Estratto da “edicola” di vita.it, di Franco Bomprezzi
Ambiente, il “tradimento” di Obama e vertice il Fao 16.11.2009
Compromesso al ribasso nel vertice di Singapore, affossata la conferenza di Copenhagen
Un fallimento annunciato, ma non per questo meno grave. La conferenza di Copenhagen sull’ambiente nasce già morta dopo il compromesso sul rinvio di un accordo globale sulla riduzione delle emissioni inquinanti, un’intesa al ribasso siglata dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel vertice con i leader di Asia e Pacifico. I giornali oggi registrano il fatto e i malumori europei.
“Clima, l’unica intesa è il rinvio”. Così il CORRIERE DELLA SERA che dedica al summit fra Obama e i leader di Asia e Pacifico che ha fissato un solo obiettivo politico per il vertice di Copenhagen. «I leader del mondo hanno rinunciato a concludere in dicembre a Copenhagen un accordo globale sul cambiamento climatico, ridimensionando le ambizioni del summit, che ora dovrà invece servire a raggiungere solo una «intesa politicamente vincolante». L’analisi è affidata a Paolo Valentino (“La grande ipocrisia nei mari del sud”): «Aveva altre scelte, il presidente americano? Nove anni dopo la fine dell’Amministrazione Clinton, Obama si ritrova prigioniero di un rovello simile a quello che paralizzò Al Gore. Grande patron dell’Accordo di Kyoto, il vicepresidente dovette arrendersi alla realtà dei rapporti di forza dentro il Congresso. E il Trattato non fu mai neppure portato all’esame di Capitol Hill. Anche Obama si è proclamato paladino della salvezza del pianeta. E anche Obama ha un problema con il Senato, che punta i piedi sulla legge per l’energia e il clima, già votata dalla Camera dei Rappresentanti. Ma a differenza di allora, si tratta di un Senato democratico. Che ha i numeri, ma non la volontà politica di andare contro le lobby e adottare limiti molto severi alle emissioni nocive. Con tutte le sue energie politiche e intellettuali risucchiate dalla battaglia sulla riforma sanitaria, il presidente del cambiamento non ha saputo o voluto dedicare la necessaria attenzione a quello del clima. Così, a Singapore, Barack Obama ha praticamente accettato senza fiatare un brutto compromesso, che però gli torna molto utile: dà infatti un po’ di tempo alla sua Amministrazione per cercare di mettersi alle spalle la Sanità e quindi lavorare sul fronte climatico per convincere i troppi senatori riluttanti. Non ha molto tempo però, al massimo i primi mesi del 2010, poi si entrerà nel cono d’ombra delle elezioni di Midterm e il Congresso avrà ben altro a cui pensare». Continua Valentino: «Ma la scelta di Obama di non battersi e non «guidare» ha molti risvolti negativi. Offre per esempio un altro grasso alibi alla Cina, grande inquinatrice e grandissima forza frenante dell’intesa sul clima: ieri nel breakfast che ha portato all’intesa, il presidente Hu Jintao si è profuso in un’altra lezione ai Paesi più ricchi, sollecitandoli ad accettare tagli più profondi alle proprie emissioni. L’altro rischio che Obama corre è di incrinare il proprio prestigio e la propria autorità morale su un tema che è tra le insegne della sua presidenza». Di fatto quindi il summit Onu fra 22 giorni in Danimarca dovrà servire solo da preambolo a ulteriori negoziati per la riduzione delle emissioni nocive. Dure le reazioni dall’Europa: “Per Parigi e Berlino il week end del disastro” esclusi dalla scelta, irritati dal compromesso.
“Clima, lo stop di Usa e Cina” è l’apertura di LA REPUBBLICA che nel sommario scrive “A Copenaghen niente tagli ai gas serra. Riferisce da Singapore, Federico Rampini: l’asse Usa Cina fa saltare l’accordo sulla lotta al cambiamento climatico. Le due superpotenze hanno blindato un’intesa che svuota il vertice danese e mette di fronte al fatto compiuto l’intera Europa. Volato a Singapore all’ultimo minuto, il premier danese Lars Rasmussen ha dovuto prendere atto che in Danimarca non sarà presa alcuna decisione operativa. L’obiettivo di ridurre del 50% le emissioni di anidride carbonica entro il 2050 è stato cancellato anche dal documento finale del vertice Apec. L’accordo regressivo mette in difficoltà Obama, eletto con la promessa della Green economy. Infatti intervistato, l’ecologo Barry Commoner, guru nel campo della ricerca per le energie pulite, è perentorio. Come riferisce il titolo: “Per Obama è un fallimento l’Europa resta da sola a combattere per l’ambiente”. «Amareggiato e deluso», si dice. «Il pressing politico per la riforma sanitaria ha fatto mancare la spinta necessarie per ottenere un risultato sulla partita climatica. Obama ha così registrato un pesante fallimento: non è riuscito a prendere la leadership della green economy». Non perde le speranze, però: potrebbe anche essere l’Europa a continuare a tessere le alleanze internazionali necessarie. C’è bisogno di un anno in più, ma l’atmosfera non può aspettare. La differenza rispetto al passato è che oggi l’arresto è legato a ragioni tattiche. Il commento di Vittorio Zucconi ha un titolo che si spiega da sé: “Dalle promesse alla realtà”. Ovvero i 10 mesi di presidenza che hanno cambiato poco. «Il presidente in carica sta, giorno dopo giorno, scoprendo, o ammettendo dopo la scintillante retorica della sua campagna elettorale, quello che tutti i suoi predecessori avevano scoperto che cioè tra il promettere e il mantenere esiste, anche per la persona che si definisce come la più “potente del mondo”, un abisso. E che questo abisso pratico appare tanto più largo e profondo quanto più grandi erano le speranze suscitate e le promesse fatte».
