«In Italia non ci saranno reattori»
Jeremy Rifkin e il bluff nucleare
“Scommetto che in Italia non ci sarà nessuna centrale nucleare”, lo ha detto l’economista Jeremy Rifkin durante un incontro con gli studenti dell’università La Sapienza di Roma, in occasione dei dieci anni compiuti da Banca Etica. Secondo Rifkin infatti la quantità di energia che le centrali nucleari riescono a produrre è un’inezia: “Oggi in tutto il mondo sono presenti 430 centrali che realizzano solo il 5% dell’energia – spiega l’economista – quindi per poter arrivare ad avere un impatto sul clima (ridurre le emissioni di anidride carbonica) dovrebbero produrre il 20% dell’energia totale, ma questo significherebbe costruire tre centrali ogni trenta giorni per 10 anni, visto che ne sarebbero necessarie 2.000”. Inoltre, ha ricordato che “nel 2025 le scorte di uranio si esauriranno” e che “già non c’è abbastanza acqua per raffreddare i reattori, basti pensare che solo la Francia utilizza il 40% delle risorse idriche a questo scopo”.
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http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=10784&contenuto=Notizia
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Caos all’Aquila, morti e vivi in strada
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L’AQUILA – Centinaia di persone in strada, accampata nelle piazze, nei parcheggi dei supermercati, anche nei campi sportivi. E, purtroppo, anche morti in strada, cadaveri estratti dalle macerie dei palazzi crollati e adagiati in terra coperti da un lenzuolo. Per le strade vagano decine di giovani, vecchi e donne, molti con delle coperte sulle spalle, altri ancora in pigiama; i volti tirati, lo sguardo ancora impaurito dopo la scossa, violentissima, di questa notte. E a rendere ancora più difficile le situazione delle migliaia di sfollati, le continue scosse di assestamento: l’ultima neanche mezz’ora fa che ha fatto crollare diversi cornicioni e tegole. Dalla notte scavano con le mani cittadini e soccorritori e con il passare delle ore stanno convergendo sull’Aquila centinaia di colonne di soccorso. Per le strade, intanto, i cittadini si spostano con valigie e i pochi bagagli che sono riusciti a prendere camminando al centro della strada per evitare eventuali crolli e in provincia, dicono testimoni, ci sono intere frazioni che sarebbero crollate.
Da www.evulon.net di Rouge
I terremoti si possono prevedere??
Mi permetto di postare un estratto dal Corriere della Sera per dare un piccolo esempio della confusione che intorno a questi eventi drammatici si verifica prima durante e dopo. E’ storia antica che l’Italia sia sottoposta a piccoli e grandi sismi. Nonostante questo le autorità, tutti i governi che si sono succeduti dal dopoguerra ad oggi assai poco hanno fatto per ridurre il rischio di questi eventi. I terremoti non si possono prevedere, questo è vero, ma si possono anticipare tutte le azioni utili a ridurre i danni soprattuto alla popolazione civile e alle infrastutture.
Ci fa paura il terrorismo islamico, ci fanno paura gli extracomunitari, ci danno paura i comunisti, i fascisti, i cattivisti e poi cadiamo in rovina così, all’improvviso in una notte qualsiasi di una primavera che stenta ad arrivare, cadiamo in rovina a causa della nostra incapacità di capire che questo nostro paese è da decenni in grave rischio ambientale, idrogeologico, sismico e mentale. Perché bisogna essere deficienti a non capire che non possiamo vivere come se la realtà fosse quella putrida e luccicante dei Reality Show o dei patetici ributtanti conflitti politici. Dal Corriere della Sera: MILANO – Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, inviperito martedì 31 marzo si era scagliato contro «quegli imbecilli che si divertono a diffondere notizie false», chiedendo una punizione. Tra gli «imbecilli» c’era Giampaolo Giuliani, ricercatore presso i Laboratori nazionali del Gran Sasso che, in seguito allo sciame sismico che sta interessando l’Abruzzo da più di un mese, aveva lanciato l’allarme: la regione sarà colpita domenica 29 marzo da un terremoto «disastroso». Giuliani è stato denunciato per procurato allarme. E Bertolaso ha ripetuto che «lo sanno tutti che i terremoti non si possono prevedere». Aggiungo: lo sanno tutti ma prevedere non è lo stesso che prevenire. Che cosa abbiamo prevenuto fin’ora? —
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L’abbuffata dei buchi neri
Il Nobel Giacconi: ecco le sorprese dell’Universo spiato ai raggi X |
GABRIELE BECCARIA
Alzate gli occhi e potreste assistere al colossale pranzo dei buchi neri. Ma dovete avere lo sguardo di un Nobel della fisica, l’italiano-americano Riccardo Giacconi.
«Quando studi il cielo ai raggi X – spiega – si vede un bagliore diffuso». E’ il contrario di quello scuro delle classiche foto astronomiche. «E non capivamo perché. Poi ci siamo accorti che ci sono tante sorgenti puntiformi, a grande distanza da noi. Il satellite “Chandra” ha una forte risoluzione angolare e ne ha identificati milioni. Anche il telescopio spaziale “Hubble” li ha ripresi e poi ne abbiamo misurato lo spettro con il “Very Large Telescope” in Cile. Abbiamo scoperto che si tratta di buchi neri supermassicci, milioni di volte più della massa solare, e che si stanno mangiando un po’ dell’ambiente circostante, come le stelle».
Continua qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=38&ID_articolo=1227&ID_sezione=243&sezione=
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Lo pseudo-capitalismo di Obama JOSEPH STIGLITZ | |
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La proposta dell’Amministrazione Obama di investire 500 o più miliardi di dollari per sistemare le banche americane in sofferenza è stata descritta nei mercati finanziari come un’operazione win-win-win, dove tutte le parti coinvolte vincono e nessuna perde. In verità è una proposta win-win-lose: vincono le banche, vincono gli investitori, ma perdono i contribuenti. Il Tesoro americano spera di tirarci fuori da questo pasticcio replicando i metodi con cui il settore privato ha fatto crollare il mondo, cioè un eccesso di indebitamento nel settore pubblico, un eccesso di complessità, incentivi scarsi e mancanza di trasparenza. Proviamo a ricapitolare le cause dell’attuale disastro. Le banche sono finite – e hanno fatto finire noi – nei guai eccedendo nell’indebitamento, cioè utilizzando una parte relativamente piccola del loro capitale e prendendone a prestito una molto grande per comprare titoli immobiliari ad altissimo rischio. Per farlo hanno usato strumenti altamente complessi, come le obbligazioni collaterizzate di debito.Copyright Der SpiegelContinua qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5823&ID_sezione=&sezione=— |
L’elettricità corre sul virus
I ricercatori del Mit hanno creato un nuovo accumulatore utilizzando batteriofagi innocui, geneticamente modificati. La ricerca su Science
Dopo le batterie a batteri arrivano quelle a virus. In tre anni di studi, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) sono riusciti a ottenere catodo e anodo costituiti da comuni virus, innocui per l’essere umano e modificati geneticamente per interagire con materiali conduttivi. Ottenendo così accumulatori in tutto e per tutto ecologici, più efficienti a parità di peso di quelli esistenti (qui il link allo studio).
La tecnologia è spiegata su Science da Yun Jung Lee e Hyunjung Yi, primi autori dell’articolo, e da Angela Belcher, a capo del Biomolecular Materiales Group. Già tre anni fa i ricercatori erano riusciti a creare un materiale che potesse fungere da catodo di una batteria, modificando un batteriofago (M13, che per riprodursi attacca alcuni batteri). Attraverso la bioingegneria, infatti, il virus era stato indotto a legarsi all’ossido di cobalto e all’oro e ad autoassemblarsi in nanofili.
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Una foresta nera a largo di Scilla
Un robot sottomarino dell’Ispra ha scoperto la più grande distesa finora osservata di Antiphatella subpinnata
Sicuramente afflitto da molti mali ma lungi dall’essere moribondo, il Mediterraneo continua a stupirci: davanti alle coste calabre di Scilla è stata individuata la più grande foresta di corallo nero (Antiphatella subpinnata) mai osservata prima, formata da 30mila colonie. A individuarle un piccolo robot sottomarino guidato dai ricercatori dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Il programma di monitoraggio e ricerca sulla biodiversità marina Mo.Bio.Mar.Cal., iniziato nel 2005 in stretta collaborazione con la regione Calabria, ha scoperto anche 5 colonie di una specie rarissima (Antipathes dicotoma), oltre a numerose specie di coralli, gorgonie, alcionari, pennatulacei e pesci rarissimi, molti dei quali non erano mai stati osservati nel loro ambiente naturale.
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L’orologio garantito 10 mila anni
Il Long NowClock sarà sepolto nel Nevada: “Parlerà all’uomo del futuro”
CINZIA DI CIANNI
Farà tic, ma il tac arriverà solo l’anno successivo. Batterà un rintocco ogni secolo, mentre il cucù segnerà l’ingresso in un nuovo millennio. E andrà avanti così, con precisione svizzera, per almeno 10 mila anni.
Sono le promesse dell’Orologio del Lungo Presente, il congegno più complesso, visionario e poetico che sia mai stato progettato dopo il Big Ben. Forse, quando fra migliaia di anni sarà ritrovato in una caverna nel cuore del Nevada, desterà lo stesso rispetto che oggi nutriamo per le Piramidi o per il meccanismo di Antikythera, il più antico calcolatore meccanico e orologio astronomico conosciuto. Perché il «Long Now Clock» non è un mistero del passato, ma del futuro. L’ha ideato Danny Hillis, il geniale «computer scientist» che negli Anni 80 al Mit di Boston ha inventato l’architettura «massive parallel» per i supercomputer. La sua «Connection Machine», inizialmente destinata a confrontarsi con l’intelligenza artificiale e il calcolo simbolico, ha fatto la fortuna dell’animazione della Disney.
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Guardate cosa pensa Lyndon LaRouche dell’amministrazione Obama e di Omar Hassan Al-Bashir.
La sindrome narcisistica del Presidente Obama
E’ questo il titolo scelto da Lyndon LaRouche per la webcast dell’11 aprile, al rientro del Presidente Obama dalla sua prima visita ufficiale all’estero. Alle osservazioni iniziali di LaRouche sono seguite numerose domande da policymakers americani sulle ambiguità e le contraddizioni della politica dell’amministrazione USA.
