20/8/2009
“I nostri 73 compagni morti in mare”
Cinque eritrei soccorsi a Lampedusa:
«Partiti in 78, una traversata tragica»
LAMPEDUSA (AGRIGENTO)
Quando sono sbarcati sul molo del porto di Lampedusa sembravano fantasmi, come ha raccontato uno degli operatori in servizio nel Centro di accoglienza. Cinque eritrei, tra cui una donna e due ragazzi minorenni, con il corpo ridotto a uno scheletro e gli occhi persi nel vuoto, che a fatica hanno ricostruito la loro odissea: «Siamo partiti oltre venti giorni fa dalla Libia, eravamo in 78. Noi siamo gli unici sopravvissuti. I nostri compagni morivano e noi gettavamo in mare i loro cadaveri».
Una nuova tragedia dell’immigrazione il cui bilancio difficilmente potrà essere verificato. Il racconto dei superstiti viene ritenuto attendibile dalle organizzazioni umanitarie mentre il Viminale esprime dubbi e perplessità, tanto che il ministro Roberto Maroni ha chiesto al prefetto di Agrigento una relazione sulla vicenda. Le autorità maltesi in serata hanno comunque comunicato di aver avvistato negli ultimi giorni sette cadaveri in mare, in acque libiche, che potrebbero appartenere al gruppo di migranti che erano sul gommone con gli eritrei soccorsi oggi. Gli immigrati sono stati soccorsi questa mattina da una motovedetta della Guardia di Finanza: erano su un gommone alla deriva, dopo essere rimasti per diversi giorni senza carburante e senza viveri.
«Durante la traversata – ha raccontato Habeton, 17 anni, uno dei superstiti – abbiamo incrociato almeno dieci imbarcazioni, alle quali abbiamo chiesto inutilmente aiuto. Solo qualche giorno fa un pescatore ci ha offerto acqua e cibo». L’imbarcazione è stata intercettata al confine con le acque territoriali, in seguito a una segnalazione delle autorità maltesi a quelle italiane impegnate nell’operazione Frontex. Un allarme scattato solo all’alba di oggi, quando l’imbarcazione era ormai al limite delle acque di competenza del nostro Paese per quanto riguarda le operazioni Sar di ricerca e soccorso in mare. Una circostanza che rischia di fare esplodere un nuovo caso diplomatico tra Malta e l’Italia. L’ennesima strage nel Canale di Sicilia suscita anche la dura reazione di numerose organizzazioni umanitarie, da Save The children all’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
«È allarmante – osserva Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Unhcr – che per oltre 20 giorni queste persone abbiamo vagato nel Mediterraneo senza che nessuna imbarcazione le abbia soccorse. Come se fosse passato il messaggio che ci arriva via mare sia una sorta di ’vuoto a perderè». Boldrini ricorda che gli eritrei che arrivano in Italia via mare «sono richiedenti asilo, persone in pericolo che cercano protezione a e a cui l’Italia riconosce questo bisogno e questo diritto». Un riferimento, sia pure indiretto, alla politica dei respingimenti adottata dal governo italiano dopo l’accordo bilaterale con la Libia. Ancora più esplicito è Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati: «Dopo il primo respingimento dello scorso maggio, il numero di sbarchi è drasticamente diminuito, ma l’Italia ha detto a metà luglio alla Commissione europea che non avrebbe più fatto respingimenti e ciò non è vero perchè ci risulta che nella prima parte di agosto ne siano stati fatti altri. Ce l’hanno comunicato i migranti stessi respinti in Libia, dove siamo presenti in un centro per immigrati».
Inoltre, dopo i cinque eritrei soccorsi in mattinata, nel pomeriggio sono approdati a Lampedusa altri due barconi. Uno dei quali è colato a picco mentre veniva trainato in porto. Una conferma che si tratta di vecchie «carrette», anche se il rischio di naufragare non ferma le traversate della speranza con il loro corollario di morti. E la polemica si ripercuote inevitabilmente anche tra le forze politiche: se il ministro Roberto Calderoli difende la «linea dura» sottolineando che grazie ai respingimenti gli arrivi di clandestini «sono fortemente diminuiti», il segretario del Pd Dario Franceschini dice di «provare orrore» di fronte al racconto dei cinque superstiti, e invita il governo «a chiarire in Parlamento quello che è successo».
Anche il ministro dell’Interno vuole chiarire la vicenda e ha perciò chiesto una relazione al prefetto di Agrigento, che ha già aperto un’inchiesta. «Una richiesta di informazioni – spiega Isabella Votino, portavoce del ministro Maroni – che ha semplicemente lo scopo di sapere come sono andati i fatti. In ordine al racconto dei superstiti emergono elementi che devono essere chiariti». Oggi infatti le autorità maltesi avrebbero recuperato in mare quattro cadaveri ma – spiegano dal Viminale – in questi giorni nel corso delle normali perlustrazioni e controlli nel canale di Sicilia non sarebbero stati avvistati cadaveri nè imbarcazioni. L’attività di controllo in mare è continua e il fatto che non risultino avvistamenti insomma fa ribadire che «ci sono ancora elementi poco chiari».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200908articoli/46551girata.asp
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Un estratto da http://www.caffeeuropa.it/
“tensione” tra l’Italia e Malta: quest’ultima non avrebbe avvisato le autorità del nostro Paese di aver avvistato, martedì scorso, un cadavere che galleggiava in mare libico. il portavoce della Forze armate maltesi, dice: “noi rispettiamo le procedure e non è previsto che il ritrovamento di un cadavere in acque libiche sia comunicato all’Italia. Le informazioni ufficiali tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono previste solo in caso di avvistamento di imbarcazioni”. Ma comunque sono procedure lente, regolate dall’European patrolling network: “in genere, perché le notizie arrivino a destinazione, possono passare 3, 4 o 5 giorni”.
http://www.caffeeuropa.it/?id=17,77
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18.08.2009
Debutta a Firenze la bioarte
In mostra microsculture di cellule, opere di un medico
(ANSA) – FIRENZE, 18 AGO – E’ in programma a Firenze al Museo di storia naturale della Specola, dal 20 agosto, la mostra ‘Reliquie’ con ‘microsculture cellulari’.Autore delle opere e’ Pietro Antonio Bernabei, medico che ha lavorato nella ricerca biomedica. E’ riuscito a isolare una specifica linea cellulare in grado di riassorbire un osso, modificandolo e ‘scolpendolo’, dando vita cosi’ a vere e proprie sculture. In mostra sono circa 15 opere che, come spiegato dall’autore, fanno parte della ‘bioarte’.
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_cultura/2009-08-18_118408834.html
Approfondimento
Emanuela Zerbinotti
Ossa scolpite da cellule. È questa l’idea di “Bioarte” che sta dietro la mostra “Reliquie” con microsculture cellulari in programma a Firenze presso il Museo di storia naturale della Specola, a partire da domani, giovedì 20 agosto con inaugurazione alle ore 17,00.
L’Autore delle opere non poteva essere ovviamente che un medico impegnato anche sul fronte della ricerca biomedica. Pietro Antonio Bernabei – questo il nome del medico-artista – è riuscito, infatti, a isolare una specifica linea cellulare in grado di riassorbire un osso, modificandolo e “scolpendolo”, dando vita così a vere e proprie sculture.
A chiamare “bioarte” le 15 opere che costituiranno la mostra è stato lo stesso Bernabei.
Il titolo Reliquie è stato scelto, invece, nel senso etimologico del termine (da reliquus: resto, residuo. Ciò che resta di qualsiasi cosa).
La realizzazione di queste opere, che richiede la disponibilità di adeguate strutture di laboratorio, è stata resa possibile dall’ospitalità del Dipartimento di Patologia e Oncologia Sperimentali dell’Università di Firenze, nel quadro delle proprie attività extracurricolari.
Da molti anni, infatti, l’autore svolge una ricerca artistica nell’ambito di contaminazione tra arte e scienze della vita e questa mostra non è proprio una “prima assoluta”: già due volte ha esposto le sue opere al Museo di Storia Naturale di Firenze, nel 2000 in una mostra intitolata “Bioarte” e nel 2003 in una dal titolo “Simbionti“.
Vedremo cosa ne penseranno i colleghi medici e soprattutto se riuscirà a trovare proseliti per questa nuova forma d’arte.
Fonte: ANSA
http://arteesalute.blogosfere.it/2009/08/bioarte-la-nuova-frontiera-aperta-tra-arte-e-medicina.html
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Consumo fondamentalista e società folle
DI BRUCE E .LEVINE
zcommunications.org
In un negozio Ikea gigante in Arabia Saudita, nel 2004 tre persone sono state uccise da una mandria di clienti in lotta per accaparrarsi un buono sconto da 150 dollari. Allo stesso modo, nel novembre 2008, un dipendente di un Wal-Mart di New York è stato calpestato a morte da clienti intenti ad acquistare uno degli HDTV al plasma da 50 pollici in offerta limitata.
Jdiniytai Damour, addetto alla manutenzione con contratto temporaneo, è stato ucciso durante un “Venerdì Nero”. Nell’oscurità antelucana, circa duemila clienti stavano in impaziente attesa fuori dal Wal-Mart urlando “Sfondate le porte!” Secondo Jimmy Overby, collega di Damour, “[questi] è stato assalito alle spalle da 200 persone. Hanno scardinato le porte. Lo hanno calpestato e ucciso sotto i miei occhi”. Alcuni testimoni hanno riferito che Damour, 34 anni, boccheggiava in cerca d’aria mentre i clienti continuavano a sollevarsi sopra di lui come un’onda. Quando la polizia, dopo la morte di Damour, ha ordinato ai clienti di lasciare il negozio, molti si sono rifiutati, alcuni gridando, “Sono in fila da ieri mattina”.