La pagina 13 del GIORNALE è dedicata ai vertici fra i rappresentanti dei maggiori Paesi, in primis a quello Apec che ha riunito a Singapore i Paesi del Pacifico e poi al summit della Fao che si apre a Roma. Questo presentato da Mario Capanna, oggi presidente della fondazione diritti genetici, con l’esordio della nuova rubrica “Sottosopra”. Partiamo dalla riunione Apec in cui «Obama liquida il vertice di Copenhagen sul clima perché è impossibile trovare un accordo e quindi meglio rinviare le decisioni finali a nuovo appuntamento, forse nel 2010 a Città del Messico». «Copenhagen» scrive Carlo Lottieri «sarà l’ennesima tappa intermedia e non già come l’Europa vorrebbe la conclusione trionfale di una battaglia che da tempo il nostro continente combatte». L’altro vertice, come si diceva, è quello della Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite. Scrive Mario Capanna: «La fame nel mondo è in crescita: colpisce 1 miliardo e 20 milioni d persone. Si tratta della peggior crisi degli ultimi 40 anni. Com’è possibile?». «A mancare non è il cibo, precisa Capanna, la fame deriva dal fatto che i poveri non hanno denaro per acquistarlo né i mezzi per produrlo». La soluzione per il leader del 68 milanese è questa: «l’unica via di uscita è la costruzione di uno sviluppo agroalimentare autoctono che valorizzi le diversità di suoli, di climi, le colture e le culture, il microcredito e le biodiversità (il contrario di ogm). Come sostiene il comitato internazionale di sovranità alimentare che si riunisce a Roma a lato della Fao, e con essa dialoga e interagisce». I Grandi hanno appalto anche di diritti umani, come evidenziato in un box di pag. 13. «Iran e San Suu Kyi sono stati questi i due temi che ieri hanno sottratto tempo e attenzioni alle questioni economiche sul piatto del vertice Apec di Sigapore. Per la prima volta dopo 43 anni un presidente Usa ha parlato al capo della Giunta militare birmana. Obama ha chiesto la liberazione di San Suu Kyi. Quanto all’Iran Obama è riuscito a strappare al presidente russo una linea più dura sull’Iran per assicurare scopi pacifici della programma nucleare».
L’affossamento di Copenhagen trova spazio su LA STAMPA in prima “Clima, Obama e Cina affondano Copenhagen” e in due pagine, alla 6-7. Il retroscena da Bruxelles di Marco Zatterin ha un titolo che non lascia dubbi: «Così è morta la conferenza di Copenhagen”: «Si discuterà a lungo sulla strategia in due fasi con cui, ieri a Singapore, il premier danese Lars Rasmussen ha definitivamente tolto dal tavolo della Conferenza su Clima l’ipotesi di firmare in dicembre un trattato degno di questo nome, un testo che prescriva impegni scolpiti nella pietra invece che un manifesto politico senza immediate conseguenze. Le fonti ambientaliste parlano di “naufragio” e di “eutanasia di un negoziato”, quelle diplomatiche invitano a credere che possa essere “un elettrochoc salutare”. (…) L’Europa è rimasta sola nel tentare di imbastire un accordo globale che avesse un senso, sola e con chiare difficoltà interne al momento di scrivere la cifra da pagare per sostenere le proprie ambizioni. Una cosa sono le parole, altra la voglia di firmare assegni in tempo di crisi. (…) Per evitare lo scacco totale, e lasciare la porta aperta, Rasmussen ha abbassato l’asticella. Il che, per l’Europa, è una notizia indigesta. Vuol dire cedere all’evidenza che gli sforzi compiuti non hanno convinto i grandi partner – e grandi inquinatori – internazionali».
VERTICE FAO
SOLE24ORE – Il SOLE ospita in prima pagina un intervento del presidente della Commissione UE Barroso sulla fame nel mondo, visto che oggi si apre a Roma il summit Fao sulla sicurezza alimentare. «Stiamo fallendo nella lotta alla fame», ammette Barroso, nonostante lo stanziamento di 20 miliardi di dollari deciso al G8 dell’Aquila. Che fare allora? Primo, Barroso consiglia di puntare sulla biodiversità come antidoto ai cambiamenti climatici e «rete di sicurezza contro le perite causate dal clima, dai parassiti e dalle malattie». Però non è sufficiente: «Ritengo sia necessari per la sicurezza alimentare creare un gruppo intergovernativo di esperti in grandi di monitorare la situazione su scala mondiale». Insomma, l’ennesima commissione… Ma anche «stanziamenti concreti e maggiori investimenti agricoli in tutto il mondo».
http://beta.vita.it/news/view/97692
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Red List, allarme rosso per piante e animali 4.11.2009
Clara Gibellini
BIODIVERSITA’. L’Unione internazionale per la conservazione della natura ha pubblicato un elenco con flora e fauna in pericolo di estinzione. Una specie su tre rischia di sparire.
Tempo quasi scaduto per oltre un terzo della flora e della fauna del mondo. Arriva dall’ultimo aggiornamento della Red List, pubblicato ieri dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), l’allarme estinzione per un altissimo numero di specie. Secondo i ricercatori della più vasta organizzazione di tutela della biodiversità mondiale (a cui aderiscono oltre mille membri fra governi e Ong) su un totale di 47.677 specie oggi conosciute, sono infatti 17.291 (36 per cento) quelle minacciate da uno stravolgimento degli ecosistemi che rischia di metterne a repentaglio la sopravvivenza.
A guidare l’inquietante classifica delle specie più a rischio sono le piante, con una minaccia che colpisce il 70 per cento delle varietà note, seguite dal 37 per cento dei pesci di acqua dolce, il 35 per cento degli invertebrati e il 30 per cento degli anfibi. Anche se in misura minore, non sfuggono all’inarrestabile minaccia dell’estinzione anche il 28 per cento dei rettili, il 21 per cento dei mammiferi e il 12 per cento degli uccelli. I dati dell’Iucn sottolineano inoltre come, nella corsa contro il tempo per la salvaguardia della biodiversità naturale, siano già state sacrificate 875 specie (2 per cento) mentre sono attualmente 3.650 quelle considerate come quasi minacciate, che rischiano, cioè, nei prossimi decenni, di subire la minaccia dell’estinzione se non verranno intraprese azioni concrete per la loro tutela.
Delle oltre 17mila specie considerate a rischio estinzione sono 3.325 quelle per cui la minaccia costituisce oggi un pericolo irreversibile mentre sono ancora possibili interventi che assicurino la naturale sopravvivenza delle quasi 5.000 specie in pericolo o delle oltre 9.000 classificate dai ricercatori come vulnerabili. «Questi risultati – afferma Craig Hilton Taylor, direttore del progetto della Red List – rappresentano solo la punta dell’iceberg. Abbiamo considerato per ora solo 47.663 specie, mentre ne esistono diversi milioni che potrebbero anch’esse essere gravemente minacciate. La nostra esperienza dimostra, però, che l’azione in favore della conservazione della natura conduce a dei risultati, per questo è fondamentale non aspettare che sia troppo tardi ma cominciare a preservare le nostre specie oggi stesso».