“Per via della delicatezza di certe questioni che affronterò oggi” ha esordito LaRouche “mi limiterò a leggere un testo scritto, per evitare malintesi”. Infatti. “sono emerse alcune questioni delicate sullo stato mentale del Presidente che devono essere affrontate, perché non possiamo comprendere la situazione o discuterla senza prendere in considerazione tali questioni”.
Pur sembrando brillante e capace, il Presidente Obama spesso non ha la minima idea di che cosa stia parlando. “Ecco perché è così suscettibile ad errate interpretazioni e alla manipolazione da parte di persone che gli sono vicine, soprattutto in certi ambienti”.
Durante la sua prima visita ufficiale all’estero, iniziata col G20 a Londra, Obama ha disatteso “le speranze di molte nazioni e popoli al mondo”, che hanno provato un senso di rabbia per il misto di “incompetenza, confusione e vero e proprio tradimento” che egli ha dimostrato.
Quando è partito per l’Europa, la situazione all’interno della nuova presidenza era già cattiva, a causa delle “azioni di quel mascalzone di Larry Summers”, il capo dei suoi consiglieri economici. I suoi “folli schemi” sono il preludio al disastro globale.
“Poi, come ha denunciato il settimanale Time, c’è un problema particolare: il Presidente Obama è attualmente nelle grinfie di una cricca malvagia” da cui deve liberarsi (vedi sotto l’articolo sugli economisti comportamentisti). Il controllo che costoro esercitano sulla mente del Presidente “deve essere troncato” e la politica della Presidenza dovrà essere stabilita d’ora innanzi da funzionari responsabili e “consiglieri della Presidenza come istituzione, completamente sani di mente”.
LaRouche ha commentato che la situazione negli Stati Uniti e nel mondo “è paragonabile per molti aspetti alla Roma di Nerone. Il carattere del Presidente a queste condizioni è tale da rendere ancor più urgente la necessità di porre fine al cattivo influsso dei comportamentisti prima che Obama elimini, come fece Nerone, tutti i consiglieri che non appartengono a quel gruppo. Deve essere indotto a dare ascolto “al consiglio di persone capaci nel suo gabinetto ed a lui vicine”.
Come ha spiegato ad un gruppo di diplomatici alcuni giorni dopo, le sue osservazioni hanno trasmesso salutari “onde d’urto” all’amministrazione Obama, perché ha detto apertamente “quello che tutti gli altri avevano paura di dire”.
Rivolgendosi al Congresso, LaRouche ha notato che invece di adottare le proposte di legge da lui avanzate, tra cui quella per tutelare i proprietari di case e le banche ordinarie (HBPA), il Congresso ha approvato dal 2006 solo proposte disastrose, tra cui il rifinanziamento dei titoli tossici. Ora alcuni al Congresso ed in altre istituzioni federali cominciano a svegliarsi. “Penso che concorderete che il cambiamento dovrà venire da un calcio nel sedere al Congresso, e da una nuova leadership che emergerà dall’80% dell’elettorato a reddito basso, e non dal 20% di ricchi, né dalla maggioranza del Congresso attuale. La leadership dovrà venire dall’impeto dei cittadini a livello statale e locale, non legati al sistema federale in modo significativo”.
Liberare la Casa Bianca dagli economisti comportamentisti
Come ha rivelato la rivista Time del 2 aprile, il Presidente Obama è circondato da un piccolo gruppo di “economisti comportamentisti” che ne plasmano la politica e manipolano la popolazione americana per farle accettare il tipo di “cambiamento” da essi desiderato.
Da quando è scoppiata la bolla finanziaria, terminando l’era dei “giocatori razionali del mercato”, gli economisti comportamentisti sostengono che sia giunta l’era di un nuovo paradigma, per preparare psicologicamente la popolazione ad accettare un crollo inevitabile dei livelli di vita e demografici. Le politiche vanno però presentate come positive: servono a fermare il “riscaldamento globale”, recuperare stili di vita semplici, consumare meno energia e tagliare ciò che non è essenziale – tutto per salvare il pianeta.
Benché il nome che hanno scelto sia nuovo, gli economisti comportamentisti appartengono in realtà al nocciolo duro della scuola del radicalismo filosofico di John Locke, Bernard de Mandeville, Adam Smith e Jeremy Bentham, personaggi inglesi del XVIII secolo che sostenevano che l’uomo sia un semplice animale, guidato irrazionalmente dagli istinti del piacere e del dolore. A questo punto, l’enfasi è sul dolore.
Il centro di questo gruppo si trova alla Behavioral Economist Roundtable, ospitata dalla Fondazione Russell Sage di Washington, che la gestisce assieme alla Fondazione Alfred P. Sloan. Queste due fondazioni sono entrambe eredi delle reti proditorie che sostennero Hitler e Mussolini negli anni Trenta, crearono la fascista American Liberty League e combatterono il Presidente Franklin Roosevelt.
I comportamentisti, come nota giustamente Time, hanno un pubblico di tipo settario, sviluppato grazie alla pubblicazione di trattati pseudo-economici come Freakonomics, Nudge (spinta dolce), Prevedibilmente irrazionale, La saggezza delle folle e Spiriti animali.
Questi economisti, tra cui il vecchio consigliere di Obama Cass Sunstein, Richard Thaler, Dan Ariely e Daniel Kahneman, hanno formato una cricca chiusa che circonda il Presidente e ha escluso alcuni degli economisti neoclassici più noti, inizialmente portati alla Casa Bianca ma poi emarginati a favore del nuovo paradigma.
Il direttore dell’Ufficio del Bilancio della Casa Bianca, Peter Orszag, è un altro credente comportamentista. Secondo Time, “il suo vice, Jeff Liebman di Harvard, è un noto comportamentista, come pure lo sono il consigliere economico della Casa Bianca Austan Goolsbee dell”Università di Chicago, l’aspirante sottosegretario al Tesoro Alan Krueger, di Princeton, e numerosi altri collaboratori. Sunstein è stato nominato da Obama gran capo della regolamentazione. Persino i direttore del Consiglio Economico Nazionale Larry Summers ha lavorato alla finanza comportamentista. E l’economista di Harvard Sendhil Mullathainan organizza una rete esterna di esperti comportamentisti per rifornire l’Amministrazione di proposte politiche”.
Non stupisce che, trattandosi di gente che crede nella natura irrazionale dell’uomo, l’amico di Obama Cass Sunstein, co-autore di Nudge e, in futuro, delle presunte nuove regole economiche, si batta per i diritti umani per gli animali!
Sfortunatamente, il profilo di Barack Obama si presta alle bizzarrie degli economisti comportamentisti, a causa della sua narcisistica fissazione sulla propria personalità e sul proprio successo, e al suo desiderio di essere visto come il Messia del cambiamento. Per essi, Obama è il vascello vuoto in cui versare le proprie teorie, mentre per Obama essi sono delle leve da spingere per rifare il paese a sua immagine e somiglianza.
I “barlumi di speranza” di Obama: dov’è il maiale?
Parlando ad un ricevimento per economisti tenutosi a Washington prima di Pasqua, il consigliere economico in capo del Presidente Obama, Larry Summers, ha annunciato che la crisi è finita. Pur ammettendo che sussiste una “tendenza al ribasso” nell’economia, secondo lui “è finita la percezione che l’economia sia in caduta libera”. La linea di Summers è stata riecheggiata da Bernanke, che ha parlato di “germogli di ripresa” e dal Presidente Obama stesso, che ha parlato di “barlumi di speranza”.
Interpellato su queste dichiarazioni, Lyndon LaRouche ha dichiarato: “Avete mai sentito parlare un imbroglione? Non c’è una parola di vero in tutto questo”. “Se guardiamo all’economia americana nel suo insieme, la popolazione, la produzione, i livelli di produzione, il crollo dell’occupazione con centinaia di migliaia di licenziamenti in un breve periodo di tempo, sappiamo che non c’è alcuna ripresa della produzione. Non c’è nessun reddito reale prodotto. Neanche lontanamente”.
Quanto alle “prove aneddotiche” addotte da Summers sul fatto che avremmo toccato il fondo della crisi (ad esempio il lieve aumento dei nuovi mutui), LaRouche ha così commentato: “E’ come se un gruppo di persone comprasse un maiale, l’unico maiale del paese. Ma ognuno di essi investe solo in una parte del maiale, e tutti sostengono di aver investito nella parte del maiale che produce più profitto. ‘Non parlare del maiale come un tutto. Io parlo solo della mia parte del maiale. La mia parte del maiale produce profitto, non saprei che fanno le altre parti del maiale, ma mi dicono che fanno profitto anche loro.’ Ma allora, dov’è il maiale?”
“Il punto, ovviamente, è che gli Stati Uniti e il mondo, l’economia mondiale, sono in bancarotta, e non solo sono in bancarotta, ma si stanno disintegrando. Il sistema mondiale versa in una crisi da collasso; e questo in tutto il mondo. Questa è la realtà! Non credete alle menzogne!”.
Nel frattempo, mentre Summers, Bernanke e Obama diffondevano un ingiustificato ottimismo, sono stati rilasciati i nuovi dati sul collasso del commercio globale, della produzione e dell’occupazione in tutto il mondo.
Intervento del movimento di LaRouche in Sudan
Riconoscendo il ruolo di Lyndon LaRouche nel guidare la lotta internazionale per lo sviluppo del Sudan, l’Unione Generale degli Studenti Sudanesi ha invitato l’insigne economista americano come relatore ad una conferenza contro la politicizzazione della giustizia, tenutasi a Khartoum dal 5 al 7 aprile 2009. La conferenza faceva parte del contrattacco del Sudan contro la fraudolenta incriminazione del presidente sudanese Omar Hassan Al-Bashir da parte del Tribunale Penale Internazionale (ICC).
