Le colline, stamane,
parevano sfumate, toccate
da un pennello pregno
d’una plumbea, aerea tavolozza.
E io debole,
mi lasciavo cullare nell’oblio stordito
di quella dolce cicuta nettarea
che mi invadeva,
e giungeva il ghigno del Destino
nelle urla dei corvi
che cantavano lo scorrimento del sangue,
visibile e invisibile, ed ero perso.
Poi, timido,
qualche raggio trapassava
la coltre avviluppante e il sole,
ancora una volta trionfante
baciava le colline e nettava le ragnatele,
e tornava dominante nella torre
forte della sua anima cristallina,
ritto e stoico,
di me, il principe.
(06.07.1992)
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