Una dichiarazione che è anche un appello ai governi del mondo perché si adoperino il prima possibile a tutela degli ecosistemi delle specie minacciate, prima di tutto inserendo questo tema fra le loro priorità anche in vista delle azioni da intraprendere nel corso del 2010, già dichiarato Anno mondiale della biodiversità dall’Onu. Una ricorrenza nel corso della quale all’Iucn sanno già che ci sarà poco da festeggiare: «Le prove sulla gravità della crisi dell’estinzione che stiamo attraversando si accumulano afferma Jane Smart, direttrice del Gruppo della conservazione della biodiversità dell’Iucn -. Secondo le nostre ultime valutazioni sarà impossibile arginare la perdita di biodiversità nel 2010, come prevedeva il nostro obiettivo».
http://www.terranews.it/news/2009/11/red-list-allarme-rosso-piante-e-animali
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Capitani coraggiosi. Il video reportage di RSI 13.11.2009
di Franca Verda Hunziker
ROMA – “Pescatori di uomini” e “Angeli del mare”: li chiamano così e hanno ricevuto medaglie al valore dall’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati. Sono i pescatori di Mazara del Vallo che con i loro grossi motopescherecci sono stati protagonisti di epiche operazioni di salvataggio di centinaia di migranti clandestini alla deriva su gommoni o barche fatiscenti nel Canale di Sicilia. Ma c’è un’altra storia persasi nelle reti della cronaca: quella di 7 pescatori tunisini sotto processo da due anni ad Agrigento con l’infamante accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver salvato e portato a Lampedusa 44 naufraghi. Una storia con implicazioni diplomatiche e politiche – con effetti collaterali devastanti per il soccorso in mare- che si dovrebbe chiudere con la sentenza il 17 novembre.
Per approfondimenti:
Capitani coraggiosi. Parlano i pescator di Mazara
Lampedusa: salvarono naufraghi, oggi rischiano il carcere
Agrigento: capitan vergogna davanti ai suoi giudici
Al link il video:
http://fortresseurope.blogspot.com/2009/11/capitani-coraggiosi-il-video-reportage.html
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Dalla newsletter di Jacopo Fo del 14.11.2009
Wyclef Jean
“…A dimostrazione del fatto che non sempre le multinazionali l’hanno vinta, quello che sta succedendo nel Web oggi e’ un’ulteriore prova che non c’e’ modo di fermare chi ha la determinazione di opporsi, chi non si limita a protestare ma lavora e inventa nuovi modi per dare voce a coloro che hanno qualcosa da dire.
Sono lontani i tempi degli album (i 33 giri come li chiamavamo noi 50enni), e ora anche i Cd originali stanno entrando velocemente nel dimenticatoio .
Il formato Mp3 ha generato una svolta epocale: infatti per la prima volta nella storia del mercato musicale il prodotto da commercializzare non e’ piu’ fisico ma e’ immateriale. Cio’ ha completamente modificato i parametri che finora reggevano l’industria discografica. Ora le canzoni le archiviamo sul Pc invece che su cassetta, le compriamo online invece che in negozio, le ascoltiamo con l’iPod invece che con stereo e walkman. Gli artisti traggono la stragrande maggioranza dei loro guadagni non dalle vendite dei dischi, bensi’ da concerti e altre attivita’ collaterali.
L’attesa che l’uscita di un nuovo album generava negli ascoltatori, l’abitudine dei ragazzi di risparmiare per poi comprare l’ultimo disco di un artista sono scomparse, e con esse anche il valore percepito della musica. Un semplice clic per ascoltare un brano, se non piace un altro clic e gia’ l’opera si ritrova nel cestino della scrivania del computer.
In contemporanea al calo dell’attenzione e del valore attribuito a un pezzo musicale, la tendenza dell’economia a creare oligopoli che producono solo marchi, mai sostanza, ha portato a una forte produzione musicale usa e getta. Studiata e concepita a tavolino, venduta tramite intense operazioni di marketing. Il branding, per le grandi case discografiche, ha sostituito le capacita’ artistiche, inesorabilmente. I manager della musica preferiscono di gran lunga “creare” un nuovo talento musicale completamente asservito alle richieste del pubblicitario di turno che produrre grandi star, costose e indomabili.
I vari talent show come X-Factor ne sono l’eclatante esempio.
Le multinazionali della musica che in pubblico si stracciavano le vesti lamentando forti perdite, in privato si autocongratulano con grandi pacche sulle spalle per essere riuscite a far tacere qualsiasi produzione musicale non in loro possesso.
Di fatto, in questo tipo di mercato, un artista che non sia a contratto con una multinazionale non ha possibilita’ di farsi ascoltare.
Ma piu’ forte del brand, della gestione dell’immagine, puo’ ancora rivelarsi il legame atavico che stringe l’uomo al ritmo, alla musica. La musica non e’ mai stata solo una espressione artistica da vivere passivamente, e’ una esperienza fisica totale, e’ la componente principale del rito, accompagna ogni evento della vita, puo’ condurre all’estasi, esorcizzare i lutti. Nelle societa’ umane che vivono a stretto contatto con la natura, la musica e’ l’espressione di ogni avvenimento, personale o sociale.
In special modo per le minoranze, senza andare troppo indietro nel tempo, basti ricordare quello che e’ stato il reggae e l’hip hop per le comunita’ nere di tutto il mondo. Un nome sopra tutti: Bob Marley. Forse ancora molti non sanno dove sia ubicata geograficamente la Jamaica ma quando vediamo una bandiera verde e gialla non possiamo non ricordare quell’uomo straordinario che cantava “No woman no cry”, donna, non piangere. Meno di tutti puo’ il suo popolo, che ancora conserva l’orgoglio che gli infuse questo cantastorie ribelle, con parole come queste: “Se esprimi un desiderio e’ perche’ vedi cadere una stella, se vedi cadere una stella e’ perche’ stai guardando il cielo, se guardi il cielo e’ perche’ credi ancora in qualcosa”.
Ma ai tempi, non ci credeva nessuno, e men che meno le corporations della musica.
Quando poi gli strumenti costavano troppo per i ragazzi neri d’America, ecco che con un campionatore si fecero miracoli per ricominciare a protestare, informare, dire la propria, attraverso il potere della musica. Un’altra rivoluzione era in agguato, l’hip hop avrebbe gridato il dolore e la rabbia del periodo piu’ combattuto dello scontro razziale Usa.
E ora, ancora una volta, bisognava trovare un altro escamotage, perche’ la forza della musica e’ dirompente e non saranno certo pochi uomini in giacca e cravatta a fermare chi ha qualcosa da dire.
In base a questa forza si affaccia ora proprio su internet – lo spazio che piu’ ha modificato la nostra relazione con la musica – quella che l’autore definisce: people Revolution! Una rivoluzione popolare. Wyclef Jean, fondatore dei mitici Fugees, ha creato la prima etichetta musicale interamente online. Gestita dal basso – raccoglie rapper, musicisti, grafici, promotori…– si propone di non ubbidire alle leggi di mercato, ma di crearlo, ascoltando cio’ che dai 5 continenti arriva, dando spazio alla forza che la musica rappresenta, e avendo la forza di gestirlo e promuoverlo.