In rappresentanza di LaRouche hanno partecipato quattro rappresentanti del suo movimento politico: Lawrence Freeman, capo dell’African Desk all’Executive Intelligence Review, Douglas DeGroot (membro dello staff dell’EIR), Summer Shields del movimento giovanile di LaRouche, Hussein Askary della sede svedese dell’EIR. Tutti e quattro sono intervenuti alla conferenza presentando l’intera gamme delle idee di LaRouche, e in particolare l’analisi e la denuncia del ruolo dell’Impero Britannico e dei suoi agenti top, Lord Malloch Brown e George Soros. Nei giorni successivi, la delegazione larouchiana ha avuto numerose opportunità di incontri con leader sudanesi e di comunicare con l’opinione pubblica attraverso interviste. Essi hanno anche potuto visitare il progetto della Diga di Merowe, la più grande diga costruita in Africa dai tempi della Diga di Assuan in Egitto.
La visita ha preceduto di pochi giorni l’arrivo dell’inviato speciale di Obama, il gen. Scott Gration, che è stato ricevuto caldamente da funzionari e media sudanesi. Gration è stato seguito da John Kerry, che ha incontrato sia il vicepresidente sudanese Ali Othman Mohammed Taha (il quale aveva ricevuto la delegazione larouchiana la settimana precedente) che il presidente del Sudan meridionale Silva Ker. Apparentemente ignorando il mandato di cattura dell’ICC, Kerry ha reiterato l’importanza di proseguire l’accordo generale di pace che Khartoum si è impegnato formalmente ad applicare.
La stampa sudanese ha riconosciuto che qualsiasi cosa di positivo provenga dalla diplomazia USA verso il Sudan è il risultato della battaglia condotta negli USA da LaRouche. L’8 aprile il quotidiano Alray Alaam ha scritto: “Lo statista americano Lyndon LaRouche aveva già condotto una potente campagna per impedire che l’amministrazione Obama cadesse nella trappola tesa dalla decisione dell’ICC di emettere un mandato d’arresto per il presidente Al-Bashir… LaRouche ha chiesto all’amministrazione Obama di perseguire una politica positiva in genere verso l’Africa e in special modo verso il Sudan, a causa di ciò che il Sudan rappresenta in termini delle sue risorse umane, naturali e idriche che possono trasformare il paese nel granaio d’Africa. Forse la Diga di Merowe, che è stata costruita dalla cooperazione tra Sudan e Cina nel nord del paese, e che assieme agli altri progetti che l’accompagnano è oggi il più grande dell’Africa, è l’esempio migliore di un tale atteggiamento. Ma forse questo è uno dei motivi dietro la tempistica dell’attacco al Sudan”.
Alray Alaam ha proseguito: “LaRouche è il più esplicito a chiedere a livello internazionale di cacciare l’Impero Britannico e la sua oscura eredità dall’intero continente africano. Egli ha ripetutamente chiesto di abolire l’ICC che, sostiene, è stato architettato e finanziato dal promotore internazionale della droga, quel George Soros addestrato dai nazisti, e dal suo controllore al Foreign Office britannico, Lord Malloch Brown. LaRouche sottolinea che la stessa esistenza dell’ICC è un crimine contro l’umanità, perché esso viola il principio della sovranità nazionale”.
Il quotidiano conclude citando un autorevole diplomatico sudanese, Alrashid Abu Shama, che consiglia il governo di “prendere sul serio il fatto che gli USA non fanno parte dell’ICC, un buon segno”.
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22.04.09
Oggi si celebra la giornata della Terra
Manifestazioni in tutto il mondoTumori: test urine per predire se fumatori rischiano cancro polmone
Tutti, a prescindere dalla razza, dal sesso, da quanto guadagnino o in che parte del mondo vivano, hanno il diritto morale a un ambiente sano e sostenibile. L’Earth Day, il giorno della Terra, da quasi quarant’anni si basa saldamente su questo principio. Il 22 aprile del 1970, 20 milioni di cittadini americani, rispondendo a un appello del senatore democratico Gaylord Nelson, si mobilitarono in una storica manifestazione a difesa del nostro pianeta. Oggi, su questo principio quanto mai d’attualità ci si mobiliterà ancora, in 174 paesi del mondo.
Roma, 20 apr. (Adnkronos Salute) – Un test delle urine può predire se un fumatore si ammalerà di cancro del polmone. A metterlo a punto sono stati i ricercatori dell’università del Minnesota, negli Usa, che potrebbero aver dunque scoperto perché non tutti i tabagisti siano colpiti da questo tumore, nonostante il vizio sia un fattore di rischio noto, e non solo per la neoplasia polmonare. La ricerca, presentata al 100esimo Congresso dell’American Association for Cancer Research in corso a Denver, ha implicazioni importantissime per la diagnosi precoce del ‘big killer’ per eccellenza fra i tumori, difficile da scovare precocemente e che, anche per questo, ancora non perdona. L’equipe, coordinata da Jian-Min Yuan, è partita dall’ipotesi che la presenza del metabolita Nnal nelle urine sia un marcatore del rischio di cancro del polmone.
Continua qui:
http://www.adnkronos.com/IGN/Salute/?id=3.0.3234518489
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Mario Cucinella: il mio piano casa
Di Luca Corsolini 16 aprile 2009
(Io so che a Milano ci sono già o quasi)
Continua la repressione turca in Kurdistan!
Il 14 aprile la polizia ha avviato simultaneamente in 13 province del sud est della Turchia una massiccia operazione contro il DTP (Partito della Società democratica).
Nell’ambito di una vasta operazione di polizia, ancora in corso e per la quale non si riesce a prevedere la conclusione, più di 70 esponenti, dirigenti e attivisti, compresi i tre vice-presidenti del DTP sono in stato di detenzione. Anche un canale televisivo, Gun TV, e la sede dell’Unione delle Municipalità del sud-est sono stati bersaglio della polizia e perquisite.
L’operazione, condotta dalle forze di sicurezza turche contro il DTP all’indomani della sua clamorosa vittoria elettorale affermandosi come primo partito nelle 10 province del sud-est della Turchia, rappresenta un duro colpo alle aspirazioni di pace e di democrazia della popolazione kurda e non solo.
Come ha sottolineato Il parlamentare del DTP Selahattin Demirtas “…gli arresti sono una reazione al successo del DTP alle elezioni locali, ed è chiaro che non è una coincidenza che l’operazione arrivi a cosi breve distanza dal voto”.
Continua qui: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1724
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Franco Berardi
Volantinando Diario dell’alba di un’epoca nuova Bologna, 20 aprile 2009 Lo ammetto, sono fuori allenamento e il lavoro del volantinatore richiede un po’ di fantasia. Ogni giorno prendo il mio pacchetto del volantino “BCL la neonata sana e rabbiosa” che finisce con le parole: “Non bisogna votare PD il morto che cammina ma BCL la neonata che strilla sana e rabbiosa e non ha paura delle tempeste perché è stata partorita nelle tempeste.” e me ne vado a battere qua e là. Ho cominciato con i luoghi dove andavo un tempo, la Weber, fabbrica storica. Un tempo l’ora di pranzo era il momento migliore per chiacchierare, la gente usciva, si fermava in grossi capannelli a mangiare un panino e ascoltava l’agitatore. Ora è un po’ più difficile fermarsi a parlare con qualcuno perché hanno l’aria indaffarata, ma il volantino lo prendono tutti e qualcuno l’ho visto leggere con attenzione sogghignando. Poi ho usato un’altra tecnica: le biciclette. Hai presente l’enorme deposito della stazione e tutte le rastrelliere intorno? Lascio il volantino sotto la molletta o nel cestino. Ciclisti. E’ il nostro target preferito e lo curo con particolare affetto, anche se ciascuno leggerà il volantino solo soletto la sera tornando dal lavoro. In Via d’Azeglio domenica pomeriggio ho incontrato Andrea de Maria, il segretario del PD, anche lui solo soletto sotto l’ombrello che pioveva un po’. Gli sono andato incontro con le braccia aperte, nessuno ci ha mai presentato mi fa piacere conoscerti. Lui ha reagito con un sorriso amichevole e sorpreso e io gli ho dato il volantino. Ha dato una rapida occhiata e ha detto: vedo che si parla anche di me. In un certo senso sì. 22 aprile 2009 Stamattina con Tiziano Sandro e Sergio sono stato alla Fini, una fabbrica metalmeccanica che produce (produceva) compressori. Sta dalle parti di Zola Predosa e ci lavorano 250 persone. E undici dirigenti. Cosa ci fanno undici dirigenti per 250 dipendenti? Dirigono, ma dirigono male a quanto pare. Dirigono tanto male che il loro stipendio (lautissimo) non è stato intaccato e il loro posto di lavoro non è in discussione, ma dal mese di ottobre la metà dei dipendenti sono in cassa integrazione. Tiziano, il candidato di Terre Libere, lavorava in questa azienda, ma da ottobre si becca un salario di seicento euro, e nel mese di giugno la sua cassa integrazione finisce, e si ritrova senza un ghello. Andando con Tiziano ai cancelli di questa officina è facile parlare con gli operai. Gli si fanno intorno a frotte e ciascuno ha qualcosa da dirgli. Io ascolto e prendo appunti. Così ho scoperto che le difficoltà dell’azienda non dipendono da un restringimento del settore, ma da errori della direzione che ha valutato male le sue localizzazioni e come risultato si è ritrovata con una fabbrica in Cina che non è redditizia, e con la crisi delle fabbriche italiane. Ma chi paga gli errori della direzione sono i lavoratori. Perché? Perché i lavoratori non decidono, e hanno poca voce in capitolo quando il padrone ha deciso di smollare il colpo, di chiudere e di andarsene. E allora che si fa? E la stessa domanda che sentivo qualche settimana fa all’assemblea sindacale dei metalmeccanici modenesi. A Modena la crisi colpisce duro nella metalmeccanica e nella ceramica. Una città un tempo ricca e tranquilla si trova adesso sull’orlo del tracollo economico e la tranquillità è svanita. Francesco, un lavoratore della Terim, fabbrica meccanica in crisi, chiedeva: cosa facciamo adesso, e cosa facciamo fra sei mesi, dato che la crisi, checché ne dica la signora Marcegaglia che ha voglia di scherzare, è destinata a durare anni e morderà sempre più duro. Che si fa, se la crisi dura nel tempo, e colpisce massicciamente l’occupazione? Nel suo intervento Francesco diceva: domani dovremo occupare le autostrade, e dopodomani dobbiamo prepararci a occupare le fabbriche. La questione delle forme di lotta, di azione e di organizzazione va riproposta. E’ tanto tempo che non se ne parla più. E’ tanto tempo che il sindacato si limita a forme di lotta tradizionali come lo sciopero. E’ tanto tempo che l’orizzonte del sindacato è segnato dal tema della mobilità e della cassa integrazione. Ma quando la crisi si generalizza (e si sta generalizzando) mobilità non significa più niente. E la cassa integrazione si esaurisce. E quando la crisi si approfondisce anche la parola sciopero significa poco o nulla. Il padrone ha tutto l’interesse a non pagarvi quel giorno di salario, tanto a lui che gliene frega, dal momento che sta chiudendo? La questione delle forme sarà centrale nei prossimi mesi e anni. Forme di lotta: occorre uscire dal luogo di lavoro per investire la città, il quartiere, l’autostrada. Occorre prepararsi all’occupazione delle fabbriche. La questione dell’occupazione delle fabbriche deve diventare un argomento di discussione centrale. Nel passato occupare le fabbriche significava una forma di pressione, ma forse nel futuro dovremo cominciare a pensare alla possibilità di organizzare noi stessi la riconversione. In Argentina le condizioni legislative sono più favorevoli di quel che sono in Italia, e in Argentina abbiamo assistito al diffondersi di un movimento di occupazione delle fabbriche (vedi il film di Naomi Klein LA TOMA che parla proprio del movimento di occupazione. Ma non basta. Occorrerà costruire le strutture sociali di solidarietà per quando i tempi si faranno duri (e si faranno duri). Occupare spazi per trasformarli in ristoranti autogestiti dove la gente si può ritrovare, discutere e mangiare roba buona, coltivata biologicamente in maniera autogestita. E occorrerà costruire le condizioni per la redistribuzione del reddito. Per imporre la redistribuzione, per imporre una tassazione forte del profitto e della rendita, per imporre che i dirigenti rispondano delle loro azioni occorre organizzare forme di lotta che incidano direttamente sulla distribuzione e sull’approvvigionamento. ---
24.04.09
Margherita Agnelli, figlia di Gianni Agnelli, ha richiesto per sé l’eredità paterna. Che, a sentir lei, sarebbe stato occultato per favorire i figli che Margherita ha avuto da Alain Elkann.
