Affondano le radici nel pozzo carminio
una grazia marmorea greca,
un bianco tempio
una chiesa papale e un teatro romano,
la polvere ignorata d’un plebeo o d’uno schiavo
che le rughe del tempo
impietose hanno corroso.
Prosperano i rami
con le spine avvelenate,
spine che s’insanguano seguendosi,
da un desiderio corrotto alle assurde gesta
d’un mortale canto popolare.
E rovisto tra i rovi urlanti
a trovar le gemme splendenti,
sbocciate da turpi germogli
che l’insinuosa ale nera
vorrebbe nascondermi.
(02.06.1992-09.08.2006)
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