I media tradizionali che si sono occupati della morte di Damour si sono concentrati sulla ressa di clienti impazziti e, in misura minore, sulla mancanza di senso di responsabilità da parte dei dirigenti Wal-Mart che non avevano garantito la sicurezza. Comunque, nella stampa delle corporation era completamente assente qualsiasi riferimento ad una cultura del consumo e una società folle in cui i responsabili del marketing, i pubblicitari e i mezzi di informazione promuovono il culto della chincaglieria. Accanto ai giornalisti, anche i miei colleghi nel settore della salute mentale hanno occultato la follia sociale. Un’eccezione è rappresentata dallo psicoanalista socialdemocratico Erich Fromm (1900-1980). Fromm, in Psicoanalisi della Società Contemporanea (1955 – N.d.T.: il titolo originale dell’opera è, letteralmente, La società sana di mente), scrisse: “Eppure molti psichiatri e psicologi rifiutano di prendere in considerazione l’idea che la società nel suo complesso possa mancare di sanità mentale. Essi sostengono che il problema della sanità mentale in una società si riduca al numero di individui ‘disadattati’ e non in un possibile disadattamento della cultura in sé”. Mentre si può resistere alla propaganda pro-chincaglieria ed evitare di partecipare ai riti religiosi che si tengono al Wal-Mart, all’Ikea e in altre cattedrali-scatolone — e, quindi, stare alla larga dal sentiero percorso dalla folla di consumatori fondamentalisti — è più difficile proteggersi dalla morte lenta causata dalla cultura del consumo. Gli esseri umani sono – ogni giorno e in molti modi – assaliti da una cultura che psicologicamente, socialmente e spiritualmente:
crea crescenti aspettative materiali
toglie valore all’interconnessione tra esseri umani
adatta le persone alla socialità in modo che siano egocentriche
distrugge l’autonomia
aliena gli individui dalle normali reazioni emotive umane
vende false speranze che creano maggiore sofferenza
Crescenti aspettative materiali. Spesso queste aspettative finiscono con l’essere insoddisfatte creando sofferenza che, a sua volta, alimenta difficoltà emotive e comportamenti distruttivi. In uno studio ora classico del 1998 che prendeva in esame i mutamenti nella sanità mentale degli immigrati messicani giunti negli Stati Uniti, Willian Vega, ricercatore nel campo dell’ordine pubblico, scoprì che, tra tali immigrati, l’assimilazione alla società statunitense comportava un tasso tre volte maggiore di episodi depressivi. Vega riscontrò anche un considerevole aumento dell’abuso di sostanze stupefacenti e di altri comportamenti dannosi. Molti di questi immigrati soffrivano per le maggiori aspettative materiali che non venivano soddisfatte e riferivano, inoltre, di patire per il ridotto sostegno sociale.
La valutazione dell’interconnessione umana. Uno studio del 2006 pubblicato su American Sociological Review ha sottolineato che la percentuale di Americani che riferiva di non avere neppure un amico intimo con cui confidarsi è aumentata, negli ultimi 20 anni, dal 10% a quasi il 25%. L’isolamento sociale è altamente correlato a depressione e altri problemi emotivi. La crescente solitudine, comunque, è una buona notizia per un’economia del consumo che prospera sul numero crescente di “unità di acquisto”: più persone sole vuol dire vendere più televisori, più DVD, più psicofarmaci ecc.
– Che c’è che non va, Mr. P?
– Non riesco a decidermi in quale delle due dovrei identificarmi: l’aura nostalgica e senza tempo della Coca Cola o i temi energetici, giovanili della Pepsi… Babbo Natale o Beyoncé, questo è il problema.
– Potresti prendere la via spirituale con questo tè. Promette “l’illuminazione di mille monaci tè-betani.”
– Mi sa che preferisco bevande senza dharma.
– Ma deve esserci di sicuro una qualche nicchia di marketing in cui rientri.
– Sono semplicemente troppo complesso per essere incasellato.
– Mhm, ora che ci ripenso, forse hai ragione.
“Formaggio dell’uomo represso con testa a punta e abito elegante”
La promozione dell’egoismo. L’essere presi da se stessi è una delle molte cause dei tassi stellari di depressione e altre difficoltà emotive riscontrati negli U.S.A., ed è esattamente ciò che una cultura del consumo esige. Duemilacinquecento anni fa, il Buddha aveva riconosciuto il rapporto esistente tra appetizione egoistica e difficoltà emotive, e molti studiosi dell’essere umano, da Spinoza a Erich Fromm, sono giunti a conclusioni simili.
La distruzione dell’autonomia. La perdita di autonomia può creare un penoso stato di ansietà che alimenta depressione ed altri comportamenti problematici. Nella società moderna, un numero crescente di persone — sia donne che uomini — non è capace di prepararsi un semplice pasto. Queste persone non conosceranno mai gli effetti ansiolitici dell’essere sicuri delle proprie capacità di cucinare, coltivare le verdure, cacciare, pescare o raccogliere cibo per sopravvivere. In una società del consumo, una tale autonomia non ha alcun senso. Ad un qualche livello, la gente sa che se dovesse perdere il proprio reddito – cosa non impossibile di questi tempi – non avrebbe le capacità per sopravvivere.
L’alienazione dall’umanità. I sacerdoti della cultura del consumo — pubblicitari ed esperti di marketing — sanno che i consumatori fondamentalisti comprano di più se sono alienati dalle reazioni normali come la noia, la frustrazione, la tristezza e l’ansia. Se questi sacerdoti riescono a convincerci che un certo stato emotivo è un motivo di vergogna o il sintomo di una malattia, allora avremo più probabilità di comprare non solo psicofarmici, ma anche ogni genere di prodotto che ci faccia sentire meglio. Quando ci spaventiamo e alieniamo da una naturale reazione umana, questa “sofferenza sopra la sofferenza” genera ulteriore carburante per depressione ed altri comportamenti autodistruttivi ed azioni dannose.
La sofferenza delle false speranze. Le false speranze del consumismo fondamentalista risiedono nella scoperta, un giorno, di un prodotto che possa manipolare l’umore in maniera prevedibile senza alcuna ripercussione negativa. La moderna psichiatria è un membro a pieno titolo della cultura del consumo. Il suo “Sacro Graal” è la ricerca dell’antidepressivo capace di rimuovere il dolore della disperazione senza distruggere la vita. Alla fine del XIX secolo, Freud credeva di averlo trovato nella cocaina. Alla metà del XX secolo, gli psichiatri pensavano di averlo trovato nelle anfetamine e, successivamente, negli antidepressivi triciclici come il Tofranil e l’Elavil. Alla fine del XX secolo, ci sono stati gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), come il Prozac, il Paxil, e lo Zoloft, di cui però si scoprì la tendenza a creare dipendenza e dolorose crisi di astinenza, oltre ad un’efficacia non superiore a quella del placebo. Ogni farmaco antidepressivo, non importa quale, viene presentato come capace di eliminare la depressione senza distruggere la vita. Ma, ogni volta, si scopre che quando si armeggia con i neurotrasmettitori, si arreca un danno alla vita, proprio come con l’elettroshock e la psicochirurgia.
- Convincere le persone che se non comprano l’ultimo prodotto figo non valgono niente.
“Stai guardando questo programma su una vecchia TV da pochi soldi? Solo gli impianti digitali offrono la chiarezza di immagine e suono necessari a distruggere la tua immaginazione!”2. Distruggere i sindacati in modo che i salari ristagnino e scendano.
– Ma se paghiamo salari inferiori le vendite non caleranno a picco?
– I soldi, li avranno… non i loro soldi. I nostri soldi.3. Elargire credito facile a fiumi.
– L’ho messo sulla mia carta Amalgabank! 0% di interessi!
– “0% di interessi per 30 giorni; poi 300%.”
– Tra 30 giorni saròmorto. 4. Quando tutto va in pezzi, dare la colpa alla debolezza di carattere.
– Forse, se pagassimo ai consumatori salari più alti…
– Cosa? E premiare il loro comportamento irresponsabile?I fondamentalisti rifiutano tanto la ragione quanto l’esperienza. I fondamentalisti sono attaccati a un dogma e, se il loro dogma fallisce, non si danno per vinti. Al contrario, decidono di intensificare la propria fede e rafforzare il proprio dogma.Cinquantaquattro anni fa, Erich Fromm concluse: “L’uomo [sic] oggi deve affrontare la scelta più fondamentale; non quella tra Capitalismo e Comunismo, ma quella tra robotismo (tanto del tipo capitalista quanto del tipo comunista) e Socialismo Umanistico Comunitario. La maggior parte dei fatti sembra indicare che stia optando per il robotismo e ciò significa, a lungo termine, follia e distruzione. Ma la forza di tutti questi fatti non è sufficiente per distruggere la fede nella ragione, nella buona volontà e nella sanità mentale dell’uomo. Fino a quando saremo in grado di concepire delle alternative, non saremo perduti”.Liberarsi dal consumismo fondamentalista significa concepire delle alternative e comporta anche una sfida attiva: scegliere di sperimentare le diverse dimensioni della vita che sono state escluse dal dogma.Bruce E. Levine è uno psicologo clinico e l’autore di Surviving America’s Depression Epidemic: How to Find Morale, Energy, and Community in a World Gone Crazy (‘Sopravvivere all’epidemia di depressione dell’America: Come trovare l’etica, l’energia e la comunità in un mondo impazzito’), Chelsea Green Publishing, 2007.Fonte: www.zcommunications.org
Link: http://www.zcommunications.org/zmag/viewArticle/20446
Febbraio 2009Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN
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L’impossibile è possibile. Vinciamo noi!
Matteo Dall’Osso ha vinto la sclerosi multipla, non si è mai arreso. Solo chi si arrende può essere sconfitto. Chi volesse contattarlo per chiedergli aiuto o un consiglio può farlo attraverso il suo forum.
“Caro Beppe,
in questo momento ho una grandissima gioia nel cuore! Non so nemmeno da dove iniziare, mi mancano le parole e conoscendomi è quasi impossibile!
Sai… non ti voglio annoiare, so che ricevi tante mail ogni giorno. Forse dovrei iniziare dalla fine, cioè da quando ci siamo incontrati e conosciuti… Era per lo spettacolo a Bologna per sostenere Giovanni Favia (poi eletto consigliere comunale a Bologna, ndr)… Io ero un ragazzo che assieme a tutti gli altri hanno contribuito a questo splendido risultato!