Questa forza viene dalla gente, da chi desidera partecipare, come in una jazz session in cui ogni artista segue le sue emozioni e quelle dell’onda emotiva degli altri, una forza immensa che forse rivoluzionera’, ancora una volta, l’universo musicale.
Non e’ nuovo a queste cose, Wyclef Jean, haitiano: ha spesso dichiarato: “la musica mi ha salvato la vita” e nel suo caso non e’ un modo di dire. Oggi cantante, produttore, attore, e’ anche il fondatore di Yele’ Haiti (http://www.yele.org/), un’associazione che si occupa di aiutare con vari progetti la popolazione di uno dei paesi piu’ poveri del mondo.
In sei mesi, Wyclef ha raccolto piu’ un milione di “warriors” del Web, guerrieri della musica, persone disposte a diffondere in tutto il mondo la musica della strada, ottima musica, tra l’altro. Tra questi vi sono dj, pubblicitari, giornalisti, blogger, professori di scuola, ragazzi appassionati di internet, tutti disposti a lavorare gratis, a partecipare attivamente cosi’ da fare ascoltare al maggior numero di persone possibile quella musica che il potere vuole morta e asservita. E tutto, tramite il Web, lo strumento piu’ democratico del mondo. Il 10 novembre e’ uscito il nuovo album dell’artista: From the Hut, to the Projects to the Mansion (DJ Drama Presents Wyclef Jean a.k.a. Toussaint St. Jean), e la cosa incredibile e’ che l’album e’ gia’ al primo posto nelle classifiche Hip Hop di ITunes sia negli Usa che in Canada. Un risultato che e’ rivoluzione se si pensa che la promozione e’ arrivata solo dal Web e senza l’ausilio della grande distribuzione, senza pubblicita’ mainstream… si tratta “solo” di un milione di persone che decidono cosa vogliono ascoltare…
E l’album racconta una storia che e’ un’epopea, da una capanna di Haiti a celebrita’ di fama internazionale. Come recita il titolo, da una capanna, al ghetto, ai palazzi. Non si tratta pero’ della retorica versione maschile di Cenerentola, non e’ una storia eroica, pur essendo combattiva. E’ una storia di speranza e di responsabilita’. Come dice Wyclef: “Non amo vedere foto di bambini mezzi nudi con negli occhi dolore e morte, utilizzati per muovere il pietismo internazionale. Non lo amo perche’ IO ero uno di quei bambini, e nei miei occhi c’erano sogni e speranza”. E dai testi dei brani di questo album si capisce chiaramente da dove viene una forza che puo’ portare un ragazzo da Haiti a sfidare, solo, le piu’ potenti industrie del pianeta: non esiste autocommiserazione ne’ prodezza, ma una concreta e solida determinazione e una duramente conquistata perizia. Queste sono le armi che possono cambiare, per Wyclef, le sorti di un singolo o di una societa’. E come lui stesso dichiara, ogni persona puo’, ogni sfida e’ superabile, da chiunque, “no excuse”.
Beh, distribuire e produrre un album con questa modalita’ e’ probabilmente folle, che sia primo in classifica a due giorni dall’uscita e’ irragionevole, che questa rivoluzione riesca e’ insensato. Eppure…
Potete seguire gli sviluppi di tutto questo
sul blog di Wyclef http://wyclefjean.wordpress.com/
oppure su http://wyclefwarriors.ning.com/
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Da rossana@comodinoposta.org per neurogreen@liste.rekombinant.org
Il sangue della terra 13.11.2009
Nel libro “Il sangue della terra: Atlante geografico del petrolio.
Multinazionali e resistenze indigene nell’Amazzonia ecuadoriana” vengono presentate mappe, dati, analisi e testimonianze sullo sfruttamento petrolifero dell’Amazzonia ecuadoriana.
Il libro è diviso in 16 capitoli, tanti quanti sono i “blocchi petroliferi”, dati in concessione a Repsol, Eni, Encana e a tante altre “sorelle del petrolio”. L’Amazzonia appare divisa e svenduta in tanti rettangoli neri, in cui la foresta viene distrutta e le popolazioni assassinate, nel silenzio e nell’indifferenza dei media. Una feroce rincorsa al petrolio che, come in una cruenta e delirante “febbre dell’oro nero”, calpesta vite umane e incenerisce il polmone del nostro pianeta. Al di là delle pubblicità patinate, le multinazionali del petrolio risultano illuminate da una luce sinistra che ne svela il volto aggressivo e violento.
(Derive/Approdi edizioni)
La questione delle riserve di petrolio e del picco del petrolio è argomento di costanti polemiche. In un articolo del Guardian del 9 novembre 2009 si denuncia una manipolazione operata dalla International Energy Agency (IEA) nella sua pubblicazione annuale World Energy Outlook.
Sembrerebbe che le cifre prodotte dalla AIE siano state falsificate sotto la pressione degli Stati Uniti per evitare effetti negativi sui mercati azionari.
Siamo entrati nell’era del picco del petrolio?
Key oil figures were distorted by US pressure, says whistleblower
http://www.guardian.co.uk/environment/2009/nov/09/peak-oil-international-energy-agency
Si fanno le guerre per il petrolio e le guerre richiedono petrolio. Più petrolio si consuma per fare la guerra, più bisogna fare la guerra per procurarselo.
Energy Security: an Annotated Military/Security Bibliography
http://www.energybulletin.net/node/50208
L’energia delle armi
Il sistema militare statunitense, visto come singola unità di consumo, è il settore più energivoro al Mondo. Consuma come la Nigeria e spende oltre 20 miliardi di dollari all’anno Il sistema militare statunitense, se visto come singola unità di consumo, è il settore più energivoro al mondo. A tal proposito un approfondito articolo è stato pubblicato su Energy Bulletin con il titolo “US military energy consumption – facts and figures” (http://www.energybulletin.net/node/29925) di Sohbet Karbuz.
Anche se è difficile recuperare dati esatti dal Dipartimento della Difesa, l’articolo è così zeppo di cifre, rilevate da più statistiche ufficiali, che ci si può fare un’idea del volume dei consumi di energia in gioco.
In sintesi, risulterebbe che nell’anno fiscale 2006 il settore militare americano abbia consumato energia primaria per 1.100 trilioni BTU (1.100.000 miliardi di BTU) che corrispondono a circa l’1% dei consumi degli USA. Se questa cifra può sembrare bassa basti pensare che la Nigeria, con una popolazione di 140 milioni di abitanti, consuma in un anno come la struttura militare americana. A livello procapite i componenti della struttura del Dipartimento della Difesa statunitense (circa 2,1 persone) consumano 10 volte quanto un cinese e 30 volte quanto un africano medio.