La richiesta è basata su documenti che indicano depositi all’estero per oltre due miliardi di euro.
Alla faccia dei tempi del mantenimento da parte nostra, Stato, della Fiat.
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RASSEGNA ITALIANA – di Ada Pagliarulo, Paolo Martini
FIAT
Scrive Il Sole 24 Ore che “Marchionne va al raddoppio”, ovvero punta a chiudere la partita Chrysler ed è pronto a fare una offerta per la Opel. Se entrambi i dossier andassero in porto nascerebbe un gruppo da quasi sei milioni di vetture annue con una quota di mercato del 18 per cento in Europa (appena alle spalle del leader Volkswagen) e la presenza Usa garantita da Chysler. Opel è in vendita da qualche settimana, in parallelo al tentativo di salvataggio della casa madre americana GM (che dovrebbe comunque conservare una quota di minoranza). La priorità è però per l’operazione Chrysler, come ha ribadito ieri Marchionne, e l’ostacolo maggiore è l’atteggiamento dei creditori di Chysler. Ma tanto Il Sole che La Repubblica evidenziano la opposizione dei sindacati tedeschi dell’Opel. Uno specialista dell’Istituto economico di Monaco, Helmut Becker, intervistato dal Sole, spiega che “la gamma di modelli delle due case è così simile che grossi risparmi sarebbero possibili solo con la massiccia chiusura di impianti. Probabilmente per Opel sarebbe la fine”. L’esecutivo tedesco è peraltro alla ricerca di una soluzione per Opel che non costringa la mano pubblica a mettere mano al portafoglio. Secondo La Repubblica sarebbe a favore dell’operazione Opel la casa madre General Motors.
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Fiat-Opel, Barroso chiarisce “UE valuterà ogni dossier”
«Ogni via deve essere esaminata in maniera aperta e costruttiva». Johannes Laitenberger, portavoce del presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso è intervenuto per chiarire la posizione dell’esecutivo comunitario sulla questione Fiat-Opel, sulla quale era ieri entrato a gamba tesa il commissario all’Industria, Gunter Verheugen, sollevando accese polemiche.
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RASSEGNA ITALIANA – di Ada Pagliarulo, Paolo Martini
E’ la febbre suina a dominare oggi i titoli di apertura. I venti contagiati negli Usa fanno notizia, si parla di emergenza, La Repubblica parla di “Obama allarmato”, il Corriere ridimensiona a “preoccupato”. I morti in Messico sono stati 81 (85 secondo La Stampa), alcuni casi sospetti anche in Spagna. La Stampa parla di “paura in Europa”, la Farnesina avverte che non è il caso di viaggiare nelle zone a rischio.
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Alcuni titoli sono dedicati al 25 aprile di Berlusconi_ “Stop di Berlusconi alla legge su Salò”. Una proposta di legge che riguardava i vitalizi dei repubblichini – ha detto il premier – sarà ritirata. “No all’equiparazione coi partigiani”, ha detto Berlusconi secondo Il Corriere della Sera. La Repubblica titola così: “Berlusconi: Via la legge che equipara i Salò ai partigiani’”. L’editoriale è firmato dallo storico Adriano Prosperi, che si sofferma sulle parole “liberazione” e “libertà”. “Una piccolissima modifica, una cosa da niente. Tanto piccola e innocua che questo mutamento di fatto è già avvenuto”, dice Prosperi.
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“Ora la crisi morderà i Paesi poveri”: così il Corriere della Sera sintetizza le parole del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, ieri a Washington al vertice della Banca Mondiale. Secondo i dati diffusi dalla Banca Mondiale, nel 2009 saliranno di 90 milioni gli indigenti per la bufera finanziaria.
Anche su La Repubblica la foto di Draghi sotto il titolo: “Emergenza per il Terzo mondo. ‘Novanta milioni di nuovi poveri’. La Banca Mondiale: ‘Una catastrofe per l’umanità’”.
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Ecco la ragnatela di Spiderman
È un mix di “seta” e metalli uno dei biomateriali più resistenti e flessibili ottenuti finora. Lo studio del Max Planck Institute su Science
Resistente come una ragnatela, anzi tre volte di più. Perché le proteine che compongono i fili di questa rete sono modificate con titanio, zinco e alluminio.
L’idea è venuta ai ricercatori tedeschi, ispirati dalla natura: alcuni animali, infatti, presentano molecole di metallo incorporate nei loro tessuti. Ne sono un esempio le mascelle delle formiche mangiafoglie e delle locuste, contenenti elevate quantità di zinco.
Continua qui:
http://www.galileonet.it/news/11465/ecco-la-ragnatela-di-spiderman
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Troppa acqua per l’etanolo
Per produrre un litro di biocombustbile possono servire oltre 2.000 litri di acqua: una quantità tre volte maggiore del previsto. Lo studio dell’Università del Minnesota
La produzione di etanolo, il biocombustibile derivato dal mais, richiederebbe un consumo di acqua tre volte più alto del previsto. È quanto emerso da uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology dall’Università del Minnesota.
L’etanolo, ottenuto attraverso la fermentazione del mais, fa parte della prima generazione di biocombustibili. Negli Stati Uniti e in Brasile è la più importante alternativa ai derivati del petrolio. Da anni però la comunità scientifica discute su quanto la sua produzione sia conveniente in termini di impatto ambientale. Uno dei nodi di discussione, per esempio, è l’effetto dei fertilizzanti utilizzati nelle coltivazioni di mais non a scopo alimentare, responsabili della desertificazione di alcune aree nel Golfo del Messico. Nonché della emissione di alte quantità di biossido di azoto (NO2), un gas serra rilasciato dai batteri che prosperano nelle terre molto ricche di azoto.
In questo studio è stato preso in considerazione un altro aspetto controverso: l’acqua necessaria alla produzione dell’etanolo dal mais. Secondo i ricercatori statunitensi le stime fatte finora non tengono conto di un fattore molto importante: la variabilità regionale delle condizioni climatiche, dei sistemi di irrigazione e della loro efficienza.
Continua qui:
http://www.galileonet.it/news/11427/troppa-acqua-per-letanolo
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Bifo. Ricordo di Sbancor a Roma il 4 maggio.
La sera di lunedì 4 maggio a Roma, al Nuovo Teatro Colosseo di Via
Capo d’Africa 29/A gli amici di Franco Lattanzi si incontrano per
ricordarlo.
Sbancor ha avuto un ruolo fondamentale nella vicenda di Rekombinant.
Per renderne conto voglio ripubblicare uno scambio che ebbe luogo nel
febbraio del 2005, poco dopo le elezioni in Iraq che al coro
conformista ed imbecille della stampa italiana e occidentale parvero
segnare la vittoria politica della coppia presidenziale Bush Cheney.
Oggi, solo quattro anni dopo sappiamo che la vittoria occidentale era
un’illusione e che si stava invece preparando la straordinaria
disfatta strategica che oggi l’occidente cerca di dimenticare senza
poterci riuscire. Quel che accade in Pakistan proprio in questi giorni
mostra che gli effetti della presidenza Bush non si cancellano con un
colpo di buona volontà. E quel che accade nell’economia occidentale
non è senza rapporto con la debacle geopolitica americana.
Purtroppo Sbancor non è più con noi a godersi lo spettacolo che pure
aveva disegnato con acutezza anticipatrice.
La talpa della catastrofe, che oggi sta scavando Sbancor l’aveva
presagita con grande anticipo ed acutezza.
Nel messaggio che segue troverete un omaggio allo stile teorico e
comunicativo del nostro amico Sbancor: si tratta di una sequela di sei
interventi, aperti da una provocazione di Riccardo Paccosi intitolata
LA WATERLOO DEI NOGLOBAL seguita da una risposta di Albion, poi di
Girolamo, poi dello scrivente Bifo, poi di Alex Foti.
Alla fine, con un colpo da maestro, Franco sposta l’ottica in un
intervento finale intitolato DA WATERLOO AD AUSTERLITZ PASSANDO PER
MARENGO.