Sono quel ragazzo che nel video di Nick a 5’21” prendo la parola per quei 5 secondi, clicca qui…
Sai sotto al palco ti avevo a un metro di distanza e vedevo che stringevi mani, facevi autografi, ti preparavi, anche perchè poi subito dopo saresti dovuto scappare. Avrei voluto fermarti e raccontarti di me o salire sul palco e raccontare di me alle persone, ma il tempo (il brutto tempo purtroppo), non ce l’ha permesso. Sì perchè i ragazzi della Lista la mia storia già la conoscevano e per questo mi avevano messo in scaletta, peccato… sarà per la prossima volta, e conoscendo i ragazzi (tutte persone davvero in gamba!) sono certo non mancherà occasione!
Scusami… ho divagato un attimo, in teoria avrei dovuto parlarti di me e della ragione per la quale ti sto scrivendo e non so nemmeno da dove iniziare. Potrei farlo con:
Caro Beppe, mi chiamo Matteo Dall’Osso, oggi ho 31 anni, quando ne avevo 19 mi diagnosticarono malato di sclerosi multipla, poi diventata secondariamente progressiva (una malattia che non lascia scampo), ero arrivato a non muovere più le gambe (ero su una sedia a rotelle), non muovevo una mano, non vedevo più da un occhio e non riuscivo più nemmeno a parlare e ora è tutto un brutto ricordo che nemmeno quando avevo 15 anni stavo così bene!
Lo so sembra uno spot pubblicitario, ma è davvero tutto vero! Quando avevo 28 anni e stavo vivendo questo dramma riuscii a capire di essere fortemente intossicato dai metalli pesanti e disintossicandomi con un protocollo americano noto da 40 anni (terapia chelante con protocollo ACAM) tutte le mie sofferenze sono solo un brutto ricordo. Ho realizzato un sito web e dato la possibilità a tutte le persone di leggere la mia storia, www.matteodallosso.org.
Ho sempre pensato che la “conoscenza” debba essere accessibile a tutti, in maniera facile e sopratutto gratuita! Sai non penso di aver scoperto nulla, ho semplicemente messo in serie tante piccole/grandi dimostrazioni e scoperte già fatte da altre persone e dottori. Se un giorno mai dovessi leggerla mi farebbe molto piacere avere la tua opinione! Se poi mai un giorno mi dovessi contattare, se mai ci potrò credere, sarò davvero l’uomo più felice del pianeta Terra! A volte ho davvero paura che sia tutto un sogno! Un carissimo abbraccio,
Vinciamo noi!”. Matteo
Ps: Ascoltate la video intervista di Matteo
http://www.beppegrillo.it/2009/08/limpossibile_e_possibile/index.html?s=n2009-08-21
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19.08.2009
Ubs: Svizzera cede propria quota
Disinvestira’ nella banca con effetto immediato
(ANSA) – NEW YORK, 19 AGO – Il governo svizzero ha deciso di vendere la propria quota in Ubs. Disinvestira’ nella banca svizzera con effetto immediato. Lo comunica l’agenzia Bloomberg. Il governo svizzero convertira’ i sei miliardi di franchi svizzeri di titoli con scadenza nel 2001 e cedera’ a investitori istituzionali le azioni che ricevera’ in cambio. il Governo svizzero controlla in Ubs circa il 9,3% del capitale senza diritti di voto.
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_economia/2009-08-19_119406458.html
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Woodstock quaranta anni dopo
di Stefano Rizzo, 21.08.2009
Quaranta anni fa, il 15 agosto 1969, 400.000 giovani arrivarono da tutte le parti degli Stati Uniti in una larga spianata di campi incolti vicino alla cittadina di White Lake nello stato di New York per “una tre giorni di pace e di musica”, dando vita a quello che è passato alla storia come il festival di Woodstock o semplicemente Woodstock (anche se la cittadina che porta quel nome si trova a circa a quaranta chilometri di distanza).
Fu il più grande concerto di quei tempi e forse di tutti i tempi, non solo per il numero di partecipanti che passarono tre giorni e due notti all’aperto, spesso sotto la pioggia e nel fango, ascoltando musica, mangiando poco e male, fumando spinelli e facendo all’amore, ma per la qualità dei gruppi musicali e dei cantanti che vi parteciparono: Jefferson Airplanes, Grateful Dead, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Arlo Guthry, The Who, Santana e tanti altri: il gotha della musica giovanile del tempo, della canzone di protesta, del rock e del blues. Tra i grandi mancò soltanto Bob Dylan, che pure aveva comperato una fattoria nelle vicinanze, ma che anche in quell’occasione dimostrò la sua avversione per i grandi eventi collettivi, preferendo andare a suonare poco tempo dopo in Europa al festival dell’isola di Wight.
Si diceva: musica, sesso e droga, il trittico della controcultura degli anni ’60; del sesso e della droga non sappiamo, ma la musica fu di altissima qualità. Inizialmente i concerti avrebbero dovuto essere a pagamento, ma sotto la pressione di una tale massa di partecipanti gli organizzatori decisero di rimuovere le biglietterie e le reti di recinzione e lasciare entrare gratuitamente tutti. Si rifaranno per la perdita di guadagni negli anni successivi con la vendita di milioni di copie dei dischi delle registrazioni (allora i CD non esistevano) e con il film documentario che uscì nel 1970.
Un evento quindi, ma non solo musicale. Woodstock fu il punto alto del movimento giovanile che si era formato negli anni precedenti prima nelle battaglie per i diritti civili e poi nell’opposizione alla guerra del Vietnam, che aveva guadagnato forza proponendo e adottando stili di vita alternativi, il rifiuto del consumismo, l’autenticità dei sentimenti, la coerenza tra vita personale e vita pubblica (“il privato è pubblico”), la libertà di espressione – rifiutando i condizionamenti, le convenzioni, il filisteismo, l’ossessione del successo, il militarismo e la violenza, anche interna, che avevano caratterizzato la vita politica e sociale dell’America degli anni ‘50.
C’erano ormai nel 1969 tante anime in questo movimento: un’anima politica rappresentata dai partiti di sinistra come lo SDS (Students for a Democratic Society), un’anima libertaria e anarchica rappresentata dagli yippy (Youth International Party) di Abbie Hoffman, che avevano organizzato l’anno prima le manifestazioni di protesta alla convenzione democratica di Chicago, un’anima rappresentata dalla ormai decennale tradizione beat e hippy, la cultura della droga (droghe “leggere” come la marijuana o la mescalina – la cocaina continuava ad essere la droga preferita dell’establishment e il crack non esisteva ancora) e che aveva come punto di riferimento il guru californiano Timothy Leary e il poeta newyorkese Allen Ginsberg.
A Woodstock mancarono invece, quasi del tutto, i neri. Con la morte di Martin Luther King nell’aprile del 1968 si era ormai consumata la rottura tra il movimento pacifista per i diritti civili, che era stato in larga misura integrato, e la protesta nera che ora si era organizzata in movimenti radicali come le Pantere nere e i Mussulmani neri che invece predicavano la separatezza e l’orgoglio di razza e non disdegnavano il ricorso alla violenza.
Tutti questi movimenti e gruppi costituivano già da anni una realtà fatta di milioni di ragazzi e ragazze con giornali, fanzine, radio alternative, agivano attraverso azioni di protesta per lo più pacifiche, sit-in, be-in, iniziative locali di resistenza e di controcultura, di cui i concerti, prima nei piccoli caffè sulla East e sulla West Coast, poi all’aperto, erano diventati una parte essenziale. Ma si trattava di piccoli gruppi sparsi in tutto l’immenso territorio degli Stati Uniti, che vivevano separati nelle città principali e nelle comuni agricole; mai prima di Woodstock si erano radunati tutti insieme, si erano visti e contanti, si erano resi conto della propria forza e del proprio radicamento. Sembrò allora che quelle centinaia di migliaia di giovani costituissero una immensa forza per il cambiamento pacifico (non ci furono nella tre giorni di concerti episodi di violenza né da parte dei partecipanti né da parte della polizia – come invece era avvenuto l’anno prima a Chicago). Sembrò che il cielo fosse a portata di mano e che da allora l’America sarebbe cambiata, sarebbe diventata un paese più giusto, meno violento, meno competitivo, una società più attenta ai valori della diversità e della tolleranza, capace di accettare stili di vita diversi e di farli convivere.
E invece non è andata così. Woodstock fu il punto più alto; da allora iniziò il declino. Il movimento nel suo insieme si spaccò ulteriormente: da una parte il Black Panther Party (nero) e i Weathermen (bianchi) che predicavano la violenza rivoluzionaria, dall’altra i pacifisti hippy, che si chiusero nelle loro comuni e nel loro privato fatto di spinelli, di capelli lunghi, di collanine, divenendo sempre più stereotipati e irrilevanti. Ne approfittò la reazione del “potere costituito”, che puntò ad approfondire il solco, a isolare gli uni dagli altri, montando capillari azioni di provocazione, di infiltrazione attraverso programmi governativi come COINTELPRO della CIA e Operation Chaos dell’FBI, eseguendo arresti e omicidi mirati e riuscendo così nel giro di pochi anni a spingere i giovani verso atteggiamenti settari, di sospetto e di isolamento, vanificando infine la loro valenza rivoluzionaria.
Al resto pensò l’industria e la pubblicità. Woodstock fece capire anche ai loro rappresentanti che il movimento di protesta era ormai di massa e come ogni pubblico di massa poteva diventare un utile mercato da sfruttare. Cambiò il vento, tutto ciò che era alternativo divenne rispettabile, i canali televisivi si riempirono di programmi e di interviste cui partecipavano hippies con il loro abbigliamento così alternativo e così innocuo. La controcultura divenne una moda. Chi non si piegò o non si integrò nell’establishment culturale finì ammazzato dalle pallottole della polizia o da una partita di droga tagliata male. E il sogno di Woodstock finì.
http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=12748
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24.08.2009
Quei baffetti di Hitler anti Barack
LUCIA ANNUNZIATA
Il manifesto tarocco di Barack Obama con i baffetti di Hitler è apparso già da alcuni mesi. Condannato, irriso, denunciato.