Le spese annuali per i consumi energetici del Dipartimento sono intorno ai 20 miliardi di dollari all’anno. Poiché tre quarti vengono destinati alla mobilità del settore, si stima che un aumento del prezzo del barile di petrolio di 10 $ porterebbe ad un aumento della spesa energetica di
1,3 miliardi di dollari. I militari americani consumano all’anno 117 milioni di barili (oltre 320.000 al giorno). Secondo il World Fact Book della CIA (2007) ci sono nel mondo solo 35 paesi che consumano più petrolio del Dipartimento della Difesa statunitense e solo tre che ne consumano di più a livello procapite.
Malgrado tutto, qualche buona notizia c’è. La prima è che si è avuto un calo di oltre il 60% dei consumi energetici dal 1985 ad oggi, soprattutto per il miglioramento dell’efficienza di edifici e impianti di produzione, anche se va detto che alcuni sono stati venduti a società private che hanno quindi assunto l’onere delle spese energetiche. La quota dei consumi per i veicoli (soprattutto per le forze aree) è invece nettamente aumentata. Altra notizia positiva è che almeno il 9% dell’energia consumata dalle forze armate è da fonte rinnovabile; il Pentagono intende portarla al 25% entro il 2025.
http://www.qualenergia.it/view.php?id=319&contenuto=Articolo#
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IN.FONDO.AL.MAR http://www.infondoalmar.info – progetto di infovisualizzazione sulle navi dei veleni affondate nel mediterraneo in.fondo.al.mar è un progetto di infovisualizzazione sui fatti riguardanti le navi affondate nel Mediterraneo con il loro carico di rifiuti tossici. Il progetto intende “portare i veleni a galla”, aiutando a fare chiarezza sulla vicenda. Il sito raccoglie e mette a disposizione dati pubblici ed inediti sugli incidenti, fornisce una mappa che mostra i luoghi degli affondamenti sospetti, una cronologia degli incidenti, ed una serie di statistiche e schede informative sulle navi sospette.
In.fondo.al.mar è un progetto in evoluzione, che è soggetto a correzioni ed aggiornamenti ed è aperto ai contributi di utenti ed esperti nel campo.
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Questo è Il Potere.
Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici… ”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.
Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro.
“Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.
E’ nell’aria.
Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.
Primo organo: Il Club.
Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.
Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.
Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum, la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.
Secondo organo: Il colosso di Ginevra.
Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l’Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.
Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.
Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito:
1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).
2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell’ambiente).
3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l’inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti – Principio del Trattamento Nazionale ecc.).
4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l’agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).
5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).
E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.
Terzo organo: I suggeritori.
Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.
In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti, fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.
I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, Union Carbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro, Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.
Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”, in riferimento alle generose donazioni che quei gruppi elargiscono ai due maggiori partiti d’oltreoceano.
Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea, che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Buisness Dialogue (TABD) – European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche, Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.
Quarto organo: Think Tanks.
Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation, il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government, la The Boss, o la Philanthropy Roundtable; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.
Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti.
Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.
Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali.
Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.
Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.
Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…
Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.
Conclusione.
Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer)
Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:
VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI. (http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=153)
Altra speranza non c’è, sempre che ancora esista una speranza.
Le fonti principali di questo articolo:
Trilateralism, Holly Skalar, South End Press, 1980.
Who pulls the strings? John Ronson, The Guardian, 10 marzo 2001
Inside the secretive Bilderberg Group, BBC News, 29 settembre 2005,
Shadowy Bilderberg group meet in Greece — and here’s their address, Timesonline, 14 maggio 2009
The Council on Foreign Relations and the Center for Preventive Action, Michael Baker, 6 marzo 2008, Znet
WTO, materiale tratto da: l’inchiesta I Globalizzatori, Report RAI 3, 09/06/2000, di Paolo Barnard, www.report.rai.it – Public Citizen: Trade Watch, USA – The Transnational Institute, Amsterdam, Olanda – The World Trade Organization: The Marrakech Treaty – Corporate Europe Observatory, Amsterdam, Olanda – The Economic Policy Institute, Washington DC, USA – Friends of the Earth, Bruxelles, Belgio – Corporate Watch, USA – Oxfam UK – Global Policy Forum Europe, Bonn, Germania – Institute for Policy Studies USA– et al., e da studi di autori fra cui: Joseph Stiglitz, Jeff Faux, Noam Chomsky, Greg Palast, Susan George, Richard W. Behan, Alexandra Wandel, Peter Rosset, Dean Baker, Barry Coates et al.
Master in Public Affairs, Lobbying e Relazioni Istituzionali, presso l’università LUMSA di Roma, testi del prof. Franco Spicciariello.
Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli, Il Tesoro della Casta, L’Espresso 16/03/09
Roberto Mania, Il Potere Opaco che Governa l’Italia, La Repubblica 02/03/09
Paolo Barnard, ‘Primarie, Partito Democratico, legge sul conflitto d’interessi’, Golem del Sole 24 Ore, 2007
Big Oil Protects its Interests, The Center for Public Integrity, July 15, 2004
JOHN M. BRODER, Oil and Gas Aid Bush Bid For President, New Yor Times, June 23, 2000
Jeffrey H. Birnbaum, The Road to Riches Is Called K Street, Washington Post, June 22, 2005
Federal Election Commission data released electronically on Monday, October 27, 2008.
http://www.zmag.org/znet/viewArticle/19603
ROBERT KUTTNER & MICHAEL HUDSON, Democracy Now 13 Feb 2009
Paolo Barnard, ‘Perché ci Odiano’, Rizzoli BUR, 2006.
Paolo Barnard, ‘Per Un Mondo Migliore’, www.paolobarnard.info, 2004
Corporate Europe Observatory, Financial Lobbies – A Guided Tour of the Brussels EU Quarter, 23 September 2009
Paolo Barnard, ‘Ecco come morimmo’, www.paolobarnard.info, 2009
Free Market Think Tank Links, Atlas Economic Research Foundation ~ 1201 L St. NW Washington, DC
Financial services industry lobby groups listed on EC lobbying register, 9 March 2009, Corporate Europe Observatory
The Adam Smith Institute, The Omega Project, by Norman Chapman et al. from research conducted for the Adam Smith Institute.