Buona lettura.
LA WATERLOO DEI NO GLOBAL (in memoria di sbancor)
Riccardo Paccosi 2 febbraio 2005
La “seconda superpotenza mondiale” ha fatto la stessa fine dell’Urss.
Siamo stati sconfitti. In maniera rovinosa, totale. Forse irreversibile.
Il risultato delle elezioni in Iraq depone la pietra tombale sul movimento
no-global, sul “movimento dei movimenti”.
E non c’è bisogno di fare delle grandi analisi. Infatti, la grande narrazione
che si è imposta all’opinione pubblica – all’immaginario – è oggettivamente
la seguente:
a) una guerra di liberazione contro un feroce dittatore; b) una guerriglia
che ammazza indiscriminatamente la propria popolazione; c) un popolo che,
eroicamente, si reca alle urne per esprimere il proprio diritto al voto
rischiando la
vita.
Già: l’esercizio della democrazia al rischio della vita. E il 60 % della
popolazione che decide di correre tale rischio. Di fronte a tale narrazione,
la narrazione del movimento pacifista, la narrazione di Michael Moore, la
narrazione di tutti noi che ci siamo opposti, sbiadisce. Diviene patetica.
Insomma, ragazzi, la festa è finita. Non c’è nessuna analisi sulla produzione
bio-linguistica del lavoro immateriale che possa cambiare questo dato di
fatto.
O forse questa argomentazione non basta? Vogliamo parlare d’altro? Che ne
dite, allora, della copertura mediatica del forum di Porto Alegre? Un forum
che già di suo non ha mai campanato un cazzo di concreto e che, stavolta,
è stato totalmente oscurato e sussunto dai divi riuniti a Davos. Con Chirac
che, in pratica, si mette a proporre la Tobin Tax. Con Bono Vox e Sharon
Stone paladini della lotta alla fame nel mondo (come nei tenebrosi anni
’80, quando arriva il riflusso, quando il movimento è sconfitto sul piano
politico e sul piano ideologico, ariecco la storia della fame nel mondo
a fare da surrogato etico, allo stesso modo in cui le partite di calcio
fanno simulacro del conflitto sociale…).
Ancora non basta? Ecco, allora, altre quattro tesi per gli “io non sarei
così apocalittico”:
1) Il movimento no-global aveva rotto la barriera divisoria tra le popolazioni
di sinistra, in particolar modo quella tra riformisti ed antagonisti. Ora,
tra questi due campi vi sono cavalli di frisia e mitragliatrici puntate.
E la media della partecipazione ai cortei è scesa, quindi, da 200.000 a
20.000 persone.
2) Il movimento no-global non era rivoluzionario neanche di striscio. Avevamo,
al contrario, degli obiettivi esclusivamente riformisti: tobin tax, bando
degli ogm, cancellazione del debito, reddito di cittadinanza, fermare le
guerre.
Beh, di tutto ciò non abbiamo realizzato una cosa che sia una.
3) Il movimento no-global aveva espresso un capo di Stato, ovvero Lula.
Ma è bastato qualche anno perché quest’ultimo venisse disconosciuto dal
proprio
movimento d’origine. Non ho competenza per entrare nel merito ma ciò
costituisce
– sul piano simbolico – un’inequivocabile sconfitta.
4) Il paese nel mondo dove il movimento no-global era più organizzato e
numeroso era l’Italia. In termini di composizione – e quindi numerici –
si è invece
tornati al buon vecchio “movimento antagonista” (sarà una coincidenza se
in campo musicale c’è il revival anni ’80?). Il tutto con le seguenti
peculiarità
geografico-politiche: a Milano il frazionismo aumenta di giorno in giorno;
a Roma c’è una vera e propria balcanizzazione che, talvolta, si riverbera
su scala nazionale; da noi a Bologna, invece, il clima è totalmente sereno
e privo di tensioni: infatti, il frazionismo è giunto ad un livello tale
che non ci sono neanche più le occasioni per interagire e, quindi, litigare.
Certo, che fosse finita si poteva capire prima. Mi dispiace dire alcune
cose col senno di poi, ma il tutto è avvenuto in quattro tempi:
1°) A Genova lo Stato ha imposto al movimento la non-violenza come
unica opzione politica possibile.
2°) L’11-09 la nostra narrazione – sino a quel momento egemone – è stata
sostituita da un’altra narrazione. Dalla narrazione “Impero vs Moltitudine”
(o giù di lì…) alla narrazione “Islam vs Occidente” (a sua volta sostituita
– nel recente discorso d’insediamento di Bush – dalla più semplice ma
efficacissima
“Democrazia vs Tirannide”).
3°) Il 15-02-2003 si è svolta la più imponente manifestazione nella storia
dell’umanità. L’arma suprema della non-violenza ha dimostrato di saper unire
e scaldare il cuore delle moltitudini. Di essere per esse dispositivo
ontologico,
cardine di soggettività. Ma, parimenti, l’arma suprema della non-violenza
ha dimostrato di non saper generare alcun risultato concreto. I governanti,
imperturbabili, hanno proceduto col fare la guerra.
4°) Infine, con l’immagine del popolo iracheno che – grazie alla guerra
di liberazione americana – va eroicamente a votare, il colpo di grazia.
Queste elezioni in Iraq sono per il “movimento dei movimenti” ciò che la
marcia dei 40.000 è stata per il movimento operaio italiano.
L’unica speranza, ora, è guardare la realtà per quello che è.
Guardare la realtà per quello che è: spazzare via gli sciocchi ottimismi,
le ottuse reiterazioni delle categorie pre-Genova.
Guardare la realtà per quello che è costituisce il primo, indispensabile
passo per uscire fuori dagli abissi dell’afasia, dai balbettamenti. Per
uscire dall’impotenza. Impotenza di fronte ad un’agenda politica, ad un
sistema di categorie, che dominano l’immaginario ma non sono quelli che
avevamo previsto.
Eravamo stati scritturati per il blockbuster “Un altro mondo è possibile”.
Improvvisamente, ci siamo ritrovati in un altro film, con diversa
sceneggiatura
e diversi attori. E a noi non daranno neppure la nomination come miglior
attore non protagonista.
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Albion 2 febbr 2005
IMHO la pippa della sconfitta e’ dovuta alla totale mancanza di senso
della realta’. Cosi’ come chi, da invasato, sostiene che il ritiro
delle truppe sia la sola soluzione di tutti i mali, chi oggi sostiene
che un’elezione abborracciata sia la soluzione della questione
mediorientale fa un grosso errore.
Cosa e’ successo in Iraq? L’unica superpotenza mondiale (gli USA),
violando quel che restava del diritto internazionale, hanno scatenato
una guerra di conquista i cui contorni sono ancora in gran parte da
definire e rovesciato un vecchio amico.
Dopo piu’ di un anno dalla “fine della guerra” iniziano una strategia
di disimpegno dall’Iraq in quanto la missione e’ stata compiuta
(destabilizzare l’area? installare un nuovo governo amico da opporre
all’Iran? garantirsi risorse petrolifere? Accrescere le spese
militari?…) e quindi le elezioni “democratiche” sono la via migliore
in quanto consentirebbe loro di andare incontro a quei paesi (come la
Francia o la Germania) con le quali i rapporti diplomatici si erano
raffreddati.
Cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo condannato il tentativo di uso la
strage dell’11 settembre per giustificare questa guerra, abbiamo
condannato l’idea che si potesse combattere il terrorismo con una
guerra tradizionale, abbiamo dubitato del coinvolgimento di Hussein
con AlQaida. Infine abbiamo sostenuto che la guerra non puo’ portare
alla democrazia.
Solo quest’ultimo punto e’ controverso. Che democrazia c’e’ in Iraq?
Nessuna. Si sa da fonti del tutto inattendibili (gli osservatori ONU
erano in Giordania, come facciano a dire che il voto e’ stato regolare
non lo so) che ha votato il 60%. E allora? Anche in Italia nel ’48
voto’ una marea di gente per il referendum sulla repubblica e sappiamo
tutti che quelle elezioni furono truccate allegramente a favore della
repubblica. Per cui di quale democrazia si sta parlando? Si sta
parlando del fatto che con la guerra si riesce ad impiantare qualsiasi
regime politico si vuole? democratico o dittatoriale che sia. Bella
scoperta.
Non e’ su questo terreno che i “noglobal” hanno perso. La loro
sconfitta e’ nel fatto che sono (siamo?) stati stupidi, ottusi e ci
siamo limitati a ripetere la nenia del ritiro “senza se e senza ma”
(slogan che in tempi non sospetti ho detto essere abbastanza
imbecille). Dove si vuole andare sostenendo un’idea rigida e senza
possibilita’ di contraddittorio? Allo scontro e siccome siamo (forse)
la seconda potenza mondiale la nostra propaganda ha perso contro
quella della prima.
La discussione sta a zero se la si affronta sapendo gia’ di avere
ragione (senza se e senza ma). Forse dire qualcosa di piu’
intelligente sulla presenza sul territorio irakeno delle nostre truppe
sarebbe stato utile. Era evidente che il ritiro ponziopilatesco degli
italiani non spostava di un millimetro la questione guerra-democrazia
e nemmeno condizionava gli USA. E allora? Non lo so, ma mi pare che
anche in questo caso a premesse corrette ed attuali hanno seguito
niente piu’ che trite e ritrite teorie complottistiche e
cospirazionistiche leggermente aggiornate nel vocabolario.
Probabilmente avremmo potuto dire qualcosa di piu’ sulla ricostruzione
o sul come restare in Irak. Oppure, siccome la guerra era sbagliata (e
lo era ieri come oggi) finche’ la storia non torna indietro
abbandoneremo il campo del dibattito ai neocon?
E poi smettiamola di prenderci in giro: ma di che movimento nogolobal
andiamo cianciando. Esistono una serie di movimenti e di gruppi
politici ben connotati ideologicamente e territorialmente. Mo’ che si
e’ tutti lo stesso movimento non lo puo’ credere realmente nessuno. Un
arcipelago di esperienze che per un paio di anni scarsi si sono
incontrati e coordinati per poi mandarsi a quel paese. Poi tutti i
“nuovi marx” ci avranno pure costruito una fortuna editoriale sul mito
dei noglobbbal 😉 ma questo non li rende piu’ reali degli unicorni o
della pietra filosofale.