Eppure, il fantasma del Grande Dittatore non accenna ad andar via da questa vera e propria campagna elettorale innescatasi intorno alla riforma dell’assistenza sanitaria proposta dal Presidente americano.
In stile esercito della salvezza, il manipolo di seguaci dell’ottantaseienne e semidemente Lyndon LaRouche espone Obama-Hitler ogni giorno agli angoli delle strade.
Nelle ormai famose assemblee cittadine il grido di Obama-Hitler è inevitabile. La reintroduzione dell’eutanasia nazista contro i vecchi e i disabili nella riforma di Obama (i «Comitati della morte») è denunciata da eminenti repubblicani, come il senatore Chuck Grassley, che pure è parte della squadra bipartisan al lavoro sul testo della riforma, e la ex governatrice Sarah Palin. Di politiche di eutanasia nazional-autoritarie (ma senza nominare i Nazi) parlano tuttavia anche il democratico ex sindaco di New York Ed Koch e Camille Paglia, la saggista liberal-radical. L’ombra del Grande Dittatore, uscita dalla scatola della storia, semplicemente sembra rifiutare di ritornarvi.
Il fenomeno può essere preso molto o poco sul serio. Vi si può costruire sopra una teoria della cospirazione anti-Obama. O lo si può declassare al livello del solito folklore americano. Entrambe le tentazioni sono presenti nelle parole dei protagonisti della scena di Washington. Ma se si va al di là della cronaca, il richiamo al nazismo nella polemica americana è importante per una diversa ragione: l’evocazione di Hitler in questo Paese non è affatto una novità, è anzi una presenza costante del panorama emotivo-politico.
Non bisogna andare molto indietro nel tempo per ritrovare l’ombra del Führer. Negli anni di Bush il fotomontaggio del presidente in camicia con svastica è stata un’icona della protesta dei democratici e del mondo pacifista. L’ironia dell’odierna inversione di ruoli intorno a Hitler non può sfuggire. D’altra parte, fu proprio Bush a invocare Hitler per spiegare la natura di Saddam Hussein e la necessità della guerra in Iraq. Il capo del Terzo Reich è anche l’ispiratore di uno dei gruppi terroristi americani di maggiore pericolosità e continuità – i White Supremacist, alla cui influenza è stato attribuito il maggior attentato terroristico sul suolo americano prima dell’11 settembre, la bomba di Oklahoma City del 1995, in cui morirono 168 persone. Ancora più indietro: la simpatia del patriarca Kennedy per il fondatore della nuova Germania venne spesso usata per attaccare il presidente Kennedy.
Insomma, c’è un Hitler quasi per ogni stagione Usa. E proprio questa ubiquità del nazismo è un elemento rivelatore della formazione politica americana e della sua memoria. Perché questa permanenza? Perché proprio Hitler, e non – in un Paese così anticomunista – Stalin, i cui baffi, dopotutto, avrebbero forse fatto su Obama, accusato di essere un criptosocialista, miglior figura?
La prima risposta a questi interrogativi è molto facile: la lotta al nazismo è stato l’avvenimento definitorio del «Secolo americano». Un paese nato contro ogni intervento e interventismo europeo, in nome della fine di qualunque ingerenza imperialistica nei confronti della libertà dei popoli, trovò nell’opposizione al nazismo la forza e la ragione per intervenire in un conflitto mondiale e, alla fine, per reinventarsi come superpotenza. Includendo, in questo processo, la grande influenza intellettuale ebraica nella formazione dell’arena pubblica Usa.
Il nazismo come Male supremo è l’epitome della politica nella coscienza comune americana. Il brillante lavoro di Charlie Chaplin sul Grande Dittatore è forse il miglior testimonial di questo tipo di sensibilità. Tuttavia, questa onnipresente figura di Hitler non è sempre la stessa. In varie epoche e nelle varie polemiche il Male simbolizzato dal nazismo si presenta in forme diverse. Seguirne le diverse versioni diventa così un’utile mappa per capire cosa cova sotto le ceneri dei malumori di ieri e di oggi.
L’esempio da cui partire è proprio quello di cui abbiamo già parlato, cioè l’uso fattone, in questi ultimi anni, alternativamente, da democratici e repubblicani, contro Bush e contro Obama. Stesso Hitler, significati diversi.
Prendiamo un documento circolato molto nel 2004 , stilato dal professor Edward Jayne, ex attivista degli Anni Sessanta, in cui si elencavano ben 31 somiglianze fra Bush e Hitler. Il cuore del parallelismo era la guerra. «Come Hitler, Bush ha usato un pubblico disastro per tagliare le libertà civili: nel caso di Hitler fu l’incendio del Reichstag, nel caso di Bush l’11 settembre»; «Come Hitler, Bush è ossessionato dalla visione di un conflitto fra il Bene (il patriottismo Usa) e il Male (l’antiamericanismo)»; e, come Hitler, Bush «ha usato il meccanismo delle guerre “preventive”». Il razzismo si rivela alla fine la vera base di queste identiche concezioni: la distorsione del darwinismo, «nel caso di Hitler trattando la razza ariana come superiore su base evoluzionista, nel caso di Bush rifiutandone la scienza a favore di un creazionismo fondamentalista».
Per un Hitler perfetto da usare contro Bush, abbiamo oggi un altro Hitler la cui evocazione ci spiega i sentimenti profondi che albergano contro Obama in una parte della popolazione americana. L’equivalente del manifesto citato è un sito collettivo, «America vs Obama», e si intitola «Obama the black Hitler». L’Hitler che si evoca per il presidente attuale è quello che arriva al potere tramite la manipolazione delle emozioni, della verità e dei media. Queste alcune delle citazioni del Reich valide per Obama: «Solo colui che conquista i giovani ha in mano il futuro», «Io uso le emozioni per le masse e riservo la ragione per pochi», «Di’ una bugia, una bugia grande, continua a ripeterla, e alla fine ti crederanno».
Obama e Hitler, in questa interpretazione, condividono una visione dello Stato collettivista e autoritaria: «La salvezza individuale dipende dalla salvezza collettiva». Condividono dettagli della loro vita: «Hitler era vegetariano, pro aborto, un promotore dell’assistenza medica universale». Condividono la frode sulle loro origini miste: «Hitler aveva sangue ebreo, e Obama sangue arabo».
Ma alla fine, anche questa volta, è il razzismo che cementa le somiglianze: in questo caso, il comune odio contro gli ebrei. A Obama viene attribuito «l’arrivo di un secondo Olocausto», quello dell’Iran contro Israele, e una politica di «eliminazione degli indesiderabili». Dall’autoritarismo al dominio dello Stato, fino alla riforma medica, tutto alla fine si tiene. Con l’evocazione dell’eutanasia come sigillo finale di un percorso solo apparentemente irrazionale. Rivisitando l’ombra di Hitler, si capisce bene di quali sentimenti si nutra l’attuale tensione di base, dei vari movimenti e delle assemblee cittadine, nei confronti di Obama. E su cui molti rappresentanti repubblicani lavorano.
La prossima domanda è: questa tensione, così radicale nelle sue evocazioni, può anche diventare pericolosa? La traduzione in altre parole di questo interrogativo è se Obama rischia o no la vita – ma nessuno lo dice così direttamente. Questo è lo spettro vero che circola, ma tutti hanno il pudore di non dargli forma. Si evoca dunque Hitler. Metafora che, ogniqualvolta appare sulla scena americana, come abbiamo cercato di dimostrare, è comunque il segno che il termometro della discussione pubblica si alza.
1. Continua
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20.08.2009
Tossicologia per il XXI secolo
“Nature”: gli esperimenti su animali ostacolano il progresso della medicina
Una forte critica al metodo della sperimentazione animale
sulla rinomata rivista scientifica “NATURE”
denuncia l’inaffidabilità dei dati ottenuti con il “modello animale”
NATURE pubblica nel numero di luglio un articolo di 4 fittissime pagine firmato da Thomas Hartung, farmacologo e tossicologo tedesco dell’Università di Costanza, dal titolo
“TOSSICOLOGIA PER IL XXI SECOLO: solo un radicale rinnovamento della sperimentazione tossicologica ci consentirà di affrontare le prossime sfide per la tutela della salute e dell’ambiente
Hartung mette sotto accusa la capacità predittiva dei test effettuati su animali per quanto riguarda gli effetti sull’uomo e fa notare che la sperimentazione animale ha impedito fino ad oggi a molti farmaci innovativi ed efficaci di raggiungere il mercato.
Prima che le sostanze di sintesi o i farmaci possano essere commercializzati, essi devono infatti essere testati per i loro eventuali effetti nocivi alla salute. Questi test si traducono, nella grande maggioranza dei casi, in prove effettuate su animali.
Su “Nature”, Hartung illustra con grande accuratezza scientifica le ragioni per cui tale impostazione ha sempre recato danno alla ricerca. E’ molto difficile, egli dice, che i risultati forniti dalla sperimentazione animale possano essere trasferiti all’uomo. Egli spiega ad esempio che circa il 60% delle sostanze che, in seguito ai test su animali, vengono classificate come tossiche, sono in realtà innocue per l’uomo. Di conseguenza avviene che numerosi farmaci o sostanze chimiche non vengano autorizzati, malgrado possano essere tollerati dall’uomo senza problemi. Come pure avviene che svariate nuove sostanze, quali ad esempio delle proteine e degli anticorpi, progettate su misura per l’uomo, non siano state sviluppate perché le prove successivamente eseguite su animali non hanno potuto confermare la loro efficacia.
“Non siamo ratti da 70 kg!” dice Hartung, “gli uomini assorbono le sostanze in modo diverso, le metabolizzano in modo diverso, vivono più a lungo … e inoltre sono esposti ad una grande varietà di fattori ambientali (…) se non fossero stati effettuati tanti test su animali, oggi avremmo probabilmente disponibili modi più efficaci di curare le malattie.”
Hartung propone una nuova e moderna strategia tossicologica – che faccia uso delle mille nuove possibilità offerte dai recenti sviluppi della scienza – la quale utilizzi le cellule umane … e ottenga in tal modo risultati reali e affidabili!
Questo porterebbe grande beneficio sia agli uomini che agli animali.