I Globalizzatori, di Paolo Barnard, Report RAI 3, 09/06/2000
Paolo Barnard, ‘Lo spaventapasseri e la vera catastrofe’, www.paolobarnard.info, 2009
Crollano gli investimenti esteri, In Italia -57 per cento – Sole 24 Ore, 17 settembre 2009
World Investment Prospects Survey, UNCTAD, 2009-2011
The Washington Post, New Money Flee France and its Wealth Tax, July 16, 2006
http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=154
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Da “LA STAMPA” di martedì 17 novembre 2009 (in relazione al vertice Fao)
“Gli aiuti occidentali ci stanno rovinando” L`economista africana: ci servono investimenti, non elemosine Intervista ROBERTO GIOVANNINI Dambisa Moyo Dambisa Moyo è nera, da giovane, e molto arrabbiata.
Nata in Zambia 28 anni fa, questa brillante economista con un dottorato a Oxford, un passaggio alla Banca Mondiale e alla Goldman Sachs tra Londra e New York, ha scritto l`anno scorso un libro sull`Africa e l`Occidente e il fallimento della politica degli aiuti internazionali – Dead Aid, sottotitolo «Why Aid is Not Working and How There is Another Way for Africa» – che ha sollevato una tempesta di polemiche.
Le bordate sono arrivate soprattutto da sinistra e dal mondo liberal.
Lei parte da una banale constatazione:
il trilione di dollari di aiuti in 30 anni non ha portato sviluppo autonomo e non ha cancellato la povertà, ma ha foraggiato élite politiche corrotte e creato una mentalità di dipendenza. Dunque, meglio abolire gli aiuti ai governi, limitandoli alle popolazioni; meglio puntare sugli investimenti diretti, che creano occupazione; meglio, soprattutto, rovesciare l`approccio pietistico (simboleggiato da Bono e Angelina Jolie) che vede nei «poveri africani» degli «oggetti» di aiuto, passivi simboli del senso di colpa dell`Occidente opulento.
Dove ha sbagliato l`Occidente? «Basta esaminare cosa ha funzionato e cosa no. Se si guarda alla Cina, all`India, al Sudafrica, negli ultimi 30 anni lì si è verificato un successo: basato non certo sugli aiuti, ma sul commercio, sugli investimenti, sulla crescita dei mercati di capitali, sullo sviluppo del credito, sul sostegno al risparmio e all`afflusso delle rimesse degli emigrati. Un modello completamente diverso dall`Africa, che dimostra che c`è una via maestra per crescere e ridurre la povertà».
Qualcuno l`accusa di offrire un alibi a chi vuole tagliare gli aiuti. Altri obiettano che senza spazzare via le corrotte élite politiche africane la via virtuosa allo sviluppo resterà un`utopia.
«Non ho mai detto che l`Occidente debba abbandonare l`Africa; dico solo che dovrebbe sviluppare commercio e investimenti, e non continuare su una strada sbagliata e fallimentare. E poi, è proprio la politica degli aiuti ad alimentare una leadership politica africana tanto orribile.
Se non si cambia, non avremo mai leader politici di qualità. Le persone serie, di valore, i tanti giovani africani preparati e intelligenti, non sono interessati a impegnarsi in politica, che è un gioco fasullo basato su questa cultura dell`elemosina fondata sul senso di colpa del mondo ricco che rafforza i politici corrotti».
Per qualcuno la Cina sta assumendo in Africa un profilo di potenza neocoloniale ma a suo giudizio è un`opportunità.
«Certo, anche i cinesi in alcuni casi sostengono dittatori e politici corrotti, ma in ultima analisi la Cina con i suoi investimenti sta portando sviluppo e migliorando il tenore di vita, che è un prerequisito – attraverso la nascita di una classe media della democrazia e del buon governo.
Sappiamo che la Cina sta giocando una sua partita politica, ma per l`Africa è una vera chance di cambiamento.
L`Occidente, invece, pare molto più interessato alla sopravvivenza delle dinastie politiche sue clienti».
È in corso una crisi planetaria, pare complicato trovare risorse per l`Africa.
«Un flusso limitato di aiuti dovrà esserci sempre, come sostegno temporaneo e per le emergenze, ma prima o poi vi renderete conto che noi africani siamo come tutti gli altri: ci servono posti di lavoro. Come generarli? Ad esempio, comprendendo che l`Africa è un imponente e giovanissimo mercato, con il 60% della popolazione con meno di 24 anni».
Ma c`è una burocrazia soffocante, continue tangenti…
«Ma è normalìssìmo, dato il contesto economico. Non c`è lavoro, e se ne hai uno non ti pagano per 6-8 mesi, un anno.
Se in Italia i dipendenti pubblici non ricevessero lo stipendio da un anno, tutti chiederebbero tangenti! Sarà così, finché non si rimette in moto un processo di sviluppo virtuoso. Negli anni`60, nell`Africa che si affacciava all`indipendenza, c`era fierezza, dignità, avevamo leader con grandi idee.
Oggi c`è una pletora di piccoli capetti che vanno ai vertici internazionali a mendicare aiuti e non hanno mai una proposta. Una mentalità che purtroppo si è diffusa in tutta la società».
Molti commentatori libera) hanno duramente criticato le sue proposte. Come si spiega questo atteggiamento? «Pensano che l`Africa non ce la possa fare. Vogliono «avere cura» degli africani, e sentirsi in colpa per loro.
In fondo gli fa comodo pensare che non siamo eguali, che abbiamo bisogno di loro, che ci serve un`elemosina e non posti di lavoro. Nessuno pensa che in Cina e in India ci sono più poveri che in tutta l`Africa. Ma avete mai visto uno spot con un bambino cinese povero e affamato? Mai.
Perché i cinesi sono rispettati e sì fanno rispettare. L`Africa per qualcuno è solo la terra della guerra, della malattia, della corruzione, della povertà. A una certa opinione liberal va benissimo così».
STOP ALLA BENEFICENZA «Per gente come Bono siamo dei poveretti da assistere per placare i sensi di colpa» IL NODO POLITICO «È proprio la possibilità dí mendicare aiuti a tenere in piedi le élite corrotte» che s `c Sao Dambisa Moyo, 28 anni, nata in Zambia e laureata a Oxford, ha scritto il libro «Dead Aid» sull`inutilità degli aiuti all`Africa scatenando violente polemiche [.]