Si vuole intervenire sui rapporti di potere? IMHO lo si fa con una
strategia politica che si coniuga con presenza sul territorio (e con i
soggetti che in quel territorio si muovono). Questi “interventi”
possono essere sgradevoli in quanto non si puo’ sempre scegliere il
territorio o gli interlocutori, ma, se si vuole cambiare le cose, non
ci sono alternative. E’ la politica, suppongo.
Non e’ il movimento noglobal (che non esiste) ad aver perso, e’
l’approccio antagonista semmai lo sconfitto: la credenza di essere
diversi e giusto e quindi di poter cambiare il mondo semplicemente
perche’ si ha ragione. Tutto da soli senza dover fare nulla se non
esplicare e spiegare quanto abbiamo ragione. Un’idea trascendente e
salvifica che non funziona manco per nulla.
Ritorniamo a fare banchetti e a pensare alle elezioni, forse e’ meglio.
Ciao
Stefano
aka albion
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Girolamo de Michele 5 febbraio
Le riflessioni di Riccardo hanno il merito di smuovere la mente e lo
stomaco: è giusto partire da qui. In sintesi:
A Genova lo Stato ha imposto al movimento la non-violenza come unica opzione
politica possibile.
Tutt’altro. A Genova lo Stato ha cercato di imporre l’opzione
azione-reazione: violenza-risposta, repressione-innalzamento del livello di
scontro: un revival di strumenti (dai caramba assassini al massacro
Diaz-Bolzanetto, sino alla bomba fascista al tribunale di Venezia già pronta
a legittimare arresti reclamati a gran voce da B********i). Merito del
movimento è stato di non ricadere in questa spirale: e qui non la metto sul
piano morale (cosa sarebbe stato giusto fare dopo Genova?), ma sul piano
dell’utilità politica. Non entro nelle dispute, in buona parte meramente
simboliche e pro domo, su non-violenza, pacifismo, ecc.: dico solo che
questo terreno lo abbiamo scelto noi, e che la cosa ha spiazzato lo Stato.
L’11-09 la nostra narrazione – sino a quel momento egemone – è stata
sostituita da un’altra narrazione. Dalla narrazione “Impero vs Moltitudine”
(o giù di lì…) alla narrazione “Islam vs Occidente” (a sua volta
sostituita – nel recente discorso d’insediamento di Bush – dalla più
semplice ma efficacissima “Democrazia vs Tirannide”).
Riccardo, ma non solo lui, pecca di autoreferenzialità: di quale egemonia
della narrazione negriana parla? La narrazione “moltitudine-Impero” è stata,
al nostro interno, come componente radicale del movimento no-global, oggetto
di dibattito (non sarei d’accordo neanche sul definirla egemone), non certo
egemone nella società civile. Tutt’al più la coppia Negri-Hardt ha imposto
un lessico (“Impero” è ormai termine corrente), ma non ha esercitato
un’egemonia ideologica. L’egemonia è qualcosa di ben più ampio: Benedetto
Croce nei primi 60 anni del secolo scorso, Gramsci (e ci sarebbe da
discuterne), il pensiero “post-moderno” nella versione cinico-thatcheriana
negli anni 80. Il problema è proprio questo: ci parliamo sempre tra di noi,
e alla fine finiamo con l’assere d’accordo con noi stessi (i rituali scazzi
tra Bifo, Macsilvan, Albion sono solo varianti del nostro pensiero unico,
comunque sempre interessanti e degne di riflessione, a differenza dei post
di Indymedia). Quanto all’egemonia della narrazione “Islam vs Occidente”, mi
limito ad osservare che anche da un banale punto di vista elettorale non mi
pare affatto che ci sia: i fautori di questa narrazione non sono maggioranza
nel paese, il partito delle bandiere arcobaleno ha preso più voti del
partito di Fini: prendete cum grano salis questi dati, che sono meramente
elettorali, ma qualcosa dovranno pur significare (quantomeno dal punto di
vista delle ripercussioni che hanno avuto nel campo della destra).
Banalmente, oggi non mi sembra esserci alcuna narrazione egemone: nè vedo
motivi per rimpiangerne l’assenza. Piuttosto, una conseguenza di
quell’autoreferenzialità di cui sopra è stato il fraintendimento (esplicito
in Negri) della “moltitudine” in chiave ontologica, laddove la moltitudine è
pura e semplice fenomenologia: voglio dire che essa non è portatrice di un
destino nè di un’essenza, non è la versione riveduta e corretta dell’operaio
sociale (sul quale prima o poi bisognerà pur cominciare a distinguere quello
che esso è effettivamente stato da quello che ci attendevamo che fosse). La
moltitudine è semplice manifestazione di ciò che è e conseguentemente si
comporta, non annunciatrice di una nuova era, manifesta comportamenti e non
tendenze: molte delle delusioni che vedo in giro dipendono da questo
misunderstanding. Se le differenze tra Virno e Negri le avessimo veramente
discusse e approfondite (invece di curvarle sulla miseria del frazionismo
politico e sul revival di vecchie antipatie settantasettine), forse ora
avremmo una visione più chiara dell’esistente. E, detto per inciso ma non
per caso (nè a caso): non ci riempiremmo la bocca e la mente di
comportamenti politici che si limitano alla mera esaltazione del semplice
essere della moltitudine (dall’esaltazione del precariato in quanto tale
alla riproposizione dell’esproprio proletario, dietro i quali non si dà
alcuna critica effettuale nè della precarizzazione dell’esistenza nè della
merce).
Il 15-02-2003 si è svolta la più imponente manifestazione nella storia
dell’umanità. L’arma suprema della non-violenza ha dimostrato di saper unire
e scaldare il cuore delle moltitudini. Di essere per esse dispositivo
ontologico, cardine di soggettività. Ma, parimenti, l’arma suprema della
non-violenza ha dimostrato di non saper generare alcun risultato concreto. I
governanti, imperturbabili, hanno proceduto col fare la guerra. (Riccardo)
Certamente non si combatte la “nostra guerra”. Quella l’abbiamo già persa
quando di fronte alla mascalzonata incostituzionale di mandare soldati
italiani a morire come mercenari in Iraq, non non siamo stati come popolo o
moltitudine (chi se ne frega) in grado di far valere il diritto, il nostro
diritto ad insorgere contro chi ha violato la Costituzione. La nostra
Costituzione. L’art.11. (Sbancor)
Qual era l’obiettivo del movimento pacifista? Ma soprattutto, questo
movimento si era dato un obiettivo, un piano, una linea, una dirigenza? Chi
lo ha pensato ha cercato di trasformarne le potenzialità in scimmiottature
neo-leniniste di partitini, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Ma di questo il movimento se ne è altamente fregato, così come sino ad ora
se ne è sempre fregato delle chiavi di lettura che hanno cercato di
definirlo, di delimitarlo, e alla fin fine di normarlo. Chiavi di lettura
tutte di sapore sessantottesco, che piaccia o no. Ora, per farla breve: il
movimento ha avuto un carattere espressivo, piuttosto che politico: non si è
prefisso obiettivi, ma ha dato visibilità al proprio sentire. Certo, con un
governo culturalmente diverso (non dico di sinistra) da questo avrebbe anche
potuto sperare nell’ascolto da parte dei governanti: ma non era, nè poteva
essere questo lo scopo dei 3 milioni di Firenze e dei 2 milioni di Roma
(dati precedenti all’uscita di Fassino dal corteo :-D). Il merito di questo
movimento è stato quello di modificare l’ordine del discorso politico, non
solo all’interno dello schieramento politico che balbettava (e balbetta) una
qualche opposizione, ma soprattutto nella società. Se oggi il b*********smo
è in crisi elettorale (e non solo: basta contare i topi che abbandonano il
Titanic) è perchè è stata sconfitta la cultura b*********ana, e non il
contrario. Se una serie di temi sono passati (di malavoglia? chi se ne
frega) dalle nostre agende a quelle dei partiti e partitini della sinistra è
merito del movimento. Dopo di che questo movimento sa anche, per fortuna,
ritirarsi dalle battaglie che non si possono vincere qui ed ora e spostare
il peso su altri terreni: compreso, piaccia o meno, quello elettorale. ma di
questo più avanti. Resta il fatto che, come la strategia del silenzio
attuata dagli zapatisti, le periodiche ritirate del movimento mi sembrano un
segno di intelligenza, di capacità di valutare la consistenza delle forze
proprie e altrui e di accumulare la propria forza invece di disperderla
allungandosi senza costrutto accumulando scadenze su scadenze. Chi
teorizzava la manifestazione permanente, la trasformazione dei cortei in
assemblee generali sarà rimasto deluso: peggio per lui.
Infine, con l’immagine del popolo iracheno che – grazie alla guerra di
liberazione americana – va eroicamente a votare, il colpo di grazia. Queste
elezioni in Iraq sono per il “movimento dei movimenti” ciò che la marcia dei
40.000 è stata per il movimento operaio italiano. (Riccardo)
C’è qualcosa che continuo a non capire: perchè mai la maggioranza sciita e i
curda avrebbe dovuto disertare le urne? Francamente condivido quasi tutto
(in genere non mi capita) dell’analisi di Macsilvan, mi limito ad aggiungere
una preoccupata considerazione sull’assunzione inconscia dell’agenda
politica di Bush, Blair e B********i (c’era anche Aznar, ma è stato mandato
a casa: con le schede elettorali, per inciso). Che queste elezioni siano una
sconfitta del movimento è vero solo se si assumono le seguenti posizioni:
i) l’unica alternativa praticabile era: o la dittatura di Saddam, o la
guerra. Questa alternativa legittima sia la guerra che l’uso politico della
menzogna (linea Michael Ledeen-Giuliano Ferrara).
ii) una volta fatta la guerra (non importa se era illegale, lo si può anche
concedere) l’unica alternativa era o il caos delle milizie armate o la forza
di polizia internazionale Usa-GB, con una spolverata di soldatini e cadaveri
della Coalition of willings. Da cui segue che:
iii) Chi non è con Bush è con Bin Laden, e viceversa. E quindi chi ha votato
è con Bush, dunque contro il movimento no-global, il quale…
Ma quello che questo movimento si è detto con chiarezza (pace per Fassino,
che non lo ha capito: ma cosa c’entra Fassino con questo movimento?) è che
Saddam poteva essere rimosso con altri strumenti che non la guerra,
l’embargo, ecc.: ci sono stati dodici anni per farlo, non è stato fatto, ma
la responsabilità certo non è nostra; che c’erano ben altre alternative
all’occupazione, una volta attuata l’invasione: forza d’interposizione
multinazionale araba o ONU, ecc.: il che avrebbe impedito la polarizzazione
degli iraqeni su fronti che non fossero religiosamente determinati. La
drammaticità della spaccatura dell’Iraq in tre tronconi (per modo di dire:
non è così facile distinguere le zone sciite da quelle sunnite) non è in
nulla sminuita dall’esito delle elezioni: cosa c’è di rassicurante in una
divisione 60%-40%? Deluso sarà chi chiamava “resistenza” la guerriglia
iraqena, convinto nuovamente che dietro i comportamenti ci fosse una qualche
essenza rivoluzionaria: ha perfettamente ragione Sbancor a individuare una
matrice intollerante e clericale con la quale non possiamo avere alcun
rapporto, neanche occasionale.