Gianni Tamino, presidente del Comitato Scientifico EQUIVITA dichiara “Le affermazioni di Hartung, che siamo felicissimi di leggere su “Nature”, sono identiche a quelle che facciamo da oltre 30 anni e che sempre abbiamo visto respinte. Non recriminiamo per il mancato riconoscimento (che non ci interessa) recriminiamo per i molti anni persi nella cura di tante malattie; per la lunga sofferenza, durante questi anni, di persone e animali.”
Dopo la pubblicazione, avvenuta due anni fa, del rapporto “Tossicologia del XXI secolo, una visione e una strategia” da parte del NRC, Consiglio Nazionale delle Ricerche USA, l’attuale articolo di Hartung – che ringraziamo per il coraggio e la chiarezza della sua esposizione – è la seconda tappa nel rapido avvento, ormai più che sicuro, del nuovo paradigma scientifico che vedrà la fine della sperimentazione animale, poiché
“Avviene spesso che la credenza universale di un’epoca, dalla quale nessuno era libero senza uno sforzo straordinario di genialità o di coraggio, diventi in un’epoca successiva un’assurdità talmente evidente che l’unica difficoltà è di capire come tale idea fosse mai potuta apparire credibile”
John Stuart Mill
Comitato Scientifico EQUIVITA
Tel. + 39.06.3220720, + 39.335.8444949, + 39.335.312951
E-mail: equivita@equivita.it; www.equivita.it
http://www.promiseland.it/view.php?id=3122
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Posto la rassegna stampa completa di http://www.caffeeuropa.it/ particolarmente saliente, sempre ben sintetizzata.
25.08.2009
RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini
Le aperture
“L’America processa le torture della Cia” titola il Corriere della Sera, dando rilievo alla decisione del Dipartimento della Giustizia Usa di andare fino in fondo nell’inchiesta sulle torture commesse in nome della lotta al terrorismo. “Gli interrogatori anti-terrorismo trasferiti all’FBI”, aggiunge il quotidiano. Il titolo più grande è per il dibattito sui salari: “Ora meno tassi sui salari”. E’ la replica al ministro sugli stipendi differenziati lanciata ieri al Corriere dal Ministro Sacconi. Sono d’accordo Csil e Uil, meno la Cgil che dice “no al ricatto”. In prima pagina anche la trasferta di Berlusconi a Tripoli il 30 agosto, per festeggiare i 40 anni del leader libico al potere. “Le Frecce Tricolori per la festa di Gheddafi. I radicali: favore folle”.
A centro pagina ancora le polemiche sugli immigrati “Clandestini, la Ue risponde: divideremo il peso tra i Paesi. Bruxelles e le richieste del governo di Roma”.
La Repubblica: “Frecce Tricolori in Libia, è scontro. Si esibirannoa Tripoli dopo il vertice Berlusconi-Gheddafi. L’opposizione: non devono andare. Il principe Andrea rinuncia alla visita”. A centro pagina una foto dall’Afghanistan di militari italiani sotto il titolo: “Obama blocca la Cia: basta interrogatori. In Afghanistan nuove imboscate agli italiani”.
Una foto da Guantanamo illustra anche il titolo sulla prima pagina de La Stampa: “Obama, le mani sulla Cia. Rivoluzione del Presidente: stop agli interrogatori illegali”. Ma il titolo di apertura del quotidiano torinese è dedicato alle polemiche sulle gabbie salariali: “Epifani: pronti al dialogo. Intervista al leader Cgil. Sì ai contratti di secondo livello, ma per tutti”. Il quotidiano spiega che “i sindacati bocciano le gabbie salariali, che il segretario della Cisl Bonanni invita a togliere le tasse dagli accordi aziendali, e che quello della Uil, Angeletti, conferma che le intese nazionali si faranno. Alla necessità di “riformare le relazioni industriali” è dedicato l’intervento di Giuseppe Berta, ancora sulla prima pagina de La Stampa.
Gli editoriali di Libero e de Il Giornale sono dedicati alla visita del premier in Libia. Libero, con Maurizio Belpietro, invita Berlusconi a non salire “sul cammello”, ovvero a non andare in processione da Gheddafi; il direttore del Giornale invece, rimprovera al centrosinistra e ai radicali di non essere coerenti, poiché il nostro Paese ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco per questioni di sopravvivenza e convenienza, visto che ha srotolato tappeti al terrorista Arafat ed è stato sempre servile con Gorbaciov: “essi dimenticano gli obblighi imposti dalla realpolitik. Anzi, fingono di dimenticarli per aggredire l’Esecutivo. Si dà il caso che la Libia sia tra i nostri principali fornitori di petrolio”.
Sulla prima de Il Riformista una inquietante foto del colonnello Gheddafi e, sullo sfondo, le nostre Frecce Tricolori. “In ginocchio da te” è la didascalia che la illustra.
Il Sole 24 Ore: “Gm vende Opel, anzi no”. Il colosso Usa, spiega il quotidiano di Confindustria, “a sorpresa valuta alternative alla cessione, la Germania fa pressing e i sindacati minacciano”. Il consifglio d’amministrazione ha deciso di valutare un salvataggio della filiale europea come alternativa alla cessione a Magna o Rhj e potrebbe chiedere aiuto ai governi dei Paesi europei in cui sono situati gli impianti, ma Belrino resta favorevole alla cessione a Magna, così come lo sono i sindacati tedeschi. Il Sole parla anche di “Borse brillanti in Europa” e sottolinea che Piazza Affari è stata la migliore, con un +2,1%.
Usa, Cia, Iraq, Afghanistan
Seguendo il parere dell’Ufficio etico del suo Dipartimento, il Ministro della giustizia Usa Eric Holder ha deciso di nominare un giudice speciale per indagare sugli abusi commessi dagli agenti della Cia e dalle agenzie private negli interrogatori degli estremisti islamici in Iraq e in Afghanistan. Lo racconta il Corriere della Sera, che riferisce anche il fatto che a condurre l’inchiesta sarà il Procuratore Federale John Durham, che sta già investigando sulla distruzione dei video degli interrogatori da parte della Cia. La decisione di Holder è trapelata nelle stesse ore in cui lo stesso ministero della giustizia rendeva pubbliche le parti censurate del rapporto sulle torture, preparato dall’ispettore generale della Cia già nel 2004, ma i cui dettagli più gravi erano stati secretati dall’Amministrazione Bush. Nel documento si parla delle tecniche dure di interrogatorio, del waterboarding, delle minacce ai prigionieri con pistole e trapani elettrici accesi puntati alla tempia, così come di quelle cui venne sottoposto Sheikh Mohamed, una delle menti degli attacchi dell’11 settembre, nei cui confronti gli agenti minacciarono di uccidere i tre figli.
Ai rapporti tra i Presidenti Usa e la Cia, mai facili e spesso conflittuali, soprattuto a partire da John Kennedy, è dedicata una intervista dello stesso Corriere a Benjamin Barber, autore di McWorld contro Jihad. Una luna di miele ci fu soltanto agli inizi, con Harry Truman, che la fondò, e con Ike Eisenhower, che la usò in Iran nel 1953 per il golpe contro il premier Mossadeq. Il primo scontro, che fece cambiare tutto, fu quello di John Kennedy, che accusò di eccessiva segretezza la Cia, e ancor più si scontrò con l’FBI, il cui mitico capo Edgar Hoover raccoglieva dossier persino sui Presidenti. Tanto che, a torto, la Cia fu sospettata di coinvolgimento nell’assassinio di Kennedy, nel 1963. Poi la riforma del 1975, dopo lo scandalo Watergate. Malgrado questo, negli anni 80 ci fu l’IranGate.
Secondo il corrispondente da New York de La Stampa il Presidente Obama “rischia la rivolta degli 007”. Lo stesso direttore della Cia Panetta ha questo timore. Da quando, all’inizio di aprile, la Casa Bianca per la prima volta tolse il segreto sul waterboarding, il direttore della Cia nominato da Obama ha fatto di tutto per tutelare gli agenti che eseguirono disposizioni dell’Amministrazione Bush. E Obama, in un discorso in tv, disse: “Nessuno di voi sarà processato”. Panetta teme una sollevazione interna capace di paralizzare le numerose operazioni quotidiane di lotta ad Al Qaeda. La decisione del ministro della giustizia Holder pare lo abbia mandato su tutte le furie, spingendolo addirittura a minacciare nel luglio lo scorso, in una tumultuosa conversazione con Obama, le sue dimissioni. Ieri però Panetta ha smentito ed ha scritto ai dipendenti della Cia una email: “Difenderò tutti quegli ufficiali che hanno fatto ciò che la loro nazione gli ha chiesto e che hanno seguito le disposizioni legali ricevute. Questa è anche la posizione del Presidente degli Stati Uniti.
“Da Obama doppio colpo alla Cia”, è il titolo della lunga corrispondenza dagli Stati Uniti de Il Sole 24 Ore, che sintetizza: “Inchiesta della Giustizia e interrogatori affidati a un’unità speciale”.
La Stampa ha un inviato a Kabul, che racconta, in un reportage, la valle dei tagiki in Afghanistan, dove tutti votano Abdullah. Si tratta della zona di Istalif, dove compaiono ogni anno foto del comandante Massud, e che costituisce “una prateria di voti” per lo sfidante di Karzai. Gli abitanti avrebbero votato al 90 per cento per lui, ma si dicono convinti che alla fine vincerà Karzai. Come recita il titolo, sognano di “cacciare i marines”.
Secondo La Repubblica si è già alle “grandi manovre del dopo voto” in Afghanistan, perché già Karzai e Abdullah vanno “verso l’accordo”. L’ex ministro degli esteri non scatenerà una rivolta in stile iraniano, scrive il corrispondente da Kabul del quotidiano. Oggi alle 17 la Commissione elettorale indipendente annuncerà i primi risultati provvisori, relativi cioè al 10-15 per cento del voto: “Hanno deciso di fare così per continuare a negoziare”, dice un diplomatico. Nei prossimi dieci giorni verranno annunciati altri “pezzi di risultati”. In cambio, Karzai accetterà di non stravincere.