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=40707448
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Shigeru Ban per L’Aquila: un’inspiegabile occasione persa 12.11.2009
Sul principale quotidiano giapponese, il Yomiuri Shimbun, con 12 milioni di copie giornaliere, è comparso l’articolo del corrispondente in Italia Kazuki Mazuhara dal titolo: assistenza giapponese sospesa unilateralmente. Il giornalista fa riferimento al rifiuto del Governo italiano di ricevere l’aiuto giapponese consistente nella realizzazione dell’Auditorium presentato dal Primo Ministro giapponese Taro Aso a Berlusconi durante il G8 de L’Aquila. Il progetto era stato donato dall’architetto giapponese Shigeru Ban che si era impegnato in prima persona anche nella raccolta fondi per la realizzazione : per metà, 500’000€ dal Governo giapponese e per altri 500’000€ da fondazioni e che già avevano
già dato ampia disponibilità…Il progetto prevedeva la realizzazione della nuova sede del Conservatorio “Alfredo Casella” e di annesso Auditorium da circa 600 posti, si era pensato perfino alla cerimonia d’inaugurazione per la quale si sarebbe scomodato Seiji Ozawa, uno dei massimi direttori d’orchestra al mondo. Il progetto di Shigeru Ban prevedeva il recupero e la riqualificazione della rimessa della ex metropolitana in superficie situata a Pettino, abbandonata e mai utilizzata, la cui struttura mai completata e indenne al terremoto sarebbe stata sfruttata per la grande copertura dell’Auditorium contenendo così costi e tempi di realizzazione ed allo stesso tempo riparando l’ennesimo scempio di incompiuta. Il cantiere inoltre sarebbe diventato un workshop per gli studenti della Facoltà di Ingegneria – Architettura de L’Aquila. Una volontà espressa proprio dall’Architetto Ban e consueta in molti cantieri del Voluntary Architects Network, Ong che opera in situazioni d’emergenza di cui Ban è fondatore.
A meno di un mese da tutti questi avvenimenti improvvisamente si decide di cambiare strada, e di tornare indietro. L’amministrazione comunale inspiegabilmente ritiene l’area non idonea ed il 31 luglio la Protezione Civile espropria un’area in cui però è prevista la realizzazione del solo Conservatorio. Per L’Auditorium invece non ci sono soldi, almeno così afferma la Protezione Civile interrogata dall’ ANSA subito dopo l’uscita della notizia dell’articolo del Yomiuri Shimbun : “No l’Auditorium dell’Aquila non si farà […] al momento non è possibile […] L’Auditorium costerebbe chiavi in mano 4 milioni di euro. Il problema è che per attuare tutte le opere nel territorio stiamo procedendo attraverso gare di appalto. E questo ovviamente non sarebbe possibile farlo per un’opera già progettata. Dovremmo procedere attraverso assegnazione diretta, ma questo noi stiamo cercando sempre di evitarlo. Non potendo procedere ad assegnazione tramite gara, servirebbero ulteriori finanziamenti. I 500mila euro offerti dal governo nipponico sono insufficienti” ed ancora “considerando le infrastrutture accessorie (parcheggi e viabilità), ci sono costi per circa 3,6 milioni di euro. “Manca il budget”, è il commento dei responsabili per la ricostruzione post terremoto, riferisce il quotidiano nipponico.”*
Relativamente all’incidenza delle infrastrutture sul costo dell’opera il prof. Aldo Benedetti, docente presso la Facoltà di Ingegneria de L’Aquila ed architectural consultant dell’opera, nella sua intervista ci spiega che in realtà le infrastrutture sono già tutte presenti nell’area, in quanto punto strategico adiacente l’uscita dell’autostrada al contrario dell’area espropriata dalla Protezione Civile. Per quanto riguarda i parcheggi, riportati anche nel progetto esecutivo di Shigeru Ban, erano già previsti e quindi finanziati tra le opere pubbliche nell’ambito delle infrastrutture satelliti della metropolitana in superficie.
Sull’affermazione relativa all’impossibilità di inserire un’opera già progettata all’interno di gare d’appalto ci appare inspiegabile in quanto è al contrario anomala la modalità di gara d’appalto di progetto ed esecuzione congiunta. Infatti le gare d’appalto per i lavori pubblici prevedono una prima gara per i progettisti e successivamente, definito l’esecutivo del progetto, viene indetta una gara per l’appalto dei lavori. Probabilmente per la ricostruzione la Protezione Civile per questioni di urgenza avrà ritenuto opportuno trovare soluzioni più celeri, ma di fronte ad un progetto esecutivo completamente definito, sul quale c’erano sostegni economici si sarebbe potuto fare una scontata eccezione..
Hiroyasu Ando, l’ambasciatore giapponese a Roma, ha commentato così la vicenda:”La sospensione è fuori dal senso comune della diplomazia perché si tratta di una cosa decisa tra i capi di governo dei due Paesi”. La tensione tra Roma e Tokio è evidente, per questo l’ufficio stampa della Protezione Civile precisa che “Bertolaso ha già preso appuntamento per la prossima settimana con l’ambasciatore giapponese per trovare una soluzione alternativa che consenta con la donazione nipponica di realizzare un’opera completa”. Abbiamo cercato di metterci in contatto con la segreteria dell’ambasciatore Ando per sapere se era stata fissata una data dell’incontro ma alla domanda non abbiamo avuto risposta.
Dietro tutto questo teatrino intanto la notizia incredibile è che il cantiere per il Nuovo Conservatorio è già iniziato da tempo, i soldi per la ricostruzione sono stati trovati, precisamente 5775000.00€ + iva: molti di più di quelli previsti anche pessimisticamente dalla stessa Protezione Civile e sul quale c’erano anche un milione di euro di donazioni ma il progetto non è quello di Shigeru Ban. La Protezione Civile infatti l’11 settembre scorso indice una gara d’appalto lampo (progetto + esecuzione) per quasi 6 milioni di euro della durata di appena 10 giorni (dall’11 settembre data del bando al 22 settembre scadenza) per la realizzazione di una struttura temporanea Il risultato di tutto questo? Una banale struttura MSP realizzata dall’impresa C.M.P. Costruzioni Metalliche Prefabbricate S.r.l. con un ribasso del 28,73% per un importo finale di 4.614.335,00€ .
Il progetto di Shigeru Ban é oggi solo carta straccia, al suo posto prenderá forma un progetto di bassa edilizia, in altro luogo meno adatto, più costoso e senza auditorium. Resterá a consolarci un'”appetibile” vuoto urbano, abbandonato al suo degrado, i fondi del Governo giapponese rimandati indietro ed un incidente diplomatico in corso. Questo è molto di più che mancanza di buon senso. Non ci resta che augurarci che l’incontro annunciato con l’ambasciatore Ando sia l’opportunità per chiarire l’intera vicenda, confidando nella straordinaria pazienza del popolo nipponico.