E chi se ne frega se così vince Berlusconi. Perchè sappiamo ciò che sulla
guerra saranno capace di fare “cosidetti nostri”, quelli della “cosidetta
sinistra”. Legitimeranno l’infamia con l’ONU. Medieranno, parleranno, e
dopo, come tutti, prenderanno ordini dagli americani. (Sbancor)
Ribadisco: il movimento si è espresso e si esprime anche sul terreno
elettorale. E fa bene, piaccia o non piaccia. Del resto, perchè non dovrebbe
farlo? Non ho voglia di metterla in teoria, per cui due esempi concreti.
Molti comuni sono stati strappati alla destra in questi tre ultimi anni.
Cosa significa togliere un comune alla destra? Ad esempio, che c’è più
probabilità di un posto per il figlio all’asilo comunale, piuttosto che un
bonus spendibile nell’assunzione di un “educatore” (proveniente da una
cooperativa di CL) che tiene a bada i bambini del condominio, sulla base del
principio che i figli devono tornare in seno alle famiglie, ed essere
sottratti alla scuola. E’ quello che stava per succeder a Bologna con
Guazzaloca: che poi Cofferati non sia oro colato è un altro discorso (di cui
tra breve). Che succede se la destra rivince le politiche del 2006? Parlo di
scuola perchè ci lavoro e la conosco bene. Tralascio la questione dei
programmi, delle materie, delle opzioni (c’è un mio testo, La precarietà del
sapere, proprio qui su RK, per chi vuole un’analisi dettagliata). Dico solo
che decine di migliaia di insegnanti perderanno il posto di lavoro, che
altre decine di migliaia di insegnanti saranno reclutati con un meccanismo
nè più nè meno diverso da quello dei Co.Co.Co.: altro che esaltazione della
precarizzazione. Basterebbe passare un paio di ore assieme ai precari il
giorno in cui vengono assegnate le cattedre per rendersi conto di cos’è il
precariato per un precario (e naturalmente lo stesso succede con le agenzie
interinali e in ogni altro ambito: ma ripeto, voglio parlare solo di quello
che so per certo). Quanto agli studenti, quella metà che non frequenterà il
liceo sarà deportata in pseudo-percorsi scuola-lavoro, vale a dire andrà
sotto padrone a fare l’apprendista a gratis e senza garanzie in cambio di
una spolverata di italiano e matematica, e si ritroverà a 18 anni con un
titolo di studio (!!) nullo sotto il profilo lavorativo: precario a vita, e
per di più semi-analfabeta.
Eco perchè non posso accettare il massimalismo del tanto peggio tanto
meglio. Anche perchè un B*******i-2 produrrà, nel migliore dei casi, le
condizioni per una versione italiana di Blair come unica alternativa. Dopo
di che è vero che la sinistra vorrà fare quello che Sbancor prevede: e
qualcuno ha già cominciato a preparare i cartelli con su scritto Non
disturbate, lavoriamo per voi. Sempre che glielo lasciamo fare: se non
imponiamo la nostra agenda, le nostre piattaforme, i nostri estremismi
etici. Se ce ne torniamo a casa convinti che, uscito di scena B********i,
sia tutto finito. se ce ne restiamo alla finestra ad aspettare l’arrivo del
messaggero dell’imperatore. A Bologna leggo che i precari della sala Borsa
hanno ripreso le lotte che avevano avviato contro Guazzaloca: hanno fatto
bene, non si accontentano delle promesse di Cofferati. E’ la prima azione di
lotta contro un sindaco di sinistra: spero che sia la prima di una lunga
serie. E’ un segnale da raccogliere e da rilanciare: non la scheda bianca,
ma il rifiuto della cambiale in bianco. Ciò non toglie che sarebbe bene
selezionare e distinguere anche all’interno del nostro schieramento: ma in
Puglia non è cominciato a succedere?
girolamo
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Bifo 6 febbraio
La grande narrazione della guerra
Eravamo stati scritturati per il blockbuster “Un altro mondo è possibile”.
Improvvisamente, con l’inizio della guerra, nel 2003 ci siamo
ritrovati in un altro film, con diversa sceneggiatura e diversi
attori. E a noi non daranno neppure la nomination come miglior attore
non protagonista.”
In un libro intitolato “Linguaggi della guerra”, che è uscito qualche
mese fa per l’editore Meltemi, Federico Montanari mostra che la
strategia politico-militare può essere analizzata in termini
narratologici.
Chi racconta la guerra in maniera più efficace prevale. Il che non
significa tanto che la narrazione deve essere convincente, ma che deve
essere performante.
Reagan vinse la sua guerra contro i sovietici raccontando una favola,
quella dello scudo stellare. Una narrazione fantascientifica, a cui
non corrispondeva una effettiva capacità tecnologica, ma che riuscì a
spingere l’URSS in una assurda rincorsa che, a quanto dicono gli
esperti, avrebbe portato l’economia sovietica al collasso definitivo.
Quando la prima guerra mondiale si annunciava esplose un enorme
movimento pacifista e antimilitarista. Nel giugno 1914 la settimana
rossa trascinò nelle strade folle che non si erano mai viste. Poi
iniziò la guerra e il movimento si dissolse, i partiti della seconda
internazionale si piegarono alla logica nazionale, votarono i crediti
di guerra. La narrazione della guerra spazzò via ogni altra
narrazione.
Ma cosa vuol dire esattamente “narrazione”, in questi casi?
Vuol dire montaggio di eventi e di attori, descrizione di accadimenti
e avviamento di processi entro un contesto che suscita una
immaginazione proiettiva, ovvero l’immaginazione di un futuro
possibile. Entro questa immaginazione di un futuro siamo messi in
condizione di riconoscere forme di comportamento imitabili, forme di
azione che si possono generalizzare, diffondere. Quando agiamo in un
contesto narrativo ben delineato sappiamo come dobbiamo muoverci, cosa
dobbiamo sperare e cosa dobbiamo fare, insomma il copione definisce
anche il nostro ruolo, e la maggior parte delle persone tende a farlo
proprio, se non altro perché non ne ha un altro da contrapporre a
quello dominante. Come contesto narrativo la guerra ha una potenza
ineguagliabile. La guerra mobilita enormi energie psichiche, suscita
immaginazioni di vita o di morte, processi di identificazione
difficilmente resistibili.
Pensiamo alle lugubri narrazioni messe in scena ogni qualvolta un
militare italiano viene ammazzato. Il fatto che costui sia in Libia o
in Etiopia o in Russia o in Iraq per uccidere è cancellato
dall’inconscio narrativo. E’ un marito e figlio esemplare che
combatteva per portare la civiltà, o la pace, o la democrazia, e le
oscure forze dell’inconoscibile (il Nemico) lo hanno ucciso. Ci
stringiamo intorno a lui perchè apparteniamo alla stessa tribù e ci
identifichiamo in Colui che guida la tribù, dimenticando che
l’assassino di ogni Simone Cola è colui che l’ha mandato a combattere
raccontandogli qualche frottola.
Che forza narrativa può mai avere in questo contesto la richiesta di
pace? Zero. Infatti il pacifismo scompare non appena inizia lo
spettacolo della guerra. Cosa dovrei fare per stare dentro la
narrazione della pace? Appendere una bandiera alla finestra? Capirai
che emozione.
Durante la prima guerra mondiale, mentre il pacifismo si dissolveva
qualcuno disse: “Trasformare la guerra imperialista in guerra civile
rivoluzionaria”
Si trattava di una narrazione di forza dramatica pari a quella delllo
spettacolo dominante, e i soldati sapevano come diventare attori di
quel film, bastava disertare con le armi in pugno, sparare al
colonnello, tornare a casa e prendersi le terre con la forza delle
armi, combattere contro le guardie bianche eccetera.
Dal punto di vista narratologico non serve molto “opporsi” alla guerra
(o a qualsiasi altra cosa). La narrazione deve avere carattere
dispiegato, deve offrire la possibilità di sentirsi attori di una
scena, di un dramma, di un’azione che coinvolge tutto il nostro
esistere, non solo una passeggiata urlante del sabato pomeriggio.
In questo senso ha ragione Sbancor quando risponde a Riccardo: ma
quale sconfitta e sconfitta, non abbiamo mai iniziato alcuna battaglia
contro la guerra. Iniziare una battaglia contro la guerra significava
immaginare e costruire un’intera esistenza estranea ai rituali della
patria in armi. Sabotaggio quotidiano fatto di azioni incompatibili
con la guerra ma non concepite in funzione di opposizione alla guerra.
Chi si oppone a qualcosa non può che perdere. Solo chi immagina
qualcosa ha la possibilità di avviare un processo enunciativo e
pratico maggioritario.
Come funziona la precessione dell’immaginario sulla realtà storica?
Come presentimento, come premonizione, come simulazione proiettiva. In
ogni caso si tratta in maggiore o minore misura di una profezia che si
autorealizza.