Agnelli
Prosegue la saga sul tesoro degli Agnelli su Libero e Il Giornale. Secondo Libero la famiglia rischia il processo: si tratta della settima puntata del storia della famiglia scritta da Gigi Moncalvo e oggi si parla delle lettere di Margherita e Grande Stevens sul riassetto della cassaforte di famiglia.
Il Riformista oggi pubblica in una intera pagina uno specchietto che spiega il “vero falso e mistero” ovvero “quello che sappiamo dell’Avvocato e il fisco”. Secondo Stefano Feltri per ora c’è una sola certezza: l’Agenzia delle entrate sta indagando su presunti (e illeciti) tesori segreti nei paradisi fiscali, ma i numeri che circolano sono tutti da dimostrare. Tutto parte dalle tesi di Margherita Agnelli: quando è morto Gianni, dice, quello che è stato diviso non era il suo patrimonio complessivo.
A sinistra
Il giuslavorista Pietro Ichino, intervistato da Il Riformista, interviene sul dibattito annunciato dall’intervento dell’ex premier Prodi, secondo cui il centrosinistra avrebbe sbagliato a scegliere la Terza via blairiana. “La mia prima impressione è che sia troppo ingeneroso verso l’esperienza britannica del New Labour di Blair. Non è stata affatto la pura ripetizione di politiche thatcheriane”, dice il professore. Al contrario, secondo Ichino, serve un leader alla Tony Blair alla sinistra italiana, dove “è dura a morire l’antica diffidenza nei confronti della autonomia individuale”. Quanto al tasso di liberalismo presente nel centrodestra, “le sembra liberale un governo che pretende di dettare a sindacati e imprese il contenuto della contrattazione collettiva?”
Su Il Sole 24 Ore lo studioso Roberto D’Alimonte sottolinea che “il Pd vince solo se scala il Nord” poiché “neppure un successo al sud compenserebbe la debolezza nell’area più produttiva”. Il lombardo veneto rappresenta il 29 per cento dell’elettorato italiano e il centrosinistra non ha mai superato il 28 per cento dei voti.
E poi
Sul Sole 24 Ore si dà notizia della prima riunione della conferenza dei capi di Stato e di governo dell’Unione Africana sui cambiamenti climatici. Una sigla, Cahoscc, che riunisce dieci Paesi, accomunati da una richiesta che porteranno anche al prossimo vertice Onu di Copenhagen: un risarcimento dai Paesi ricchi per i danni causati dall’effetto serra sull’economia africana. 67 miliardi di dollari all’anno, poiché l’Africa contribuisce per meno dell’1 per cento alle emissioni del pianeta e resta l’area più minacciata dal riscaldamento globale.
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Da ricollegarsi alla Rassegna Stampa di cui sopra. Estratto da http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=43&ID_articolo=1383&ID_sezione=&sezione=
Titolo: La Casa Bianca mette la Cia sotto inchiesta
Una task force indagherà su tutti gli abusi commessi dai servizi in Afghanistan e Iraq
“…Obama ha preso anche una seconda decisione: togliere alla Cia la responsabilità di gestire i detenuti di Guantanamo e delle altri prigioni in giro per il mondo, affidandoli al nuovo «High-Value Detainee Interrogation Group» (Hig), che sarà guidato da un alto ufficiale dell’Fbi e risponderà direttamente alla Casa Bianca. I nuovi interrogatori verranno condotti sulla base del «manuale da campo delle forze armate», che proibisce di denudare i detenuti, minacciarli con i cani, esporli a temperature estremamente calde o fredde, privarli di cibo, acqua o medicine, simulare esecuzioni e praticare la tecnica del «waterboarding», l’affogamento simulato….”
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25.08.2009
Obama riconferma Bernanke alla Fed
“E’ riuscito ad evitare la depressione” (?)
Il presidente americano darà oggi l’annuncio dell’inizio del secondo mandato dell’ex-docente di Harvard
MARTHA’S VINEYARD
Il presidente americano si appresta a riconfermare Ben Bernanke alla guida della Fed per i prossimi quattro anni: riconoscendogli il merito di aver «allontanato l’economia da una depressione», Obama, da Martha’ s Vineyard dove si trova a trascorrere le vacanze con la famiglia, annuncerà che l’accademico resterà presidente della Fed fino al 2014. Secondo quanto dichiarato da un rappresentante dell’amministrazione, l’annuncio ufficiale avrà luogo alle 9:00 del mattino (le 15 in Italia), alla presenza dello stesso Bernanke, che solo poche ore fa si trovava a Jackson Hole, in Wyoming, per il tradizionale simposio organizzato dalla Fed di Kansas City.
Harvard, il prestigioso Mit e infine l’insegnamento a Princeton, prima di approdare al board della Federal Reserve e poi presiedere il pool di economisti della Casa Bianca. È d’impronta decisamente accademica la carriera di Ben Bernanke, e i suoi trascorsi hanno rappresentato la principale discontinuità con i predecessori, più a loro agio a Wall Street che sui libri. Nominato da George W. Bush nell’ottobre del 2005, inizierà da oggi il suo secondo mandato quadriennale alla guida della banca centrale, fortemente voluto da Obama, nonostante l’estrazione repubblicana dell’ex-docente universitario. Bernanke ha dovuto imparare a conoscere approfonditamente Wall Street, in vista della crisi che si è trovato ad affrontare e delle misure eccezionali che è stato costretto a prendere per evitare che l’economia scivolasse in una seconda depressione.
Obama ritiene che «Ben abbia fatto un gran lavoro in qualità di presidente della Fed, aiutando l’economia ad affrontare la peggiore recessione dal 1930 e allontanandola dall’orlo di una nuova depressione. Nel combattere la crisi finanziaria – spiega un rappresentante dell’amministrazione Obama – Bernanke si mostrato audace e brillante. La decisione di riconfermalo è stata assunta – aggiungono dall’amministrazione – per favorire la stabilità dei mercati e ridurre il rischio di potenziali perdite per l’economia e per i mercati finanziari».
Wall Street e la maggior parte degli osservatori si erano espressi favorevolmente per la riconferma di Bernanke, che anche secondo i più critici meritava di restare al suo posto. Nouriel Roubini, uno dei suoi più acerrimi nemici, nelle ultime settimane si è detto favorevole alla sua riconferma, constatando che Bernanke e la Fed hanno fatto un buon lavoro. «Ha realizzato che la recessione avrebbe potuto trasformarsi in un’altra Grande Depressione, e coraggiosamente ha messo in atto le azioni necessarie», ha osservato Roubini. La riconferma di Bernanke dovrà essere ora sottoposta al voto del Senato.
Il secondo mandato alla guida della Fed di Bernanke è caratterizzato da due principali sfide: una sul lato economico, con la Fed che deve decidere come e quando ritirare le misure di emergenza messe in atto. L’altra è sul lato politico, con Bernanke intento a cercare di difendere i poteri e l’indipendenza della Fed mentre la Casa Bianca e il Congresso discutono la riforma delle regole del sistema finanziario.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200908articoli/46661girata.asp
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2009-08-21
Israele- Svezia: cresce tensione
Articolo quotidiano svedese, esercito israeliano trafuga organi
(ANSA) – GERUSALEMME, 21 AGO – Tensione fra Israele e Svezia dopo un articolo che accusa l’esercito israeliano di aver trafugato organi di palestinesi uccisi. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e il ministro della Difesa Ehud Barak hanno richiesto al ministero degli esteri svedese di condannare apertamente quella pubblicazione quotidiano Aftonbladet che Israele considera infamante. La Svezia funge da presidente di turno dell’Unione europea.
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_mondo/2009-08-21_121379118.html
Approfondimento
24/08/2009
ISRAELE
Accuse reciproche fra Svezia e Israele su traffico di organi e antisemitismo
Crisi diplomatica tra Tel Aviv e Stoccolma per l’ articolo di un giornale scandinavo in cui l’esercito di Tel Aviv è accusato di aver “rastrellato” organi tra i palestinesi uccisi nei Territori.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) –
Crisi diplomatica tra Israele e la Svezia per un articolo apparso sul quotidiano scandinavo Aftonbladet. Il giornale, uno dei principali di Stoccolma, accusa l’esercito di Tel Aviv di aver “rastrellato” organi tra i palestinesi dei Territori.
I fatti riferiti nell’articolo risalirebbero al 1992.
I militari del Israel defense force sono accusati di aver rapito giovani palestinesi a cui espiantavano gli organi che poi venivano immessi nel mercato dei trapianti. Secondo al ricostruzione di Aftonbladet, i soldati riportavano i corpi senza vita dei giovani nei loro villaggi di origine dopo alcuni giorni.
L’articolo ha scatenato le reazioni polemiche di diversi membri del governo israeliano che accusano di antisemitismo Aftonbladet. Yuval Steinitz, Ministro delle finanze, ha paragonato il pezzo alle pubblicazioni contro gli ebrei del medioevo. Lo stesso paragone è stato usato da alcuni cittadini israeliani per lanciare una petizione ed una campagna di boicottaggio contro Ikea, simbolo della Svezia nel mondo, che ha un suo negozio a Netanya (nella foto).
Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha definito “oltraggioso” l’articolo di Aftonbladet chiedendo al governo di Stoccolma almeno una presa di distanza ufficiale. L’ambasciatore di Stoccolma a Tel Aviv ha definito l’articolo “scioccante e sconvolgente”. Carl Bildt, Ministro degli esteri svedese atteso in Israele tra pochi giorni, ha però affermato che lo Stato non può interferire sulla libertà di stampa del Paese. Tel Aviv ha però già adottato sanzioni nei confronti di Aftonbladet negando l’accredito temporaneo a due inviati.
Eli Ishai, ministro dell’interno israeliano, ha inoltre annunciato di voler riconsiderare i permessi di permanenza di tutti i giornalisti svedesi accreditati in Israele.
http://www.asianews.it/index.php?l=i…4&geo=1&size=A
2009-08-24
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Israele: Lieberman contro Norvegia
Perche’ onora autore filo- nazista
(ANSA) – GERUSALEMME, 24 AGO – Dopo la polemica con il governo svedese, il ministro israeliano degli esteri, Lieberman, rivolge ora aspre critiche alla Norvegia.La polemica e’ per la decisione di Oslo di celebrare il 150/o anniversario della nascita dello scrittore Knut Hamsun, premio Nobel e sostenitore del regime filo-nazista di Quisling. Lieberman accusa anche il quotidiano Haaretz: e’ infondata la notizia che Israele considererebbe di annullare la visita del ministro degli esteri svedese.