* fonte: ANSA
Gianluigi D’Angelo
Articolo, video e foto:
http://pescaraforum.wordpress.com/2009/11/12/shigeru-ban-per-laquila-uninspiegabile-occasione-persa/
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Disboscamento, in Amazzonia calo record 13.11.2009
Tra agosto 2008 e luglio 2009 il disboscamento dell’Amazzonia si è ridotto del 45%, al livello più basso registrato negli ultimi 21 anni. Secondo l’istituto brasiliano delle ricerche spaziali l’area disboscata è passata da 12.911 a circa 7.008 chilometri quadrati
Tra l’agosto del 2008 e il luglio del 2009 il disboscamento dell’Amazzonia si è ridotto del 45%, al livello più basso registrato negli ultimi 21 anni. Lo ha reso noto il governo nel corso di una cerimonia alla quale era presente il presidente Luiz Inacio Lula da Silva, vari ministri, nonché governatori e sindaci dei 43 municipi della regione amazzonica.
Secondo i dati diffusi dall’Inpe (Istituto nazionale delle ricerche spaziali), nel periodo preso in considerazione l’area disboscata è passata da 12.911 a circa 7.008 chilometri quadrati. “È stata una riduzione sostanziale, la minore da quando abbiamo cominciato a fare i rilevamenti”, ha precisato il direttore dell’organismo, Gilberto Camara.
Pur non avendo ancora preso una decisione precisa in merito, il governo brasiliano si propone di far conoscere i suoi programmi per diminuire la distruzione dell’Amazzonia nel corso dell’imminente Vertice mondiale sul clima a Copenaghen. Secondo dati diffusi ufficiosamente, si punta a ridurre la deforestazione affinché nel 2020 sia dell’80% rispetto al livello del 2005. (Ansa)
http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=11442&contenuto=Notizia
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Parigi: l’acqua ritorna pubblica 10.11.2009
Dal 1° gennaio 2010 la gestione delle acque ritornerà pubblica al 100%, dopo 25 anni di disastrosa gestione privata.
Ancora poche settimane e l’intera gestione delle acque potabili parigine ritornerà nelle mani del Comune. Sin dallo scorso maggio il sindaco Bertrand Delanoë aveva annunciato alla cittadinanza la decisione di ritornare ad una gestione idrica pubblica e di non rinnovare i contratti di distribuzione e fatturazione delle acque parigine alle multinazionali francesi Veolia e Suez, in scadenza il prossimo 31 dicembre. Dal 1° gennaio 2010 l’intero servizio idrico passerà nelle mani di un Ente di diritto pubblico che si chiamerà EAU DE PARIS e che si occuperà di ogni singola fase: dalla captazione delle fonti alla fatturazione. E’ stato calcolato che, grazie alla ri-municipalizzazione, il Comune risparmierà 30 milioni di euro l’anno, che serviranno sia a migliorare la rete idrica, sia a stabilizzare il prezzo di 2,77 euro al metro cubo fino al 2014.
La decisione del Comune di Parigi si iscrive nel movimento di ri-municipalizzazione dell’acqua in Francia e nella più ampia battaglia mondiale per il riconoscimento dell’acqua come diritto umano e per la ri-pubblicizzazione dei servizi idrici. La Francia a suo tempo fu all’avanguardia nella corsa alla privatizzazione: il passaggio da una gestione idrica pubblica ad una privata delle acque parigine venne deciso sin dal 1984 da Jaques Chirac (all’epoca sindaco di Parigi-n.d.a.) e diventò effettivo a partire dal 1° gennaio 1985, per una durata di 25 anni. La captazione dell’acqua alle fonti fu affidata ad una società mista, la SAGEP (diventata poi SEM-Eau de Paris) di cui facevano parte il Comune di Parigi, con una quota del 72%, Veolia e Suez, ciascuna col 14%. Compiti principali della SAGEP erano sia di monitorare la qualità dell’acqua, sia di controllare i gestori privati incaricati della distribuzione. E a chi venne affidato il servizio di distribuzione delle acque (insieme alla conseguente rendicontazione, tariffazione e fatturazione)? Al GIE, una società privata costituita da Veolia e Suez, che si divisero equamente la capitale: Veolia-Compagnie des Eaux de Paris sulla rive droite e Suez-Eau et Force-Parisienne des Eaux sulla rive gauche. In pratica i privati “controllati” dalla SAGEP erano i “controllori” stessi.
Da studi recenti si evince come la gestione privata delle acque parigine abbia generato in questi 25 anni solo un aumento sistematico dei prezzi, non accompagnato da un conseguente miglioramento dei servizi, bensì da una lunga serie di abusi, prezzi gonfiati, casi di corruzione e servizi obsoleti, perché modernizzarli avrebbe richiesto investimenti e, dunque, meno profitti. Le indagini dell’”Ufficio Servizio Pubblico 2000” hanno dimostrato come la differenza del costo dell’acqua tra Parigi e il resto della Francia non sia dipesa da un maggior consumo di acqua, ma alla presenza stessa del GIE, che ha generato un’ingiustificabile espansione dei costi, consentendo alle multinazionali di realizzare profitti enormi. Inoltre, è stato evidenziato come dietro ai lunghi ritardi nella liquidazione delle somme non dovute da parte del GIE, si nascondesse una vera e propria rendita finanziaria a favore del GIE stesso.
Nemmeno la società mista SAGEP-SEM-Eau de Paris, però, è stata immune da critiche. La Camera dei Conti dell’Ile de France, infatti, ha documentato come anch’essa si sia caratterizzata per la totale mancanza di trasparenza contabile, soprattutto nel periodo 1998-2000. Secondo l’Associazione dei consumatori “FC-Que Choisir”, infine, la gestione privata delle acque di Parigi ha vinto (nel 2006 e 2007) il primo premio della sovra-fatturazione, con un tasso di margine del 58,7%, che testimonia gli incredibili profitti di Veolia e Suez.
Per tutte queste ragioni, e nonostante in Francia la gestione dell’acqua sia privatizzata, il Comune di Parigi ha preso la storica decisione di riappropriarsi dell’intero servizio idrico. Dopo Parigi, Grenoble (già ri-pubblicizzata dal 2001) e Cherbourg (dal 2005), altre importanti città ed aree urbane come Tolosa, Lione e l’Ile de France – insieme a più di 40 comunità – stanno obbligando le multinazionali a rinegoziare i contratti e stanno prendendo in seria considerazione l’opportunità di ritornare alla gestione pubblica. Una tendenza che si osserva anche a livello planetario e che dipende dalla consapevolezza sempre più diffusa che la privatizzazione dell’acqua non è conveniente, né per la rete idrica, né per gli utenti.
http://lnx.buonenotizie.it/cronaca-e-societa/2009/11/10/parigi-lacqua-ritorna-pubblica/
e da noi…
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