile.
Perché non ti vogliono più?
Sono un capro espiatorio usato per coprire qualcuno. Le porte sono chiuse per Placanica.
A logica però sarebbe stato più conveniente tenerti buono e non lasciarti solo?
Però se vengo congedato per problemi psichici chi mi crede! Per anni mi hanno sottoposto a uno stress psichico insopportabile. Mi hanno detto che i no global mi avrebbero ammazzato. Sono arrivati a dirmi che avrebbero ucciso mia moglie quando era incinta. Con il congedo che mi hanno dato chi mi darà un lavoro?
Eppure c’è una terza perizia.
Ho chiesto una perizia di parte effettuata da Mauro Notarangelo che ha certificato che io sto bene. Sono riuscito a ripulirmi da tutti i farmaci che mi hanno fatto prendere.
A distanza di cinque anni quale è il tuo pensiero su questa vicenda?
Credo che mi sono trovato in un ingranaggio più grande di me. Che ero nel posto sbagliato, non si potevano mandare ragazzi inesperti e armati in quella situazione.
Secondo te si è detta tutta la verità sul G8 di Genova?
No.
Cosa è rimasto all’oscuro?
Ci sono troppe cose che non sono chiare.
A cosa ti riferisci?
A quello che è successo dopo a piazza Alimonda. Perché alcuni militari hanno “lavorato” sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?
Hai posto queste domande ai tuoi superiori?
Una volta ho telefonato al maggiore Cappello. Lui mi ha detto che non dovevo avere dubbi. Però lui mi disse di aver saputo quanto successo la sera alle 20 e invece nelle immagini che ho rivisto si vede lui accanto al corpo di Giuliani. Io non ho sentito altri spari, però anche i colleghi che erano dentro al defender non hanno sentito i miei colpi. Ritengo che cremare il corpo di Giuliani sia stato un errore, forse si sarebbe potuto scoprire di più, qualcosa sul corpo forse c’era.
Sei alla ricerca della verità?
Si. Come fanno a dire che l’ho sparato in faccia. Non è vero. È impossibile. Non potevo colpire Giuliani. Ho sparato sopra la ruota di scorta del defender.
Perché hai deciso di parlare solo adesso?
Perché ci vuole coraggio e io finalmente l’ho trovato. Merito anche dell’avvocato a cui mi sono rivolto, Antonio Ludovico, che mi ha sempre sostenuto e mi ha consigliato di non aver paura della verità.
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Oltre ogni limite 08.10.2009
MARCELLO SORGI
Silvio Berlusconi ha pieno diritto di annunciare che andrà avanti, anche dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il lodo Alfano e aperto la strada alla ripresa dei processi penali che lo vedono imputato. Quel che invece non può dire, come ha detto ieri, purtroppo, a caldo dopo la sentenza, è che la Corte ha deciso così «perché è di sinistra» e fa parte di uno schieramento che vuole soggiogare il Paese.
In questa che definisce «una minoranza», composta, sono parole sue, dal «settantadue per cento della stampa» e dai «comici che prendono in giro il governo», Berlusconi ha incredibilmente inserito il Capo dello Stato: alzando così a un livello insopportabile lo scontro istituzionale, e dimenticando che Napolitano aveva firmato il testo del ministro di Giustizia Alfano, proprio in base al verdetto con cui la Consulta aveva chiesto prima una serie di aggiustamenti per il precedente lodo Schifani.
Stavolta invece la Corte ha scelto una via più chiara: cassata la legge ordinaria, contingente e rappezzata sul testo del vecchio lodo, già sottoposto del resto a questione di costituzionalità, è come se avesse suggerito di ricorrere a una nuova legge costituzionale, per eliminare alla radice i problemi fin qui rivelatisi insolubili. Per un governo che poggia su una larga maggioranza, vanta una forte capacità «di fare» e nell’altra legislatura in cui era stato al potere era riuscito a cambiare quasi metà della Costituzione, non dovrebbe essere difficile, in tempi ragionevoli, realizzare un simile obiettivo. Né temibile affrontare il referendum confermativo previsto dall’articolo 138, che seguirà. Un referendum, è vero, che fu negativo per le riforme costituzionali introdotte dal centrodestra tra il 2001 e il 2006, ma stavolta si risolverebbe in un plebiscito su Berlusconi. E come tale potrebbe contare sul favore popolare, che ogni giorno il premier misura nei sondaggi e non si stanca di ricordare.
Anche senza conoscere le motivazioni di principio della Corte, si può provare a ragionare su alcuni dati concreti, che probabilmente non saranno stati estranei al ragionamento dei giudici della Consulta. Benché convinto di essere vittima di una persecuzione, Berlusconi infatti è arrivato a governare con fino ad 11 processi pendenti sulla sua testa. Ha sopportato condanne poi trasformatesi in assoluzioni, s’è salvato talvolta con le prescrizioni. E tutto ciò non gli ha impedito di vincere o perdere le elezioni, e tornare per la terza volta a Palazzo Chigi, a prescindere dalla pressione giudiziaria che si addensava su di lui, e in qualche caso avvalendosene anche come strumento di propaganda. Anche adesso, per spiacevole che sia visto il tenore delle accuse, quello che lo attende a Milano non è un patibolo. È un normale procedimento, che sarà celebrato da un collegio diverso da quello che ha posto la questione di costituzionalità ed andrà incontro a un termine di prescrizione nel febbraio del prossimo anno.
Inoltre, a riproporre in Parlamento la questione dell’immunità in generale, e non solo di quella che lo interessa, il premier potrebbe pure avere qualche sorpresa, se non da tutta, da settori dell’opposizione. L’immunità, si sa, era già prevista dalla Costituzione all’articolo 68. Ma ciò che i nostri Padri costituenti avevano inserito nel testo della Carta, a garanzia della libertà e della sicurezza della politica, fu modificato frettolosamente dai loro successori sull’onda di Tangentopoli e della cosiddetta «rivoluzione italiana».
Da allora in poi, e sono sedici anni, l’equilibrio tra i poteri (governo, Parlamento, magistratura) è cambiato. Si è passati dalla protezione assoluta di cui (grazie anche a frequenti amnistie che si concedevano) godevano parlamentari e uomini di governo nella Prima Repubblica, ad una minima, spesso insignificante, di cui i politici debbono oggi vergognarsi e alla quale si risolvono a rinunciare frequentemente, sotto la spinta di una gogna pubblica senza regole o limiti.
Non è un mistero che una situazione del genere non comprenda il solo Berlusconi, né il suo schieramento in particolare e neppure solo i parlamentari. Piuttosto, ormai, l’insieme della politica nel suo complesso, in un sistema in cui moltissimi, eletti o no, cittadini semplici o eccellenti, sono accusati, inquisiti, intercettati, ma si dimettono, o non si dimettono, dai loro incarichi pubblici, in pratica solo quando gli va, e sempre indipendentemente da processi, condanne e assoluzioni. Problemi come questi, non a caso, hanno riguardato in passato, tra gli altri, anche Prodi e D’Alema. Che hanno reagito con una diversa varietà di reazioni, ma con più rispetto per la magistratura e senza fare casi personali.
Certo era troppo aspettarsi che la Corte Costituzionale, occupandosi del caso dell’imputato pubblico numero uno Silvio Berlusconi, affrontasse anche una questione che la politica, fin qui, nei lunghi anni della transizione italiana, ha provato inutilmente a risolvere, e di fronte alla quale forse s’è arresa. Ma non c’è dubbio che il problema rimane.
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hi, new to the site, thanks.