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/news_collection/awnplus_mondo/2009-08-24_124375733.html
ISRAELE: LIEBERMAN CONTRO HAARETZ, FALSIFICA I FATTI
(ANSA) – GERUSALEMME, 24 AGO – Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman accusa il quotidiano Haaretz di ”falsificare i fatti” perche’ si oppone alla sua linea politica: lo ha riferito la radio militare secondo cui il leader di Israel Beitenu (destra radicale) ha inviato oggi una lettera diprotesta alla redazione del giornale.
In particolare Lieberman sostiene che era infondata lanotizia – pubblicata da Haaretz – secondo cui Israele avrebbe considerato la possibilita’ di annullare la imminente visita del ministro svedese degli esteri Carl Bildt come gesto di protesta per la pubblicazione da parte del quotidiano Aftonbladet di un articolo considerato lesivo per le forze armate israeliane.
Secondo Lieberman, Haaretz pubblica sistematicamente notizie non corrette ”per screditarlo”. Immediata la reazione di Haaretz, il quale conferma che effettivamente il ministero degli esteri ha valutato nei giorni passati la opportunita’ o meno di annullare la visita di Bildt.
Oggi intanto Haaretz pubblica una caricatura fortemente irrisoria di Lieberman. Mostra il ministro (assieme con il viceministro Dany Ayalon) impegnato a studiare una carta geografica di Svezia e Norvegia. Lieberman chiede: ”Non ci sarebbe da qualche parte una diga?”. Il disegnatore allude alla proposta avanzata anni fa da Lieberman di minacciare il bombardamento della diga di Assuan per dissuadere l’Egitto dal lanciare attacchi dal Sinai. (ANSA).
XBU
24-AGO-09
http://www.metaforum.it/forum/showthread.php?p=220316
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di Paolo Flores d’Arcais
RISCHIOSA LA LIBERTÀ DELL’UOMO
La ragione DELLA DEMOCRAZIA
L’anatema di Ratzinger, sostenuto dal teologo Mancuso, ripropone l’equazione tra umanesimo ateo e nichilismo. Confutazione di una tesi che rifiuta le radici della modernità
Vito Mancuso ha portato il suo prezioso sostegno di teologo progressista (e perfino in odore di eresia) all’ennesima offensiva di Papa Ratzinger contro la modernità nata dall’illuminismo, il cui peccato originale – capitale e inescusabile – è indicato dal Pastore tedesco nella pretesa dell’uomo alla autonomia. Questa pretesa, in effetti, è la carta d’identità dell’illuminismo, il suo tratto essenziale: autos nomos, darsi da sé la propria legge. In questo orizzonte risuona poi il “sapere aude!” di Kant, e la ragione come tribunale supremo anche di ogni fede. Contro questa pretesa, che è a fondamento anche della democrazia liberale, come è ovvio (visto che essa poggia sulla sovranità dei cittadini, non su quella di Dio) si è rinnovato nei giorni scorsi lo sguaiato “vade retro Satana!” di Benedetto XVI. Il suo anatema, che coinvolge democrazia e modernità. E che Vito Mancuso ha deciso di spalleggiare.
Papa Ratzinger ovviamente non prende di petto democrazia e modernità, bensì le demonizza obliquamente, a partire dall’equivalenza che prova ad instaurare tra umanesimo ateo e nichilismo (e poi tra nichilismo e nazismo, ma su questo il teologo progressista si dissocia, benché proprio su questo il ragionamento di Ratzinger diventi semmai logico).
L’evoluzione non ama il mistero
Qui ci interessa la difesa filosofica che Mancuso imbastisce della prima equazione ratzingeriana, tra umanesimo ateo e nichilismo. Mancuso definisce nichilismo “la negazione di un fondamento razionale ed eterno della natura e della storia” cioè dell’essere nella sua totalità, fondamento “comunemente chiamato Dio”, come giustamente sottolinea. Ma un tale fondamento non ha bisogno di essere negato, semmai deve essere dimostrato. L’onere della prova spetta a chi lo afferma, per negarne l’esistenza è sufficiente che tale prova non venga offerta, al di là di ogni ragionevole dubbio.
In altre parole: che l’evoluzione dell’universo dal big bang ad oggi, e poi la nascita della vita in quel frammento di sputo di una dei pianeti di uno dei miliardesimi soli di una delle infinite galassie, e poi il suo evolvere dai protozoi a quella scimmia bizzarra la cui neocorteccia apre la cogenza degli istinti ad una ampiezza e contraddittorietà di comportamenti…, che tutto questo sia razionale, cioè dovesse avvenire proprio come è avvenuto, anziché essere il frutto della contingenza (quello che Monod riassumeva nello splendido titolo del suo capolavoro: il caso e la necessità) non è cosa che vada da sé. Confligge, anzi, con tutti i dati empirici di cui disponiamo. Di modo che va dimostrata da chi la sostiene, contro le “apparenze” che ci dicono esattamente il contrario. Il che significa dimostrare che al di sotto di tali “apparenze” agisce una entità invisibile che indirizza questo apparente caos verso uno scopo, che anima il cosmo e la storia verso il suo culmine, che è l’amore – attraverso l’amore. Come sostiene Mancuso concludendo il suo articolo.
E’ dimostrabile questa razionalità, questo finalismo, questo anelare all’amore (le tre cose, si faccia attenzione, per Mancuso sono indisgiungibili e si chiamano spirito) che dovrebbe informare l’intero corso del cosmo e infine dell’intera avventura di homo sapiens? No. Non si può dimostrare. Si può credere, volendo. Per fede, e contro ogni ragione.
Sotto il profilo filosofico non si può neppure ipotizzarlo, infatti. A proibirlo non è un qualche fanatismo ateo ma la scoperta filosofica di un religioso francescano di parecchi secoli fa, Guglielmo di Occam, che segna un caposaldo cruciale nella storia del pensiero, e stabilisce che non si debbano avanzare ipotesi esplicative aggiuntive (inevitabilmente di tipo metafisico occultistico) quando di un insieme di fenomeni abbiamo già una spiegazione adeguata.
E’ proprio il nostro caso. Alla conoscenza scientifica sfugge per ora solo quel fantastiliardesimo di secondo che precede il big bang. Per il resto, “sappiamo tutto”. E i meccanismi darwiniani dell’evoluzione della vita su questa terra (ovviamente aggiornati e perfezionati dai successivi studiosi darwiniani, fino ad oggi) hanno spiegato perfettamente tutte le differenze che zoologia e botanica ci squadernano, e tutte le testimonianze fossili delle specie estinte. E continuano a farlo, e sono puntualmente confermati dai nuovi rilievi che la scoperta del dna ha consentito e moltiplica. Non c’è dunque mistero alcuno sul come siamo venuti al mondo, e introdurre questo benedetto “Spirito” nelle vicende del cosmo e dell’evoluzione non le rende più intelligibili, le complica e oscura, spaccia “mistero” dove vi è già conoscenza.
Cittadini autonomi non sudditi
Ma, ammonisce Mancuso in perfetto sincrono teologico con Ratzinger, se rinunciamo a questo “fondamento razionale ed eterno dell’essere, comunemente chiamato Dio” precipitiamo nell’abisso di “idiozie, di odio e di morte” proprio in virtù (in vizio!) di quella pretesa all’autos nomos con cui l’uomo si sostituisce a Dio.
Questa è però – in primo luogo – la condizione umana ineludibile, se vogliamo essere razionali, cioè almeno non rifiutare le conoscenze scientifiche di cui disponiamo. In secondo luogo, come già richiamato all’inizio, l’autos nomos è la condizione perché si possa perfino parlare di democrazia, visto che fa tutt’uno con la sovranità dei cittadini (se essi dovessero obbedire ad una legge voluta da Dio non sarebbero sovrani, ma sudditi, obbedienti o disobbedienti, della Sua legge, per noi eteronoma). In terzo luogo, se anche facessimo “come se Dio ci fosse” le cose non cambierebbero affatto, e il rischio del nichilismo resterebbe tale e quale. Quale Dio, infatti? Solo a prendere i tre monoteismi, le morali eterne e trascendenti che il Dio unico ha stabilito prevedono un matrimonio divorziabile (Jhavè), un matrimonio indissolubile (Gesù), un matrimonio con quattro mogli (Allah). Se poi allarghiamo all’intera storia del Sacro, troveremo norme che impongono come dovere etico-religioso l’antropofagia, i sacrifici umani, la tortura dei prigionieri, l’infanticidio, l’incesto… Lo aveva notato già il cristianissimo Blaise Pascal (o è anche lui un ateo nichilista?), sottolineando la vanità della pretesa di individuare con la ragione una morale naturale (anche per questo chiedeva di scommettere per la fede).
Il fatto è che Dio o il Sacro parlano sempre e solo attraverso la voce di uomini, i quali hanno proclamato legge eterna e trascendente le norme più diverse e tra loro incompatibili. E la cosa non cambia affatto se al posto di Dio mettiamo una maiuscola Ragione (quella cui fa riferimento Mancuso). Prendendola per esistente, io considero morale (cioè obbediente a tale Ragione) che un individuo condannato a morte dalla malattia e la cui condizione sia ormai di tortura, abbrevi tale tortura, perché disumana. Il cardinal Bagnasco considera invece che sia morale l’opposto, e che anche quella tortura vada vissuta “à bout de souffle”, perché evidentemente umana, anziché disumana. Di più: come meta-etica (procedura per risolvere un conflitto etico) io sostengo che ciascuno abbia diritto a decidere sulla propria vita come preferisce, Bagnasco che la sua preferenza morale vada imposta a tutti.