Ricordiamo quello che disse a Norimberga Hermann Goering, ministro
degli Interni del governo di Hitler:
“Naturalmente la gente non vuole la guerra. Ma dopo tutto sono i
leader del paese che determinanjo la politica ed è cosa facile
trascinare la gente, che ci sia una democrazia, una dittatura
fascista, un parlamento o una dittatura comunista. Il popolo può
sempre essere trascinato dai suoi leader. E’ facile. Tutto quel che
dovete fare è dirgli che stanno per essere aggrediti, e denunciare i
pacifisti per mancanza di patriottismo…”
I Goering del nostro tempo (Bush e Bin Laden, D’Alema e Fini)
conoscono bene questa regola elementare: la narrazione non è un
semplice fatto discorsivo, ma è un congegno proiettivo. Essa crea le
condizioni per immaginare l’imminente, e suggerisce le modalità per
proteggersi, per reagire, per sopravvivere, per districarsi, e magari
anche per arricchire, per vincere, per diventare più potenti…
E’ vero che talvolta le narrazioni possono funzionare come trappole.
Ad esempio, il povero Simone Cola si sporgeva dall’elicottero per
sparare addosso a qualcuno, ma siccome gli avevano raccontato la
favola della missione di pace non pensava che qualcuno gli avrebbe
sparato in risposta. E gli USA hanno creduto per qualche tempo alla
favoletta di Rumsfeld secondo cui i marines sarebbero stati accolti da
folle festanti in tripudio per la liberazione, e si sono infilati in
una catastrofe militare. Ora credono nella nuova favoletta della
democrazia realizzata e vedremo quale sarà il seguito.
Ma il punto non è chi vincerà la guerra, il punto è piuttosto quanto
la guerra riesce a modellare il comportamento sociale maggioritario.
Per riprendere un altro suggerimento di Federico piuttosto che dire
che la guerra è continuazione della politica con altri mezzi, come
secondo Clausewitz, possiamo dire che la guerra crea le condizioni
entro cui la politica e l’economia e la vita quotidiana si modellano.
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Alex foti 7 febbraio
Francamente non capisco troppo la compiaciuta flagellazione di
Riccardo fronte all’evidente agonia di tutta la sinistra continentale
(non dico europea per non far confusione con i nazionalcomunisti), e
non solo del movimento del 15feb003, rispetto alla riconferma di bush,
alla nomina di condy oltre che alla modesta riuscita (e che
probabilmente getterà kerosene sui rapporti usa-iran) delle elezioni a
baghdad, che sono servite solo come foglie di fico per europei e onu
per ritornare sotto l’ala protettiva dell’aquila calva a stelle e
strisce.
Speriamo piuttosto il rapimento di Giuliana Sgrena non sia l’occasione
per rinunciare alla richiesta di ritiro immediato delle truppe come
punto irrinunciabile del programma elettorale di prodi (alla zapatero,
tanto per capirci).
Cmq ne approfitto per concorrere sulla potenza sociale della
narratologia (l’altra sera per esempio ci si è divisi sul fatto se la
demolizione del muro di berlino fosse l’inizio di una nuova narrazione
di liberazione oppure l’inizio del regresso sociale e politico
attuale; io ovviamente la vedo come l’inizio di un percorso di
emancipazione individuale/collettiva) e per fare una pulce a bifo.
Non è vero che non è esistito negli usa l’equivalente della società
feudale: era la plantation economy del Sud, la società schiavista dei
gentiluomini che imitavano gli aristocratici europei (sì, anche
Jefferson). Tanto è vero che la guerra civile fu lo scontro di due
sistemi sociali, oltre che di due sistemi di cittadinanza che si
fronteggiavano lungo la mason-dixon line. Per la storia successiva
degli stati uniti la divisione nord-sud (che coincide con quella
est-ovest dal punto di vista dei limiti istituzionali posti
all’accumulazione capitalista) ha condizionato tutta l’economia
politica e lo sviluppo civile degli USA negli anni a venire. Pensiamo
alle migrazioni interne dei neri, al movimento dei diritti civili
fino, e questa è la roba importante, alla rivoluzione reaganiana che
trasformò gli elettori di un Truman o di un Lyndon Johnson (un
democratico e bellicista texano, ma assai egualitarista) negli
elettori di Reagan. Dagli anni 80 il sud è diventato arguably (vedi
Kupchan) l’epicentro economico degli USA (Durham, Atlanta, Austin,
Dallas-Houston, Miami, Dell, Coca-Cola, Wal-Mart, Exxon, tanto per
capirci) e solid red, cioè solidamente bushista nel 2000 e 2004.
Ma soprattutto importante ai fini del discorso di bifo è osservare che
due diverse concezioni di protestantesimo si radicarono al Nord e al
Sud. A Boston il puritanesimo elitario e intollerante di comunità
agricole/mercantili legalistiche, a Philadelphia magari il
quaccherismo democratico e solidale di artigiani alfabetizzati. Ma nel
Sud è sempre prevalsa la fede battista (nelle due forme destinati ai
dominatori bianchi e ai dominati neri) mistico-tradizionalista e molto
vicina al letteralismo biblico del protestantesimo born-again
christian che informa Bush e la propaganda di Rove e tutta la bible
belt di rednecks e home educators.
Insomma a me questa mutazione politica postumana degli States mi
sembra molto sudista, irrazionalista, bornagain/pentecostale, e più
radicata nella proliferazione di sette oscurantiste nell’era
posthippy, e invece poco radicata nelle tendenze storiche del
calvinismo puritano, come del federalismo americano (che non mi sembra
conseguire storicamente dal primo; nella sua forma forte deriva
dall’esito della guerra civile; ed è alla nuova forza del governo
federale che si deve la proiezione internazionale degli USA dal 1898
in poi; sì, ok bush cerca di appropriarsi delle 4 freedoms di fdr ma
il d-day e abugrahib sono agli antipodi come concezioni del ruolo usa
nel mondo).
Del resto i Bush anche se erano wasp per fare fortuna politica se ne
sono dovuti andare in Texas. L’ethos politico del New England produce
i Kennedy e i Kerry, patrizi cattolici con sensibilità sociale, mica
ripugnanti violentatori di realtà. Anche Habermas nell’intervista
l’altro giorno sul manfo diceva che la metà urbanizzata degli USA è in
forte sintonia con la società civile europea. Insomma l’umano resiste
anche negli USA e le università americane sono un serbatoio di cultura
e civiltà per l’intero genere umano, e continauno a esserlo malgrado
le restrizioni sull’immigrazione. Sbagliava Habermas, ma è
comprensibile da uno della sua generazione, a vedere per l’Europa il
ruolo di amichevole moderatore della politica americana, perché non ne
esiste lo spazio ma solo l’illusione. Ma come tu dici è forse invece
un’illusione pensare a un’europa che si smarchi dagli states.
Sconvolgente la frase finale di Susan Sontag, una perdita davvero
incolmabile per gli umani d’america e del mondo.
O America Where Art Thou?
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Sbancor 8 febbraio
Da Waterloo ad Austerlitz passando per Marengo
Le elezioni in Iraq non sono una Waterloo se non in quella forma
particolarmente ignobile di guerra, o meglio di cyberguerra, (cercate su
google il nome di John Azquilla e il CTIW dove viene propagandato l’informal
warfare e fatemi sapere) di cui si alimenta l’informazione malata del
pianeta.
Certo sono una sconfitta per chi puntava su una “resistenza irachena”,
anch’essa sottoposta all’orrore porno-mediatico.
Cosa sta andando in onda in Iraq, in Palestina, in Afghanistan? Sta andando
in onda il “nostro futuro”. Un futuro fatto di barriere religiose, etniche
razziali. Un futuro fatto di Signori della Guerra e Signori della Pace. Un
futuro dove chi spara non sa perchè spara, contro chi spara e per conto di
chi spara. Un futuro da “kamikaze”.
Certamente non si combatte la “nostra guerra”. Quella l’abbiamo già persa
quando di fronte alla mascalzonata incostituzionale di mandare soldati
italiani a morire come mercenari in Iraq, non non siamo stati come popolo o
moltitudine (chi se ne frega) in grado di far valere il diritto, il nostro
diritto ad insorgere contro chi ha violato la Costituzione. La nostra
Costituzione. L’art.11.
Che la “grande passeggiata”, sarebbe finita nell’ignobile rincorsa ad
accaparrarsi le spoglie del movimento era un finale già scritto nelle cose.
questa è stata la nostra Waterloo. Più di un anno fa.
Fra un po’ in Italia si ri-vota. Propongo ai “sinceri repubblicani” una forma
di lotta assolutamente non violenta che consiste nel pubblicare gli elenchi
di tutti i candidati che hanno votato per la guerra in Kossovo e per
la missione
irachena. A partire da D’Alema, oscuro deputato di Gallipoli, fino al
pagliaccio vestito da Presidente del Consiglio. Passando per Veltroni,
Cossutta, Diliberto e via via degradando.
L’idea è fare propaganda elettorale contro tutti, dico tutti, gli ex-
parlamentari che hanno le mani sporche di sangue, che hanno sputato
sulla “nostra” Costituzione.
Una campagna “contro” a persona. Attacchiamogli fuori di casa le foto
del “macello di Falluja”, dei “corpi straziati dei kakimaze e delle loro
vittime”. Trasformiamo la loro vita in un incubo, esattamente come essi
stanno trasformando la nostra con i loro telegiornali.
Sarà la nostra Marengo. Ricaccieremo l’esercito imperiale dentro l’ipotetica
Alessandria, a contare i caduti. E poca importa se di destra o di sinistra.
L’importante e che la sanzione del non voto colpisca i “rei” di tradimento
costituzionale.
E chi se ne frega se così vince Berlusconi. Perchè sappiamo ciò che sulla
guerra saranno capace di fare i “cosidetti nostri”, quelli della “cosidetta
sinistra”. Legitimeranno l’infamia con l’ONU. Medieranno, parleranno, e dopo,
come tutti, prenderanno ordini dagli americani.
Lo facciano almeno senza il conforto di uno stipendio da parlamentare.
Facciamo naufragare la barca dei vigliacchi alle Regionali.
Altro che panchetti elettorali!
Io la mia panca gliela do in testa!
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