Scelte di vita e di morte
Mancuso dovrebbe prendere atto che non se ne esce. Se per caso avesse ragione Dostoevskij, “se non c’è Dio tutto è permesso”, sarà altrettanto vero il reciproco, che anche “se Dio c’è tutto è permesso”, perché ciascuno può farsi interprete di Dio (o della Ragione metafisica, che ne è un surrogato) e attribuire a Lui la propria scelta morale. Con una differenza inquietante. Che se io avanzo come mia scelta morale l’eutanasia, non sarò tentato di imporla agli altri. Ma se spaccio una qualsiasi morale come Volontà/Ragione del Sacro mi verrà inevitabile e conseguente l’imporla a tutti, per il loro stesso bene (la Salvezza).
E tuttavia il rischio del nichilismo, sotto il profilo gnoseologico inaggirabile, sotto il profilo pratico non è affatto un destino (che sarebbe comunque comune, abbiamo visto, all’umanesimo ateo e ad ogni forma di Sacro). Ogni società è costretta a “decidere” un insieme di norme che ne regolino la vita e la riproduzione. Quali norme? Qualsiasi, purché funzionino. Ma sotto questo profilo (che ha dato luogo a infinite varianti di “idiozie, di odio e di morte”), la società democratica è particolarmente avvantaggiata. Ha “deciso” per l’eguale dignità di tutti i suoi cittadini, dunque per il loro eguale potere (almeno politico). Questa “decisione” fa tutt’uno con la democrazia perché fa tutt’uno con l’autonomia. Di tutti e di ciascuno. E’ semmai la negazione di questo principio democratico in seno alle democrazie “realmente esistenti” che dà luogo alla fenomenologia di iniquità quotidiane richiamate da Mancuso a prova dell’odierno nichilismo. Ma da esse non sarà un qualche “Spirito” a salvarci, solo la democrazia presa sul serio. Se ne saremo capaci.
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25.08.2009
esplosione in un villaggio a 20 km dalla capitale: le vittime sono poliziotti
Attentato kamikaze in Cecenia: 4 morti
L’attacco all’indomani della visita a sorpresa di Vladimir Putin, che ha incontrato il presidente Kadyrov a Grozny
GROZNY – Attentato suicida in Cecenia: quattro poliziotti sono stati uccisi e un altro è ferito, come riferisce l’agenzia Ria Novosti. L’attacco è avvenuto nella notte nel villaggio di Mesker-Yurt (a 20 km da Grozny, nel distretto di Shali – mappa), all’indomani della visita a sorpresa di Vladimir Putin. «Un attentatore suicida si è avvicinato a cinque ufficiali di polizia mentre aspettavano che venisse lavato il loro veicolo a un lavaggio auto e ha attivato un congegno artigianale, nascosto sotto gli abiti – ha detto alla Ria Novosti una fonte delle forze di sicurezza -. Quattro ufficiali sono rimasti uccisi sul colpo».
LA VISITA DI PUTIN – Il premier russo ha incontrato il presidente Ramzan Kadyrov per discutere della situazione socio-economica, dell’occupazione e di alcuni progetti di investimento. Durante la sua visita, il premier ha reso omaggio alla tomba del padre di Kadyrov, Akhmad, il presidente ucciso a maggio del 2004 in un attentato dinamitardo allo stadio di Grozny e che lunedì avrebbe compiuto 58 anni.
KAMIKAZE IN BICICLETTA – A Grozny c’è stato un tragico precedente dell’attentato odierno: venerdì scorso altri quattro poliziotti e una passante sono stati uccisi in due attacchi messi a segno da kamikaze in bicicletta, modalità finora inedita da parte della guerriglia cecena. Il primo attentatore si è fatto esplodere davanti a due poliziotti, nel centro della capitale. Mezz’ora dopo, un altro ribelle suicida ha compiuto un attentato analogo, uccidendo altri due agenti.
ATTACCO IN INGUSCEZIA – Dopo la fine delle operazioni militari russe nella regione, il governo presieduto da Kadyrov ha dovuto affrontare una recrudescenza terroristica che sta colpendo anche la vicina Inguscezia, dove venerdì un agente è stato ucciso: i killer hanno aperto il fuoco contro l’auto su cui viaggiava. Lunedì un poliziotto è stato ucciso e altri quattro feriti in uno scontro a fuoco con i ribelli nella zona dell villaggio Duba-Yurt.
CONDANNATO INDIPENDENTISTA – Intanto la sedicente Corte suprema della Sharia dell’Emirato del Caucaso ha condannato a morte un esponente storico degli indipendentisti ceceni, Akhmed Zakaiev, residente a Londra e autoproclamatosi primo ministro del governo separatista in esilio. È scritto su due siti considerati vicini ai ribelli, Kavkazcenter.com e Islamdin.ru. «Zakaiev ha abbandonato l’Islam riconoscendo legittimo il governo di Ramzan Kadyrov» si legge. Il documento allude alla decisione di Zakaiev di partecipare a negoziati con rappresentanti del presidente filorusso, prima a Oslo e poi a Londra. Allora era stato deciso di convocare un congresso mondiale ceceno per instaurare una pace durevole. «La Corte ha dichiarato che l’uccisione di questo apostata è un dovere di ogni musulmano se non si pente pubblicamente» prosegue il testo. Zakaiev è ricercato come terrorista da Mosca, ma Grozny chiede per lui un’amnistia.
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26.08.2009
Fratello di John e Bob fu portabandiera della battaglia per i diritti civili
Usa: è morto Ted Kennedy
Il senatore democratico, malato da tempo di un tumore al cervello, è deceduto all’età di 77 anni
NEW YORK (USA) – E’ morto a 77 anni seguito di una lunga malattia il senatore democratico americano Edward Kennedy (meglio noto come Ted) fratello dell’ex presidente degli Stati Uniti John Kennedy e del candidato alla presidenza Bob entrambi morti assassinati. «Abbiamo perso il centro insostituibile della nostra famiglia e della luce gioiosa della nostra vita, ma l’ispirazione della sua fede, ottimismo e perseveranza vivrà nei nostri cuori per sempre», si legge in un comunicato della famiglia citato dalla Cnn. «Ringraziamo tutti coloro che gli hanno dato assistenza nell’ultimo anno, e tutti quelli che lo hanno accompagnato nella sua incessante marcia per il progresso verso la giustizia».
MALATO DA TEMPO – Ted Kennedy era malato da tempo di un tumore al cervello. Da giorni si rincorrevano voci circa un drastico peggioramento delle sue condizioni, alimentate anche dalla sua assenza al funerale della sorella Eunice Shriver Kennedy, due settimane fa. Kennedy aveva inoltre scritto una disperata lettera ai vertici del suo Stato, il Massachusetts, chiedendo di essere sostituito nel suo ruolo di senatore a Washington il prima possibile, senza aspettare l’elezione suppletiva necessaria per legge. Il senatore, infaticabile sostenitore di Barack Obama, temeva infatti che la sua assenza nuocesse al partito al momento di votare la tanto discussa riforma sanitaria.
CHI ERA – Nato a Boston il 22 febbraio 1932, ultimogenito di Joseph Kennedy e Rose Fitzgerald, cresciuto fra New York, la Florida e l’Inghilterra, Edward Moore Kennedy si laureò ad Harvard nel 1956, dopo essere stato espulso e poi riammesso per aver falsificato un esame di spagnolo. In seguito si specializzò in legge alla University of Virginia, curando nel frattempo la campagna elettorale del fratello John, eletto presidente nel 1960. Divenuto senatore del Massachussetts nel 1962 prendendo il posto del fratello grazie a una elezione suppletiva, Ted Kennedy non lascerà più l’impegno politico, venendo eletto per otto mandati consecutivi dal 1964 al 2006. Durante gli oltre quaranta anni nelle prime fila della politica di Washington, Kennedy ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione delle strategie della sinistra americana, contribuendo attivamente alla realizzazione di leggi di impatto decisivo sulla vita dei cittadini. La sua storia riassume in modo emblematico quella della famiglia Kennedy, il più grande clan della politica americana, segnata da grandi trionfi così come da scandali e tragedie. Dopo l’omicidio di Jfk, il 22 novembre del 1963, e dopo averne dovuto comunicare la morte al padre, Ted si salvò nel 1964 da un incidente aereo nel quale morirono il pilota e un suo assistente. Il senatore rimase per diversi mesi in ospedale con alcune costole rotte, un polmone perforato, emorragie interne e forti dolori alla schiena che non lo abbandonarono più. Fu sempre Ted nel 1968 a pronunciare l’elogio funebre di un altro fratello ucciso, Robert, al quale era profondamente legato. Dalla scomparsa del padre, nel 1969, il più giovane dei fratelli Kennedy divenne di fatto il patriarca della famiglia, oltre che il tutore dei 13 figli dei fratelli John e Robert. Lo scandalo che però ne ha segnato indelebilmente, e forse stroncato, l’ascesa politica risale alla notte del 18 luglio 1969. Di ritorno da una festa a Chappaquiddick Island, a Martha’s Vineyard, ebbe un incidente e finì in mare con l’auto. Ted Kennedy riuscì a salvarsi, lasciando però nella vettura la ragazza che era con lui, Mary Jo Kopechne. Il senatore non chiamò la polizia fino al giorno dopo, quando il corpo della donna fu ritrovato. Il 25 luglio si dichiarò colpevole di omissione di soccorso, negando però di essere ubriaco al momento dell’incidente, e fu condannato a due mesi di prigione, condanna poi sospesa. L’anno seguente Kennedy vinse nuovamente le elezioni per il Senato con il 62% dei voti. Nella sua unica corsa per la presidenza, nel 1980, venne sbaragliato durante le primarie dall’allora inquilino della Casa Bianca, Jimmy Carter. In seguito, alla convention democratica di Boston nel 2004, venne celebrato definitivamente come il patriarca del partito. Nel 2005 divenne inoltre il più anziano senatore in carica dopo Robert Byrd. Nel 2006 la rivista Time lo selezionò tra i migliori dieci senatori d’America. Il più giovane dei Kennedy è divenuto negli anni uno degli ultimi baluardi della sinistra del partito democratico, sebbene al Senato fosse tra i principali promotori delle coalizioni.
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